31 dicembre 2012

Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato (Peter Jackson, 2012)

Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato
(The Hobbit: An Unexpected Journey)
di Peter Jackson – USA/Nuova Zelanda 2012
con Martin Freeman, Ian McKellen
***

Visto al cinema Arcadia di Melzo (in 3D), con Monica, Roberto, Sabrina e altra gente.

Nel redigere le sue memorie, l'hobbit Bilbo Baggins rievoca l'avventura che l'ha portato per la prima volta fuori dalla Contea, sessant'anni prima degli eventi narrati nella saga de "Il Signore degli Anelli". In compagnia dello stregone Gandalf e di un gruppo di tredici nani, guidati dal principe Thorin Scudodiquercia, era partito per raggiungere Erebor, la Montagna Solitaria, con l'obiettivo di riconquistare il tesoro e il regno che il drago Smaug aveva depredato anni prima. Nel corso dell'avventura, fra le altre cose, Bilbo incontrerà la creatura chiamata Gollum e si impadronirà dell'anello magico che rende invisibili e che sarà al centro della successiva epopea. Dopo lo straordinario successo della trilogia cinematografica imperniata sulle avventure di Frodo, tutti gli appassionati auspicavano un adattamento anche del primo romanzo di Tolkien, pubblicato nel 1937, che ne costituisce l'antefatto (già adattato in animazione in uno special televisivo del 1977). A lungo in lavorazione (avrebbe dovuto dirigerlo Guillermo Del Toro, con Peter Jackson "confinato" nel ruolo di produttore, ed essere diviso in due film), alla fine è stato realizzato dallo stesso Jackson, coadiuvato da gran parte dei suoi soliti collaboratori (a partire da Fran Walsh e Philippa Boyens alla sceneggiatura), e diviso addirittura in tre pellicole. Per rimpolpare la vicenda (il libro è notevolmente più "leggero" rispetto alla trilogia dell'anello, e forse un film solo sarebbe stato sufficiente), Jackson e soci hanno deciso di ricorrere a materiale proveniente da altri scritti tolkieniani (in particolare dalle appendici de "Il Signore degli Anelli") e di esplicitare eventi che nel testo erano solamente sottintesi (la minaccia del Negromante e le riunioni del Bianco Consiglio, ovvero il gruppo dei saggi della Terra di Mezzo, composto – fra gli altri – da Elrond, Galadriel e Saruman). Se alcune di queste scelte possono essere catalogate come fan service (come la ricomparsa di personaggi e attori della prima trilogia), non c'è dubbio che la realizzazione di ben tre film e la presenza nel cast di attori già noti non farà che bene alle casse dei produttori.

Meno epico, più umoristico e "quotidiano" anche nei suoi momenti più avventurosi, "Lo Hobbit" può forse deludere chi, non conoscendo il libro di Tolkien (scritto per i propri figli, e dunque essenzialmente un romanzo per bambini), si attendeva un'evoluzione rispetto a "Il Signore degli Anelli", di cui invece non solo è un prequel ma, di fatto, una versione in scala ridotta, con un ritmo più rilassato e un mood tutto particolare che si traduce quasi in una rimpatriata fra vecchi amici o in un racconto da narrare attorno al fuoco. Naturalmente il fascino della Terra di Mezzo, il vasto e dettagliato mondo immaginario in cui si svolge la vicenda, rimane intatto, grazie alla regia visionaria di Jackson, ai magnifici scenari naturali della Nuova Zelanda, alla cura immessa nei costumi e nelle scenografie, e alla dinamica fotografia di Andrew Lesnie. Si comincia con una narrazione dei retroscena della vicenda, con l'attacco di Smaug a Erebor e la fuga dei nani dalla montagna (nell'occasione si intravede già Thranduil, re degli elfi di Bosco Atro e padre di Legolas, che rifiuta di correre in loro aiuto, esacerbando ulteriormente la rivalità fra elfi e nani). Ma il vero inizio è costituito dalle belle sequenze ambientate nella Contea, con l'incontro fra Bilbo e Gandalf e poi l'arrivo dei nani e i preparativi della quest. Fra le scene cult, l'incontro con i tre troll (meno caricaturale rispetto al testo tolkieniano), la gara di enigmi fra Bilbo e Gollum, la battaglia fra i giganti di pietra nelle montagne, la fuga dalle caverne dei goblin (forse esageratamente "videogiocosa") e la lotta finale con i mannari (qui cavalcati da un gruppo di orchi guidati da Azog, personaggio il cui ruolo è stato accresciuto a dismisura per creare un antagonista riconoscibile per il primo film), con la successiva fuga sul dorso delle aquile che conclude questa prima parte della storia. La colonna sonora di Howard Shore recupera diversi temi de "Il Signore degli Anelli", ma ne aggiunge anche di nuovi: su tutti quello dei nani, la cui melodia è utilizzata anche per la ballata lenta "Misty Mountains" (una delle due canzoni presenti nel film, entrambe cantate dai nani: d'altronde nel libro le poesie che fungevano da "intermezzi musicali" erano numerose).

