31 ottobre 2018

Lo straniero (Luchino Visconti, 1967)

Lo straniero
di Luchino Visconti – Italia 1967
con Marcello Mastroianni, Anna Karina
***1/2

Visto in divx.

Nell'Algeria coloniale francese, il modesto impiegato Arturo Meursault (Mastroianni) uccide "per caso" un giovane arabo. Si consegna alla polizia e sarà condotto in tribunale. Qui il dibattimento diventa un processo alla sua vita, in particolare alla sua presunta insensibilità in occasione della recente morte della madre in un ospizio fuori città. È un processo di stampo etico e moralista, dove l'indifferenza di Meursault e il suo scarso attaccamento alla madre vengono visti come disinteresse per la patria, i valori religiosi e gli ideali dell'intera società. Dal romanzo esistenzialista di Albert Camus (sceneggiato dal regista con Suso Cecchi D'Amico), uno dei film esteticamente più sobri e minimalisti di Visconti. La prima metà è dedicata alla confessione di Meursault, e ne fornisce il ritratto di un uomo mite, senza volontà o ambizioni e apparentemente senza sentimenti, ma in realtà semplicemente uno "straniero" che vive in un mondo in cui non sa o non vuole integrarsi, dove nulla lo interessa davvero ("Per me è lo stesso" è il suo mantra, che si parli di amore o di lavoro). Eppure ha una donna (Maria, l'ex collega interpretata da Anna Karina), degli amici (Raimondo, un poco di buono: è lui, avendone picchiato la sorella, che scatena l'ira dell'arabo che poi Arturo uccide), delle relazioni (il vicino di casa con il cane, il datore di lavoro). Agli occhi altrui appare però vuoto, anestetizzato, difficile da comprendere. E naturalmente non crede in Dio, per la disperazione del procuratore che lo accusa (Georges Wilson) e lo sconcerto del prete che lo visita in galera (Bruno Cremer). Tanto basta per ritrarlo come un "mostro" abietto agli occhi della società (e della giuria) e per condannarlo alla pena capitale (la sua colpa sembra più quella di non aver pianto al funerale della madre che quella di aver ucciso l'arabo). Una condanna che accetterà con la stessa indifferenza e noncuranza, vista l'ineluttabilità della morte. La parte del protagonista sarebbe dovuta andare inizialmente ad Alain Delon, ma Mastroianni è perfetto e misurato, con il suo sguardo vuoto e il suo flusso di pensieri che donano alla pellicola un andamento quasi onirico, come se la vicenda non fosse ambientata nella nostra realtà ma in un territorio di confine fra l'esistenza e la sua negazione. D'altronde Mersault è letteralmente uno straniero, un uomo diviso a metà, fra l'Europa e l'Africa, né francese né algerino, senza una vera patria o vere radici. La regia asciutta di Visconti e la fotografia di Giuseppe Rotunno illustrano l'irrealtà dell'ambiente alla perfezione. Interessante anche la musica spettrale ed evocativa di Piero Piccioni. Bernard Blier è l'avvocato difensore. Da notare come il doppiaggio presenti i nomi italianizzati (Arturo, Raimondo, ecc.), provenienti forse dalla prima traduzione del romanzo.

30 ottobre 2018

La bottega dei suicidi (P. Leconte, 2012)

La bottega dei suicidi (Le magasin des suicides)
di Patrice Leconte – Francia/Can/Bel 2012
animazione tradizionale
**

Visto in TV.

In una città perennemente triste, grigia e piovosa, la famiglia Tuvache gestisce un negozio che prospera fornendo ai numerosi aspiranti suicidi tutto il materiale loro necessario (cappi, veleni, armi di vario genere, ecc.). Ma il figlio più giovane della famiglia, Alan, l'unico di indole allegra e giocosa, complotta per riportare a tutti la gioia di vivere. Da un romanzo di Jean Teulé (adattato dallo stesso Leconte, all'esordio nel cinema di animazione), una black comedy nella vena lugubre di "Nightmare before Christmas" e "La famiglia Addams", e con uno stile che ricorda i lavori di Sylvain Chomet, che ha elevato ad arte la tristezza e l'inquietudine. Gradevole, anche se alla lunga un po' esile e ripetitivo. I nomi dei vari membri della famiglia Tuvache si ispirano a quelli di celebri suicidi: il capofamiglia Mishima (Yukio), la moglie Lucrezia (Borgia), il figlio maggiore Vincent (Van Gogh), la figlia Marilyn (Monroe) e il figlio minore Alan (Turing). Le canzoni sono di Etienne Perruchon (la migliore è la prima, "Contro la crisi e il carovita"). Polemiche in Italia perché in un primo momento (unico caso al mondo) il film era stato vietato ai minori di 18 anni (oltre al tema del suicidio, con abbondanza di morti sullo schermo, c'è anche un'insolita ma innocua scena di nudo).

28 ottobre 2018

Il bidone (Federico Fellini, 1955)

Il bidone
di Federico Fellini – Italia 1955
con Broderick Crawford, Richard Basehart
***

Visto in TV.

L'anziano Augusto (Broderick Crawford) e i più giovani Roberto (Franco Fabrizi) e Carlo (Richard Basehart), detto Picasso, sono tre truffatori romani che organizzano ingegnosi "bidoni" ai danni della povera gente, per lo più contadini ignoranti. Per esempio, si travestono da inviati del Vaticano e fanno credere che un peccatore in punto di morte ha confessato di aver sepolto un tesoro nel loro terreno, che potranno tenersi se pagheranno le messe da far celebrare in memoria del defunto. I tre non sembrano avere particolari problemi di coscienza nel sottrarre i risparmi a quella che in fondo è gente messa peggio di loro: e nonostante i relativi successi, restano delinquenti di mezza tacca, sempre senza un soldo, personaggi "crepuscolari" e consapevoli del proprio fallimento esistenziale. Picasso, aspirante pittore, non potrà più celare la natura del proprio "lavoro" alla moglie Iris (Giulietta Masina), quando questa inizierà ad avere dei sospetti, e deciderà di cambiare vita. Roberto, il più viveur e scapestrato dei tre, dopo essersi bruciato ogni legame preferirà trasferirsi a Milano. Soltanto Augusto, in piena crisi di mezza età, invecchiato e disilluso per non aver combinato nulla nella vita, continuerà a riciclare gli stessi trucchi insieme a nuovi complici: ma quando cercherà di ingannare anche i suoi soci, allo scopo di intascare il denaro necessario a pagare gli studi della figlia Patrizia (che aveva abbandonato insieme a sua madre: "In questo lavoro non si può avere una famiglia", aveva detto a Picasso), sarà da questi malmenato e abbandonato a morire nella campagna. Scritto insieme ai soliti collaboratori di allora, Ennio Flaiano e Tullio Pinelli, "Il bidone" è uno dei film meno noti e più puramente drammatici di Fellini, nonché uno dei più realistici e meno surreali/onirici, anche se la natura ingenua e "fumettosa" delle truffe messe in scena dai protagonisti è quasi da commedia alla Totò. Ma se molto spazio è riservato a questi imbrogli, altrettanto è dedicato a scavare nei dubbi, nell'umiliazione e nella malinconia dei personaggi, con quello di Augusto che svetta su tutti come l'autentico protagonista della pellicola (a lui, non a caso, è riservato l'intero e tragico finale). L'interprete, Broderick Crawford, aveva vinto l'Oscar qualche anno prima grazie alla sua interpretazione del politico ruspante Willie Stark in "Tutti gli uomini del re": qui è doppiato da Arnoldo Foà (che già aveva prestato la voce ad Anthony Quinn nel precedente "La strada"). Inizialmente Fellini e i produttori avevano pensato nientemeno che ad Humphrey Bogart per la parte di Augusto, ma l'attore era già troppo malato per venire a recitare in Italia. La Masina e Basehart (doppiato da Enrico Maria Salerno) tornano a lavorare insieme dopo "La strada", anche se per molti versi il film ricorda più "I vitelloni", con il suo ritratto di personaggi falliti. La sequenza della festa di capodanno a casa di Rinaldo (Alberto De Amicis), il collega di Augusto che – a differenza sua – ha fatto i soldi e li ha messi da parte, piena di volgarità e di ricchezza ostentata, pare invece anticipare "La dolce vita". La musica di Nino Rota è vivace e a ritmo di swing.

27 ottobre 2018

La tenda rossa (Mikhail Kalatozov, 1969)

La tenda rossa (Krasnaya palatka)
di Mikhail Kalatozov – URSS/Italia 1969
con Peter Finch, Sean Connery
*1/2

Visto in TV.

Quarant'anni dopo aver guidato (nel 1928) un'infausta spedizione in dirigibile al Polo Nord, sulle orme di Amundsen (che aveva sorvolato l'Artico, senza però atterrare), il generale dell'aviazione italiana Umberto Nobile (Peter Finch) convive con i propri fantasmi, ovvero gli spiriti degli uomini morti durante la spedizione, che gli compaiono letteralmente davanti agli occhi per accusarlo delle sue colpe, imbastendo a casa sua un vero e proprio processo. Riviviamo così tutti gli eventi di quella tragica avventura, quando Nobile e altri membri dell'equipaggio, precipitati sui ghiacci, furono costretti a resistere al gelo per mesi, al riparo di una tenda dipinta di rosso, in attesa di soccorsi che non giungevano mai (l'esercito italiano ignorava la posizione dei superstiti, mentre una nave rompighiaccio russa non riusciva a farsi strada). Kolossal epico e survival, co-produzione fra l'Unione Sovietica e l'Italia (era la prima volta che l'URSS realizzava un film insieme a un paese occidentale!), la pellicola colora di toni romantici e drammatici la vera storia del dirigibile Italia, ispirandosi alle memorie dello stesso Nobile, eroe tragico scosso dai sensi di colpa, una sorta di Lord Jim (anche lui fu accusato di essersi salvato mentre i suoi uomini morivano). Nonostante gli sforzi della megaproduzione e l'attenzione ai dettagli storici, il film risulta però alquanto pesante, nonché carente nella caratterizzazione dei personaggi (belle, invece, le scene sui ghiacci che mostrano la lotta fra l'uomo e la natura). Musiche di Ennio Morricone. Fu l'ultimo film del regista di "Quando volano le cicogne". Claudia Cardinale è Valeria, l'infermiera innamorata di uno dei membri dell'equipaggio, che chiede l'aiuto di Roald Amundsen (Sean Connery): il suo ruolo fu ampliato su richiesta del produttore Franco Cristaldi, che all'epoca era suo compagno. Massimo Girotti è l'indeciso capitano Romagna. Mario Adorf è Biagi, il radiofonista che canta la canzone delle osterie romane. Nel cast anche Hardy Krüger (l'aviatore Einar Lundborg), Eduard Martsevich (il meteorologo Finn Malmgren) e un giovane Nikita Michalkov (il pilota russo Chuknovsky).

