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27 gennaio 2021

Notte e nebbia (Alain Resnais, 1956)

Notte e nebbia (Nuit et brouillard)
di Alain Resnais – Francia 1956
***

Visto su YouTube, in originale con sottotitoli.

Il più celebre dei tanti documentari diretti da Resnais prima di diventare regista di fiction è uno dei primi e tuttora migliori – nel senso di terribile a guardarsi – documenti di denuncia delle atrocità commesse nei campi di concentramento (e di sterminio) nazisti, realizzato soltanto dieci anni dopo la fine della guerra (il film fu sottoposto alla censura francese nel 1955 e proiettato a Cannes l'anno seguente). Girato con la consulenza degli storici Olga Wormser e Henri Michel e in collaborazione con il poeta Jean Cayrol, sopravvissuto al campo di Mathausen che ha scritto il commento di accompagnamento schietto ed evocativo (letto dall'attore Michel Bouquet), il film alterna immagini (a colori) riprese nei lager di Auschwitz e Majdanek ormai abbandonati e ricoperti d'erba, con materiale di repertorio (fotografie e filmati in bianco e nero) che mostrano dapprima la costruzione e poi l'attività nei campi. Assistiamo così alla deportazione degli Untermenschen ("Esseri inferiori") nei campi, all'organizzazione degli stessi (dalla scala gerarchica agli aspetti burocratici), alla descrizione dei vari ambienti (dalle camerate alle cliniche per gli esperimenti medici) e di come funzionavano nella quotidianità, dal lavoro forzato alle tremendi condizioni igieniche, fino a mostrare i crematori e le camere a gas, e infine impressionanti immagini di prigionieri e di cadaveri. Alla fine, un invito a non dimenticare ("Ci sono quelli che non ci credevano"). Fra i documenti d'epoca, estratti di una visita di Himmler e dei processi ai responsabili dopo la liberazione. La censura francese ebbe da ridire su una scena in cui si mostrava un soldato del governo collaborazionista di Vichy, che Resnais fu costretto ad oscurare parzialmente. La colonna sonora venne composta da Hanns Eisler, mentre Chris Marker avrebbe collaborato al montaggio dei testi. Il titolo fa riferimento al nome ("Nacht und Nebel") del decreto firmato da Hitler il 7 dicembre 1941 per la deportazione e l'eliminazione di tutti i "nemici" del terzo Reich.

31 ottobre 2019

L'anno scorso a Marienbad (A. Resnais, 1961)

L'anno scorso a Marienbad (L'année dernière à Marienbad)
di Alain Resnais – Francia/Italia 1961
con Delphine Seyrig, Giorgio Albertazzi, Sacha Pitoëff
***1/2

Rivisto in divx.

In un gigantesco e lussuoso albergo (il film è stato girato nei palazzi reali di Monaco di Baviera e dintorni, con immensi giardini annessi), uno sconosciuto (Albertazzi) afferma di aver già incontrato l'anno prima una donna (Seyrig) – "È stato a Friedrichsbad? O forse a Marienbad?" (tutte celebri località termali) – e cerca di convincerla a fuggire con lui, abbandonando il marito (Pitoëff). Lui ricorda ogni dettaglio del loro precedente incontro, lei invece no (o fa finta di aver dimenticato?). Scritto da Alain Robbe-Grillet (che si ispirò, pare, al romanzo "L'invenzione di Morel" di Adolfo Bioy Casares), il secondo lungometraggio – e secondo capolavoro – di Resnais dopo "Hiroshima mon amour" è un lento ed enigmatico tuffo in un mondo sospeso, misterioso e senza tempo: vediamo spesso i personaggi "congelati" come statue, o immersi in un flusso di dialoghi o di frammenti di conversazioni che si ripetono in continuazione, senza senso o senza contesto. Spersi fra i saloni, i corridoi e le gallerie di questo albergo sontuoso e barocco ma vetusto, ricolmo di specchi, stucchi, statue e marmi, i ricchi avventori sembrano anime smarrite in un limbo da cui è impossibile uscire, in balia del destino o della morte. I lenti movimenti di camera, le eleganti inquadrature, il montaggio sofisticato, la letterarietà dei dialoghi, l'incessante musica organistica completano un'esperienza che per lo spettatore può risultare, a seconda dei gusti, vacua e snervante oppure onirica e ipnotica. E le riflessioni sul tempo e sui ricordi acquistano una certa qualità ultraterrena, surreale o metafisica. Di fatto, non è chiaro quanto di quello che avviene sullo schermo (o che i personaggi ricordano) sia reale, oppure frutto di un sogno o dell'immaginazione. Leone d'Oro a Venezia, il film fu anche candidato all'Oscar per la miglior sceneggiatura. Affascinante, fra i tanti spunti, il giochino (con le carte o i fiammiferi) che Sacha Pitoëff propone agli altri ospiti dell'albergo: una variante del Nim in cui il giocatore che toglie l'ultimo elemento (partendo da file di 1, 3, 5 e 7) perde la partita: Pitoëff afferma di vincere sempre, inesorabile – anch'egli – come la morte. Personalmente adoro il gioco e lo faccio spesso ai miei amici!

