30 aprile 2013

Dersu Uzala (Akira Kurosawa, 1975)

Dersu Uzala, il piccolo uomo delle grandi pianure (Dersu Uzala)
di Akira Kurosawa – URSS/Giappone 1975
con Jurij Solomin, Maksim Munzuk
***1/2

Rivisto in DVD.

Reduce dall'insuccesso del suo film precedente ("Dodes'ka-den", del 1970), dall'ostracismo dai produttori giapponesi, dal fallimento della sua casa di produzione (durata lo spazio di una sola pellicola) e persino da un tentativo di suicidio (nel 1971, forse causato da una malattia e dalla depressione), Kurosawa volta competamente pagina e accetta l'invito della Mosfilm di girare un film in Russia: è la sua prima coproduzione internazionale, nonché l'ennesimo (ma non certo l'ultimo) "debutto" di un regista capace di rinnovarsi in continuazione, sorprendendo ogni volta critici e spettatori con pellicole di incredibile genio, originalità e vitalità. La scelta del soggetto cade sui diari di viaggio dell'esploratore sovietico Vladimir Arsenev, scritti all'inizio del Novecento ma ancora attualissimi perché brulicanti di umanità e di spirito ecologista, che il regista nipponico aveva letto in gioventù. Arsenev, capitano dell'esercito russo incaricato di effettuare rilevazioni topografiche nelle foreste e nella taiga nella Siberia orientale, incontra casualmente un anziano cacciatore, Dersu Uzala, un ometto che gli farà da guida in due differenti spedizioni (1903 e 1907), rivelandosi un prezioso compagno, un grande amico e soprattutto un generoso maestro capace di insegnargli come vivere in armonia con la natura. Dersu è un personaggio straordinario, umile e "primitivo", che si rapporta con il mondo all'insegna di un animismo universale (chiama "omini" anche gli animali, il sole, il fuoco, l'acqua e il vento) e di una solidarietà totale (lascia cibo e risorse nei luoghi in cui si ferma, a beneficio dei futuri viaggiatori), è in grado di sopravvivere nelle condizioni più estreme (salva la vita al capitano costruendo un riparo improvvisato in mezzo a una distesa gelata), rispetta la natura (non uccide gli animali se non per necessità, salva quelli imprigionati nelle trappole dei bracconieri, rispetta la terra e gli ecosistemi), teme soltanto lo spirito della tigre ("Amba") e naturalmente si rivela inadatto alla vita di città quando Arsenev si offrirà di ospitarlo in casa sua. Costruito attraverso una serie di episodi apparentemente slegati l'uno dall'altro ma che vanno in perfetta progressione, il film è limpido, sereno e spontaneo (anche grazie a quello straordinario attore che è Maksim Munzuk, nella vita reale un musicologo). Il suo successo (vinse, fra le altre cose, l'Oscar per il miglior film straniero: il secondo di Kurosawa dopo quello per "Rashomon") si rivelò provvidenziale per "l'imperatore", aiutandolo a superare la crisi e stimolando (a sessantacinque anni!) l'inizio di una nuova carriera, che lo porterà a realizzare una serie di capolavori ancora più personali e intimi dei precedenti. Nel dvd italiano sono state reintegrate (in russo) lunghe parti del film che erano state eliminate dai distributori dell'epoca, anche se non sempre i sottotitoli fanno bene il proprio lavoro.

28 aprile 2013

Il cacciatore (Michael Cimino, 1978)

Il cacciatore (The Deer Hunter)
di Michael Cimino – USA 1978
con Robert De Niro, Christopher Walken
***1/2

Visto in DVD, con Eleonora e Sabrina.

Michael (De Niro), Nick (Walken) e Steven (John Savage) sono tre amici di origine russa che vivono in una piccola cittadina industriale della Pennsylvania. Inseparabili al lavoro (sono operai in una fabbrica metallurgica) e nel tempo libero (trascorso insieme ad altri due colleghi, Stan e Axel, nel bar dell'amico John, o impegnandosi in battute di caccia al cervo sulle montagne della zona), si apprestano ad affrontare due fondamentali "riti di passaggio": il matrimonio di Steven con Angela, e la partenza – subito dopo – come soldati per il Vietnam (siamo nel 1967). Ma l'inferno della guerra li cambierà completamente: ci sarà chi tornerà ferito nel fisico (Steven), chi nell'animo (Mike) e chi non tornerà affatto (Nick). Pur prendendo l'argomento alla larga, come in ogni grande "epica popolare" che si rispetti (vedi la lunghissima introduzione: di fatto le scene ambientate in Vietnam costituiscono meno della metà della pellicola), il secondo lungometraggio di Cimino (nonché il suo maggior successo di critica e di pubblico) è uno dei film di maggior impatto emotivo sugli orrori della guerra e su come questi possano trasformare e trasfigurare l'essere umano: indimenticabili le controverse e tesissime sequenze della roulette russa, alla quale i tre amici, presi prigionieri, sono obbligati a giocare dai loro carcerieri vietcong ("Mao! Mao!"). Se nella realtà non ci furono casi documentati di eventi simili durante il conflitto in Vietnam, la roulette russa, con la sua violenza casuale, è una metafora della guerra intera e della pazzia dell'uomo che si trascina per tutto il film, prendendo l'avvio proprio dalle scene della caccia al cervo in Pennsylvania (con Mike che si fa vanto di uccidere gli animali "con un solo colpo", un modo per equilibrare le cose visto che i cervi non hanno un fucile) e che prosegue quando, a Saigon, Nick e Mike rimangono coinvolti nel "giro" delle scommesse clandestine in cui vengono organizzate sfide di roulette russa fra disperati (una trovata che sarà ripresa, anni più tardi, nel film georgiano "13 Tzameti").

