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11 novembre 2017

Mayerling (Terence Young, 1968)

Mayerling (id.)
di Terence Young – Francia/GB 1968
con Omar Sharif, Catherine Deneuve
*1/2

Visto in divx.

L'arciduca Rodolfo d'Asburgo, erede al trono dell'impero austriaco, si innamora della giovane baronessa Maria Vetsera. L'amore è per lui l'unica via di fuga dai contrasti con il padre e da un matrimonio infelice: ma quando l'imperatore gli imporrà di troncare la relazione con Maria, sceglierà di suicidarsi insieme a lei nella tenuta da caccia di Mayerling. Praticamente un remake a colori del film del 1936 di Anatole Litvak (anche perché basato, proprio come quello, sul romanzo di Claude Anet che rilegge l'enigmatica vicenda in chiave prettamente romantica), con numerose scene quasi identiche, ma senza la stessa concisione o la stessa finezza nei dialoghi. Quello che nella versione di Litvak era un empatico ritratto dell'infelicità di un principe diventa qui un drammone storico-sentimentale molto meno accattivante. La confezione è più patinata (ottimi i costumi e le scenografie: il film fu girato in gran parte nei luoghi reali, ossia a Vienna e a Mayerling), la storia d'amore si fa più convenzionale e a poco serve dare maggior spazio al contesto storico e politico (con Rodolfo, di idee liberali, tentato di appoggiare le spinte autonomiste dell'Ungheria, anche a costo di andare contro il padre: benché, a dire il vero, lo faccia soprattutto per ritagliarsi uno spazio di libertà per sé stesso e per Maria). Nel calderone si accenna anche a un sottotesto edipico (il rapporto con la madre Elisabetta) e alla pazzia che scorre nella famiglia reale (con riferimenti al "cugino Luigi", ovvero Ludwig di Baviera). Sontuoso il cast: a Sharif e alla Deneuve (con gli occhiali) si affiancano James Mason (l'imperatore Francesco Giuseppe), Ava Gardner (l'imperatrice Elisabetta), Geneviève Page (la contessa Larisch), Ivan Desny (il conte Hoyos) e James Robertson Justice (il principe di Galles).

30 novembre 2016

Dietro lo specchio (Nicholas Ray, 1956)

Dietro lo specchio (Bigger than life)
di Nicholas Ray – USA 1956
con James Mason, Barbara Rush
*1/2

Visto in divx.

Per curare una rara forma di periartrite che gli causa forti dolori, all'umile insegnante Ed Avery (Mason) viene prescritta una cura sperimentale a base di cortisone. Ma l'abuso del farmaco comincia a cambiare la personalità dell'uomo, che si fa via via più arrogante, megalomane, iperattivo e violento, fino a manifestare istinti omicidi che mettono in pericolo la sua stessa famiglia... Ispirato a un articolo apparso sul "New Yorker", un melodramma sui rischi psicologici connessi all'abuso di farmaci (e di droghe). A parte la prova di Mason, inquietante come sempre, e la regia iperrealista di Ray, che gioca col formato panoramico, il technicolor e la fotografia di Joseph MacDonald, per il resto la pellicola appare sensazionalista e forzata. Le premesse sono portate avanti in maniera tutt'altro che sottile, attraverso una prolungata, ossessiva e ripetiva discesa negli abissi, con Ed che si trasforma in una versione distorta di sé stesso come un moderno Jekyll e Hyde, preso da manie di grandezza, da un fervore educativo (la perdita di freni inibitori lo porta ad avanzare idee anti-liberali) e religioso (finisce col credersi Abramo, che deve sacrificare il figlio come Isacco... "Ma Dio fermò Abramo", gli dice la moglie. "E Dio sbagliò!", risponde lui). Flop in patria, fu invece amato da Godard e dai critici francesi. Il titolo italiano fa riferimento al specchio dell'armadietto del bagno, dietro il quale Ed custodisce i farmaci, che quando viene rotto riflette un'immagine frantumata del suo volto. Barbara Rush è la patetica moglie Lou, Christopher Olsen è il figlio, Walther Matthau è l'amico Wally.