Bravo Martin Freeman (attore britannico che ricordiamo come Arthur Dent ne "La guida galattica per autostoppisti", Rembrandt nel "Nightwatching" di Peter Greenaway e Watson nel serial televisivo "Sherlock"), la cui recitazione e la cui mimica a tratti ricordano in maniera impressionante quelle di Ian Holm (che ricompare in alcune scene nei panni di Bilbo da anziano); sontuoso come sempre Ian McKellen nei panni di Gandalf il Grigio, mentre fanno ritorno Hugo Weaving/Elrond, Cate Blanchett/Galadriel (assistiamo qui per la prima volta a un confronto fra la dama elfica e Gandalf, visto che ne "La compagnia dell'anello" lo stregone era già scomparso quando i nostri eroi giungevano a Lórien), Christopher Lee/Saruman e – nell'incipit – Elijah Wood/Frodo. Andy Serkis torna a vestire "virtualmente" i panni digitali di Gollum, ma si occupa anche di dirigere la seconda unità. Fra le new entry, spiccano Sylvester McCoy (già settimo dottore in "Doctor Who") nella parte di Radagast il Bruno (lo stregone che ha scelto di vivere in simbiosi con la natura, fra piante e animali: nei libri di Tolkien viene a malapena citato, mentre qui ha il suo momento di gloria) e soprattutto Richard Armitage in quella di Thorin Scudodiquercia, vero motore della vicenda. Una scelta azzeccata è stata quella di differenziare notevolmente l'uno dall'altro – dal punto di vista estetico e caratteriale – i tredici nani, che nel libro (a parte alcune eccezioni, come Thorin, Balin e Bombur) rimangono invece indistinti a parte per il nome. Chi temeva di trovarsi di fronte a tredici cloni di Gimli ha dovuto ricredersi: l'unico il cui aspetto assomiglia al nano de "Il Signore degli Anelli" è Glóin, il che è naturale, trattandosi di suo padre. Per il resto, sono tutti diversi (per barbe, nasi, capelli, corporatura, abbigliamento, armi) e a dire il vero non tutti convincenti come nani: alcuni di essi (i più giovani Kili e Fili, ma anche Thorin), a parte la statura, potrebbero benissimo passare per uomini. Oltre che in 3D, il film è uscito nelle sale anche in versione HFR (High Frame Rate, una tecnologia che consente di proiettare 48 fotogrammi al secondo anziché i consueti 24), tutta roba che aggiunge poco o nulla alla visione (anzi, il 3D rende eccessivamente confuse e impastate le scene d'azione, soprattutto nelle carrellate laterali) e di cui si poteva benissimo fare a meno.

29 dicembre 2012

Vita di Pi (Ang Lee, 2012)

Vita di Pi (Life of Pi)
di Ang Lee – USA 2012
con Suraj Sharma, Irrfan Khan
**1/2

Visto al cinema Colosseo (in 3D), con Sabrina, Marco ed Eleonora.

L'indiano Piscine Molitor Patel (che prende il suo bizzarro nome da una piscina di Parigi), detto "Pi", racconta a uno scrittore – giunto da lui in cerca di materiale per un libro – l'incredibile vicenda che lo ha visto protagonista da giovane. Sin da adolescente, nella sua ricerca di spiritualità, era entrato in contatto – oltre che con l'induismo – anche con il cristianesimo e l'islam, finendo con l'abbracciare tutte e tre le religioni. Durante un viaggio per mare verso il Canada con la sua famiglia (il padre, proprietario di uno zoo, aveva deciso di trasferire la sua attività oltreoceano, portando con sé tutti gli animali), la nave su cui era a bordo viene investita da una tempesta e fa naufragio, e Pi si ritrova su una scialuppa di salvataggio insieme a Richard Parker, una feroce tigre del bengala. Navigherà in mezzo all'oceano per diversi mesi, sopravvivendo grazie a mille risorse e alla forza di volontà, lottando contro la fame e la sete e cercando in ogni modo di tenere a bada – e in vita – l'animale, prima di approdare sano e salvo sulla terraferma. Tratto dal romanzo omonimo di Yann Martel, il film affascina per la bellezza delle immagini (difficile togliersi dalla mente le distese marine e gli straordinari incontri notturni con le meduse o la balena) e la consueta capacità affabulatoria di Ang Lee (che lo ha diretto dopo gli iniziali rifiuti di M. Night Shyamalan, Alfonso Cuarón e Jean-Pierre Jeunet). Convince meno invece quando vorrebbe emozionare o – peggio ancora – far riflettere sull'esistenza (o meno) di Dio. Agli ufficiali giapponesi della compagnia di navigazione che gli chiedono di raccontare la sua avventura, infatti, Pi fornisce due versioni diverse: quella fantastica e inverosimile che anche noi spettatori abbiamo visto sullo schermo, e una alternativa, più credibile e prosaica, in cui il ragazzo si trova sulla scialuppa in compagnia del cuoco di bordo (interpretato da Gérard Depardieu) e da altri due passeggeri che il cuoco uccide per nutrirsi della loro carne. Al termine del racconto, il ragazzo domanda agli ufficiali quale delle due storie preferiscano. E poiché non è possibile dimostrare quale sia quella vera (né la cosa è rilevante per determinare la causa del naufragio), essi scelgono quella "più bella", ossia quella con la tigre. La fede in Dio, cioè la decisione di credere nella sua esistenza, secondo Pi agisce nello stesso modo: un mito, si sa, ha più fascino rispetto alla cruda realtà dei fatti. Ma il fardello teologico e filosofico, peraltro banalotto, appesantisce un film che dal punto di vista del comparto tecnico è invece un vero gioiellino: ottimi, per esempio, gli effetti visivi (la tigre e gli altri animali sono ovviamente digitali), il cui ampio utilizzo – per non parlare della scelta del 3D – ha portato i geni del marketing a pubblicizzare la pellicola come "Il nuovo Avatar". Curiosamente, proprio la consapevolezza di aver assistito a una finzione cinematografica cancella in parte l'ambiguità del finale (e guarda caso, la seconda versione della storia non viene mostrata per immagini ma soltanto narrata a parole del protagonista).