Se non tutto nella sceneggiatura è adeguatamente spiegato o coerente (la progressiva trasformazione di Nick, che passa dall'essere il più equilibrato dei tre a quello che invece cede all'orrore e all'abitudine alla violenza, fino a non dare più significato alla propria vita, a rinunciare a tornare a casa dalla donna che ama e anzi a cercare la morte con accanimento), e il montaggio salta a volte troppo bruscamente da una scena all'altra (non mostra, per esempio, come i tre vengano catturati dai vietcong), trascinandone invece altre troppo a lungo (il matrimonio ortodosso, che dura quasi un'ora), la regia di Cimino e le eccellenti interpretazioni di un cast in stato di grazia riescono a restituire perfettamente l'atmosfera di quegli anni, ritratta peraltro in chiave elegiaca e melodrammatica. Oltre ai tre protagonisti, da ricordare anche Meryl Streep (al primo ruolo importante della sua carriera nei panni di Linda, la donna amata sia da Nick che da Mike), John Cazale (malato di tumore già durante le riprese: fu la sua ultima apparizione sullo schermo), George Dzundza e Chuck Aspegren (quest'ultimo non era un attore professionista ma un operaio della fabbrica dove è ambientata la prima parte del film). Pur sforando il budget (le scene vietnamite furono girate in Thailandia, presso il fiume Kwai), la pellicola ripagò i produttori con gli interessi e conquistò anche la critica. Vinse cinque Oscar (su nove nomination): quelli per il miglior film, regia, attore non protagonista (Walken), montaggio e suono. Il finale in cui i personaggi cantano "God Bless America" in onore del defunto Nick è stato letto da alcuni come un attacco in chiave ironica al sogno americano e al patriottismo, passato attraverso la disillusione e gli shock della guerra del Vietnam (di fatto il film fu uno dei primi a parlare di quel conflitto, che si era concluso solo pochi anni prima, mostrandone gli effetti negativi sulla psiche e la salute dell'America. L'anno dopo, naturalmente, sarebbe arrivato l'ancora più efficace "Apocalypse Now" di Coppola).

26 aprile 2013

My girl & I (Jeon Yun-su, 2005)

My girl & I (Parang-juuibo)
di Jeon Yun-su – Corea del Sud 2005
con Song Hye-kyo, Cha Tae-hyun
*1/2

Visto in DVD, con Sabrina, in originale con sottotitoli inglesi.

In una cittadina costiera, il giovane Su-ho – diciottenne all'ultimo anno di liceo – si innamora (ricambiato) della coetanea Su-eun, la ragazza più bella della classe, che lo aveva salvato dall'annegamento dopo un tuffo in mare. Insieme trascorrono giorni felici, fra passeggiate in bicicletta in mezzo alle risaie ed escursioni sulle isole vicine. Il loro idillio, però, è di breve durata: la ragazza soffre infatti di leucemia e ben presto si ritrova allo stato terminale. Remake di una pellicola giapponese ("Crying out love in the center of the world", tratto dal romanzo "Gridare amore dal centro del mondo" di Kyōichi Katayama, pubblicato anche in Italia e da cui è stato tratto anche un manga), è un film romantico dal finale tragico – del quale peraltro veniamo informati sin dall'inizio, visto che la sequenza di apertura, ambientata dieci anni dopo il resto del film, ci mostra una riunione di classe cui partecipa un Su-ho che non ha ancora dimenticato il suo primo amore. Ma a parte il tema "poetico" dell'amore che va oltre la vita e la morte, il film offre ben poco ed è privo di una seconda lettura, incapace di andare oltre i soliti cliché delle pellicole adolescenziali, conditi da siparietti comici (quelli con gli amici, i compagni di scuola, la sorella brutta) e da un paio di momenti commoventi (oltre alla morte di Su-eun, tutta la sottotrama del nonno di Su-ho, fabbricante di bare e impresario di pompe funebri che viene chiamato per curare il funerale della donna che aveva amato in gioventù e perso di vista dopo la guerra). Belli, comunque, gli scenari e i paesaggi costieri che fanno da sfondo alla vicenda, esaltati da una fotografia filtrata e iper-corretta digitalmente (da ricordare la scena delle gocce di pioggia che si fermano a mezz'aria mentre i protagonisti si baciano, durante il tifone).

25 aprile 2013

Basilicata coast to coast (R. Papaleo, 2010)

Basilicata coast to coast
di Rocco Papaleo – Italia 2010
con Rocco Papaleo, Giovanna Mezzogiorno
**

Visto in TV, con Sabrina.