25 ottobre 2018

L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat (L. Lumière, 1896)

L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat
(L'arrivée d'un train en gare de La Ciotat)
di Louis Lumière – Francia 1896
****

Visto su YouTube.

Forse il film più famoso dei fratelli Lumière, quello attorno al quale è nata la diceria che gli spettatori, nel vedere il treno avvicinarsi dal fondo dello schermo e diventare sempre più grande, fuggissero terrorizzati dalla sala di proiezione per il timore di esserne travolti. Probabilmente si tratta di una leggenda urbana (anche se bisogna dire che nel 1935 lo stesso Lumiére ne realizzò una versione stereoscopica – vale a dire in 3D – da mostrare all'Accademia delle Scienze francese: e fu forse quella a scatenare qualche timore!). Inoltre, contrariamente a quanto si crede di solito, la pellicola non faceva parte del gruppo di dieci film presentati a Parigi il 28 dicembre 1895, "data di nascita" del cinema. Venne invece mostrato in pubblico circa un mese più tardi, il 25 gennaio 1896. A La Ciotat, cittadina costiera nel sud della Francia, i fratelli Lumière avevano una residenza estiva (qui girarono altri tre dei loro primi film: "La partita a carte", "L'innaffiatore innaffiato" e "La colazione del bimbo"). Come rivela il titolo spoileratore, il cortometraggio mostra il convoglio, trainato dalla locomotiva a vapore, avvicinarsi man mano alla stazione, procedendo dal fondo dello schermo verso lo spettatore e da destra verso sinistra (la prospettiva mostra i binari in diagonale). Sulla banchina, sulla destra, ci sono un capostazione e alcuni passeggeri in attesa di salire a bordo, fra cui una signora con il figlioletto. Proprio l'angolo di ripresa e la prospettiva "forzata" (insieme alla profondità di campo) costituiscono gli aspetti tecnici più interessanti del film, quelli che maggiormente lo hanno impresso nell'immaginario collettivo: siamo ben lontani dalle pantomime o dalle riprese da palcoscenico teatrale che caratterizzavano i precedenti tentativi di Edison e compagni. Come tutte le prime pellicole girate con il cinématographe, anche questa dura circa 50 secondi, non presenta stacchi di montaggio e può essere considerata un documentario (benché sia evidente come i Lumière curassero a fondo aspetti quali la collocazione della macchina da presa, la disposizione delle comparse e i tempi. Inoltre, anche se la camera è fissa, il movimento del treno fa sì che si passi da un'inquadratura in campo lungo a una in campo medio e infine a un primo piano).

24 ottobre 2018

L'innaffiatore innaffiato (Louis Lumière, 1895)

L'innaffiatore innaffiato (L'arroseur arrosè)
di Louis Lumière – Francia 1895
con François Clerc, Benoît Duval
***

Visto su YouTube.

Uno dei dieci film della prima proiezione pubblica dei fratelli Lumière al Grand Café sul Boulevard des Capucines a Parigi il 28 dicembre 1895 (la data che segna convenzionalmente la nascita del cinema), è anche uno dei loro lavori più celebri e popolari, sicuramente il più noto insieme a "L'uscita dalle fabbriche Lumière" (il primo in assoluto) e "L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat". Si tratta anche dell'unico, fra i dieci film della prima serata, a non essere un documentario (o comunque a limitarsi a riprendere un evento) ma un esempio di cinema narrativo, che intende raccontare una storia "costruita" e messa in scena da attori (di cui conosciamo anche i nomi). E si tratta nientemeno che di una commedia, di spirito slapstick e anarchico. La gag è nota: un ragazzo (Benoît Duval, che era un apprendista carpentiere nella fabbrica dei Lumière) si diverte a fare uno scherzo a un giardiniere (François Clerc, che era realmente il giardiniere di Louis Lumière), calpestando con un piede la sua canna e bloccando l'afflusso dell'acqua. L'uomo prova a guardare nella canna per capire come mai l'acqua non passi più, e allora il monello solleva il piede, inzuppando così il giardiniere. Il ragazzo scappa, ma viene rincorso e acciuffato, per essere poi sculacciato (in una variante successiva – come per tutti i primi film dei fratelli Lumière, ne esistono diverse versioni, girate in momenti diversi – il ragazzo viene invece preso a calci nel sedere e poi innaffiato a sua volta). Da notare il consapevole utilizzo dello spazio filmico: il monello tenta infatti di fuggire al di fuori dell'inquadratura (mentre la macchina da presa resta immobile), ma viene afferrato e riportato davanti agli spettatori per essere punito. Il film fu girato a Lione e, come detto, ne esistono più versioni realizzate in momenti differenti. Il titolo originale era "Le jardinier" o "Le jardinier et le petit espiègle", ma è poi passato nella cultura popolare come "L'arroseur arrosè", ed è stato oggetto di numerose imitazioni, copie ed omaggi (anche in epoche più recenti, per esempio da François Truffaut nel cortometraggio "L'età difficile"). La pellicola può vantare un altro curioso primato: è il primo film nella storia del cinema ad avere avuto una locandina a esso dedicata. Il poster che pubblicizzava la prima proiezione dei Lumière, disegnato da Marcellin Auzolle, mostrava infatti alcuni spettatori che ridono di fronte a una scena di questo film proiettata sullo schermo. In precedenza i poster che promuovevano le proiezioni di Edison e di altri, dal 1890 in poi, non facevano riferimenti ai singoli film ma solo alle meraviglie tecnologiche degli apparecchi.

23 ottobre 2018

L'uscita dalle fabbriche Lumière (L. Lumière, 1895)

L'uscita dalle fabbriche Lumière
(La sortie de l'usine Lumière à Lyon)
di Louis Lumière – Francia 1895
****

Visto su YouTube (tre versioni).

La data "ufficiale" della nascita del cinema è fissata per convenzione al 28 dicembre 1895, ovvero il giorno della prima proiezione pubblica (e a pagamento), nel Salon indien du Grand Café sul Boulevard des Capucines a Parigi, di dieci cortometraggi girati dai fratelli Louis e Auguste Lumière (anche se il "regista" è da considerarsi solo il primo) con la macchina da presa di loro invenzione, il cinématographe, brevettato il 13 febbraio 1895 e in grado non solo di impressionare ma anche di proiettare le pellicole. In realtà, i Lumière – il cui cognome significa "Luce": nomen omen! – non sono stati i primi cineasti della storia: da Louis Le Prince (1888) a William Friese-Greene (1889), passando per pionieri come Wordsworth Donisthorpe, Etienne-Jules Marey e Georges Demenÿ fino a W. K. L. Dickson, William Heise e gli altri impiegati di Thomas Edison (dal 1890), già numerosi erano stati coloro che avevano dimostrato di essere in grado di registrare e poi riprodurre filmati con immagini in movimento. Gli stessi Louis e Auguste avevano a loro volta iniziato a compiere esperimenti in questo campo già tre anni prima, nel 1892, quando il padre Antoine era andato in pensione affidando ai figli l'industria fotografica di famiglia. A quell'anno risalirebbe uno dei loro primi film sperimentali, purtroppo andato perduto, "Le prince de Galles" con protagonista il futuro re Edoardo VII, figlio della regina Vittoria (da non confondere con il film dallo stesso nome girato dieci anni dopo, il 9 agosto 1902, che mostra il passaggio della carrozza reale in occasione dell'incoronazione dello stesso Edoardo). Ma fu la straordinaria innovazione tecnologica del cinématographe, superiore a tutti gli apparecchi precedenti per qualità dell'immagine, praticità, leggerezza e durata della pellicola (ben 52 secondi), a consentire loro di surclassare il kinetoscopio di Thomas Edison (che permetteva la visione dei film soltanto a uno spettatore per volta, guardando attraverso un foro e girando una manovella) o il contemporaneo bioscopio dei fratelli tedeschi Skladanowsky (ispirato alla lanterna magica). È dunque giusto attribuirgli il merito della nascita del "cinema" come lo intendiamo oggi, ovvero come luogo e rito di visione collettiva.

I dieci film proiettati agli spettatori in quel fatidico giorno erano i seguenti:
- L'uscita dalle fabbriche Lumière
- Il volteggio
- La pesca dei pesci rossi
- L'arrivo dei fotografi al congresso di Lione
- I maniscalchi
- L'innaffiatore innaffiato
- La colazione del bimbo
- Il salto alla coperta
- La Place des Cordeliers a Lione
- Il mare (Bagno in mare)

"L'uscita dalle fabbriche Lumière", il primo in assoluto a essere mostrato al pubblico, era stato girato il 19 marzo dello stesso anno e mostra le porte di un capannone delle fabbriche di materiale fotografico dei Lumière a Montplaisir (alla periferia di Lione), mentre ne fuoriescono gli operai (in maggioranza donne) al termine del loro turno di lavoro. Oltre alle persone a piedi, c'è qualcuno che esce in bici. Inoltre passa anche un cane e, nel finale, una carrozza trainata da cavalli, probabilmente con a bordo i padroni, prima che un custode chiuda le porte. La prima cosa da notare è che, pur trattandosi formalmente di un documentario (che mostra un evento reale), c'è comunque un notevole lavoro di messa in scena e anche di direzione degli attori. Le persone sono state istruite a non guardare in macchina e a non camminare direttamente in direzione della camera. Inoltre, il semplice fatto che esistano diverse versioni del film (almeno tre, girate in diversi periodi dell'anno come testimoniano gli abiti primaverili o invernali), rivela che i cineasti e gli "attori" seguivano uno script. Infine, la posizione delle ombre suggerisce che le riprese si siano svolte verso mezzogiorno (probabilmente per avere più luce) o nella tarda mattinata, e dunque non certo alla fine della giornata di lavoro. Anche per questi motivi, c'è chi sospetta che l'abbigliamento degli operai non fosse quello indossato da loro abitualmente, ma scelto per l'occasione (si notano gonne ampie e grossi cappelli piumati). Il film (o almeno la sua prima versione) dura 46 secondi e venne girato, come tutte le pellicole dei Lumière, in quello che diventerà per lungo tempo lo standard dell'industria del cinema, ovvero con una pellicola da 35mm, un aspect ratio di 1,33:1 e una velocità di 16 fotogrammi al secondo. Da notare anche l'eccellente qualità cinematografica e la profondità di campo, superiore di molto ai lavori dei pionieri del cinema che avevano preceduto i due fratelli (segnatamente Edison, i cui film dovevano essere girati all'interno di studi di posa e non in esterni). Oggi il capannone da cui uscivano gli operai esiste ancora (anche se il resto dell'edificio è stato demolito) e ospita l'Istituto Lumière.