28 dicembre 2012

L'arco (Kim Ki-duk, 2005)

L'arco (Hwal)
di Kim Ki-duk – Corea del Sud 2005
con Jeon Seong-hwang, Han Yeo-reum
**

Rivisto in DVD, con Sabrina.

Su un barcone ancorato al largo della costa vivono un vecchio e una ragazza, che lui ha trovato quando era una bambina e che tiene con sé con l'intenzione di sposarla non appena avrà compiuto diciassette anni. Il vecchio si guadagna da vivere portando sulla chiatta (tramite una barca a motore) piccoli gruppi di pescatori, dai quali talvolta è costretto a difendere la ragazza per mezzo del suo arco: con questo è inoltre in grado di "prevedere il futuro" in maniera bizzarra, ossia scagliando frecce contro l'immagine di Buddha dipinta sulla fiancata del barcone mentre la ragazza vi si dondola davanti con un'altalena. Proprio quando il compleanno della ragazza è ormai imminente (e il vecchio ha già acquistato gli abiti per il matrimonio), lei si innamora di un giovane pescatore... Un'ambientazione che ricorda in parte "L'isola" (le piattaforme galleggianti per i pescatori), ma anche "Primavera, estate, autunno, inverno" (il luogo circondato dall'acqua, raggiungibile solo con una barca) e "The birdcage inn", per un film che però non riesce a rivelarsi alla loro altezza: se la scenografia ha il suo fascino e la bellezza delle immagini è innegabile (così come quella della protagonista, acerba e maliziosa al tempo stesso), il simbolismo è alquanto scontato (vedi il finale, con la freccia scagliata in aria – ovvero lo spirito del vecchio – che ricade dal cielo per togliere la verginità alla ragazza), troppi elementi sono buttati lì (l'arco che viene utilizzato anche come strumento musicale), e soprattutto c'è molta "poeticità" gratuita, che spesso si traduce in uno sfoggio di estetica fine a sé stessa, manieristica e non sempre sincera. I due personaggi principali non parlano mai, anche se ovviamente non sono muti.

27 dicembre 2012

Una poltrona per due (John Landis, 1983)

Una poltrona per due (Trading places)
di John Landis – USA 1983
con Eddie Murphy, Dan Aykroyd
***1/2

Rivisto in TV, con Alberto ed Eva.

