30 agosto 2020

Jean de Florette (Claude Berri, 1986)

Jean de Florette (id.)
di Claude Berri – Francia/Italia 1986
con Gérard Depardieu, Daniel Auteuil, Yves Montand
***1/2

Visto in divx alla Fogona, con Marisa, in originale con sottotitoli.

Prima parte di un dittico di pellicole che comprende anche "Manon delle sorgenti": girati di seguito e ambientati a dieci anni di distanza l'uno dall'altro, i due film raccontano in realtà un'unica storia, nelle sue premesse (in questo film) e nelle sue conseguenze (il successivo). Nella Provenza di inizio Novecento, il gobbo Jean Cadoret (Depardieu), contabile di città, eredita dallo zio una fattoria sulle colline, composta da una casa e da un ampio terreno, e vi si trasferisce con la famiglia – la moglie Aimée e la figlioletta Manon – con l'intenzione di vivere in modo naturale, allevando conigli e coltivando zucche. I suoi metodi "scientifici" sono visti con scetticismo dagli agricoltori locali, ma la difficoltà principale è data dalla mancanza di acqua, condizione peggiorata da un'estate particolarmente arida. Nella tenuta si trova in realtà una ricca sorgente, ma Jean lo ignora, anche perché è stata tappata dai suoi vicini Ugolin (Auteuil) e César "Papet" Soubeyran (Montand), ai quali fa gola il terreno e che sperano di constringerlo a venderlo a poco prezzo... Il valore della terra ma soprattutto dell'acqua come bene più prezioso dell'oro, le fatiche della vita rurale e contadina, le piccole e grandi meschinerie dell'animo umano, la chiusura delle comunità verso chi viene dall'esterno, la crudeltà della natura che si rispecchia nell'avidità dell'uomo sono i temi (peraltro svolti in maniera mai pesante) di un film dall'ambientazione quasi "mitica" e fuori dal tempo. Pur ambientato subito dopo la fine della Grande Guerra, infatti, la vicenda potrebbe svolgersi in ogni periodo e da qualsiasi parte del mondo. E il sequel, con le sue rivelazioni, amplificherà ancora di più la portata della tragedia che si svolge fra le spoglie colline di quest'angolo di terra. Ottime le interpretazioni di tre autentici mostri sacri del cinema francese, da un Montand a fine carriera nel ruolo del patriarca dei Soubeyran, famiglia un tempo ricca e numerosa e ridotta ora sulla via dell'estinzione, ai giovani Auteuil (imbruttito con un naso finto) e Dépardieu (la cui moglie è interpretata dalla sua reale consorte, Élisabeth), e bella e avvolgente la fotografia calda e luminosa di Bruno Nuytten che rende "magiche" le località e i paesaggi in cui si svolge la storia. Il dittico è tratto dal ciclo di romanzi "L'eau des collines" di Marcel Pagnol, primo regista eletto nell'Académie française, che a sua volta li scrisse dopo la delusione per i tagli imposti dai produttori al suo "Manon des sources", lungometraggio di quattro ore del 1952, al quale Berri rende dunque in qualche modo giustizia. A fare da filo conduttore musicale c'è il tema de "La forza del destino" di Giuseppe Verdi: per ora un semplice motivetto intonato da Jean con l'armonica e ripreso dalla figlia, ma in seguito un segno premonitore e impressionante dell'ineluttabilità dal dato.

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