22 ottobre 2018

Das boxende Känguruh (Max Skladanowsky, 1895)

Das boxende Känguruh
aka Mr Delaware and the Boxing Kangaroo
di Max Skladanowsky – Germania 1895

Visto su YouTube.

Il 1° novembre 1895, quasi due mesi prima della proiezione pubblica dei fratelli Lumière a Parigi, un'altra coppia di fratelli, i tedeschi Max ed Emil Skladanowsky, avevano organizzato in un teatro di Berlino una proiezione (a pagamento) di pellicole realizzate da loro stessi. La tecnologia del loro bioscopio (ispirata a quella della lanterna magica) si rivelò però nettamente inferiore rispetto al cinématographe dei rivali francesi: l'apparecchio era ingombrante e poco pratico (anche perché utilizzava pellicole da 54 mm, ben più grandi di quelle da 35 mm dei Lumière), e la durata dei film era assai ridotta (5-6 secondi, che si ripetevano in continuazione). Per questi motivi, non appena l'invenzione dei Lumière apparve sul mercato, fu subito chiaro che quella degli Skladanowsky era destinata al fallimento. Ciò nonostante, i due fratelli tedeschi meritano di certo una menzione e un posto d'onore fra i pionieri del cinema (nel 1995 Wim Wenders dedicherà loro una pellicola a metà strada fra la fiction e il documentario). Fra i film che più fecero scalpore in occasione della prima proiezione, sono da ricordare "Bauerntanz zweier Kinder" (alias "Italienischer Bauerntanz"), che mostra due bambini che danzano; "Serpentinen Tanz", ispirata alla danza serpentina di Annabelle Whitford (filmata da Dickson per Edison nel 1894); "Akrobatisches Potpourri" (che mostra le acrobazie di una famiglia di ginnasti); e soprattutto "Das boxende Känguruh", nel quale un pugile si batte contro un canguro, entrambi con i guantoni (il film ispirerà un remake per kinetoscopio nel 1896 da parte di Birt Acres).

The execution of Mary Stuart (Alfred Clark, 1895)

The execution of Mary Stuart
aka The execution of Mary, Queen of Scots
di Alfred Clark – USA 1895
con Mrs. Robert L. Thomas

Visto su YouTube.

Il film mostra Maria Stuarda, regina di Scozia, condotta dalle guardie inglesi davanti al ceppo del boia, dove si inginocchia. Il boia solleva la sua ascia, taglia di netto la testa della donna e poi la solleva, mostrandola a tutti. Diretto da Alfred Clark (da poco entrato negli studi Black Maria) per Thomas Edison, con William Heise come cameraman, questo breve cortometraggio (circa 18 secondi) è degno di nota per svariati motivi: non solo si tratta di uno dei primi film Edison di ambientazione "storica", e dunque con attori professionisti che recitano nelle parti di personaggi realmente vissuti (in precedenza, la maggior parte della produzione per il kinetoscopio consisteva in gag, scene di pugilato o numeri da vaudeville), ma soprattutto può vantare il primato di contenere il primo "effetto speciale" della storia del cinema, e forse anche del primo esempio di "montaggio invisibile" (per la precisione, si tratta di una tecnica di stop action). L'attrice che interpreta Maria Stuarda, infatti, viene sostituita da un manichino un attimo prima che la scure del boia cada sul ceppo, staccandole la testa. L'effetto – a fini narrativi, dunque, e non puramente artistici – è senza dubbio realistico: solo l'occhio attento e allenato di uno spettatore moderno si rende conto della sostituzione. La leggenda vuole che all'epoca diversi membri del pubblico si convinsero che l'attrice fosse stata uccisa sul serio! L'anno successivo Clark abbandonò il cinema per dedicarsi alla sua vera passione: la registrazione del suono e lo sviluppo del grammofono.

Incident at Clovelly Cottage (Birt Acres, 1895)

Incident at Clovelly Cottage
The Arrest of a Pickpocket
The Derby
The Oxford and Cambridge University Boat Race
di Birt Acres [e Robert W. Paul] – GB 1895

Quando nel 1894 il kinetoscopio di Edison venne presentato a Londra, alcuni acquirenti chiesero a Robert William Paul, un fabbricante di materiale fotografico, di costruirne delle copie. Paul inizialmente rifiutò, per poi cambiare idea dopo aver scoperto che Edison aveva brevettato la sua invenzione soltanto negli Stati Uniti. Ne acquistò un esemplare a sua volta, lo smontò e ne studiò il funzionamento, per poi costruirne una versione "britannica" che vendette in numerose copie (una delle quali a Georges Méliès), agevolando così la diffusione del cinema in Europa. Poiché però c'era carenza di film da proiettare (il funzionamento della macchina da presa di Edison, a differenza del kinetoscopio che serviva solo a "proiettare" le pellicole, era un segreto ben custodito), Paul strinse un sodalizio con Birt Acres, a sua volta inventore ed esperto di fotografia (che aveva inventato un dispositivo per il movimento della pellicola durante il processo di sviluppo), per mettere a punto un apparecchio per riprendere le immagini in movimento. La camera di Paul e Acres, completata nel marzo del 1895, è stata la prima macchina da presa inventata in Gran Bretagna: utilizzava pellicole da 35mm e impressionava 40 fotogrammi al secondo (come l'apparecchio di Edison). Dopo un primo film di prova girato nel febbraio del 1895 ("Cricketer Jumping Over Garden Gate"), mai distribuito commercialmente, a marzo fu la volta di "Incident at Clovelly Cottage", considerato oggi "il primo film britannico", di cui però sopravvivono solo alcuni fotogrammi che mostrano la moglie e il figlio neonato dello stesso Acres e un uomo che probabilmente era il suo assistente Henry Short. La pellicola fu girata davanti alla casa di Acres nel sobborgo londinese di Barnet. Dopo aver realizzato insieme diversi altri film ("Oxford and Cambridge Boat Race", "Rough Sea at Dover", "The Arrest of a Pickpocket", "The Carpenter's Shop", "Boxing Kangaroo", e una ripresa del Derby del 1895), le strade di Paul e di Acres si divisero e nel 1896 i due uomini presentarono al mercato ciascuno un proiettore diverso. Naturalmente l'invenzione dei fratelli Lumière finì poi per surclassare entrambi, ma i due continuarono a ideare innovazioni tecniche per diversi anni.

21 ottobre 2018

Dickson experimental sound film (W. K. L. Dickson, 1894)

Dickson Experimental Sound Film
di William K. L. Dickson – USA 1894
con William K. L. Dickson

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Alla fine del 1894 (o forse all'inizio del 1895), Dickson cominciò a sperimentare anche col sonoro, girando negli studi del Black Maria quello che oggi è considerato il primo film con una colonna sonora sincronizzata. La breve pellicola (circa 17 secondi) mostra due uomini che ballano mentre un terzo (lo stesso Dickson) suona con il violino un brano dall'opera "Les cloches de Corneville" del compositore francese Jean Robert Planquette. Dickson suona davanti a un grande imbuto che serve a catturare il suono e a registrarlo su un cilindro, allo scopo di riprodurlo poi in contemporanea con la "proiezione" del film. Oltre a essere il primo tentativo di registrare contemporaneamente immagini e suono (Dickson pensava di costruire un nuovo dispositivo apposito per riprodurre entrambi, il kinetofono, visto che il kinetoscopio non prevedeva emissioni audio: ma l'invenzione non fu mai completata, forse perché i problemi di sincronizzazione si rivelarono insormontabili), il cortometraggio è comunque interessante per diversi altri aspetti, a partire dal fatto che a ballare siano due uomini (e non un uomo e una donna), probabilmente il frutto di una trovata estemporanea. Per molti anni si ritenne che il cilindro con la colonna sonora fosse andato perduto, finché non venne ritrovato nel 1998, riparato, ri-registrato e finalmente sincronizzato con il video.

Annabelle dance (W. K. Dickson, W. Heise, 1894)

Annabelle Butterfly Dance,
Annabelle Sun Dance, Annabelle Serpentine Dance
di William K. L. Dickson, William Heise – USA 1894
con Annabelle Moore Whitford

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Tra i film più popolari per il kinetoscopio realizzati nei laboratori Edison ci sono quelli che vedono come protagonista Annabelle Moore Whitford, detta "Peerless Annabelle", una danzatrice di varietà che viene ripresa mentre si esibisce in diversi tipi di balli (Butterfly Dance, Sun Dance, Serpentine Dance). I movimenti enfatici delle braccia e delle gambe donano alle pellicole una certa carica erotica che la rese estremamente popolare, trasformandola, se vogliamo, nella prima diva cinematografica. Ma non è tutto: questi film (realizzati in diverse versioni e in più riprese, dal 1894 al 1896: Annabelle veniva richiamata da Dickson e Heise negli studi di posa ogni volta che le copie rimaste si erano troppo rovinate ed era necessario girarne di nuove) possono vantare anche il primato di essere le prime pellicole a colori della storia del cinema: diverse copie furono infatti dipinte a mano fotogramma per fotogramma prima di essere distribuite. Il film fu così fortunato da ispirare pellicole simili, come quelle dirette da Max Skladanowsky ("Serpentinen Tanz", 1895) e prodotte dai fratelli Lumière ("Danse serpentine", girata probabilmente a Roma nel 1897).