Per verificare se l'indole di una persona è determinata dalle sue qualità innate oppure se è l'ambiente in cui vive a formarne il carattere, i fratelli Randolph e Mortimer Duke – magnati della finanza e proprietari di un'azienda di consulenza e brokeraggio di Philadelphia – scommettono un dollaro sull'esito di un "esperimento scientifico": scambieranno di posto Louis Winthorpe III (Dan Aykroyd), il loro più valente impiegato (educato nelle migliori scuole, genio della finanza e fidanzato con la loro nipote Penelope), e Billy Ray Valentine (Eddie Murphy), uno straccione e ladruncolo che vive di truffe ed espedienti. L'esperimento riesce: Valentine si cala perfettamente nel ruolo dello yuppie e dimostra inaspettate doti finanziarie, mentre Winthorpe, accusato di furto e di spaccio di droga, si ritrova abbandonato da tutti e precipita all'ultimo gradino della scala sociale. Ma quando i due scopriranno di essere stati manipolati dai Duke, che per di più hanno l'intenzione di abbandonarli entrambi al proprio destino, uniranno le forze e sapranno vendicarsi. Forse ispirato al romanzo di Mark Twain "Il principe e il povero", il film di Landis è un moderno classico di Natale, riproposto immancabilmente dalla televisione italiana durante le feste, nonché uno dei più celebri film del regista, di Dan Aykroyd (entrambi reduci da "The Blues Brothers" e "vedovi" di John Belushi, che era morto l'anno prima) e soprattutto di Eddie Murphy (a inizio carriera e al suo secondo successo dopo "48 ore"). La caratterizzazione dei personaggi, i calcolati tempi comici (dettati soprattutto dalla contagiosa energia di Murphy), l'acuta analisi sociale, le reminescenze di Preston Sturges tengono a freno l'anarchia narrativa di Landis, che nell'occasione sforna una delle sue migliori regie. Memorabile la scena finale nella borsa valori, a colpi di contrattazioni sul prezzo del "succo d'arancia surgelato": insieme a "Wall Street" di Oliver Stone, la pellicola divenne uno dei simboli degli anni Ottanta reaganiani, un decennio particolarmente contrassegnato dal dilagare del yuppismo e delle speculazioni finanziarie. Geniale, a tal proposito, il doppio senso del titolo originale. Grande cast: oltre ai due protagonisti, brillano Jamie Lee Curtis nel ruolo di Ophelia, la prostituta che aiuta Winthorpe dopo che questi è caduto in disgrazia (un ruolo che per la prima volta la affrancava dal genere horror, di cui fino ad allora era stata assidua frequentatrice, e che ben prima di "Un pesce di nome Wanda" ne metteva in luce – oltre alle tette! – le qualità comiche), e il veterano inglese Denholm Elliot, il maggiordomo prima di Winthorpe e poi di Valentine. I fratelli Duke sono invece interpretati da due vecchie volpi della commedia americana, Don Ameche e Ralph Bellamy. Paul Gleason è infine Clarence Beeks, l'agente al servizio dei Duke per i lavori sporchi. C'è anche una comparsata, nel finale, per un giovane James Belushi nei panni dell'uomo con il costume da gorilla (a proposito: chissà come mai gli americani a Capodanno si travestono come se fosse Carnevale?). La colonna sonora di Elmer Bernstein saccheggia ampiamente l'ouverture da "Le nozze di Figaro" di Mozart: si veda in particolare l'incipit, dove la melodia mozartiana accompagna la Philadelphia che lavora e che si sveglia al mattino, fino a introdurci nella lussuosa villa di Winthorpe. Una curiosità: nel 2010, quasi trent'anni dopo l'uscita del film, una nuova regolamentazione dei mercati finanziari in America ha preso il nome di "Eddie Murphy rule", proprio perché mira a evitare l'insider trading attraverso l'utilizzo di informazioni governative riservate (come vorrebbero fare i fratelli Duke nel film).

25 dicembre 2012

Ralph Spaccatutto (Rich Moore, 2012)

Ralph Spaccatutto (Wreck-It Ralph)
di Rich Moore – USA 2012
animazione digitale
***1/2

Visto al cinema Colosseo, con Sabrina.