24 aprile 2018

Stavisky il grande truffatore (A. Resnais, 1974)

Stavisky il grande truffatore (Stavisky...)
di Alain Resnais – Francia/Italia 1974
con Jean-Paul Belmondo, Anny Duperey
**

Visto in TV.

In Francia, agli inizi degli anni trenta, il ricco faccendiere Serge Alexandre, detto "Sasha il bello", è proprietario di teatri e giornali, controlla politici e funzionari e sta per investire in lucrose speculazioni finanziarie internazionali. Ma in realtà di tratta di un truffatore di origini ucraine, Alexandre Stavisky (Belmondo). Il denaro che sperpera allegramente non è suo, oppure è frutto di buoni fruttiferi fasulli: e la messinscena – cui contribuiscono una moglie assai vistosa, Arlette (Anny Duperey), e la frequentazione di bische e locali in rinomate località turistiche, come Biarritz – serve a garantirgli visibilità e attrarre così nuovi investitori disposti a dargli credito. La sua storia si intreccia con gli eventi politici di quegli anni (compreso l'esilio francese di Leon Trotsky), tanto che il suo scandalo, visto il coinvolgimento di alti funzionari, porterà ai moti di protesta del 6 febbraio 1934 e alla caduta del governo di sinistra guidato da Camille Chautemps. Un film strano e non pienamente riuscito, a metà strada fra la ricostruzione di un fatto storico (gran parte della vicenda è raccontata in flashback da vari testimoni davanti a una commissione d'inchiesta, che cerca inutilmente di comprendere che tipo di uomo fosse Stavisky) e una pellicola di stampo nostalgico e teatrale in cui si lascia briglia sciolta all'estro di Belmondo, il cui personaggio resta sempre al centro dell'attenzione, attorniato da figure (amiche e nemiche, ingenue o calcolatrici) che dipendono da lui come pesciolini attorno a uno squalo. Fra questi, complici o vittime, politici e poliziotti, aristocratici e rivoluzionari. L'ambizione del protagonista – antesignano del Leonardo DiCaprio di "The wolf of Wall Street" – è pari soltanto al suo nome, lo stesso di Alessandro il Grande, anche se è tenuta a freno da incubi premonitori (sia lui che la moglie Arlette sognano di precipitare in auto da una scogliera) e dal destino (il padre si è suicidato perché lui, con le sue prime truffe, "disonorava" il nome di famiglia). Ma il ritratto che ne risulta è sempre sfuggente, e l'intricato intreccio politico-finanziario è troppo vago per risultare davvero appassionante. La sceneggiatura di Jorge Semprún era stata commissionata dallo stesso Belmondo: per dirigerla, Resnais tornò al cinema dopo sei anni di assenza. Nel cast anche François Périer, Charles Boyer, Claude Rich e Michael Lonsdale. Breve apparizione di un giovanissimo Gerard Depardieu (l'inventore del "matriscopio") a inizio carriera. Ben curate le scenografie e i costumi (si pensi ad Arlette, sempre vestita di bianco o circondata da fiori di questo colore).

3 marzo 2014

Hiroshima mon amour (Alain Resnais, 1959)

Hiroshima mon amour (id.)
di Alain Resnais – Francia/Giappone 1959
con Emmanuelle Riva, Eiji Okada
***1/2

Rivisto in divx.