16 aprile 2009

Lolita (Stanley Kubrick, 1962)

Lolita (id.)
di Stanley Kubrick – GB 1962
con James Mason, Sue Lyon
***

Rivisto in DVD, con Marisa.

Humbert Humbert, intellettuale europeo trasferitosi per lavoro in una cittadina americana, rimane folgorato dalla bellezza della quattordicenne "ninfetta" Lolita, al punto da sposarne la madre pur di poterle stare vicino. Dopo la morte (accidentale) della donna, si trasferirà con la ragazzina in un'altra città, ma i sospetti, la gelosia e la paranoia gli impediranno di vivere tranquillo insieme a lei. Tratto dal celebre e "scandaloso" romanzo di Vladimir Nabokov (che ha collaborato alla sceneggiatura, peraltro ampiamente rimaneggiata da Kubrick), è il film che ha portato il nome del regista definitivamente all'attenzione della critica e del grande pubblico. Visto l'argomento pruriginoso (ma sullo schermo non ci sono mai scene volgari o sessualmente esplicite, anche se è facile intuire cosa accade fra una dissolvenza e l'altra), Kubrick ha dovuto lottare duramente contro la censura dell'epoca, andando a girare in Inghilterra anziché negli Stati Uniti, innalzando l'età del personaggio (che nel romanzo ha solo dodici anni) ed eliminando alcuni dei passaggi più controversi (in alcune interviste successive, il regista si è lamentato di non aver potuto rendere più evidente l'attrazione erotica fra i due protagonisti). Anche così, tuttavia, la tensione psicologica rimane a livelli alti per tutto il film, mentre la scelta di cominciare la pellicola dal finale del libro (la resa dei conti fra Humbert e il suo "rivale" Quilty) e di narrare il resto attraverso un flashback aggiunge profondità alla seconda parte della vicenda, quella "on the road". Oltre ai due personaggi principali (la Lyon era all'esordio ma poi non ha avuto una carriera brillante, Mason rende bene la caratteristiche del suo personaggio, subdolo, ambiguo, intelligente e autodistruttivo), spiccano le ottime interpretazioni di Shelley Winters nei panni della madre di Lolita e di Peter Sellers (alla sua prima collaborazione con il regista che lo avrebbe poi diretto nel "Dottor Stranamore") in quelli del camaleontico e mefistofelico Clare Quilty. La scelta del cast fu alquanto problematica, visto che molti attori (come Laurence Olivier, cui era stata proposta la parte di Mason) rifiutarono di farsi coinvolgere, dati i temi tabù e l'assenza di personaggi positivi. Indimenticabile la scena (proposta anche all'inizio, sui titoli di testa), in cui Humbert mette lo smalto alle dita dei piedi di Lolita. Il nome del personaggio è entrato poi nel linguaggio comune e ha generato anche diversi neologismi (come "lolicon", da "lolita complex", usato spesso in Giappone).

5 aprile 2008

Pandora (Albert Lewin, 1951)

Pandora (Pandora and the Flying Dutchman)
di Albert Lewin – USA 1951
con Ava Gardner, James Mason
***

Visto in divx alla Fogona, con Marisa.