Ralph Spaccatutto è il "cattivo" di un vecchio videogioco arcade, "Felix Aggiustatutto", dove ha il compito di danneggiare un palazzo che l'eroe dovrà appunto rimettere a posto. Il suo sogno è però quello di diventare un "buono", per ricevere rispetto, onori e magari anche una medaglia come quelle che Felix vince ogni volta che completa la sua missione. Decide così di trasferirsi in un altro videogame, visto che – quando la sala giochi è chiusa – i personaggi sono liberi di interagire fra loro e di spostarsi da un ambiente all'altro. Costruito su un'idea simile a quella di "Toy Story" (i giocattoli, se non ci sono bambini o esseri umani attorno, si animano e conducono una vita propria), è forse il primo lungometraggio in animazione digitale della Disney a reggere il confronto con quelli della Pixar: guarda caso, c'è John Lasseter come produttore esecutivo. L'effetto nostalgia (la maggior parte dei videogame sono coin-op "vecchio stile"), le apparizioni di personaggi dei titoli più svariati (da Pac-Man a Q*bert, da Street Fighter a Tapper), le citazioni rivolte ai videogiocatori di lunga data (il "Konami code" che Re Candito utilizza come combinazione, o i graffiti sulle pareti della stazione centrale quali "Aerith lives" e "All your base are belong to us") e la grafica accattivante sono solo ciliegine sulla torta di un film comunque apprezzabilissimo anche da chi non conosce i videogiochi: colorato, dinamico, coinvolgente, divertente, con almeno un plot twist (la rivelazione dell'identità del cattivo) che giunge inaspettato benché preparato con largo anticipo, e a tratti anche commovente, per come sa trattare in maniera fresca e leggera i classici temi dell'amicizia, dell'autostima e dell'accettazione del proprio ruolo. Non si può che concordare con la recensione di Variety: "With plenty to appeal to boys and girls, old and young, Walt Disney Animation Studios has a high-scoring hit on its hands in this brilliantly conceived, gorgeously executed toon, earning bonus points for backing nostalgia with genuine emotion". Fra le scene cult sono da ricordare la riunione dei cattivi (fra i quali si riconoscono uno dei fantasmini di Pac-Man, Zangief e M. Bison di Street Fighter, Bowser di Super Mario Bros.) e il riferimento (non fine a sé stesso, peraltro, ma del tutto funzionale alla trama) all'esplosiva combinazione fra Coca-Cola e Mentos. I tre videogame in cui si svolge l'azione, diversissimi fra loro per mood e stile grafico (e ai quali è possibile giocare veramente, sul sito ufficiale del film), sono ispirati rispettivamente a "Donkey Kong" (Felix Aggiustatutto), a "Call of Duty" (Hero's Duty) e a "Super Mario Kart" (Sugar Rush): e proprio nel caramelloso mondo di quest'ultimo – dove Ralph stringerà amicizia con la pestifera Vanelope Von Schweetz, aspirante pilota emarginata dagli altri perché ritenuta un glitch, un errore di programmazione – è ambientata gran parte della pellicola; dal suo canto, invece, Felix (colpito dalla "alta definizione" del suo volto!) si innamorerà della militaresca protagonista del fantascientifico "Hero's Duty". Nella colonna sonora di Henry Jackman spicca la canzone (sui titoli di coda) "Sugar Rush" del gruppo idol giapponese AKB48. Il regista ha diretto in precedenza episodi de "I Simpson" e "Futurama".

24 dicembre 2012

Fred Claus (David Dobkin, 2007)

Fred Claus - Un fratello sotto l'albero (Fred Claus)
di David Dobkin – USA 2007
con Vince Vaughn, Paul Giamatti
**

Visto in TV, con Sabrina.

Santa Claus (Paul Giamatti) ha un fratello scapestrato e cinico, Fred (Vince Vaughn), che vive a New York e ha da tempo tagliato i ponti con il resto della famiglia, con la quale i rapporti sono tutt’altro che idilliaci (anche perché la madre non ha mai nascosto chi preferisce fra i due). Intenzionato ad aprire un’agenzia di scommesse, Fred decide di chiedere un prestito al fratello: e per ottenerlo è costretto a trasferirsi per qualche giorno al Polo Nord e aiutarlo nei preparativi del Natale, combinando peraltro parecchi guai che costano a Santa Claus quasi il licenziamento (proprio in quei giorni, infatti, un ispettore sta valutando l’efficienza della sua attività e minaccia di farlo chiudere se ci saranno degli intoppi nella consegna dei doni). Ma alla fine sarà proprio Fred, sostituendosi a Santa nella notte di Natale, a salvare la festa e a portare i doni a tutti i bambini del mondo. Tipico film natalizio a base di buoni sentimenti, con la cattiveria e il cinismo che si sciolgono nel lieto fine, e una spruzzata di comicità surreale. A sollevarlo sopra la media del genere concorrono la confezione (buona la scenografia, così come gli effetti speciali) e soprattutto gli attori (ottimo anche il cast di contorno, con Kevin Spacey nei panni dell’ispettore, Miranda Richardson in quelli della moglie di Santa, mentre Kathy Bates è la madre e Rachel Weisz la fidanzata di Fred; ma ci sono anche Elizabeth Banks – la graziosa segretaria di Babbo Natale – e John Michael Higgins – il capo degli elfi, di lei innamorato). La scena migliore, comunque, è quella della riunione (in stile alcolisti anonimi) dei fratelli che soffrono per vivere all'ombra di personaggi famosi, alla quale partecipano – fra gli altri – i veri fratelli di Sylvester Stallone (Frank), Bill Clinton (Roger) e Alec Baldwin (Stephen).

23 dicembre 2012

Zoolander (Ben Stiller, 2001)

Zoolander (id.)
di Ben Stiller – USA 2001
con Ben Stiller, Owen Wilson
**1/2

Rivisto in DVD, con Ilaria.