Fred Ott's sneeze (W. K. L. Dickson, 1894)

Fred Ott's Sneeze
aka Edison Kinetoscopic Record of a Sneeze
di William K. L. Dickson – USA 1894
con Fred Ott

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Nel 1894, mentre nascono i primi locali appositamente dedicati ai kinetoscopi (Edison aveva deciso di non vendere gli apparecchi, preferendo noleggiarli e controllare così il mercato), la produzione di pellicole a loro destinate si intensifica. Negli studi Black Maria vengono prodotti svariati film, della durata media di quaranta secondi, ovvero la quantità massima di pellicola che il kinetoscopio poteva contenere. Arrivano anche i primi film "a colori" (quelli con la danzatrice Annabelle, dipinti a mano), mentre Dickson comincia a sperimentare col sonoro. Fra le pellicole da ricordare, però, ce n'è una che inizialmente non era destinata al pubblico: fu prodotta infatti soltanto a scopi promozionali, con l'intenzione di pubblicarla – sotto forma di singoli fotogrammi – come immagini di accompagnamento a un articolo sul settimanale "Harper's Weekly". Il film, che dura solo cinque secondi, mostra il baffuto Fred Ott, uno degli assistenti di laboratorio di Edison, mentre inala del tabacco in polvere e poi starnutisce. Ott era noto fra i suo colleghi, tra le altre cose, proprio per il suo starnuto piuttosto comico: il tecnico compare anche in un altro film del 1894, "Fred Ott holding a bird". Il corto fu girato nei primi giorni di gennaio e, secondo alcune fonti, si tratta del più antico film esistente di cui è stato registrato il copyright (oggi ovviamente scaduto).

20 ottobre 2018

Lo zoo animato (Étienne-Jules Marey, 1893)

Lo zoo animato
Rabbits
Chat en chute libre
di Étienne-Jules Marey – Francia 1893

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Di Marey, del suo assistente Demenÿ e del suo "fucile fotografico" (in grado di impressionare dodici fotogrammi al secondo) ho già parlato qui. A partire dal 1893, con il filmato di un coniglio lasciato cadere da alcuni metri di altezza, lo scienziato iniziò a studiare con la sua invenzione il movimento degli animali. Nei mesi successivi riprese – fra gli altri – cavalli, cani, pecore, asini, uccelli, pesci, rettili, insetti, spaziando dunque dagli elefanti alle creature microscopiche. L'insieme di questi filmati veniva chiamato dallo stesso Marey "Lo zoo animato". Dei suoi lavori, il più iconico è sicuramente diventato quello (girato nel 1894) che mostra la caduta di un gatto che atterra (su un materasso) sulle quattro zampe. Marey lo girò proprio per verificare se l'animale poggiasse a terra tutte le quattro zampe nello stesso momento (lo fa). La maggior parte dei film venivano realizzati presso la Station Physiologique di Parigi, nel Bois du Boulogne, dove Marey e Demenÿ lavoravano.

Blacksmith scene (W. K. L. Dickson, 1893)

Blacksmith scene
di William K. L. Dickson – USA 1893
con Charles Kayser, John Ott

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Un fabbro e due suoi aiutanti, in officina, battono con i loro martelli un pezzo di metallo incandescente sull'incudine, poi fanno una pausa per bersi una birra (si passano una bottiglia tra di loro) e infine ricominciano a lavorare. Si tratta del più antico film sopravvissuto fra quelli girati nel cosiddetto Black Maria, il primo studio cinematografico della storia, uno teatro di posa la cui costruzione era iniziata nel 1892 sui terreni dei laboratori di Edison a West Orange, nel New Jersey, per essere riservato esclusivamente alle riprese cinematografiche. Ma non è l'unica novità per le produzioni di Edison: la pellicola dura una trentina di secondi (niente male, se si pensa che i precedenti lavori di Dickson andavano da 1 a 8 secondi) e anche la qualità dell'immagine mostra un netto miglioramento. Certo, la visione, attraverso il kinetoscopio (di cui Edison ottenne il brevetto il 14 marzo 1893), era ancora riservata a uno spettatore per volta, senza dunque il "brivido" dell'esperienza collettiva: mancano ancora due anni all'invenzione dei fratelli Lumière! Per alcuni critici, la pellicola vanta anche il primato di essere la prima a mostrare degli "attori" impegnati a seguire una "sceneggiatura" (ma questo è discutibile: se vogliamo, anche le persone che giravano in tondo in "Roundhay Garden Scene" di Le Prince stavano seguendo le indicazioni del "regista"). Nel corso dello stesso anno Dickson e compagni realizzarono nel Black Maria svariati altri film, con protagonisti ballerine, acrobati, sportivi e lavoratori impegnati in esibizioni di vario genere, gran parte dei quali sono andati perduti (di "Horse Shoeing" sopravvivono solo tre fotogrammi). Il 9 maggio 1893 al Brooklyn Institute si tenne la prima esibizione pubblica di molte di queste pellicole con il kinetoscopio.

19 ottobre 2018

Pauvre Pierrot (Émile Reynaud, 1892)

Pauvre Pierrot
Autour d'un cabine
di Charles-Émile Reynaud – Francia 1892

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Fra i tanti pionieri del cinema, uno dei più interessanti è stato senza dubbio Émile Reynaud, autore di quelli che possono essere considerati i primi film d'animazione. Già nel 1876 Reynaud aveva inventato il prassinoscopio, evoluzione dello zootropio (dove i disegni presenti all'interno di un cilindro vengono osservati attraverso delle fenditure) che utilizzava una serie di specchi per riflettere le immagini verso l'osservatore. Abbinando al prassinoscopio il metodo di proiezione della lanterna magica, Reynaud mise a punto il suo "teatro ottico": un sistema di nastri mobili faceva scorrere delle lastre di vetro (su cui erano dipinti personaggi e sfondi) davanti alla luce del proiettore, mostrando così allo spettatore quelle che lui battezzò "pantomime luminose", ciascuna delle quali comprendeva da 500 a 700 lastre di vetro dipinte a mano dallo stesso Reynaud, per una durata da 2 a 5 minuti. La prima dimostrazione pubblica avvenne nell'ottobre 1892 presso il museo Grévin a Parigi e riscosse un enorme successo (facile capire il perché: storie lunghe, complesse, a colori). Di fatto si trattò della prima proiezione di immagini in movimento a un pubblico pagante, tre anni prima di quella dei fratelli Lumière. Negli anni successivi, però, la comparsa di sistemi di ripresa e di proiezione più sofisticati fece cadere il teatro ottico nel dimenticatoio e l'ultima proiezione in pubblico al museo Grévin avvenne nel 1900. In seguito Reynaud, in un momento di disperazione, distrusse tutte le sue "pantomime", gettandole nella Senna. Ne sono sopravvissute soltanto due: "Pauvre Pierrot" (1891, che faceva parte della prima proiezione pubblica del 1892) e "Autour d'un cabine" (1893, proiettato dal 1894). Nel primo, Pierrot suona una serenata a Colombina, ma deve vedersela con Arlecchino. Nel secondo, assistiamo a scene di gioco e di vita su una spiaggia. Le altre pantomime andate perdute sono "Un bon bock" (1888, proiettato dal 1892), "Le clown et ses chiens" (1890, proiettato dal 1892) e "Un rêve au coin du feu" (1894). Fra le innovazioni introdotte da Reynaud (e a cui i fratelli Lumière si ispirarono), non va dimenticata l'idea di "perforare" la pellicola in modo da consentire il suo trascinamento attraverso il proiettore.

A hand shake (W. K. L. Dickson, 1892)

A Hand Shake
Fencing
di William K. L. Dickson – USA 1892

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Dei cinque film di prova girati nei laboratori di Edison nel 1892, ne sopravvivono soltanto due, peraltro in pessime condizioni: "A Hand Shake" mostra una stretta di mano fra i cineasti William K. L. Dickson e William Heise (le cui fattezze si riconoscono a malapena); "Fencing" fa invece parte della solita serie di brevi esibizioni di acrobati, sportivi o ballerine, riprese su sfondo nero (gli altri di quest'anno sono "Boxing", "Wrestling" e "Man on parallel bars"), che ricordano i lavori pionieristici di Eadweard Muybridge od Ottomar Anschütz sullo studio del movimento. In ogni caso, è evidente che la strada da compiere prima dello sfruttamento commerciale del kinetoscopio era ancora lunga...

18 ottobre 2018

Je vous aime (Georges Demenÿ, 1891)

Je vous aime
di Georges Demenÿ – Francia 1891
con Georges Demenÿ

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Considerato il primo "primo piano" della storia del cinema (in realtà un piano medio, dalle spalle in su), questo film, che mostra un uomo – lo stesso Demenÿ – che pronuncia la frase "Je vous aime" ("Ti amo"), fa parte di una serie di pellicole commissionate ad Etienne-Jules Marey da Hector Marichelle, direttore dell'Istituto Nazionale Francese per i Sordomuti, che intendeva utilizzarli per insegnare ai suoi studenti a parlare e a leggere le labbra. Marey affidò il progetto a Georges Demenÿ, suo assistente presso la Station Physiologique di Parigi. Marichelle aveva richiesto espressamente che gli attori fossero inquadrati da vicino, in modo che il movimento delle labbra fosse chiaro e visibile Da notare come Demenÿ tenga gli occhi socchiusi, forse disturbato dai riflessi dallo specchio che lo illuminava (la luce era necessaria per far risaltare i lineamenti del volto). Probabilmente il film si rivelò poco utile ai fini educativi, ma colpì molto gli spettatori e rese assai popolare il piano medio fra i primi cineasti (Edison lo utilizzerà nel 1896 nel suo "Il bacio"). Il progetto spinse Demenÿ a interessarsi sempre di più al cinema, portandolo infine alla rottura con Marey. Dopo essere stato infatti il suo braccio destro per quattordici anni, i due si separarono nel 1894 quando Demenÿ decise di dedicarsi agli aspetti commerciali della nuova invenzione (mentre al suo mentore interessavano solo quelli scientifici ed educativi). Negli anni successivi, Demenÿ perfezionò il "cronofotografo" di Marey e inventò un proprio "fonoscopio", che riproduceva in sequenza le immagini impresse su un disco in rotazione. Demenÿ fondò anche una compagnia per commercializzare i suoi "ritratti parlanti", senza troppo successo (la sua idea era quella di fare concorrenza agli album di fotografie!). Ma il suo maggior contribuito tecnico allo sviluppo del cinema fu l'invenzione di un meccanismo per il movimento intermittente della pellicola, che venne poi venduto a Léon Gaumont e incluso nel Vitascope di Edison. Le sue soluzioni tecnologiche rimasero in uso per un paio di decenni.

