27 ottobre 2006

Il massacro di Fort Apache (John Ford, 1948)

Il massacro di Fort Apache (Fort Apache)
di John Ford – USA 1948
con John Wayne, Henry Fonda
***

Visto in DVD.

Un classico di Ford che presenta – in versione romanzata – uno degli episodi più celebri delle guerre contro gli indiani, la battaglia con gli Apache di Cochise e Geronimo. Se John Wayne interpreta un capitano di cavalleria che conosce molto bene i "selvaggi" e desidera instaurare con loro una trattativa di pace, il vero protagonista del film (pur se in negativo) è Henry Fonda nei panni del colonnello appena assegnato al forte, un uomo orgoglioso e ambizioso che disprezza gli indiani ed è convinto di poterli sconfiggere facilmente per coprirsi di gloria e farsi così assegnare a incarichi più prestigiosi. Ma non otterrà altro che la sconfitta e il massacro dei propri soldati in un finale amaro e tutt'altro che glorioso, privo del consueto "arrivano i nostri", con Cochise e i suoi guerrieri che svaniscono lentamente, vittoriosi, fra le nuvole di polvere. Comincerà una nuova era di guerra, che coinvolgerà anche i "pacifisti" come Wayne e che vedrà il colonnello ricordato come un eroe. Per una volta, anche se lo sguardo di Ford è naturalmente tutto puntato sui bianchi, la consueta divisione in buoni e cattivi è tutt'altro che marcata e c'è una discreta sensibilità verso i pellerossa. Del film mi sono piaciute le consuete caratteristiche dei western fordiani. Oltre alla maestria tecnica (e agli stupendi paesaggi della Monument Valley, corredati da altrettanto stupende nuvole che nel bianco e nero risaltano ancora di più) c'è la coralità della vicenda, che segue i numerosi personaggi durante la loro quotidiana vita al forte: il giovane tenente appena giunto dall'accademia, il suo amore con la figlia del colonnello (Shirley Temple!), i rudi sergenti cui sono affidati i momenti più comici della storia, le reclute da addestrare, il vecchio dottore, l'infido agente del governo, il tragico ex comandante del forte che morirà alla vigilia del suo trasferimento, le mogli rimaste ad attendere durante la battaglia, la cameriera messicana, ecc. ecc.). Per oltre un'ora, all'inizio, non si parla poi né di guerre né di massacri: al forte è tempo di risate, di danze e di balli, di corteggiamenti e di battibecchi, in un misto di leggerezza e dramma davvero indimenticabile. Molti personaggi e situazioni mi hanno ricordato alcuni episodi di Tex: non c'è dubbio che questo tipo di film ne abbia costituito una grande fonte di ispirazione.

26 ottobre 2006

Pinocchio (B. Sharpsteen, H. Luske, 1940)

Pinocchio (id.)
di Ben Sharpsteen, Hamilton Luske – USA 1940
animazione tradizionale
***1/2

Rivisto in DVD, con la mia nipotina Elena (quasi quattro anni).

Il secondo lungometraggio Disney dopo "Biancaneve" è tuttora uno dei migliori classici di animazione della casa di Burbank. Stupenda soprattutto la prima parte, con la magnifica sequenza nella casa di Geppetto (ben 35 minuti), fra orologi a cucù di ogni tipo, un'atmosfera da villaggio alpino (sembra di essere in Svizzera, in Tirolo o in Baviera, non certo nella Toscana di Collodi!), il grillo parlante che introduce lo spettatore alla storia, i battibecchi fra il gatto Figaro e la pesciolina Cleo, l'arrivo della fata azzurra (unico personaggio in rotoscope). L'animazione è calda, fluida e convincente. Gradevole anche la colonna sonora: non a caso il tema di When you wish upon a star è diventato il motivo musicale per eccellenza della Disney, presente tuttora nel suo logo introduttivo. La trama non è fedelissima al racconto di Collodi (gli elementi moralistici e pedagogici sono annaquati da un taglio più avventuroso e simpatico; Pinocchio stesso, più che bugiardo e indisciplinato, è fondamentalmente buono e ingenuo, vittima innocente dei raggiri del Gatto e della Volpe), ma ne conserva gli elementi principali (il naso che si allunga è presente in una sola occasione e non ha grande importanza nell'economia della vicenda, per esempio). Certo che a rivederlo oggi, alcuni passaggi del film fanno scalpore: i bimbi che fumano, per esempio, o il fatto che i "cattivi" rimangano impuniti o che nessuno salvi Lucignolo e gli altri bambini dal loro crudele destino (d'altronde era così anche nel romanzo di Collodi). È strano che gli americani non ne abbiano ancora fatto una versione politically correct (a differenza di "Fantasia", dal quale sono state epurate le scene con le centaurine "di colore"), anche se prima o poi arriverà l'inevitabile adattamento in live action. La parte finale, quella con la balena, è forse meno bella di tutto il resto, ma nel complesso il film rimane un grande classico degno del primissimo periodo dell'era Disney, quello dei cinque capolavori in cinque anni (1937-1942). Oltre a Sharpsteen e Luske, hanno diretto alcune sequenze anche Bill Roberts, Norman Ferguson, Jack Kinney, Wilfred Jackson e T. Hee.