Derek Zoolander è il più celebre supermodello sulla scena fashion, celebre per i suoi sguardi conturbanti (e tutti uguali). Peccato che, come peraltro tutti i suoi colleghi, sia anche un campione di ignoranza e stupidità. In crisi per l'arrivo di un rivale, il biondissimo Hansel (Owen Wilson, già alla quarta collaborazione con Stiller), che gli ha impedito di vincere il titolo di "modello dell'anno" per la quarta volta consecutiva, Zoolander accetta di diventare il testimonial della nuova linea dello stilista Mugatu (Will Ferrell), ignorando che si tratta di un escamotage per fargli il lavaggio del cervello e spingerlo ad assassinare – durante una sfilata – il primo ministro della Malesia: questi, infatti, intende abolire il lavoro minorile nel proprio paese, andando contro gli interessi delle più importanti griffe di moda. Ma Derek sarà aiutato proprio da Hansel, che rivela di essersi sempre ispirato a lui, e dalla giornalista Matilda (Christine Taylor). Grottesca ed esilarante satira del mondo della moda (sviluppata a partire da alcuni spezzoni televisivi interpretati da Stiller in occasione dei VH1 Fashion Awards), è un film forse più stupido che intelligente. Ma riesce comunque a regalare parecchi momenti divertenti, per lo più legati all'idea che i modelli siano soltanto belli e stupidi, "esagerati cultori del proprio aspetto e del proprio ego": dalla battaglia con le pompe al distributore di benzina, alla mitica scena di Derek e Hansel che cercano di scoprire come si accende un computer (un iMac: siamo nel 2001) e che naturalmente parodizza "2001: Odissea nello spazio", per non parlare di alcune brillanti gag ("Sono diventata bulimica" - "Vuoi dire che sai leggere nel pensiero?"). Milla Jovovich è quasi irriconoscibile dietro il pesante trucco di Katinka, l'assistente russa di Mugatu, ma se la cava nel ruolo (per una volta) della cattiva. Numerosissimi i cameo di celebrità nelle parti di sé stesse (David Bowie, Donald Trump, Paris Hilton, Heidi Klum, Claudia Schiffer, Victoria Beckham, Tom Ford, Lenny Kravitz, Karl Lagerfeld, Donatella Versace, Tommy Hilfiger, Nina Hagen, Stephen Dorff, Christian Slater, Natalie Portman, Winona Ryder, James Marsden, Billy Zane, Cuba Gooding Jr., per citarne solo alcuni). Il padre di Derek è interpretato da Jon Voight (e uno dei suoi fratelli da Vince Vaughn), mentre il vero padre di Ben Stiller, Jerry, recita nei panni del suo manager. Una curiosità: "Zoolander" fu il primo film comico a uscire nei cinema di New York dopo l'attacco terroristico dell'11 settembre, e forse anche per questo motivo non venne accolto favorevolmente dal pubblico (per poi rifarsi in seguito, diventando quasi un cult movie, nonché uno dei titoli più popolari della filmografia di Stiller).

22 dicembre 2012

...e alla fine arriva Polly (J. Hamburg, 2004)

...e alla fine arriva Polly (Along Came Polly)
di John Hamburg – USA 2004
con Ben Stiller, Jennifer Aniston
*

Visto in TV, con Sabrina.

Reuben Feffer (Stiller) lavora in una compagnia di assicurazioni, dove ha il compito di "valutare i rischi" dei potenziali assicurati prima di stipulare le polizze. Anche nella vita fa lo stesso, ponderando ogni possibilità per non lasciarsi mai cogliere alla sprovvista dagli eventi. Ma quando Lisa – la donna che ha appena sposato – lo tradisce durante il primo giorno del viaggio di nozze, si rende conto che deve ripensare la propria vita. Lo aiuterà l'incontro fortuito con Polly (Aniston), una vecchia compagna della scuola media, che conduce uno stile di vita opposto al suo, all'insegna dell'indecisione, della casualità e dell'apertura verso le nuove esperienze (un esempio per tutti: l'amore per i ristoranti etnici). Una pellicola priva di appeal e che non decolla mai, anche per colpa della mancanza di alchimia fra due protagonisti poco ispirati (soprattutto la svagatissima Aniston): se la prima parte punta quasi tutto su gag "schifose" o volgari (non si contano quelle scatologiche), nel tenativo forse di emulare "Tutti pazzi per Mary", la seconda vira sulla commedia sentimentale più scontata e prevedibile, con tanto di lezioncina morale. Nel cast anche Philip Seymour Hoffman (l'amico caciarone e combinaguai, immancabile in questo genere di film), Debra Messing (l'ex moglie), Hank Azaria (il nudista francese) e Alec Baldwin (l'eccentrico capo di Reuben). Bryan Brown è invece il miliardario amante degli sport estremi che Reuben è incaricato di "valutare" per un'eventuale assicurazione sulla vita.

21 dicembre 2012

Il buio oltre la siepe (Robert Mulligan, 1962)

Il buio oltre la siepe (To Kill a Mockingbird)
di Robert Mulligan – USA 1962
con Gregory Peck, Brock Peters
***1/2

Visto in TV.