Come ricordare Alain Resnais, il grande regista francese appena scomparso, se non con quella che – oltre a essere una delle pellicole più significative della seconda metà del ventesimo secolo – può essere considerata a tutti gli effetti anche la sua opera d'esordio? Resnais aveva già girato, è vero, una lunga serie di cortometraggi e di documentari (il più celebre dei quali è "Notte e nebbia", sul tema dell'Olocausto): ma è con questo lungometraggio di finzione che colui che diventerà un importante punto di riferimento per Godard e Truffaut dà di fatto il via alla stagione della Nouvelle Vague (di cui è spesso ritenuto il "teorico", pur non avendo mai formalmente aderito al movimento). Inizialmente il progetto era quello di realizzare un altro breve documentario, stavolta sull'incubo della bomba atomica, un tema in quegli anni ancora drammaticamente d'attualità. Ma Resnais volle andare oltre e fare di più. Si appoggiò pertanto alla sceneggiatura e ai dialoghi di Marguerite Duras (collaborare con personalità di solito estranee all'ambiente del cinema rimarrà una costante di tutta la sua carriera) per dare vita a qualcosa di diverso: non un resoconto degli eventi che portarono al bombardamento della città, né una semplice testimonianza degli orrori della bomba atomica (anche se nella prima parte della pellicola vengono abbondamente usate immagini e filmati di repertorio), bensì un invito a riflettere sul passato e sulla persistenza della memoria attraverso le esperienze presenti, una visione della storia che passa attraverso le vicende personali, amplificate dai sentimenti e dai ricordi. La guerra e l'amore, elementi così distinti e contrastanti, si rispecchiano l'una nell'altro, allo stesso modo in cui il passato (di lei, in Francia) e il presente (di lui, in Giappone) si fondono e contribuiscono a "formare" un'unica e inedita testimonianza, non soltanto dei dolori della guerra ma anche e soprattutto di quelli del dopoguerra.

Una donna e un uomo si incontrano e si amano a Hiroshima. Lei è un'attrice francese, giunta lì per girare un film sulla pace; lui un architetto giapponese. Durante l'amplesso, lei gli racconta della sua permanenza nella città, di ciò che ha visto e sentito, della sua visita al museo che ricorda la catastrofe della bomba atomica; lui le spiega che non ha ancora visto nulla. La loro relazione (peraltro clandestina, visto che entrambi sono sposati) sembrerebbe destinata a durare soltanto poche ore, visto che il ritorno in patria della donna è imminente; ma anche durante il giorno successivo i due scoprono di non poter fare a meno di rivedersi. Scavando dentro di sé, come in una seduta di psicanalisi, lei gli racconta la storia del suo primo amore, negli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale, quando aveva amato un soldato tedesco nella sua città natale, Nevers. Il montaggio incrociato e parallelo fra le scene di Hiroshima e della Francia unisce inevitabilmente le loro anime, ma anche quelle dei due paesi, nonostante le diverse modalità con cui hanno assistito alla fine della guerra. Tutto il film, a ben vedere, è un'unica e ininterrotta conversazione intensa e divagante fra i due personaggi, un flusso di pensieri e di coscienza che fonde le esperienze personali e intime con il vissuto sociale e politico, aiutato in questo dallo straordinario montaggio frammentato (i brevissimi flashback sono, letteralmente, dei brevi "flash di memoria"), al servizio di una narrazione non-lineare. Coproduzione franco-giapponese, il film non condivide soltanto due interpreti ma anche scene girate nei rispettivi paesi, con differenti troupe e direttori della fotografia: quello di Nevers è Sacha Vierny, quello di Hiroshima è Michio Takahashi. Il locale che la donna visita nel finale si chiama "Casablanca", e questo ha suggerito al critico James Monaco un parallelo con il celebre film di Curtiz: in entrambi si racconta "un'impossibile storia d'amore fra due persone che soffrono per una guerra distante". Da notare che i due protagonisti non si dicono mai i rispettivi nomi: nel finale si identificano con i loro luoghi di nascita: "Hiroshima è il tuo nome" - "E il tuo è Nevers, en France".

11 dicembre 2011

Parole, parole, parole... (A. Resnais, 1997)

Parole, parole, parole... (On connaît la chanson)
di Alain Resnais – Francia 1997
con Sabine Azema, Pierre Arditi
***1/2

Rivisto in DVD, con Ginevra, Eleonora e Federica.