La vague (Étienne-Jules Marey, 1891)

La vague
di Étienne-Jules Marey – Francia 1891

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Come altri pionieri della fotografia dell'epoca, anche lo scienziato e medico francese Étienne-Jules Marey, direttore della Station Physiologique di Parigi, era interessato allo studio del movimento animale. Nel 1882, insieme al suo assistente Georges Demenÿ (che a sua volta avrà un ruolo importante nella storia del cinema dei primordi), aveva costruito il "fucile fotografico", uno strumento capace di impressionare dodici fotogrammi in un secondo sfruttando un meccanismo del tutto simile a quello di una comune rivoltella (a testimonianza di ciò, in inglese il verbo to shoot ha ancora oggi il duplice significato di "sparare" e di "effettuare una ripresa cinematografica"). Il fucile registrava le immagini su lastre di vetro, anche utilizzando la medesima lastra per più fotogrammi. Fra i suoi studi, il più celebre è forse quello del movimento di un gatto che atterra al suolo sulle zampe. Marey e Demenÿ passarono dalla fotografia al cinema quando, come molti altri, cominciarono a utilizzare pellicole di celluloide, ma soprattutto furono fra i primi a usare un meccanismo di scatto ad intermittenza per impressionare i singoli fotogrammi della pellicola, ispirati probabilmente dalle invenzioni del fotografo tedesco Ottomar Anschütz. Si tratta di un elemento fondamentale per la nascita del cinema come lo conosciamo oggi. I film di Marey erano realizzati ad alta velocità (60 immagini al secondo) e con un'ottima qualità, anche se proiettati in slow motion. Spesso mostravano animali o il corpo umano in movimento. "La vague" ("L'onda"), il più antico rimasto fra quelli da lui realizzati, è invece – come suggerisce il titolo – la ripresa di un'onda che si infrange su uno scoglio (fu girato nella baia di Napoli).

17 ottobre 2018

Dickson greeting (W. K. L. Dickson, 1891)

Dickson Greeting
Newark Athlete
Men Boxing
di William K. L. Dickson – USA 1891

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Da una visita all'esposizione universale di Parigi del 1889, Thomas Edison tornò con alcune idee e concetti nati in Europa che furono assai utili al suo dipendente William K. L. Dickson nell'ulteriore sviluppo del kinetografo: l'abbandono del cilindro in favore di una pellicola flessibile su cui imprimere immagini in sequenza (idea suggeritagli dal fucile cronofotografico di Étienne-Jules Marey); l'utilizzo di una pellicola perforata per un migliore scorrimento sui rulli (come nel "teatro ottico" inventato da Charles-Émile Reynaud nel 1888); e l'inserimento di una fonte di luce intermittente per "congelare" momentaneamente la proiezione di ciascuna immagine, sfruttando così la teoria della persistenza della visione per ottenere una miglior illusione di moto continuo (come faceva il tachiscopio elettrico dell'inventore tedesco Ottomar Anschütz). Già alla fine del 1890 questi elementi furono inglobati da Dickson e collaboratori nel progetto del kinetoscopio: in questa fase fu deciso di utilizzare una pellicola da 35 mm, fissando dunque lo standard tuttora in uso. Al 1891, per la precisione al 20 maggio, risale la prima dimostrazione pubblica dell'apparecchio negli Stati Uniti. Nei laboratori Edison, una delegazione di circa 150 membri della National Federation of Women's Clubs potè assistere – uno alla volta, visto che il kinetoscopio obbligava alla visione singola! – a "Dickson Greeting", un cortometraggio sperimentale di circa tre secondi in cui lo stesso Dickson salutava inchinandosi, sorridendo e togliendosi il cappello. Quello stesso anno, Edison fece la domanda per brevettare il kinetoscopio (che però venne lanciato commercialmente solo nel 1894, quando aprirono le prime sale dedicate esclusivamente alla visione dei filmati). Oltre a "Dickson Greeting", risalgono al 1891 almeno altri sei film prodotti nei laboratori Edison, di cui ne sono sopravvissuti solo due.

"Newark Athlete" mostra un giovane atleta che fa roteare due clave indiane (attrezzi da giocoliere). Filmato in maggio o in giugno nei laboratori Edison di West Orange, nel New Jersey (presso i quali saranno costruiti più tardi i Black Maria Studios, ovvero i primi studi di posa e di produzione cinematografica della storia), si tratta della più antica pellicola fra tutte quelle scelte dall'United States National Film Preservation Board per la conservazione nella Libreria del Congresso degli Stati Uniti.

"Men Boxing" dura circa 5 secondi e mostra due attori (con ogni probabilità, due impiegati della compagnia di Edison) con guantoni da pugilato, mentre fingono di battersi sul ring. Girato anch'esso fra maggio e giugno 1891 nei laboratori di West Orange, il film non fu mai presentato al pubblico ed è da considerarsi un lavoro di prova per sperimentare gli apparecchi e le tecnologie che venivano messe a punto in quegli anni.

16 ottobre 2018

London Trafalgar Square (W. Donisthorpe, 1890)

London Trafalgar Square
di Wordsworth Donisthorpe – GB 1890

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Anarchico, scacchista e inventore, l'inglese Wordsworth Donisthorpe è una figura forse marginale fra i pionieri della cinematografia, ma merita una segnalazione per aver brevettato nel 1885 – dunque prima non solo dei Lumière, ma anche di Le Prince e di Edison – una macchina da presa chiamata kinesigraph, con la quale era in grado di "riprendere una successione di immagini fotografiche a uguali intervalli di tempo, in modo da registrare il movimento". Solo nel 1890, però, riuscì a produrre un film su celluloide vero e proprio, che mostra il traffico di Trafalgar Square a Londra, realizzata insieme al cugino William C. Crofts, a sua volta inventore e pioniere della fotografia. Ne sopravvivono solo 10 fotogrammi, incorniciati da un mascherino circolare, che comunque rappresentano il più antico film ambientato nella capitale inglese sopravvissuto fino ad oggi (visto che i lavori di William Friese-Greene del 1888-1889 sono andati perduti).

Monkeyshines (W. K. L. Dickson, 1890)

Monkeyshines, No. 1
Monkeyshines, No. 2
Monkeyshines, No. 3
di William K. L. Dickson – USA 1890

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Il terzo posto nella storia del cinema, dopo Louis Le Prince e William Friese-Greene, va a William Kennedy Laurie Dickson, un dipendente di Thomas Edison (sì, l'inventore della lampadina e del fonografo!). Quest'ultimo, impressionato dai risultati del fotografo inglese Eadweard Muybridge (che era riuscito a scattare sequenze di foto che, viste di seguito, davano l'illusione del moto), aveva deciso di investire tempo e risorse nella realizzazione di apparecchi in grado di catturare "immagini in movimento", già immaginandone – a differenza degli altri pionieri – un possibile sfruttamento commerciale. Gli esperimenti iniziarono nel 1888 nei laboratori di Edison negli Stati Uniti, ma i veri progressi si ebbero a partire dall'anno dopo, quando George Eastman rese disponibile sul mercato i primi rotoli di pellicole fotografiche basate su celluloide. Dickson, su commissione di Edison, costruì una macchina da ripresa chiamata kinetografo (che inizialmente imprimeva le immagini su un cilindro), e nel novembre 1890 (fonti meno attendibili parlano addirittura del giugno 1889) realizzò insieme al collega William Heise i primi film mai girati negli Stati Uniti: una serie di brevi pellicole sperimentali chiamate "Monkeyshines". Si trattava di film di prova, ancora non destinati al pubblico. In "Monkeyshines No. 1", così come nei suoi due "sequel" girati lo stesso anno (la prima serie della storia!), si può (intra)vedere l'assistente di laboratorio Sacco Albanese (altri parlano di John Ott) mentre si muove e fa ampi gesti con le braccia. Oltre al kinetografo, Dickson mise a punto anche un apparecchio per vedere le immagini riprese, chiamato kinetoscopio, che però consentiva la visione a un solo spettatore per volta. Si trattava infatti di una grande cassa all'interno della quale erano posizionati dei rulli che permettevano il trascinamento della pellicola. Funzionava come un juke-box: inserendo una moneta nell'apposita fessura (già si pensava allo sfruttamento economico!), lo spettatore poteva azionare i rulli con una manovella e vedere così le immagini scorrere attraverso un piccolo foro in cima all'apparecchio. Dickson continuerà a lavorare per Edison fino al 1895, quando lo lascerà per fondare una propria compagnia, la Biograph.

15 ottobre 2018

Hyde Park Corner (William Friese-Greene, 1889)

Brighton Street Scene
Hyde Park Corner
Leisurely Pedestrians, Open Bus etc...
Traffic in King's Road, Chelsea

di William Friese-Greene – GB 1889

Subito dopo Louis Le Prince, e prima di Thomas Edison (o meglio, del suo collaboratore William K. L. Dickson), la piazza d'onore nella storia del cinema spetta a un fotografo e inventore britannico, William Friese-Greene, che sin dal 1886 aveva collaborato con John Rudge, un costruttore di “lanterne magiche” di Bath, per mettere a punto un apparecchio che fondesse i principi della fotografia con quelli delle immagini in movimento: una "cinecamera", appunto. Il primo prototipo era chiamato biophantascope, e proiettava lastre fotografiche di vetro. Il passaggio decisivo fu quello di utilizzare la celluloide, ovvero la carta fotosensibile della Eastman da poco disponibile sul mercato. Fra il 1888 e il 1890 Friese-Greene girò quelli che sarebbero da considerare il secondo gruppo di film mai realizzati (dopo quelli di Le Prince): sequenze riprese per strada e nei parchi, a Brighton e a Londra, dai titoli “Brighton Street Scene” (1888), “Hide Park Corner” (1889), “Leisurely Pedestrians, Open Topped Buses and Hansom Cabs with Trotting Horses” (1889), “Traffic in King's Road, Chelsea” (1890). Peccato che siano andati tutti perduti. Friese-Greene uscì dalla storia del cinema a causa del suo pessimo fiuto per gli affari: non riuscì a sfruttare le sue invenzioni a fini commerciali (una dimostrazione pubblica effettuata nel 1890 si rivelò un fallimento), andò in bancarotta e fu costretto a vendere ad altri i diritti della sua macchina “cronofotografica” (che riprendeva dieci immagini al secondo su una pellicola di celluloide perforata). In seguito, si diede alle sperimentazioni nel campo del colore: suo figlio Claude realizzò alcuni dei primi film a colori (non colorati a mano) all'inizio degli anni venti.

14 ottobre 2018

Roundhay garden scene (Louis Le Prince, 1888)

In occasione del 130° anniversario del primo film mai realizzato (che cade proprio oggi), per qualche settimana riserverò il blog alla pubblicazione di una serie di post dedicati ai primi, misconosciuti, pionieri del cinema. Sono infatti convinto che, per apprezzare pienamente la settima arte, occorra conoscere anche i suoi incerti passi iniziali. Ovviamente, trattandosi di pellicole quasi sperimentali, il consueto sistema di giudizi in stelline non è applicabile.

Per una curiosa coincidenza (accuratamente pianificata!), questo è anche il 3000° film di cui scrivo su questo blog.