Per partecipare a una competizione canora che si terrà a Scanzano Jonico, nella speranza di restituire un senso alla propria vita, quattro amici di Maratea (Rocco Papaleo, Alessandro Gassman, Paolo Briguglia e Max Gazzè), musicisti dilettanti, decidono di attraversare la Basilicata a piedi, dalla costa tirrenica a quella ionica. Ci impiegheranno dieci giorni (in automobile sarebbe bastata un'ora e mezza), percorrendo strade alternative, accampandosi in tenda dove capita, e portando i bagagli su un carretto trainato da un cavallo. A seguirli c'è una giovane giornalista (Giovanna Mezzogiorno) con il compito di realizzare un documentario-reportage sull'impresa. Fra avventure e incomprensioni, arriveranno naturalmente troppo tardi per il concerto, ma riusciranno almeno a "ritrovare sé stessi". Un film simpatico e minimalista ma anche fin troppo esile, con tutti i luoghi comuni del road movie: fra paesaggi rurali e caratteristici da cartolina (la pellicola è finanziata dalla Regione Basilicata, e si vede: a tratti sembra uno spot turistico della Lucania, di cui si intravedono scorci suggestivi come la "città fantasma" di Craco o il parco del Pollino) e parecchio product placement, si punta molto sulla caratterizzazione dei personaggi. Papaleo (che debutta nella regia) è l'insegnante di matematica senza ambizioni, che per una volta riesce a portare a termine un'iniziativa; Gassman è il divo televisivo la cui popolarità è ormai tramontata da un pezzo (tranne che a livello locale); Briguglia è il giovane tabaccaio che ha rinunciato agli studi di medicina per depressione e un senso di inadeguatezza; Gazzé (al suo esordio come attore) è il falegname introverso, diventato "muto per scelta" dopo una delusione amorosa; completa il quintetto la Mezzogiorno nei panni della figlia di un importante uomo politico che ha scelto una vita di secondo piano pur di non scendere a compromessi. Nel cast anche Claudia Potenza e Michela Andreozzi.

22 aprile 2013

Nella casa (François Ozon, 2012)

Nella casa (Dans la maison)
di François Ozon – Francia 2012
con Fabrice Luchini, Ernst Umhauer
***

Visto al cinema Apollo, con Sabrina.

German (Luchini), insegnante di lettere in un liceo parigino, rimane colpito dal tema di uno studente, Claude (Umhauer), che descrive la propria fascinazione verso la casa e la "famiglia normale" di un compagno di classe, Raphael, e i suoi tentativi di introdursi al suo interno e di conquistare l'amicizia tanto di Rapha quanto (soprattutto) dei suoi genitori. Il tema termina sul più bello, con la parola "continua", come se si trattasse di un romanzo a puntate. Riconoscendone il talento per la scrittura, ma anche incuriosito dalla vicenda, German incoraggia il ragazzo a proseguire il racconto, che si snoda in una serie di episodi sempre più avvincenti, tutti basati – come sostiene Claude – sulla realtà. Dopo "Angel", Ozon torna sul tema della scrittura e del rapporto fra realtà e immaginazione, innestando una vicenda che ricorda "Teorema" di Pasolini (un giovane estraneo che si introduce nella vita di una famiglia borghese, seducendone e affascinandone tutti i componenti) su un'infrastruttura che invece si rifà a "Le mille e una notte" (Claude è come Sheherazade che ammalia il sultano con i suoi racconti, distillandone le puntate e i colpi di scena pur di tener desta la sua attenzione), e riflette sul legame fra scrittore, lettore e personaggi (lo scrittore viola la privacy dei suoi protagonisti, ma in fondo il vero voyeur, colui per conto del quale lo fa, è il lettore). Ottima la prova degli interpreti: su tutti Luchini, ma ci sono anche Kristin Scott Thomas nei panni di sua moglie, trascurata e frustrata proprietaria di una galleria d'arte moderna, e soprattutto Emmanuelle Seigner in quelli di Esther, la madre di Rapha, "la donna più annoiata del mondo", appassionata di arredamento e prigioniera di una vita "normale" che la soddisfa ben poco; il giovane Umhauer, nei panni del mefistofelico e manipolatore Claude (ma a suo modo geloso della normalità della vita borghese del compagno, come capiremo nel finale), è praticamente al suo esordio in un ruolo importante.

21 aprile 2013

North Face - Una storia vera (P. Stölzl, 2008)

North Face - Una storia vera (Nordwand)
di Philipp Stölzl – Germania 2008
con Benno Fürmann, Florian Lukas
**

Visto in divx, con Sabrina.

La storia del tragico tentativo di scalata alla parente nord dell'Eiger, nel 1936, nel quale persero la vita due coppie rivali di alpinisti, gli austriaci Edi Rainer e Willy Angerer e i tedeschi Toni Kurz e Andreas Hinterstoisser (questi ultimi sono i due protagonisti del film). Se la caratterizzazione dei personaggi è appena abbozzata, la pellicola rende invece giustizia all'ambiente dell'epoca, con le pesanti influenze dell'apparato nazista che vedeva anche nella conquista sportiva – eravamo alla vigilia dell'Olimpiade di Berlino – uno degli strumenti per affermare la supremazia nazionale, nonché l'interesse sempre più in crescita del grande pubblico verso l'alpinismo, in questo caso pregustando l'eroica conquista dell'ultima grande vetta ancora inviolata dell'arco alpino, considerata "impossibile" da scalare (era già costata la vita ad altri rocciatori, e sarebbe stata conquistata solo due anni più tardi). Interessante, sotto questo aspetto, la sottotrama della giornalista Luise (Johanna Wokalek), innamorata di Toni, uno degli rocciatori, che ne segue trepidante l'ascensione dall'albergo ai piedi della montagna e tenta inutilmente di salvarlo (con l'aiuto delle guide bernesi) quando si rende conto che, per il peggioramento improvviso delle condizioni del tempo, ha poche speranze di tornare sano e salvo. Il contrasto fra le difficile situazione in cui si trovano gli arrampicatori (al freddo, senza cibo e riparo) e quelle più "agiate" di chi segue a distanza il loro tentativo (giornalisti, turisti e curiosi, al caldo e a brindare nell'albergo) è un'immagine che resta impressa, così come le differenze di valori: la solidarietà e il sacrificio degli alpinisti (con la decisione di interrompere la scalata per portare in salvo il compagno ferito) contro l'opportunismo e il cinismo degli osservatori (il giornalista che dichiara che una tragedia è più utile di una semplice ritirata). Ben realizzate, in ogni caso, le scene della scalata, grazie anche a una fotografia nitida e d'atmosfera, che ne ricostruiscono assai fedelmente la dinamica e mostrano tutte le difficoltà e le incertezze dei primi e coraggiosi tentativi di arrampicata, quando l'alpinismo non era un semplice sport ma una vera e propria lotta contro le forze della natura, una battaglia che metteva davvero a rischio la propria vita, fra equipaggiamenti inadeguati (se confrontati a quelli disponibili oggi), totale mancanza di vie già battute, e imprevedibile inclemenza delle condizioni climatiche.