Odile (Sabine Azéma), donna in carriera che accusa il marito Claude (Pierre Arditi) di essere debole e incapace di prendere iniziative, sta per acquistare un nuovo appartamento – con una spettacolare vista su Parigi – propostole dal disonesto agente immobiliare Marc Duveyrier (Lambert Wilson). Di questi, credendo che soffra per una delusione amorosa (quando invece piangeva soltanto per un raffreddore!), si invaghisce la sorella minore di Odile, Camille (Agnes Jaoui), complessata guida turistica che si sta laureando in storia con una tesi il cui argomento non interessa a nessuno ("I cavalieri contadini dell'anno mille del lago di Paladru"). Ma della ragazza è innamorato a sua volta un dipendente di Marc, Simon (André Dussolier), scrittore part-time di commedie radiofoniche che, incapace di dichiararle il proprio affetto, si confessa invece con l'ipocondriaco Nicolas (Jean-Pierre Bacri), un vecchio amico di Odile, ritornato da poco in città per cercare un appartamento e anch'egli in crisi coniugale con la moglie Jane (Jane Birkin). Fra menzogne e tradimenti, attacchi di depressione e disperati tentativi di mantenere il controllo della propria vita, tutti i personaggi si ritroveranno insieme nel nuovo appartamento di Odile la sera dell'inaugurazione, come tante meduse in un acquario (come suggerisce la metafora alla quale il regista ricorre con un'ardita sovraimpressione), quando i nodi di tutti i fili narrativi – decisamente intrecciati fra di loro – verranno finalmente al pettine. Sceneggiato dalla coppia Jaoui/Bacri (già attori teatrali e poi autori di quell'altro magnifico film che è "Il gusto degli altri"), diretto con gran piglio dall'allora settantacinquenne Resnais e recitato da un gruppo di bravissimi intepreti (molti dei quali sono presenze ricorrenti nel cinema del regista francese), questo bel film corale si caratterizza per l'originale trovata di lasciar talvolta esprimere i personaggi attraverso frasi ed estratti da celebri canzoni francesi. Non siamo però di fronte a un musical, o almeno non a uno di tipo tradizionale, perché gli attori non cantano con la propria voce ma sono "doppiati" da quella dei cantanti originali: e così può capitare che un uomo intoni un brano con una voce femminile (e viceversa) o che qua e là si odano i fruscii e le imperfezioni di una registrazione d'epoca. In un omaggio a un secolo di musica francofona che ricorda in parte quello che farà François Ozon nel suo "Otto donne e un mistero", si passa da canzoni impegnate a brani più leggeri. Fra i tanti brani e i tanti interpreti che si possono ascoltare – da Josephine Baker ("J'ai deux amours") a Charles Aznavour, da Edith Piaf ad Arletty, da Jacques Dutronc ("J'aime les filles") a Maurice Chevalier, da France Gall ("Résiste!") a Sylvie Vartan, passando per la stessa Jane Birkin ("Quoi"), Serge Gainsbourg ("Je suis venu te dire que je m'en vais"), Eddy Mitchell, Johnny Hallyday e tanti altri – c'è anche "Parole, parole" di Mina (da cui il titolo italiano del film), nella versione in francese di Dalida e Alain Delon ma con il ritornello in italiano. In un contesto melodrammatico ma comunque realista, con un approfondito studio psicologico dei vari character, fanno capolino alcuni impagabili momenti surreali (il flashback iniziale con i nazisti che ricevono l'ordine di distruggere Parigi, o l'incubo di Camille in cui si ritrova proprio sulle rive del lago medievale su cui sta scrivendo la tesi).

18 giugno 2009

Gli amori folli (Alain Resnais, 2009)

Gli amori folli (Les herbes folles)
di Alain Resnais – Francia 2009
con André Dussollier, Sabine Azéma
**

Visto al cinema Colosseo, in originale con sottotitoli (rassegna di Cannes).

Mi ha un po' deluso questo nuovo film dell'ottantaseienne Resnais: gradevole ma davvero esile, e con un finale che lascia parecchio a desiderare. La storia è quella di Georges, un uomo che in passato ha avuto qualche problema di natura psicologica e/o giudiziaria (la cui esatta natura è lasciata nel dubbio, ma tutto lascia intendere che sia stato un maniaco sessuale) e che trova in un parcheggio il portafoglio di una donna sconosciuta, Marguerite, alla quale era stata appena rubata la borsa. Pur non conoscendola, ne rimane incuriosito e attratto (anche perché scopre che ha un brevetto di pilota d'aereo, e lui è appassionato proprio di aviazione). E così, anche dopo che il portafoglio è tornato nelle mani della donna, cerca continuamente di contattarla attraverso lettere e appostamenti che prefigurano un vero e proprio "stalking". Alla fine l'incontro avverrà: con quali conseguenze? I temi sono gli stessi degli ultimi lungometraggi di Resnais (le regole del caso, le interazioni fra sconosciuti, la nascita di strane storie d'amore), così come la leggerezza e l'intelligenza dei dialoghi, ma in qualche modo il film non mi ha conquistato come invece avevano fatto "Parole, parole, parole" e "Cuori". Forse mi aspettavo qualcosa di più, e mi è quasi sembrato senza né capo né coda. Nel cast, oltre ai soliti habituè di Resnais (Azéma e Dussollier), anche Mathieu Amalric (il poliziotto), Anne Consigny (la moglie di Georges) ed Emmanuelle Devos (la collega dentista di Marguerite).