18 ottobre 2006

L'alba dei morti dementi (E. Wright, 2004)

L'alba dei morti dementi (Shaun of the dead)
di Edgar Wright – Gran Bretagna 2004
con Simon Pegg, Kate Ashfield, Nick Frost
***

Rivisto in DVD, con Valeria e Martin.

Il genere zombi alla Romero mi piace molto, e questa parodia ne fonde perfettamente i tratti caratteristici con quelli dell'umorismo britannico e della commedia sentimentale. La prima parte, nella quale il protagonista non si rende conto dell'invasione in atto perché troppo preso dai suoi problemi quotidiani, è davvero esilarante. La regia non perde occasione per sottolineare paralleli ironici fra l'apatia degli zombi e quella dei "normali" esseri umani, con un'ironia tipicamente british che è anche una sorta di satira sociale. Persino i classici momenti costruiti per far sussultare gli spettatori, con la comparsa improvvisa di una possibile minaccia proveniente da fuori campo, sono sempre associati a situazioni del tutto innocue. La seconda parte si dipana invece più sullo stile di un classico zombie movie, con i protagonisti asserragliati in un luogo chiuso (ovviamente un pub!) e alle prese con orde di mostri, anche se non mancano gag e battute più o meno irriverenti, fino al finale risolutivo. Chi ama i classici di Romero non potrà non restarne affascinato, anche se il lungometraggio brilla comunque di luce propria, con situazioni spassose e personaggi tremendamente inglesi, oltre che diverse citazioni a film, serial e videogiochi, e una contagiosa energia di fondo. Nel cast, diversi attori e comici britannici, soprattutto televisivi (fra gli altri: Dylan Moran, Martin Freeman, Tamsin Greig, Julia Deakin). Il successo del film ha lanciato le carriere del regista Edgar Wright (praticamente esordiente al cinema: un suo precedente lavoro, l'amatoriale "A fistful of fingers", non è mai stato distribuito commercialmente) e del protagonista Simon Pegg (entrambi co-sceneggiatori), che in precedenza avevano lavorato insieme nella sitcom televisiva "Spaced" e che in seguito torneranno a collaborare in altre pellicole comico-parodistiche ("Hot Fuzz" e "La fine del mondo", che con questa, pur non avendo personaggi in comune, formano un'ideale trilogia "ai tre gusti del Cornetto").

17 ottobre 2006

Prima del calcio di rigore (W. Wenders, 1971)

Prima del calcio di rigore (Die Angst des Tormanns beim Elfmeter)
di Wim Wenders – Germania 1971
con Arthur Brauss, Kai Fischer
**1/2

Visto in VHS con Martin, in originale con sottotitoli.

Abbiamo finalmente recuperato una copia del primo film di Wenders (in realtà il secondo: esiste un lungometraggio precedente, "Summer in the City", mai distribuito), che al momento non è ancora uscito in DVD. Quando lo avevo visto per la prima volta, anni fa, non mi era piaciuto molto e lo avevo trovato inconcludente e confuso. Adesso invece, dopo aver già "macinato" tante altre pellicole di Wenders, l'ho apprezzato di più perché vi ho ritrovato molti dei temi presenti nelle sue opere successive: l'ossessione per gli Stati Uniti (i personaggi ascoltano canzoni americane, parlano di viaggi in America, hanno monete e banconote statunitensi mescolate a quelle austriache), l'ambientazione di confine (qui, credo, fra Austria e Germania), il girovagare senza meta di un personaggio irrequieto, l'alienazione, i bar e i juke-box. È proprio vero che i registi bravi più li si conosce e più li si apprezza. Il titolo originale completo recita "La paura del portiere prima del calcio di rigore" (al di là della metafora, il protagonista è in effetti un portiere di calcio. Dopo che è stato espulso in una partita, lo vediamo viaggiare per l'Austria, commettere un misterioso e inspiegabile omicidio e poi cercare di riallacciare i contatti con un'amica del passato). Il film è tratto da un romanzo di Peter Handke, che ha collaborato con Wenders alla sceneggiatura.