18 aprile 2013

L'infernale Quinlan (Orson Welles, 1958)

L'infernale Quinlan (Touch of Evil)
di Orson Welles – USA 1958
con Charlton Heston, Orson Welles
****

Rivisto in DVD, in originale con sottotitoli, con Giovanni, Rachele, Paola, Marco, Eleonora, Ginevra, Florian e Sabine.

Una bomba fa esplodere l'auto di un ricco industriale, proprio sul confine fra Messico e Stati Uniti. A indagare è il detective americano Hank Quinlan (Orson Welles), con il collega messicano Mike Vargas (Charlton Heston) a fare da osservatore. I due non potrebbero essere più diversi: al primo interessa soltanto mandare in galera l'assassino, anche a costo di falsificare le prove, mentre per il secondo è fondamentale soprattutto rispettare la legge. Lo scontro fra i due poliziotti finisce per coinvolgere anche la moglie di Vargas, Susan (Janet Leigh), che viene sequestrata da Joe Grandi (Akim Tamiroff), capo della banda che Vargas sta mandando sotto processo in Messico... Da un mediocre romanzo giallo di Whit Masterson ("Badge of Evil": pare che Welles avesse chiesto ai produttori lo script peggiore che avessero a disposizione, in modo da dimostrare di essere in grado di trarre un bel film da qualsiasi materiale) un capolavoro del cinema noir, considerato da molti critici come il canto del cigno del genere ("l'epoca d'oro" del noir classico, in effetti, va dai primi anni quaranta ai tardi anni cinquanta). Ai tempi Welles era caduto in disgrazia presso i produttori hollywoodiani e da una decina di anni lavorava per lo più in Europa (sfornando, fra l'altro, capolavori come "Othello"): la possibilità di tornare alla regia (e alla sceneggiatura) gli venne data per insistenza dello stesso Charlton Heston (che qui interpreta il protagonista messicano, con un pesante trucco che sarà oggetto di ironia anche a distanza di anni, come in un celebre scambio di battute in "Ed Wood"). Welles ne approfittò per riunire molti tecnici (dall'operatore Russell Metty al truccatore Maurice Siederman) e attori (Akim Tamiroff, Joseph Cotten) con cui aveva collaborato in passato. Alcuni ruoli furono dati ad amici che venivano a trovarlo sul set (ed ecco spiegati i camei di Zsa Zsa Gabor e soprattutto di Marlene Dietrich, la cui parte – quella della chiromante Tanya – fu girata in un solo giorno ma crebbe a tal punto che è proprio lei a pronunciare la frase finale della pellicola, una sorta di epitaffio per Quinlan: "Era uno sporco poliziotto, ma a suo modo era un grand'uomo"). Joseph Calleia, amico di lunga data di Welles, interpreta Menzies, il fedele collega di Quinlan, mentre Dennis Weaver è il guardiano notturno, mentalmente disturbato, del motel in cui viene rinchiusa Susie (tutta la sequenza dell'albergo sembra anticipare "Psycho", che Alfred Hitchcock avrebbe girato solo due anni dopo, guarda caso sempre con Janet Leigh come protagonista femminile). A riprese terminate, però, i produttori rimontarono il materiale già girato da Welles, eliminarono alcune scene o le sostituirono con altre fatte dirigere da Harry Keller, nell'intento di rendere più chiari alcuni passaggi della trama. Quando vide il risultato, il regista scrisse un celebre "appunto" di 58 pagine su come migliorare il montaggio finale. Non tutti i suoi suggerimenti vennero accolti, e il film uscì (pubblicizzato come un B-movie) nella versione voluta dallo studio. Nel 1978 la pellicola venne rieditata in una versione più lunga, ma solo nel 1998 uscì finalmente la cosiddetta "director's cut" che accoglieva gran parte dei suggerimenti di Welles (non tutte le scene da lui girate poterono però essere recuperate): fra questi, l'eliminazione dei titoli di testa, la presenza dei rumori ambientali nella sequenza iniziale e il montaggio parallelo delle vicende di Vargas e Susie.