In una piccola cittadina rurale nell’Alabama del 1932, ancora sofferente per le conseguenze della Grande Depressione, i due figli dell’avvocato Atticus Finch – Jem (10 anni) e Scout (6 anni) – sono testimoni dell’impegno del padre nel difendere un uomo di colore, Tom Robinson (Peters), dall’accusa di aver violentato la figlia di un contadino. Nel contempo i due bambini e un loro amico, Dill, si incuriosiscono per le voci sulla presenza, nella casa a fianco (“oltre la siepe” appunto), di Boo, un malato di mente tenuto segregato dalla sua stessa famiglia. Tratto dal romanzo omonimo (premio Pulitzer) di Harper Lee, è uno dei più celebri film hollywoodiani sul tema del razzismo, ancor più pregevole perché l’intera vicenda è vista attraverso l’esperienza e la sensibilità dei bambini. Le inquietudini si fanno strada in mezzo ai giochi infantili, e non tutte le ingiustizie trovano una spiegazione ai loro occhi o vengono punite (il padre perde il processo). Ottimi i due giovani attori, Mary Badham (sorella del regista John) e Phillip Alford, che interpretano i due figli di Atticus, il “maschiaccio” Jean Louise, detta ‘Scout’, e Jeremy, detto ‘Jem’. Potente esordio sullo schermo (anche se appare solo nel finale) per Robert Duvall nei panni del "mostro buono" Boo. La pellicola vinse tre premi Oscar: per la scenografia, per la sceneggiatura non originale e per il miglior attore protagonista (Gregory Peck, nel ruolo forse più celebre e iconico di tutta la sua carriera). Ma forse avrebbe meritato una statuetta anche la fotografia in bianco e nero di Russell Harlan, fondamentale per ricreare l’atmosfera concreta e torbida, ma al tempo stesso sospesa e quasi onirica, che fa da sfondo alla vicenda (l’intera storia è narrata dalla voce di Scout adulta, che la rievoca come un fondamentale momento formativo della propria infanzia). La colonna sonora è di Elmer Bernstein, mentre tra i produttori figura Alan J. Pacula. Fra le sequenze memorabili, quella del tentativo di linciaggio a Tom da parte della folla razzista, che proprio i bambini contribuiscono a dissipare, e naturalmente il processo, uno degli esempi più celebri di courtroom drama, con l'arringa finale di Atticus Finch che invita (inutilmente) la giuria a superare i propri preconcetti.

20 dicembre 2012

Che bella giornata (G. Nunziante, 2011)

Che bella giornata
di Gennaro Nunziante – Italia 2011
con Checco Zalone, Nabiha Akkari
**

Visto in TV, con Sabrina.

Checco, pugliese trasferitosi in Brianza dove lavora come buttafuori in una discoteca, sogna di diventare Carabiniere ma viene regolarmente scartato ai colloqui. Grazie a una raccomandazione, riesce però a farsi assumere come addetto alla sicurezza presso la Curia di Milano, dove l’Arcivescovo lo incarica di controllare i turisti che salgono a visitare il Duomo. Una coppia di terroristi arabi, fratello e sorella, vorrebbe approfittare della sua ingenuità per portare una bomba sulle guglie e far esplodere la Madonnina: ma la ragazza, Farah (che si spaccia per studentessa di architettura, e della quale Checco si innamora a prima vista, al punto da portarla persino a conoscere la sua famiglia in Puglia), dopo aver sperimentato la sua amicizia e il suo buon cuore, rinuncerà a compiere l’attentato. Secondo film di Zalone come protagonista (dopo “Cado dalle nubi”) ed enorme successo al botteghino: ha addirittura superato “La vita è bella” come maggior incasso italiano di tutti i tempi (ed è rimasto dietro solo ad “Avatar”, superando dunque “Titanic”, fra le pellicole straniere). Un po’ troppo, forse, per un filmetto nulla più che simpatico e dalle gag non particolarmente memorabili, che puntano tutto sulla macchietta del meridionale buzzurro e caciarone, ignorante e superficiale, che combina guai a ripetizione come Mister Bean o l’ispettore Closeau (c’è anche uno pseudo-Dreyfus, il colonnello interpretato da Ivano Marescotti), del tutto inconsapevole di quello che accade attorno a lui. Ha però almeno il merito di non ripiegarsi sui soliti cliché della commedia all’italiana, di non scadere o eccedere nelle volgarità (come invece fanno i cinepanettoni), di non appoggiarsi su uno scontato lieto fine (Checco non coronerà la sua storia d’amore) e di affrontare con il sorriso sulle labbra temi di attualità italiana (le raccomandazioni, la famiglia) e globale (il terrorismo, la religione), risultando – alla resa dei conti – un inno alla tolleranza. Cameo del cantante pugliese Caparezza, “costretto” a esibirsi in brani ultrapopolari (come “Sarà perché ti amo”) al matrimonio della cugina di Checco.

6 dicembre 2012

Io sono leggenda (F. Lawrence, 2007)

Io sono leggenda (I am Legend)
di Francis Lawrence – USA 2007
con Will Smith, Alice Braga
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Visto in TV, con Sabrina.