16 ottobre 2006

Memorie di una geisha (Rob Marshall, 2005)

Memorie di una geisha (Memoirs of a Geisha)
di Rob Marshall – USA 2005
con Zhang Ziyi, Michelle Yeoh, Gong Li
**1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Ancora bambina, la giovane Chiyo (Zhang Ziyi) viene venduta dalla famiglia a una casa di geishe di Kyoto. Tormentata dalla veterana Hatsumomo (Gong Li), ma protetta dalla sua rivale Mameha (Michelle Yeoh), dopo anni di sofferenze e sacrifici diventerà una delle geishe più celebri del paese con il nome di Sayuri. Mi ero accinto a vedere questo film con molti pregiudizi, convinto che si trattasse di un polpettone barocco e pesante, dal gusto americano e lontano dalla sensibilità giapponese nonostante il tema fosse uno di quelli più legati alla cultura nipponica: la figura della geisha, intrattenitrice ed artista che in occidente viene spesso scambiata con una prostituta. Ma se in effetti la prima parte – quella con la protagonista ancora bambina – è un po' stucchevole, e il finale sembra quasi posticcio (mi chiedo se fosse uguale nel libro di Arthur Golden da cui il film è tratto), la parte centrale non mi è dispiaciuta. Grazie anche a tre protagoniste di ottima levatura (due delle quali, la superba Gong Li e l'elegante Michelle Yeoh, sono fra le mie attrici preferite), la "rivalità" fra le due geishe esperte che coinvolge la giovane maiko diventa il vero cuore del film, mentre la descrizione di un mondo e di riti e costumi che dopo la guerra iniziano a scomparire forse troppo in fretta è efficace solo a tratti e non aiuta a capire se ci si trova di fronte a un rimpianto genuino o meno. Colpa della sceneggiatura, che semplifica eccessivamente i sentimenti e le emozioni dei personaggi, e di una regia manieristica che punta troppo sulla fotografia. Per comprendere davvero il mondo delle geishe c'è sicuramente di meglio, per esempio uno dei tanti film di Mizoguchi sull'argomento. Una nota sulle attrici: quando il film è uscito c'è stata una certa polemica sul fatto che le tre protagoniste non fossero giapponesi ma cinesi. Spielberg e gli altri produttori hanno probabilmente preferito affidarsi a nomi già noti in occidente, anche perché raramente i nipponici hanno una buona padronanza dell'inglese. Nel cast, comunque, ci sono anche Ken Watanabe, Koji Yakusho e Kaori Momoi.

14 ottobre 2006

Lola corre (Tom Tykwer, 1998)

Lola corre (Lola rennt)
di Tom Tykwer – Germania 1998
con Franka Potente, Moritz Bleibtreu
***

Rivisto in DVD, con Michele.

Fantasioso e videoclipparo, il film che ha fatto conoscere Tykwer è un energico e movimentato viaggio nel mondo del caso e delle coincidenze, ispirato probabilmente a Tarantino per i personaggi e la struttura temporale ma anche e soprattutto a pellicole "a bivi" come "Destino cieco", "Sliding Doors" o "Smoking/No Smoking": la vicenda viene infatti ripetuta tre volte, ogni volta con lievi modifiche che portano a un risultato del tutto differente. La trama, in sé, è molto semplice: Lola, una giovane ragazza, ha solo venti minuti di tempo per trovare 100.000 marchi prima che il suo balordo fidanzato, che li doveva consegnare a un gangster e li ha dimenticati sulla metropolitana, compia una rapina per disperazione. Tykwer ricorre a ogni espediente tecnico per raggiungere un risultato finale molto estetizzante: la musica, ritmica e ossessiva come il ticchettio di un orologio; i disegni animati, realizzati da Gil Alkabetz (di cui, anni fa, avevo visto ed apprezzato ad Annecy un divertente cortometraggio chiamato "Rubicon"); gli improvvisi squarci nel futuro delle persone che Lola incrocia durante la sua forsennata corsa; l'uso rapido e conciso dei flashback; i cambi di inquadrature e di prospettive nel mostrare sequenze apparentemente ininfluenti (come l'attraversamento di una piazza dalla pavimentazione geometrica). C'è anche il sospetto, a dire il vero, che alcuni elementi del film siano stati inseriti in maniera un po' gratuita e velleitaria (i discorsi filosofici introduttivi, per esempio, che vogliono dire tutto e nulla), ma la pellicola si lascia ricordare anche per i due bravi attori e per le immagini della Potente (nomen omen) che corre con la capigliatura rosso fuoco al vento.