Il film si apre con quello che è probabilmente il piano sequenza più celebre e citato di tutta la storia del cinema. Comincia con la ripresa ravvicinata di una bomba, tenuta in mano da un misterioso individuo che la innesca e poi la colloca in un'automobile, appena prima che un uomo e una giovane donna bionda salgano a bordo (da notare anche la corsa del misterioso attentatore, di cui si vede solo l'ombra proiettata su un muro). L'auto con la bomba si dirige verso la barriera doganale, per entrare negli Stati Uniti: lungo il suo tragitto si ferma più volte, per far passare il traffico o i pedoni, fra i quali ci sono anche Vargas e Susie, freschi sposini. La macchina da presa sale in cielo per oltrepassare un palazzo, si aggira rasoterra fra la folla e il traffico, si muove in orizzontale e in verticale con grande maestria. E nel frattempo la tensione sale, perché noi spettatori sappiamo che l'esplosione avverrà da un momento all'altro: anche la bionda sull'auto ne avverte l'imminenza ("Ho un ticchettio nella testa"), ma lo scoppio si verificherà solo quando la vettura avrà passato la frontiera, e in corrispondenza con il bacio fra Vargas e Susie. Menzionato e omaggiato in numerose pellicole (da "I protagonisti" di Robert Altman a "Boogie Nights" di Paul T. Anderson, da "Il fantasma del palcoscenico" di Brian De Palma a "Breaking News" di Johnnie To), questo sfoggio di abilità registica non è affatto fine a sé stesso, visto che mette in moto la vicenda e contemporaneamente presenta i personaggi principali, ed è graziato dalla colonna sonora di Henry Mancini, il cui ritmo richiama proprio il ticchettio della bomba. Ma il resto del film non è da meno, e alterna momenti sublimi (i duetti con la Dietrich, sempre ripresa in primissimo piano) ad altri forse imperfetti (la sottotrama di Susie nel motel si trascina francamente un po' a lungo). Il suo cuore, naturalmente, più che il protagonista Vargas è il personaggio di Hank Quinlan (d'altronde, da sempre nei noir i veri protagonisti sono i cattivi e i perdenti): laido e corrotto capitano di polizia, grasso a dismisura, provato nel fisico e nell'animo, ossessionato dal passato (la moglie fu assassinata e lui non riuscì a far condannare l'omicida), ex alcolizzato e ora goloso di dolci, razzista (non si contano le frecciate contro i messicani), costretto dalla zoppia a camminare con un bastone, interpretato da un Welles che anche nella vita reale cominciava a essere fortemente sovrappeso e a soffrire problemi di salute (qui, comunque, è spesso inquadrato dal basso per accentuare il girovita, o da vicino per metterne in risalto il sudore e lo sporco). Al contrario di Vargas, Quinlan non ha alcun rispetto per la legge; e anziché alla deduzione, nelle indagini si affida solo alle sue "intuizioni", che si rivelano peraltro infallibili: anche se le prove che utilizza per incastrare gli assassini sono false, riesce sempre e comunque a individuare il vero colpevole. In questo modo la lotta fra i due si innalza rispetto al "semplice" scontro fra una canaglia e un idealista: diventa una battaglia fra giustizia e legalità, dove in fondo ciascuno dei due contendenti ha le sue ragioni, e il male si confonde con il bene. Anche lo scenario di frontiera in cui Vargas e Quinlan si aggirano è altrettanto confuso e ambiguo: si tratta di un mondo caotico e abitato da criminali, spogliarelliste, chiromanti, bande di drogati, che vivono fra topaie, discariche di rifiuti e alberghi equivoci, mirabilmente reso dalla fotografia in bianco e nero che accentua le ombre e le ruvidità, e da una regia barocca, stilizzata ed espressionista che ricorre spesso a inquadrature sghembe o dal basso, a sottolineare come anche l'azione non sia mai lineare. Proprio l'ambientazione "di confine" si rispecchia nei rapporti fra i personaggi: siamo in una sorta di "terra di nessuno" fra due paesi così vicini e legati fra loro, eppure così diversi e ostili l'uno con l'altro, che a volte riescono ad amarsi (Vargas e Susie) e a volte si scontrano irrimediabilmente (Vargas e Quinlan).

14 aprile 2013

20th Century Boys 3 (Yukihiko Tsutsumi, 2009)

20th Century Boys: la nostra bandiera (20-seiki shonen: saishu-shi - Bokura no hata)
di Yukihiko Tsutsumi – Giappone 2009
con Toshiaki Karasawa, Etsushi Toyokawa
**

Visto in divx, in originale con sottotitoli, con Sabrina.