Roundhay Garden Scene
Traffic crossing Leeds Bridge
Accordion player
di Louis Le Prince – Francia/GB 1888

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Quando nasce il cinema? La data fissata per convenzione, il 28 dicembre 1895, è in realtà solo quella della prima proiezione pubblica (e a pagamento) con cui i fratelli Lumière presentarono il loro cinématographe. In precedenza, tuttavia, molti altri pionieri avevano effettuato esperimenti con macchine fotografiche a ripresa continua e avevano realizzato rudimentali pellicole che possono dirsi a tutti gli effetti "cinematografiche" (da citare, in particolare, i risultati dell'inglese Eadweard Muybridge, del tedesco Ottomar Anschütz e del francese Étienne-Jules Marey). Ma se proprio vogliamo stabilire uno spartiacque fra la produzione generica di “immagini in movimento” (che si trattasse di disegni, come nei "flip book" o nelle cosiddette “lanterne magiche”, di ombre o anche di fotografie) e la realizzazione di veri e propri “film” (ossia sequenze di fotogrammi impressi “in diretta” e continuamente su una pellicola, catturati attraverso un singolo obiettivo, e non di foto o immagini su carta, prodotte separatamente e riassemblate in un secondo momento), pare proprio che la palma del primo film della storia – o almeno del primo tuttora conservato – debba andare a Louis Aimé Augustin Le Prince (anch'egli francese, come i Lumière) con il suo “Roundhay Garden Scene”, un cortometraggio – chiamiamolo così: si tratta di poche decine di fotogrammi, per una durata di due secondi! – girato in Inghilterra il 14 ottobre 1888.

Il film mostra quattro persone – Adolphe Le Prince, figlio di Louis; Harriet Hartley, un'amica di famiglia; Joseph Whitley e Sarah Whitley, i suoceri di Le Prince – muoversi in cerchio nel giardino di Oakwood Grange, la casa dei Whitley a Roundhay, nei sobborghi di Leeds. La pellicola di celluloide (carta Eastman) era perforata e veniva mossa all'interno della macchina da presa grazie a ruote dentate. Visto che l'apparecchio era designato come “apparato per la proiezione di immagini animate”, è presumibile che si tratti non solo del primo film girato, ma anche del primo a essere stato proiettato (anche se in privato, e non davanti a un pubblico pagante). Attorno a quest'opera, che ci mostra uno spensierato momento di vita familiare, aleggia anche un macabro mistero. Innanzitutto, una delle attrici, Sarah Whitley, morì dieci giorni dopo le riprese. Poi – e soprattutto – lo stesso Le Prince sparì meno di due anni dopo, il 16 settembre 1890, mentre era a bordo di un treno che lo portava da Digione a Parigi: le teorie sulla sua scomparsa sono numerose (suicidio, sparizione volontaria, omicidio per questioni di eredità o addirittura per una “guerra di brevetti”, visto che Le Prince era sul punto di registrare la sua invenzione e di effettuare una dimostrazione negli Stati Uniti, anticipando di poco Edison), ma nessuna è mai stata confermata.

Dei suoi lavori, oltre a “Roundhay Garden Scene”, ci rimangono altri due film, girati sempre nel 1888. “Traffic crossing Leeds Bridge” mostra carri e carrozze trainate da cavalli per la strada, nei due sensi di marcia, e passanti sul marciapiede, uno dei quali attraversa addirittura la carreggiata. La location, il ponte sul fiume Aire, fu scelta appositamente perché garantiva la presenza di un certo traffico. La ripresa è fatta leggermente dall'alto. Adolphe Le Prince, figlio di Louis, era presente come assistente del padre (fu il primo aiuto regista della storia!). La versione restaurata e digitalizzata, oggi disponibile, comprende 65 fotogrammi e dura 2,76 secondi. “Accordion player” mostra invece Adolphe Le Prince mentre suona una fisarmonica diatonica (un “organetto”, per intenderci), sempre davanti ai gradini della casa di suo nonno Joseph Whitley a Roundhay. A differenza degli altri due film, quando scrivo quest'ultimo non è stato ancora ripulito e digitalizzato (su YouTube è visibile una rimasterizzazione amatoriale dei primi 17 fotogrammi).

Inoltre sopravvivono 14 dei 16 fotogrammi di “Man walking around a corner”, un lavoro risalente addirittura all'anno prima, il 1887. Pur essendo precedente a “Roundhay”, non è però da considerarsi il primo film della storia perché fu realizzato con una fotocamera con 16 diverse lenti, ognuna delle quali scattava una foto in rapida successione (una serie di fotografie separate, dunque, e non una pellicola continua): una tecnica già sperimentata da altri pionieri della fotografia in movimento, come l'astronomo Pierre Jules César Janssen (che nel 1874 catturò il passaggio di Venere davanti al sole) e i succitati Eadweard Muybridge (che nel 1878 “riprese” in questo modo un cavallo al galoppo) ed Étienne-Jules Marey (che nel 1882 aveva inventato un “fucile cronofotografico”, in grado di scattare 12 fotogrammi consecutivi al secondo).

13 ottobre 2018

L'albero dei frutti selvatici (N. B. Ceylan, 2018)

L'albero dei frutti selvatici (Ahlat Ağacı)
di Nuri Bilge Ceylan – Turchia 2018
con Aydın Doğu Demirkol, Murat Cemcir
***

Visto al cinema Eliseo, con Marisa.

Appena laureato, il giovane Sinan torna nella città di provincia dove è nato, indeciso sul proprio futuro: diventare insegnante come suo padre Idris, che pure negli ultimi anni ha dilapidato denaro e reputazione scommettendo alle corse dei cavalli e riempendosi di debiti? Oppure inseguire il sogno di diventare scrittore, pubblicando (a proprie spese) un libro di "riflessioni sulla cultura locale"? O ancora, fare come molti suoi amici in un momento di crisi economica e culturale, arruolandosi nelle forze armate? Con i suoi tempi lunghi (il film dura oltre tre ore) e la consueta cura nell'analisi psicologica dei personaggi e del loro rapporto con il mondo circostante, Ceylan racconta una crisi esistenziale la cui soluzione era forse a portata di mano: il recupero del rapporto fra padre e figlio, quel padre che il protagonista tiene a distanza per troppo tempo, deluso e infastidito da lui come lo è dal resto del mondo, prima di accorgersi che in fondo i due sono molto più simili di quanto non pensasse. Il titolo originale, che poi è anche quello del libro scritto da Sinan, si riferisce a una specie di pero selvatico che cresce sulle alture della provincia di Çanakkale (vicino alle rovine dell'antica Troia): l'albero è ovviamente una metafora del rapporto fra padre e figlio, sottolineandone le similitudini (anche a livello di testardaggine e spigolosità): in fondo non si dice che il frutto non cade mai troppo lontano dal fusto che l'ha generato? E in generale la natura, con i suoi ritmi e le sue stagioni (quasi l'intero film è girato in autunno, tranne alcune brevi scene invernali nel finale), pare essere l'ancora di salvataggio per chi non riesce proprio a sentirsi in sintonia con gli uomini di un mondo ipocrita e che sembra sempre cambiare in peggio (si pensi alle lunghe scene dialogo di Sinan con lo scrittore affermato, con il capocantiere, o con i due imam, attraverso le quali mette a confronto con gli altri la propria visione dell'arte, della società e della religione). Come spesso nei film di Ceylan, il fulcro di tutto sono la famiglia e i luoghi delle proprie origini, ai quali i suoi personaggi introspettivi e irrequieti, che accettino o meno la propria sconfitta, fanno inesorabilmente ritorno. Lo stile, lucido e formalmente elegante, è qui appena un po' più sporco (con occasionali flare o sfocature), ma nell'intensità generale si concede alcuni momenti onirici che confermano il carattere sognatore e visionario dei due protagonisti (vedi anche il doppio finale: cupo e pessimista, con il sucidio del giovane, oppure lieto e ottimista, con Sinan che decide di restare al fianco del padre per aiutarlo a trovare l'acqua nel pozzo nella vecchia fattoria di famiglia, che il genitore ha rimesso in sesto per ritirarcisi a vivere come pastore dopo essere andato in pensione). Nota di colore: il cavallo di legno che si vede nel film è il modello usato per le riprese del film "Troy" con Brad Pitt.

10 ottobre 2018

Il settimo sigillo (Ingmar Bergman, 1957)

Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet)
di Ingmar Bergman – Svezia 1957
con Max von Sydow, Gunnar Björnstrand
***1/2

Rivisto in divx, con Marisa, Giovanni e altri.

Di ritorno dalle crociate, il cavaliere Antonius Block (Max von Sydow) e il suo scudiero Jons (Gunnar Björnstrand) attraversano un paese sconvolto dalla pestilenza, dove gli uomini muoiono come mosche e tutti temono che sia giunta la fine del mondo prevista dall'Apocalisse ("Quando l'angelo aprì il settimo sigillo, nel cielo si fece silenzio e vidi i sette angeli che stavano dinnanzi a Dio e furono loro date sette trombe..."). Block, angosciato dal silenzio di Dio e tormentato dai dubbi che si aprono nella propria fede (mentre di contro lo scudiero Jons è più pragmatico e razionalista), si ritrova faccia a faccia con la Morte impersonificata (Bengt Ekerot), un'alta e tetra figura dalla pelle bianca e dal manto nero: e per prendere tempo, la sfida a una partita a scacchi (seguendo in questo un'iconografia medievale che mostrava spesso il tristo mietitore impegnato in tale attività). Man mano che la partita procede, trascinandosi di giorno in giorno, il cavaliere e lo scudiero proseguono il loro viaggio verso casa, incontrando fra gli altri una serva muta (Gunnel Lindblom) che Jons prende con sé; un fabbro di villaggio (Åke Fridell) con la moglie infedele (Inga Gill); e soprattutto una compagnia itinerante di attori e saltimbanchi, formata dal capocomico Jonas (Erik Strandmark) e dai giovani coniugi Jof (Nils Poppe) e Mia (Bibi Andersson), con il loro figlioletto Mikael. Saranno proprio questi ultimi, puri di cuore e di spirito (al punto che Jof, pur non comprendendo le proprie visioni, è in grado di percepire il trascendente e il soprannaturale), gli unici a salvarsi dalla Morte che il cavaliere, protraendo al massimo il tempo della partita a scacchi, condurrà con sé fino al proprio castello. Ambientato in un medioevo cupo ed oscuro, dove le campagne sconvolte dalla peste sono percorse da pellegrini penitenti e flagellanti (al canto del "Dies Irae") e da monaci che mettono alle fiamme le presunte streghe, forse il film più famoso di Ingmar Bergman, di certo quello che più di ogni altro è entrato nell'immaginario cinematografico e collettivo (non si contano gli omaggi, le citazioni, i riferimenti, anche in lavori del tutto diversi e che apparentemente non hanno niente in comune con le riflessioni esistenziali – prima ancora che religiose – del regista svedese: si pensi a "Last action hero" o a "Un mitico viaggio").