11 ottobre 2006

Chicken Little (M. Dindal, 2005)

Chicken Little – Amici per le penne (Chicken Little)
di Mark Dindal – USA 2005
animazione digitale
*1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Già nel 1943 la Disney aveva realizzato un cortometraggio sulla favola di Chicken Little, un pulcino dotato di troppa immaginazione che metteva in subbuglio l'intero pollaio perché convinto che il cielo gli stesse cadendo sulla testa. Nel tentativo di affrancarsi dalla Pixar, per il suo primo film in CGI ("Dinosaur" a parte) la casa di Burbank ha ripescato il vecchio personaggio, modificandolo però profondamente e rivoluzionandone la morale di fondo. Se nella vecchia versione Chicken Little si sbagliava (era stato soltanto colpito da una ghianda), adesso ha ragione e diventa un eroe: il cielo che cade fa infatti parte di un'astronave di alieni che metteranno in pericolo la sua città natale, una metropoli abitata da buffi animali antropomorfi (ci sono persino pesci che vanno in giro con lo scafandro, come i mostri Dappya di Lamù!). A questo si aggiungono i temi triti e ritriti del rapporto con il padre, della ricerca della vittoria e della sicurezza in sé stessi. Graficamente il film non è affatto male: peccato però che le battute non facciano ridere, che le situazioni siano scontate e che i personaggi siano tutt'altro che memorabili. Numerosissime le citazioni da altri film, a volte solo accennate (Truman Show) e a volte esplicitamente dichiarate (Il re leone, Indiana Jones, La guerra dei mondi).

9 ottobre 2006

Mancia competente (E. Lubitsch, 1932)

Mancia competente (Trouble in Paradise)
di Ernst Lubitsch – USA 1932
con Herbert Marshall, Miriam Hopkins, Kay Francis
***1/2

Rivisto in DVD alla Fogona.

Approfittando del DVD Ermitage, l'ho visto per la prima volta in italiano. E per fortuna traduzione e doppiaggio erano piuttosto buoni. Il film, ovviamente, rimane un capolavoro: lo stesso Lubitsch ebbe a dire che, "quanto a stile" non aveva mai fatto di meglio. "Trouble in paradise" è una commedia sofisticata che ancora oggi risulta modernissima, con dialoghi raffinati, inquadrature allusive, ritmo scoppiettante (con la colonna sonora che fa da adeguato contrappunto alle varie situazioni), personaggi simpatici. Stupisce vedere come a pochissimi anni dall'avvento del sonoro fosse già possibile sfruttarne le caratteristiche in maniera così compiuta e matura. Dopo una prima parte praticamente perfetta, quella ambientata a Venezia dove si introducono i due protagonisti, la storia si sposta a Parigi per seguire il loro tentativo di ingannare una ricca signora dell'alta società, facendosi assumere come suoi collaboratori per poi derubarla. Seguono complicazioni sentimentali. In tempi pre-codice Hays, Lubitsch e i suoi sceneggiatori possono permettersi di giocare con allusioni di ogni genere e con inquadrature maliziose. Anche la scelta di due furfanti come protagonisti (tratteggiati con simpatia e senza "punizione finale") testimonia di una libertà che a Hollywood, in epoca successiva, sarebbe stata impossibile. L'inquadratura iniziale del film (un bidone di rifiuti e una chiatta di spazzatura a pochi passi da un raffinato hotel internazionale a Venezia) introduce immediatamente il tema della dissonanza e dell'imperfezione nel paradiso, dove non tutto è come sembra. La frase d'esordio di Gaston che deve scegliere come cominciare la cena ("Gli inizi sono sempre difficili") sembra quasi pronunciata dal regista stesso, alle prese con l'arduo compito di cominciare un nuovo film.