Il capitolo conclusivo della saga tratta dal manga di Naoki Urasawa si svolge nel 2017, ovvero nel "terzo anno dell'era dell'Amico", e vede finalmente il ritorno di Kenji, di cui si erano perse le tracce alla fine del primo film. Con l'aiuto degli amici di un tempo, o almeno di quelli sopravvissuti fino ad ora, si introduce in una Tokyo post-apocalittica, isolata dal resto del mondo e ultra-militarizzata, per affrontare l'Amico, il misterioso individuo che sta progettando lo sterminio dell'intera umanità ispirandosi ai suoi ricordi e ai giochi di quando era bambino. Nella speranza di sorprendere, almeno in parte, anche i lettori del fumetto, l'adattamento cinematografico ha modificato alcuni punti chiave della vicenda: fino all'ultimo si rimane incerti sull'identità del cattivo (sarà la stessa che nel manga oppure no?), e questo rende il terzo capitolo almeno un po' più godibile dei precedenti, oltre che più compatto e meno dispersivo (è stata eliminata del tutto la sottotrama del "secondo Amico", che offriva spunti interesssanti ma complicava forse eccessivamente una vicenda già intricata di suo). C'è anche da dire che gli ultimi volumi del fumetto (questo terzo film copre gli albi dal 16 al 24) soffrivano per il "trascinarsi" troppo a lungo della trama, e da questo punto di vista la pellicola riesce almeno in parte a porre rimedio a uno dei pochi difetti dell'opera di Urasawa. Anche per questo, mi sento di reputarla come la migliore delle tre. In ogni caso la conclusione lascia alcuni spunti irrisolti (non assistiamo all'incontro fra Kanna e sua madre, per esempio) e non rende giustizia a molti personaggi (uno su tutti, Sadakiyo, uno dei character più interessanti del manga, qui praticamente assente). Nel complesso, a trilogia terminata, permane una certa delusione, e non solo (come era avvenuto nel caso di "Watchmen") perché il materiale di partenza era di qualità tale che ogni adattamento men che buono sarebbe parso inadeguato. Nonostante l'elevato budget a disposizione (si parla di 6 miliardi di yen, una cifra notevolissima per il cinema giapponese, che di solito non produce blockbuster), non si sfugge dall'impressione di aver assistito a un prodotto di serie B dal punto di vista cinematografico. Forse una serie televisiva sarebbe stato lo sbocco ideale per un adattamento di questo manga, permettendo di dosare meglio ritmo e narrazione (e rendendo più accettabili regia, recitazione ed effetti speciali non eccelsi). Da salvare sicuramente la colonna sonora, che oltre alla title song (il classico dei T-Rex) può contare sulla bella canzone acustica di Kenji, "Bob Lennon", che in questo ultimo capitolo è possibile sentire in più versioni e ha pure un ruolo importante nella storia.

13 aprile 2013

20th Century Boys 2 (Yukihiko Tsutsumi, 2009)

20th Century Boys: l'ultima speranza (20-seiki shonen: dai 2 sho - Saigo no kibo)
di Yukihiko Tsutsumi – Giappone 2009
con Airi Taira, Etsushi Toyokawa
*1/2

Visto in divx, in originale con sottotitoli, con Sabrina.

Le vicende del secondo film della trilogia si svolgono principalmente nel 2015 e vedono come protagonista Kanna, la nipote di Kenji, ormai cresciuta. Dopo il "capodanno di sangue" del 2000, le cui responsabilità sono state fatte ricadere su Kenji e i suoi amici (additati come terroristi e ora morti o dispersi), l'Amico è diventato il personaggio più importante e carismatico del paese. Ma Kanna lotta per ristabilire la verità, mentre i piani del cattivo prevedono addirittura la sua trasformazione in una figura divina. Il film ha gli stessi difetti del primo capitolo, con vicende che si affastellano troppo rapidamente (impedendo di approfondire diverse tematiche o anche semplicemente di far "montare" l'attesa e la tensione) e personaggi introdotti e "spesi" prima che lo spettatore possa cementare un legame empatico con loro, in positivo o in negativo (per esempio Sadakiyo o Yamane). Si cominciano a notare però diverse modifiche rispetto al manga originale, forse perché la pellicola copre un numero maggiore di volumi (dal 6 al 15) e dunque, dovendo condensare più eventi, si è scelto di operare qualche taglio e qualche cambiamento: non c'è, per esempio, la rivelazione della "prima" identità dell'amico (chi ha letto il manga sa di cosa parlo), ed è molto ridimensionata tutta la parentesi della realtà virtuale che riproduce il periodo (1969-1971) in cui i protagonisti erano bambini, uno degli elementi di maggior fascino della storia di Urasawa, così incentrata sulla nostalgia e il rimpianto per l'età infantile. Continuo a trovare ottimo il casting: peccato che la recitazione, tranne che in alcuni casi, lasci abbastanza a desiderare.

11 aprile 2013

20th Century Boys 1 (Yukihiko Tsutsumi, 2008)

20th Century Boys: l'inizio della fine (20-seiki shonen: honkaku kagaku boken eiga)
di Yukihiko Tsutsumi – Giappone 2008
con Toshiaki Karasawa, Takako Tokiwa
*1/2

Visto in divx, in originale con sottotitoli, con Sabrina.