L'immagine del cavaliere che gioca a scacchi con la Morte è sicuramente potente, ma la pellicola offre molto di più: è il percorso di un uomo che comincia a farsi delle domande nel momento in cui si rende conto di stare ormai avvicinandosi al proprio destino finale, un percorso che non tutti fanno allo stesso modo (il contraltare del cavaliere, come detto, è lo scudiero nichilista: ma c'è anche chi proietta le proprie paure all'esterno, cercando un capro espiatorio – la ragazza accusata di essere una strega (Maud Hansson) – oppure chi semplicemente rifiuta di accettare la situazione). Tutti dobbiamo morire, ma non tutti ci avviciniamo alla morte nello stesso modo. Anche formalmente il film gioca con gli estremi: la vita e la morte sono simboleggiate dal bianco e nero (e non a caso, nella partita a scacchi, la Morte muove i pezzi neri), che la fotografia di Gunnar Fischer esalta in modo magistrale. E nella cupezza generale, risaltano la luce e la gioia di vivere della giovane famiglia di saltimbanchi: il momento in cui giocano con il bambino sul prato, in cui si gustano il latte e le fragole (un "posto delle fragole" ante litteram!) svela il reale significato della felicità: apprezzare e godersi la vita momento per momento, come lo stesso cavaliere riconosce affermando che porterà quell'istante nella propria memoria. In tutto questo, Bergman – che come Shakespeare condisce il dramma con alcune scenette comiche (quelle relative al fabbro e alla moglie che scappa con l'attore) – si ispira, oltre che alle suddette iconografie medievali (si pensi anche all'ultima scena, quella della "danza con la Morte", o ai dipinti che un artigiano sta tracciando sulle pareti di una chiesa diroccata), a un piccolo dramma teatrale, "Pittura su legno", da lui stesso scritto qualche anno prima. Insignito del premio speciale della giuria al Festival di Cannes, il film divenne un classico istantaneo e portò Bergman alla fama internazionale. La pellicola segna anche l'inizio della collaborazione con il regista svedese di due intepreti che in seguito appariranno ripetutamente nei suoi lavori: Max von Sydow (attore teatrale all'esordio assoluto nel cinema) e Bibi Andersson.

8 ottobre 2018

Ordet - La parola (Carl Theodor Dreyer, 1955)

Ordet - La parola (Ordet)
di Carl Theodor Dreyer – Danimarca 1955
con Henrik Malberg, Preben Lerdorff Rye
****

Rivisto in divx, con Marisa, Giovanni, Giuliana e altri.

Uno dei crucci dell'anziano fattore Morten (Henrik Malberg), patriarca della famiglia Borgen, è la follia del figlio Johannes (Preben Lerdorff Rye), che si crede Gesù Cristo e vaga per la casa e la campagna in vestaglia, predicando nel deserto. Non è l'unico, però: ci sono anche il figlio maggiore Mikkel (Hemil Hass Christensen), che ha perso la fede, e il minore Anders, che si è innamorato di Anna, figlia del sarto del villaggio con cui i Borgen sono in disputa da anni per questioni teologiche. Quando la tragedia colpisce la famiglia con la morte per parto di Inger (Brigitte Federspiel), moglie di Mikkel e cuore pulsante della serenità domestica, sarà proprio un miracolo compiuto dal “folle” Johannes a trasformare il dolore in gioia. Capolavoro del cinema della spiritualità, tratto da un dramma teatrale del 1932 del pastore luterano Kaj Munk, il penultimo film di Dreyer (una delle sue pellicole di maggior successo critico, vincitrice fra l'altro del Leone d'Oro a Venezia) è un'intensa e commovente riflessione sul mistero dell'irrazionale e del trascendente, sul potere della fede, della volontà e – come da titolo – della parola. Il riferimento principale, come suggerito anche dal nome del figlio pazzo (Johannes), è l'incipit del Vangelo di Giovanni (“In principio era la parola...”: una parola vivente e che dona, o restituisce, la vita). Da notare che quello di Johannes non è solo un delirio mistico, tanto che compie il miracolo quando ormai è già rinsavito: anche se esso avviene tramite lui, la fede che lo catalizza è quella “pura” e semplice di una bambina, la nipotina Maren, l'unica che vede al di là dell'ordinario, della ragione e delle apparenze. A lei si contrappongono non solo gli altri membri della famiglia, ma anche le figure delle autorità “ufficiali”, come il pastore del villaggio (cinico e burocratico, anche nel discorso al funerale, colmo di luoghi comuni) e il dottore (un medico scrupoloso ma scientista), che non si accorgono della straordinarietà che li circonda. Che la sceneggiatura derivi da un testo teatrale (fra l'altro già portato sullo schermo nel 1943 dallo svedese Gustaf Molander, con Victor Sjöström come protagonista) è evidente nella composizione delle scene (quasi tutte in interni) e dei dialoghi, anche se Dreyer arricchisce la pellicola con la sua regia essenziale e rigorosa, con lunghi e lenti piani sequenza, con la fotografia austera in bianco e nero, con alcuni scorci esterni (i campi di grano, il canneto, il vento che muove i panni bianchi stesi ad asciugare, simbolo dello spirito) di un mondo fuori dal tempo (se non fosse per i telefoni e l'automobile del dottore, potremmo essere nel settecento o nell'ottocento). E non manca un accenno di satira sociale e religiosa (la faida teologica fra i due patriarchi, che appartengono a correnti protestanti diverse fra loro, raccontata quasi con toni da commedia).

7 ottobre 2018

I bambini del cielo (Majid Majidi, 1997)

I bambini del cielo, aka I ragazzi del paradiso (Bacheha-ye aseman)
di Majid Majidi – Iran 1997
con Amir Farrokh Hashemian, Bahare Seddiqi
***

Visto in divx alla Fogona, con Marisa, in originale con sottotitoli.

Dopo che Alì ha perso le scarpe della sorellina Zahra, che aveva portato dal ciabattino a far riparare, i due bambini decidono di fare a turno nell'indossare le consunte scarpe da ginnastica del ragazzo, anche se questo comporta continui problemi (come l'arrivare tardi a scuola). Essendo di famiglia povera, i due bambini non possono chiedere al padre (Reza Naji) di comprar loro delle nuove scarpe, e perciò cercano di arrangiarsi per proprio conto. A un certo punto Alì si iscrive alla gara di corsa della scuola, che assegnerà in premio al terzo classificato proprio un nuovo paio di scarpe da ginnastica: ma arrivare terzo non è così facile... Di evidente ispirazione kiarostamiana (ricorda diverse pellicole dei suoi esordi, come "Il viaggiatore", ma anche i primi film di Panahi, come "Il palloncino bianco": e come quelli è stato girato in gran parte in segreto per le strade della città, in modo da catturarne un'immagine più realistica possibile), ma con un'espressività e una vitalità propria, il film ha scomodato ad alcuni critici persino un paragone con il neorealismo italiano, in particolare con "Ladri di biciclette" per la scena in cui Ali va con il padre nei quartieri alti in cerca di lavoro come giardiniere (una scena in cui si mettono a confronto due zone di Teheran e due mondi completamente diversi: quello dei quartieri vecchi, poveri e fuori dal tempo, e quello delle moderne e lussuose ville dei benestanti). Certo, il lieto fine, la semplicità e la purezza del racconto lo fanno sembrare quasi una fiaba, così come la ricchezza dei colori, le bellezza delle immagini e la calda empatia dei personaggi. Eccellenti, come spesso accade nel cinema iraniano, i piccoli protagonisti (Ali ha 8 anni, la sorellina Zahra 6), nonché le dinamiche interne del loro mondo e i rapporti con gli adulti (genitori, insegnanti). È stata la prima pellicola iraniana in assoluto a essere nominata per l'Oscar come miglior film straniero.

5 ottobre 2018

L'uomo che uccise Don Chisciotte (T. Gilliam, 2018)

L'uomo che uccise Don Chisciotte (The man who killed Don Quixote)
di Terry Gilliam – GB/Spa/Fra/Por/Bel 2018
con Adam Driver, Jonathan Pryce
**

Visto al cinema Colosseo, con Marisa.

Mentre si trova in Spagna per la lavorazione di uno spot pubblicitario, il cinico e disilluso regista Toby Grisoni (Adam Driver) scopre che Javier (Jonathan Pryce), l'anziano ciabattino che dieci anni prima aveva interpretato per lui il ruolo di Don Chisciotte in un film studentesco girato in quegli stessi luoghi, è impazzito e crede di essere davvero il leggendario personaggio di Cervantes. Convinto che Toby sia Sancho Panza, il vecchio lo coinvolgerà nelle proprie illusioni, trascinandolo con sé in una serie di disavventure picaresche in una campagna arcaica e religiosa, a metà strada fra il sogno e la realtà, fino a una folle serata in una festa in costume nel castello di un oligarca russo. Testamento della creatività e della forza di volontà di Gilliam, nonché summa di tutto il suo cinema (per dirne alcune: la (con)fusione fra immaginazione e realtà viene da "La leggenda del re pescatore", la serie di peripezie fantastiche ed esagerate da "Le avventure del barone di Munchausen", il medioevo grottesco e parodistico da "Monty Python e il sacro Graal"), il film esce finalmente nelle sale dopo una lunghissima gestazione, grane finanziarie e legali e una ventina d'anni di tentativi, problemi e incidenti di ogni genere (raccontati con dovizia di particolari nel documentario "Lost in La Mancha", che mostra il dietro le quinte delle riprese del 2000, quando gli attori protagonisti avrebbero dovuto essere Johnny Depp e Jean Rochefort). Ed è curioso ricordare come anche un altro celebre regista visionario e indipendente, Orson Welles, abbia lavorato per anni a un "Don Chisciotte", nel suo caso rimasto incompiuto. Caotico, diseguale, confusionario, colorato, sopra le righe, con una messinscena elaborata e barocca, il film tocca i temi da sempre cari al cineasta americano, su tutti la potenza della fantasia e dell'immaginazione: è evidente come per Gilliam fosse irresistibile la fascinazione per un personaggio come Don Chisciotte, che viene qui visto come un archetipo immortale, che si reincarna continuamente per continuare a vivere sulla faccia della Terra, anche a distanza di secoli. D'altronde, le avventure di Chisciotte erano sin dall'inizio il prodotto della sua folle fantasia, il desiderio di mantenere in vita l'epopea cavalleresca anche in tempi moderni, in un mondo cambiato e dove le antiche regole della cortesia e dell'onore non esistono più (siamo ora in un mondo che vive nel timore dei terroristi musulmani, o dove i ricchi, con i loro abusi e le loro prepotenze, fanno il bello e il cattivo tempo, "giocando" a ricostruire un medioevo farlocco e stereotipato). Che proprio un regista, ovvero un uomo che per mestiere crea fantasie e illusioni, sia destinato a rinverdire i fasti di Don Chisciotte è dunque assolutamente coerente. Adam Driver si cala nella parte che avrebbe dovuto essere di Johnny Depp imitandone il modo di recitare, tanto che in numerose scene è difficile non pensare proprio a lui. L'ottimo Pryce è un habituè di Gilliam, avendo recitato già in "Brazil", "Munchausen" e "I fratelli Grimm". Nel resto del cast si riconoscono Stellan Skarsgård (il produttore), Olga Kurylenko (la moglie del capo) e Rossy de Palma (una contadina). Joana Ribeiro è Angelica, la "Dulcinea" del caso, Óscar Jaenada il misterioso gitano.