14 marzo 2008

Muriel, il tempo di un ritorno (A. Resnais, 1963)

Muriel, il tempo di un ritorno (Muriel, ou Le temps d'un retour)
di Alain Resnais – Francia 1963
con Delphine Seyrig, Jean-Pierre Kérien
**

Visto in DVD.

Di solito Resnais mi piace, ma questo film mi ha un po' deluso e anche annoiato. Certo, per quegli anni si trattava di un cinema "di rottura" (Resnais, più che della nouvelle vague, faceva parte del gruppo parallelo della rive gauche insieme ad Agnés Varda, Chris Marker, Alain Robbe-Grillet, ecc., leggermente più anziani e "letterari" di Godard e compagni ma animati dallo stesso spirito iconoclasta verso il cinema dei padri) ma oggi è molto meno interessante. La cosa che risalta di più è il montaggio, frammentato ed estraniante, a volte rapidissimo e a volte che lascia in sospeso situazioni e dialoghi, particolarmente indicato a raccontare la routine quotidiana, al limite dell'insignificante, di personaggi incerti e che vivono di ricordi, i cui comportamenti "presentano degli spazi vuoti, delle assenze, delle lacune". Hélène (la Seyrig), antiquaria e giocatrice d'azzardo, che ha richiamato a Boulogne-sur-Mer la sua anziana fiamma Alphonse, nella vana speranza di riallacciare le fila di una relazione che non era mai cominciata; il suo scostante figliastro Bernard, da poco tornato dalla guerra in Algeria profondamente cambiato e incapace di condurre una vita normale perché ossessionato dal ricordo di Muriel, una ragazza che ha torturato laggiù insieme ai suoi commilitoni, e dal desiderio di documentare la realtà sfuggente con la sua cinepresa; l'ambiguo Alphonse, che fugge da un passato che è intenzionato a nascondere in ogni modo attraverso la menzogna; Françoise, aspirante attrice e donna irrealizzata: la costante mancanza di interazione fra di loro e con la realtà, dovuta ai rimpianti o alla vergogna per il passato e alla paura del futuro, rende il film freddo e poco coinvolgente. Le scene in cui Bernard descrive la tortura, sulle immagini di filmini amatoriali girati con i commilitoni in Algeria, sono le più celebri, e presentano un curioso parallelo con un film recente, "Nella valle di Elah" di Paul Haggis. C'è un piccolo ruolo per Jean Dasté, il protagonista de "L'Atalante", nei panni del contadino con la capra.

15 settembre 2006

Cuori (Alain Resnais, 2006)

Cuori (Coeurs)
di Alain Resnais – Francia 2006
con Sabine Azéma, André Dussolier
**1/2

Visto al cinema Anteo, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Venezia)

È il film che ha vinto il premio per la migliore regia a Venezia 2006, un giusto riconoscimento per un autore delicato, sensibile e sempre sulla breccia come Resnais. Anche qui, come in "Parole, parole, parole...", si tratta di una vicenda corale, con sei personaggi le cui storie si intrecciano più e più volte, anche se sulla scena ne compaiono quasi sempre solo due alla volta: una coppia di conviventi in crisi, un imbarazzato agente immobiliare con una figlia in cerca d'affetto, un barista comprensivo, una lavoratrice devota dal misterioso e scandaloso passato. A fungere da trait d'union, alcuni luoghi e oggetti che ricompaiono più volte: un'agenzia immobiliare, il bar di un albergo, un paio di appartamenti, alcune videocassette galeotte... I "cuori" del titolo sono cuori in inverno, come puntualmente sottolinea l'intensa nevicata che separa le scene come un sipario teatrale. La neve cade fuori ma anche all'interno delle stanze, ricoprendo volti e mani, e addirittura il film termina su uno schermo televisivo che non mostra altro che un "effetto neve". Ottimi gli attori, in particolare la sempre strepitosa Azéma e il simpatico Dussolier (ma ci sono anche Laura Morante, Pierre Arditi, Isabelle Carré e Lambert Wilson).