Nel 1969, quando erano bambini, Kenji e alcuni amici della scuola elementare si inventarono per gioco una storia in cui un'organizzazione malvagia avrebbe cercato di conquistare il mondo. Nel 1997, da adulti, scoprono che il misterioso guru di una setta (chiamato "l'Amico" e dal volto mascherato), sta mettendo in atto proprio quei piani che loro avevano immaginato, e si fregia del simbolo ideato a quei tempi. Che si tratti di uno dei loro compagni di gioco? Dal bellissimo fumetto di Naoki Urasawa, un adattamento cinematografico in tre parti (questo primo film "copre" i primi cinque volumi del manga) che, pur vantando una notevole fedeltà al materiale di partenza, non gli rende certo giustizia. Regia e attori sono da prodotto televisivo, e anche se il lavoro di casting non è per nulla da disprezzare (quasi tutti gli interpreti assomigliano parecchio alle loro controparti disegnate), come qualità complessiva sembra di assistere a un telefilm, anzi al riassunto condensato di qualche decina di puntate di un telefilm! A livello di trasposizione non si è voluto rinunciare quasi a nulla dell'intricatissimo plot, e dunque episodi ed eventi sono tutti fatalmente compressi: per chi non abbia già letto il fumetto, è facile perdersi nella miriade di personaggi, di accadimenti, di piccoli dettagli (nessuno dei quali è insignificante: si tratta di un vero puzzle di indizi, flashback e rivelazioni che si incastrano fra di loro), al punto che molti colpi di scena risultano anticlimatici e tanti particolari rischiano di andare perduti o sottovalutati nel marasma di informazioni fornite. Con il manga era possibile fermarsi, tornare indietro a rileggere una pagina, procedere con il ritmo che si desiderava e "assorbire" così ogni dettaglio prima di procedere al capitolo successivo. Qui invece, con gli episodi che si succedono senza pausa, manca persino il tempo di caratterizzare in maniera soddisfacente i tanti personaggi principali, figuriamoci quelli secondari. Peccato, perché gli spunti offerti dalla trama sono parecchi e non certo banali: l'alternanza fra i ricordi d'infanzia, ammantati di nostalgia ma anche offuscati dal tempo, e la triste quotidianità del presente; il giocare con i cliché dei manga stessi (pistole laser, robot giganti, organizzazioni criminali) che, quando diventano realtà, rivelano tutta la loro natura fasulla e artificiale; la grande umanità dei tanti personaggi (a partire proprio da Kenji, rocker mancato che ha dovuto mettere da parte sogni e ambizioni per lavorare nel negozio di famiglia e badare a Kanna, la figlia della sorella fuggita misteriosamente di casa) che si ritrovano a "fare gli eroi" in un mondo che rifiuta l'eroismo e favorisce invece l'arrivismo (la setta dell'Amico si ricicla in un partito politico, e vince pure le elezioni!); il senso e il valore dell'amicizia e della stessa parola "amico"; il tutto innestato in un thriller ad alta tensione, visto che sulla possibile identità dell'Amico si specula a più riprese (il mistero, naturalmente, non si risolverà che nell'ultimo episodio). Da notare che manca la scena iconica dei personaggi che vengono ricevuti e premiati alle Nazioni Unite, mentre vengono anticipate alcune sequenze ambientate nel 2015 (diminuendo di fatto la tensione durante l'attacco del robot nel capodanno del 2000: sappiamo già che il mondo non finirà). Il titolo dell'opera proviene dalla canzone rock "20th Century Boy" dei T-Rex.

9 aprile 2013

Il responsabile delle risorse umane (Eran Riklis, 2010)

Il responsabile delle risorse umane (The Human Resources Manager)
di Eran Riklis – Israele 2010
con Mark Ivanir, Noah Silver
**

Visto in divx, con Giovanni, Eleonora, Alex e Sabrina.

Una giovane immigrata rumena, che lavorava come operaia in un grande panificio industriale di Gerusalemme, perde la vita in un attentato terroristico. Accusato da un giornalista di non avere a cura le sorti dei propri lavoratori, e nel tentativo di evitare un danno alle publiche relazioni del panificio, il responsabile delle risorse umane dell'azienda accetta di accompagnare la salma fino in patria e di assicurarsi che abbia un degno funerale. Le cose si complicano quando il figlio della donna, un giovane sbandato, pretenderà che il funerale si svolga nello sperduto villaggio di montagna dove vive la nonna, a mille chilometri dalla capitale. Tratto dall'omonimo romanzo di Abraham B. Yehoshua, e diretto dal regista de "La sposa siriana" e "Il giardino di limoni", un film che non mantiene appieno tutte le promesse. Dopo una prima parte incoraggiante, quella ambientata in Israele, con la presentazione dell'interessante protagonista (senza nome, come praticamente tutti i personaggi della pellicola tranne curiosamente la donna morta), delle indagini sull'operaia scomparsa, dei suoi conflitti di coscienza e dei suoi stessi problemi familiari, una volta trasferitisi in Romania il film si trasforma in un road movie surreale come tanti, fra scenari desolati e personaggi eccentrici (vengono alla mente "Ogni cosa è illuminata" e "Silent souls"), con il gruppo che attraversa il paese trasportando la bara prima su un vecchio furgone e poi su un mezzo corazzato, fino allo sperduto villaggio di contadini dove il corpo dovrebbe essere sepolto. Mancano però incisività e un vero motivo d'interesse, e i semi piantati nella prima metà del film non germogliano mai (l'unico spunto nuovo è quello del rapporto del protagonista con il ragazzo ribelle, il cui sviluppo è in ogni caso prevedibile).

7 aprile 2013

Last Action Hero (John McTiernan, 1993)

Last Action Hero - L'ultimo grande eroe (Last Action Hero)
di John McTiernan – USA 1993
con Arnold Schwarzenegger, Austin O'Brien
***1/2

Rivisto in DVD, con Sabrina.