4 ottobre 2018

Billy Lynn (Ang Lee, 2016)

Billy Lynn - Un giorno da eroe (Billy Lynn's long halftime walk)
di Ang Lee – USA/GB/Cina 2016
con Joe Alwyn, Kristen Stewart
***

Visto in TV, con Sabrina.

Protagonista di un atto eroico durante un'azione di guerra in Iraq, il giovane Billy Lynn (Joe Alwyn) viene celebrato insieme agli altri membri della sua squadra durante un breve rientro in patria. Con loro è costretto a "intrattenere" il pubblico in una cerimonia durante l'intervallo di una partita di football (il cosiddetto halftime show), fra cheerleader, ballerini e cantanti (le Destiny's Child!). Dentro di lui, però, monta lo stress post-traumatico, il dolore per la morte di un commilitone (Vin Diesel), i sensi di colpa per aver ucciso un soldato nemico e l'incertezza sulla scelta di tornare a combattere oppure di accettare il suggerimento della sorella (Kristen Stewart) e farsi congedare dal servizio attivo. Da un romanzo di Ben Fountain, un'interessante riflessione sul "vissuto" di un giovane soldato diventato eroe per caso (e suo malgrado) e catapultato in un mondo di propaganda e di retorica patriottica che non ha alcuna risonanza dentro di lui. Anzi, l'attenzione e e luci della ribalta non fanno altro che esacerbare i suoi dubbi e risvegliare i ricordi traumatici della guerra (che si alternano alle scene in diretta: la storia si svolge praticamente nell'arco di una sola serata). Il plot ricorda in parte "Flags of our fathers" di Clint Eastwood, che però era ambientato durante la seconda guerra mondiale. Negli Stati Uniti il film non ha riscosso alcun successo, forse anche perché mette in discussione l'eroismo e le motivazioni dei soldati americani in Iraq, nonché lo stile di vita di chi è rimasto in patria (di fronte allo spettacolo kitsch e alle celebrazioni durante la partita – che a loro modo ricordano quelle viste in "Apocalypse Now" – i soldati commentano: "Una pagliacciata? No, una normale giornata americana"). Il giovane Joe Alwyn, all'esordio, mi è parso assai promettente. Nel cast anche Garrett Hedlund (il sergente), Makenzie Leigh (la cheerleader) e, per una volta in ruoli non comici, Chris Tucker (il manager) e Steve Martin (il magnate del football). Nelle sale la pellicola è uscita anche in 3D e, prima in assoluto, con un high frame rate di 120 fotogrammi al secondo (contro i soliti 24).

3 ottobre 2018

Poveri milionari (Dino Risi, 1958)

Poveri milionari
di Dino Risi – Italia 1958
con Maurizio Arena, Renato Salvatori
**

Visto in TV.

Terzo episodio delle avventure di Romolo (Arena) e Salvatore (Salvatori), cominciate con "Poveri ma belli" e proseguite con "Belle ma povere". A questo giro manca la co-protagonista Marisa Allasio, sostituita da Sylva Koscina in un ruolo piuttosto stereotipato, e cambia anche il setting della vicenda: ma senza l'ambientazione proletaria (che diventa piccolo borghese) si perde molto dell'atmosfera che rendeva speciali i primi due film. Freschi di nozze l'uno con la sorella dell'altro – Marisa (Lorella De Luca) e Anna Maria (Alessandra Panaro) – dopo una problematica luna di miele i giovani si trasferiscono a vivere in un appartamento ancora in costruzione (mancano persino i vetri alle finestre). Investito dall'auto della ricchissima ed eccentrica Alice (Koscina), Salvatore perde la memoria e viene accolto in casa da questa, che se ne innamora e lo nomina direttore generale dei grandi magazzini di cui è proprietaria. Si tratta degli stessi negozi dove Romolo lavora come commesso, e dove Salvatore farà assumere anche Marisa, di cui si invaghisce senza sapere che è già sua moglie... Non più bulli di borgata, i due personaggi sembrano ora uscire da una commedia degli equivoci americana o dalle pagine di un fumetto comico (la trovata dell'amnesia è quanto di più riciclato ci possa essere), e la pellicola risulta assai lontana dal realismo precedente, oltre che prevedibile e debole sia come trama che come gag (un'altra botta in testa farà guarire Salvatore). Ma la verve dei due attori (che battibeccano di continuo), oltre al buon ritmo della regia di Risi, tiene a galla la baracca e garantisce un innocuo divertimento. Dei due interpreti, che con questa trilogia ottennero un'improvvisa popolarità, quello che farà poi la carriera migliore è Salvatori (lo ricordiamo, per esempio, ne "I soliti ignoti", "Rocco e i suoi fratelli" e "Queimada"). Cameo per Fred Buscaglione.

2 ottobre 2018

Belle ma povere (Dino Risi, 1957)

Belle ma povere
di Dino Risi – Italia 1957
con Maurizio Arena, Renato Salvatori
**1/2

Visto in TV, con Sabrina.

È il sequel di "Poveri ma belli". Gli amici Romolo (Arena) e Salvatore (Salvatori) sono ormai fidanzati l'uno con la sorella dell'altro, le giovani Anna Maria (Alessandra Panaro) e Marisa (Lorella De Luca). Le due ragazze sognano il matrimonio, ma prima vorrebbero che i compagni mettessero la testa a posto e si trovassero un lavoro stabile. Non sarà facile: Romolo, più portato per lo studio, riesce a diplomarsi in elettrotecnica e ad aprire un piccolo negozio di radio, ma per farlo è costretto a chiedere un prestito all'ex amica e fidanzata Giovanna (Marisa Allasio). Salvatore, meno bravo a scuola, passa invece da un lavoretto all'altro (come quello di riscuotere le tasse sui cani da compagnia). Nel frattempo, bisticci e incomprensioni seminano zizzania fra loro e le ragazze, tanto che Romolo avrà la tentazione di un'altra avventura con Giovanna, anche perché lei lo incoraggia nella speranza di ingelosire il suo nuovo corteggiatore Franco (Riccardo Garrone). Salvatore, invece, accetterà di partecipare a un furto, scassinando proprio la gioielleria di Franco. Per fortuna, grazie all'intervento delle due fidanzatine, tutto si risolverà senza danni e le due coppie potranno convolare a nozze (una immediatamente dopo l'altra, utilizzando gli stessi abiti). Commedia garbata ed episodica, messa in cantiere nel giro di pochi mesi dopo il successo del film precedente, dal quale gli attori riprendono le rispettive parti (con un ruolo più importante, come da titolo, per le due fidanzate). Questa volta i toni leggeri e disimpegnati non vanno a discapito di riflessioni più profonde sulla gioventù, le difficoltà sociali (il lavoro, la povertà), le responsabilità e l'amicizia. Carlo Giuffré è il biondo corteggiatore di Marisa. Memorabile il bassotto Endimione. La trilogia si completerà l'anno seguente con "Poveri milionari".

1 ottobre 2018

Poveri ma belli (Dino Risi, 1957)

Poveri ma belli
di Dino Risi – Italia 1957
con Maurizio Arena, Renato Salvatori, Marisa Allasio
**1/2

Visto in TV.

Romolo (Arena) e Salvatore (Salvatori), due giovani bellimbusti, vivono con le rispettive famiglie nello stesso condominio popolare nel centro di Roma, presso piazza Navona. I due, amici sin dall'infanzia, trascorrono le giornate andando a caccia di ragazze, che si passano l'un l'altro senza troppi pensieri. Ma quando incontrano la bellissima e prosperosa Giovanna (Allasio), commessa di un negozio di sartoria maschile, se ne innamorano all'istante, diventando rivali e rischiando di mettere a repentaglio la propria amicizia... Grande successo di pubblico (e prima consacrazione per Risi) per una commedia entrata subito nell'immaginario popolare. Giovanile e scanzonata, leggera e senza troppe pretese, ricca di gag (fra l'umoristico e il satirico) e di belle ragazze, è impreziosita dagli scenari di Roma e dai dialoghi spigliati. Vista l'ambientazione proletaria, c'è chi ha parlato di "neorealismo in salsa rosa", e non c'è dubbio che il regista dimostra di essere "in perfetta sintonia con l'evoluzione del costume nazionale". Dato l'eccellente riscontro il film avrà ben due seguiti, sempre diretti da Risi e con gli stessi attori: "Belle ma povere" (1957) e "Poveri milionari" (1958), dove si aggiungerà anche una traccia di analisi sociale, qui ancora mancante. Alla sceneggiatura hanno collaborato Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa. La bella fotografia in bianco e nero è di Tonino Delli Colli. La Allasio, allora sconosciuta come gli altri attori, divenne una celebrità, ma non seppe più togliersi di dosso il personaggio della ragazza bella, al tempo stesso ingenua e smaliziata (è perfettamente consapevole dell'effetto che fa sugli uomini). Lorella De Luca e Alessandra Panaro sono le sorelle minori dei due protagonisti, del cui affetto incrociato loro non si accorgono fino alla fine. Mario Carotenuto è lo zio Mario, proprietario del negozio di dischi. Ettore Manni è Ugo, l'ex (manesco) di Giovanna.