7 ottobre 2006

The seafarers (Stanley Kubrick, 1953)

The seafarers (id.)
di Stanley Kubrick – USA 1953
con Don Hollenbeck, Paul Hall
*1/2

Visto su YouTube, in originale.

Girato su commissione per la SIU (Seafarers International Union, un sindacato dei lavoratori marittimi), questo cortometraggio di 30 minuti che Kubrick realizzò subito dopo aver terminato il suo primo lungometraggio ("Paura e desiderio", mai distribuito nelle sale) rappresenta anche il suo primo lavoro a colori. Con la voce narrante del giornalista Don Hollenbeck, il film racconta la storia della SIU, ne descrive l'organizzazione e il modus operandi, ed elenca i vari servizi che offre agli associati (marinai, pescatori e in generale personale di bordo sulle navi commerciali e mercantili), in particolare nei periodi in cui sono a terra: non solo benefici legati al lavoro, come gestione degli incarichi e dei contratti e battaglie per i diritti, ma anche quelli relativi alla famiglia e al tempo libero. Semplicemente poco interessante (se non come documento storico e sociale), il film non presenta quasi traccia dello stile registico di Kubrick, tanto che potrebbe averlo girato chiunque (a partire da immagini di repertorio). Da segnalare giusto la carrellata nella scena della caffetteria, mentre secondo alcuni critici la sequenza del discorso del segretario della SIU davanti agli associati ricorda alcune pellicole di Eisenstein come "Sciopero" e "Ottobre". Del film, per lungo tempo, gli storici del cinema hanno ignorato l'esistenza: è stato "scoperto" solo nel 1973, il che ha portato a domandarsi se Kubrick non abbia diretto altri documentari dello stesso genere.

5 ottobre 2006

Cabaret (Bob Fosse, 1972)

Cabaret (id.)
di Bob Fosse – USA 1972
con Liza Minnelli, Michael York
**1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Berlino, 1931: durante la repubblica di Weimar, una ballerina di un teatro di varietà sogna di diventare una grande attrice e intanto conosce un giovane inglese che si guadagna da vivere dando lezioni private. Le loro vicende, che si intrecciano con quelle di un amico che si innamora di una ricca ebrea e con quelle di un frivolo nobile, si dipanano leggere su uno sfondo ben più cupo: lentamente, infatti, assistiamo alla presa del potere del partito nazista, quasi silenziosa e sottovalutata dai più. Il valore del film (che peraltro vinse ben 8 premi Oscar) sta proprio in questo contrasto fra un mondo di divertimenti incoscienti e le tragedie che strisciano sullo sfondo. Tratto da un musical di Broadway, non ne conserva la struttura: anziché far cantare i personaggi principali, le canzoni e i numeri da ballo restano confinati agli spettacoli di varietà, sporadici siparietti fra una scena e l'altra. Molto bello registicamente (una scena per tutte: quella del canto dei nazisti in un locale all'aperto, che comincia dolce e accattivante e termina pieno di tensione e impeto bellicoso), con una brava interprete che tratteggia un personaggio egocentrico e sognatore.

2 ottobre 2006

Lady in the water (M. N. Shyamalan, 2006)

Lady in the Water (id.)
di M. Night Shyamalan – USA 2006
con Paul Giamatti, Bryce Dallas Howard
**1/2

Visto ieri al cinema Excelsior, con Albertino e Ghirmawi.

Dopo il successo de "Il sesto senso", sembra che Shyamalan stia progressivamente perdendo i favori di critica e pubblico. Eppure di questo film, stroncato un po' da tutti, ho gradito il modo delicato e naturale in cui il fantastico, il fiabesco e l'irreale fanno irruzione nel quotidiano. Giamatti (grandissimo, come al solito) è il custode di un condominio alle prese con una misteriosa ninfa acquatica che trova nella piscina del complesso. Insieme a un gruppo di stravaganti inquilini scelti forse da un destino superiore, l'uomo dovrà aiutare la ninfa a completare la sua missione, proteggendola da un mostro che vive nel giardino dell'edificio e che le impedisce di far ritorno a casa. Ispirato a una sedicente fiaba orientale della buona notte, probabilmente inventata di sana pianta dal regista stesso, e ambientato interamente in pochi metri quadri (l'azione non esce mai dal cortile della casa e dai piccoli appartamenti dove vivono i personaggi), il film riesce a stare miracolosamente in equilibrio su un filo sottilissimo fra tensione e implausibilità narrativa. A differenza che nei film di Roman Polanski, inoltre, qui il condominio non è fonte di paranoia e ossessioni bensì un microcosmo popolato da persone talvolta bizzarre ed eccentriche ma comunque solidali fra loro. Alcune scene con il personaggio del critico cinematografico mi hanno ricordato "Scream" e persino "Ghostbusters". Il direttore della fotografia è Christopher Doyle, noto per i suoi film a Hong Kong (è l'abituale collaboratore di Wong Kar-Wai). Come sua abitudine, il regista stesso si è ritagliato una parte nel film: stavolta, però, non si tratta di un breve cameo ma di un ruolo abbastanza importante nell'economia della storia.