Tre anni dopo che un virus (ideato come possibile cura per il cancro) ha scatenato un'epidemia, uccidendo il 90% dell'umanità e trasformando il resto in vampiri-zombie, lo scienziato militare Robert Neville – uno dei pochissimi a essersi rivelato immune – si aggira per le strade di una New York vuota e desolata, in compagnia del cane Sam (in realtà una femmina: Samantha), cercando eventuali altri superstiti, difendendosi dagli umani trasformati in mostri e tentando contemporaneamente di sintetizzare una cura in laboratorio. Terza versione cinematografica (dopo "L'ultimo uomo della Terra" e "1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra") del celeberrimo racconto di Richard Matheson, di cui però stravolge senso e significato, a partire addirittura dal titolo: nel testo originale, infatti, non solo non ci sono altri sopravvissuti e non c'è una cura, ma l'appellativo di "leggenda" è quello con cui il protagonista verrà ricordato dagli stessi vampiri, ormai ri-civilizzati, in quanto ultimo esponente di una razza odiata ed estinta. Il progetto di un nuovo adattamento era in lavorazione da diversi anni, e inizialmente avrebbe dovuto dirigerlo Ridley Scott, con Arnold Schwarzenegger come protagonista. La sceneggiatura è stata modificata e riscritta dopo l'uscita di "28 giorni dopo" e della saga di "Resident Evil": il risultato è un onesto e gradevole film post-apocalittico, in cui si salva soprattutto l'atmosfera della prima parte, quella in cui Will Smith si aggira da solo con il cane in una città deserta, spettrale e silenziosa, di cui la natura sta lentamente riappropriandosi; nulla comunque che non si sia già visto altre volte in passato (oltre ai titoli già citati, basti ricordare "L'esercito delle dodici scimmie"). Meno riuscito il finale, più prettamente hollywoodiano ed "eroico". E l'abuso di computer grafica (non solo i mostri-vampiri, ma anche gli animali selvatici sono tutti realizzati in CG) fa rimpiangere i tempi in cui gli effetti erano più artigianali, e dunque più "veri" e credibili. Pare che la sola scena dell'evacuazione di New York dal Ponte di Brooklyn sia costata alla produzione cinque milioni di dollari: all'epoca si trattava della scena più costosa mai girata in un film. Il finale alternativo compreso nel DVD, in cui Neville si rende conto che i vampiri stanno cominciando a riacquistare caratteristiche e sentimenti umani, sarebbe stato forse migliore di quello effettivamente incluso nel montaggio.

4 dicembre 2012

Potere assoluto (Clint Eastwood, 1997)

Potere assoluto (Absolute Power)
di Clint Eastwood – USA 1997
con Clint Eastwood, Gene Hackman
**1/2

Rivisto in TV, con Sabrina.

Impegnato a svaligiare una lussuosa villa, un anziano ladro di gioielli (interpretato dallo stesso Eastwood) si nasconde dietro un falso specchio ed è testimone dell'assassinio di una donna, amante del Presidente degli Stati Uniti (Gene Hackman), da parte degli agenti addetti alla sua sicurezza. Costretto alla fuga (i servizi segreti cercano infatti di addossare a lui la responsabilità), lotterà per dimostrare la propria innocenza, e nel frattempo proverà a recuperare il rapporto con la figlia, giovane avvocatessa che disapprova il suo stile di vita. Un thriller teso e appassionante, sceneggiato da William Goldman a partire da un romanzo di James Baldacci, in cui il cattivo è nientemeno che la massima carica dello stato, ritratto come un uomo ipocrita e corrotto, mentre l'eroe è un fuorilegge che dimostra però molta più integrità morale del suo rivale: una situazione simile (con il "buono" che è un bandito e il "cattivo" che in teoria è il tutore della legge) a quella proposta cinque anni prima, in chiave western, nel capolavoro di Clint, "Gli spietati", dove pure il nostro eroe se la vedeva con Hackman. Certo, la sospensione dell'incredulità è necessaria, alcuni snodi sono un po' forzati, la risoluzione è troppo improvvisa, e al tema della riconciliazione famigliare viene dato a tratti uno spazio eccessivo (anche se la figura del padre che si tramuta nell'angelo custode della figlia, a insaputa di lei, è perfettamente in linea con il cinema di Eastwood), ma Clint dimostra per l'ennesima volta di conoscere bene le regole del gioco e di saper sfornare una pellicola d'intrattenimento con i fiocchi, seppur forse meno ambiziosa di altri suoi lavori. Nell'ottimo cast, anche Ed Harris (l'ostinato detective che indaga sul caso), Laura Linney (la figlia di Luther), Judy Davis (il capo dello staff presidenziale), Scott Glenn (uno degli agenti segreti) ed E.G. Marshall (l'anziano "nume tutelare" del presidente, alla sua ultima apparizione sul grande schermo). Eastwood, come suo solito, è anche autore delle musiche.