Il dodicenne Danny è un grande appassionato di film d'azione e in particolare della serie di "Jack Slater", con protagonista Arnold Schwarzenegger. Invitato dall'anziano proiezionista Nick ad assistere in anteprima al nuovo "Jack Slater IV", grazie a un biglietto magico (donato anni prima a Nick dal mago Houdini) il bimbo si ritrova "risucchiato" all'interno del film, in grado di interagire con il suo eroe e con la trama. Le cose si complicheranno quando, per mezzo dello stesso biglietto, il "cattivo" del film fuggirà nel mondo reale (un luogo dove "anche i cattivi possono vincere"), costringendo Danny e Jack Slater a seguirlo. Geniale parodia metacinematografica del genere degli action movie, che gioca a prendere in giro proprio quelle pellicole su cui Schwarzy, il regista John McTiernan e lo sceneggiatore Shane Black hanno costruito la loro fama: a essere particolarmente presi di mira, per esempio, sono film come "Die Hard" o "Arma letale". Nonostante le molte trovate geniali, fu un clamoroso flop al box office e ottenne anche scarso successo di critica, cosa che ho sempre trovato ingiusta, come se gli spettatori e i critici non avessero compreso fino in fondo l'autoironia della pellicola e si siano dimostrati incapaci di distinguere l'originale dalla parodia (anche perché in fondo, a parte le esagerazioni, il "film nel film" non è poi così diverso dalle tante pellicole fracassone uscite veramente al cinema in quegli anni: si pensi alle "battutacce" e ai numerosi cliche, per esempio nelle scene degli inseguimenti, dove ogni automobile che esce di strada esplode regolarmente, e l'immancabile musica di Michael Kamen – che proviene diegeticamente dallo stereo portatile dello stesso Slater – fa il verso a sé stessa: che differenza con le scene ambientate nello "squallido" e cupo mondo reale, dove piove sempre e non tutte le donne sono supermodelle!). O forse era stata sovrastimata la cultura cinefila richiesta, che spazia da "Amadeus" (di fronte a F. Murray Abraham, Danny mette in guardia Jack: "Ha ucciso Mozart!") a Bergman (la morte de "Il settimo sigillo", che esce dalla proiezione nel finale, è interpretata da Ian McKellen), da Laurence Olivier (impagabile il suo "Amleto" rifatto da Schwarzenegger – "Essere o non essere? Non essere!" – e presentato, nella classe di Danny, da Joan Plowright, che di Olivier fu la terza moglie) a Humphrey Bogart (che compare in versione "rimasterizzata"!). Per non parlare dei riferimenti al mondo dei cartoni animati (dalla ditta ACME, che produce dinamite e altri aggeggi, al "gatto animato" che interagisce con gli esseri umani come in "Chi ha incastrato Roger Rabbit": ma tutte le scene d'azione sono così ricche di improbabili capitomboli da ricordare più un cartoon che un film dal vivo). In più, l'elemento fantastico è parente di quello dei film di Frank Capra o Renè Clair (il vecchio proiezionista ricorda l'anziano giornalista di "Avvenne domani", il riferimento a Houdini è un rimando agli anni venti e trenta). Le strizzatine d'occhio sono veramente tantissime: da Sylvester Stallone che – nel mondo di Slater, dove Schwarzy non esiste – è il protagonista di "Terminator", ai riferimenti ad "E.T." (Danny che vola in bici), dai camei nel film (Sharon Stone, Robert "T-1000" Patrick) e nella "realtà" (James Belushi, MC Hammer, Damon Wayans, Chevy Chase, Timothy Dalton, Jean-Claude Van Damme) alle gag con il "vero" Schwarzenegger e la moglie Maria Shriver che lo rimprovera di fare troppa pubblicità alle sue catene di ristoranti. Nell'occasione Schwarzy prende ripetutamente in giro sé stesso (come quando utilizza a sproposito la sua celebre battuta "I'll be back"; ma proprio questo film genera una nuova catch-phrase ad effetto: "Madornale errore!"). Fra le trovate indimenticabili, il malvagio Benedict (Charles Dance) con i suoi occhi di vetro intercambiabili e la scena dei cani ("Attento! Sono addestrati"). Nel ricco cast, anche Anthony Quinn (il mafioso Tony Vivaldi), Tom Noonan (lo Squartatore), Mercedes Ruehl (la madre di Danny) e Bridgette Wilson (la figlia di Slater).

6 aprile 2013

Letto a tre piazze (Steno, 1960)

Letto a tre piazze
di Steno – Italia 1960
con Totò, Peppino De Filippo
**

Visto in TV, con Sabrina.

Nel giorno dell'anniversario del loro matrimonio, Amalia (Nadia Gray) e Giuseppe (Peppino) scoprono che il precedente marito di lei, Antonio (Totò), presunto morto da vent'anni e dato per disperso durante la campagna di Russia, è ancora vivo e ha fatto ritorno a casa. Mentre i due uomini si scontrano a più riprese per stabilire chi sia il legittimo consorte della signora (che a sua volta cerca di fare chiarezza nel proprio cuore), nella dimora si instaura un insolito "ménage à trois" che provoca guai a non finire, anche perché i due mariti non perdono occasione per screditarsi a vicenda. Classica commedia costruita su un bizzarro spunto di partenza e poi affidata in via esclusiva, e col pilota automatico, alla verve della coppia comica Totò/Peppino. Si ha quasi l'impressione che gli sceneggiatori (fra i quali Lucio Fulci, che in un primo momento avrebbe anche dovuto dirigere la pellicola) non sappiano come portare avanti la storia, che si snoda attraverso gli esilaranti e svariati duetti dei due contendenti, negli ambienti più disparati (la scuola femminile dove Peppino insegna lettere, la località di montagna – ricostruita in studio – dove il trio si trasferisce per cambiare aria, il locale notturno dove si esibisce la soubrette/escort Angela Luce). Memorabile il Totò reduce, che dorme vestito e con il ritratto di Stalin appeso sopra il letto perché "in Russia facciamo tutti così, sono abituato, sennò non mi addormento". Cristina Gajoni è Prassede, la giovane cameriera con il fidanzato geloso.