1 ottobre 2006

Cars - Motori ruggenti (J. Lasseter, 2006)

Cars – Motori ruggenti (Cars)
di John Lasseter [e Joe Ranft] – USA 2006
animazione digitale
***

Visto al cinema Europlex, con Saveria e Stefano.

In un mondo dove le automobili – e i mezzi di trasporto in generale – sono "antropomorfe" (non esistono piloti umani), l'auto da corsa Saetta McQueen (il cognome è un evidente omaggio all'attore Steve McQueen, grande appassionato di automobili, ma anche all'animatore della Pixar Glenn McQueen) ha fame di sponsor e di vittorie: metterà da parte l'arroganza e la frenesia e imparerà l'umiltà quando sarà costretto a risiedere per una settimana nell'isolata cittadina di Radiator Springs, nel bel mezzo del deserto, adeguandosi ai suoi ritmi lenti e trovando amicizia (Carl Attrezzi detto "Cricchetto", fra gli altri; ma c'è anche Luigi, una Fiat 500 italiana!) e amore (Sally Carrera). La cosa che più stupisce nei film della Pixar è la commistione fra una tecnica di animazione al computer sbalorditiva (di molto, ma molto, superiore a tutti i potenziali concorrenti) e storie e personaggi ben più curati e approfonditi rispetto ai prodotti DreamWorks, Disney, Fox, e via dicendo. Persino gli stereotipi non sembrano tali perché rivestiti di nuovo materiale. Lasseter, che torna alla regia dopo sette anni sia pure coadiuvato da Joe Ranft, ha evidentemente un debole per l'umanizzazione di personaggi di plastica o di metallo: dopo lampadine e giocattoli, è la volta delle automobili. Il film è lungo (oltre due ore), sfiora quasi la monotonia (in scena ci sono solo macchine: quando non sono semplici automobili, sono camion, trattori o elicotteri) e forse manca un po' di umorismo, ma i personaggi sono simpatici, vivi e ben caratterizzati. E l'inevitabile messaggio morale sullo sfondo, per una volta, è ampiamente condivisibile: anche un auto da corsa ha bisogno qualche volta di rallentare per godersi il paesaggio. Belle le canzoni, brutto il doppiaggio italiano: nella versione originale il protagonista aveva la voce di Owen Wilson, ma soprattutto Doc Hudson aveva quella di Paul Newman (anch'egli grande appassionato di corse). Il successo porterà alla realizzazione di sequel e spin-off.

In sala il film era preceduto dall'ennesimo cortometraggio "sperimentale" Pixar: "One Man Band", di Mark Andrews e Andrew Jimenez. Eccezionale! Quattro minuti di puro divertimento con due suonatori ambulanti che si contendono una moneta che una bambina è disposta a elargire loro.

Blindman (Ferdinando Baldi, 1971)

Blindman
di Ferdinando Baldi – Italia 1971
con Tony Anthony, Ringo Starr
*1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Se Sergio Leone aveva preso ispirazione da Kurosawa, anche altri autori italiani di spaghetti-western si sono rivolti all'oriente. Questo film di Baldi sembra quasi una versione occidentale di "Zatoichi": il protagonista è infatti un pistolero cieco, che nonostante il suo handicap sconfigge a colpi di fucile (e di dinamite) un'intera banda di nemici. Aiutato da un cavallo che talvolta sembra quello di Lucky Luke, combatte contro un bandito messicano che ha rapito ben cinquanta donne giunte dall'Europa che lui avrebbe dovuto condurre in un villaggio dove le attendono i loro promessi sposi "per corrispondenza". La storia e i personaggi sono inverosimili, ma alcune scene non sono poi male (il "funerale-matrimonio", la fuga delle donne nella sabbia). Nel complesso, però, si sfiora spesso il ridicolo involontario. Ringo Starr interpreta il fratello del cattivo.