Mi piace andare a recuperare vecchi film hollywoodiani quasi dimenticati. Questa è una pellicola insolita e tragica, barocca e surreale, romantica ma senza molti termini di paragone (soprattutto per l'epoca), che gioca con i miti, le leggende e con il concetto di amour fou, ben rappresentato dalla frase che i protagonisti ripetono per tutto il film: "la misura di un amore dipende da quello cui si è disposti a rinunciare per esso". In un'esotica cittadina costiera della Spagna, la bellissima americana Pandora Reynolds attira le attenzioni di quasi tutti gli uomini della ristretta comunità che frequenta. Indifferente a tutti ma contesa in particolare da un pilota automobilistico e da un altezzoso torero, Pandora si innamora dell'enigmatico navigatore Hendrik van der Zee, ignorando che si tratta del leggendario Olandese Volante, immortale da oltre tre secoli e condannato a espiare le proprie colpe vagando in eterno per i mari fino a quando non troverà una donna disposta a morire per lui. Naturalmente, essendosi invaghito a sua volta di Pandora (reincarnazione della sua fiamma precedente?), l'Olandese vorrebbe allontanarla da sé per non costringerla a sacrificarsi, preferendo rinunciare così alla propria redenzione: ma il destino non potrà che spingerli di nuovo insieme. Le scenografie, condite da reperti archeologici di ogni tipo (alcune scene, come quella del ballo notturno fra statue e colonne, ricordano i dipinti di De Chirico), sono suggestive e coloratissime. Notevole anche il racconto delle origini dell'Olandese, narrato in un flashback nel flashback.

12 gennaio 2007

Operazione Cicero (J. L. Mankiewicz, 1952)

Cicero

Operazione Cicero (5 Fingers)
di Joseph L. Mankiewicz – USA 1952
con James Mason, Danielle Darrieux
***

Visto in DVD.

Nel 1944, durante la guerra, il cameriere personale dell'ambasciatore inglese ad Ankara si propone come spia ai tedeschi, vendendo loro documenti segreti compresi i piani dello sbarco in Normandia: il suo scopo è quello di arricchirsi per poter dichiarare il proprio amore a una contessa, che pur essendo caduta in disgrazia continua a guardarlo dall'alto verso il basso per la differenza di classe. Un ottimo film di spionaggio valorizzato dall'eccellente prova di Mason e dalla consueta bravura di Mankiewicz, sempre attento alla caratterizzazione dei suoi personaggi, anche di quelli minori. "Cicerone" (nome in codice della spia) è un individuo mistificatore e doppiogiochista, intelligente ma sottovalutato da tutti, ossessionato dal desiderio di superare le barriere di classe: tutti temi tipici del cinema di questo grande regista e sceneggiatore. Bello il finale, con Mason braccato fra le strade di Istambul sia dagli inglesi che dai tedeschi, e il successivo colpo di scena in Brasile, beffardo ma soddisfacente (vedi la risata finale). Una didascalia all'inizio afferma che si tratta di una storia vera, e per quanto sembri improbabile è proprio così: è stata tratta dal libro di memorie scritto da un funzionario dell'ambasciata tedesca, che peraltro compare anche nel film facendo la figura del sempliciotto.

23 aprile 2006

È nata una stella (G. Cukor, 1954)

È nata una stella (A star is born)
di George Cukor – USA 1954
con Judy Garland, James Mason
**

Visto in DVD alla Fogona.

L'aspirante cantante Esther Blodgett (Garland, nel suo ruolo più celebre dopo quello – da bambina – ne "Il mago di Oz") raggiunge il successo a Hollywood (con il nome di Vicki Lester) mentre l'attore che l'ha scoperta (e sposata), Norman Maine (Mason), contemporaneamente si avvia al declino. Remake dell'omonimo film di William Wellman del 1937 (ma deve moltissimo anche ad "A che prezzo Hollywood?" del 1932 dello stesso Cukor, che mi era sembrato molto più fresco e coinvolgente), è il primo film a colori (e musicale) di un regista di cui di solito apprezzo la leggerezza, la semplicità e l'ironia, i piccoli dettagli che gli bastano per descrivere ogni situazione. In questo caso, invece, Cukor è costretto a fare i conti con una produzione ai massimi livelli, e la pellicola sconta tutta la "pesantezza" delle sfarzose scenografie imposte dai soldi della Warner Bros. Il risultato mi ha lasciato freddino, anche per colpa di tutte quelle canzoni, non proprio di mio gusto, cantate da Judy Garland nei primi due terzi del film. Meglio invece il finale, che si tinge di amaro e lascia da parte l'ambiente dello spettacolo e della ricerca del successo per concentrarsi di più sul rapporto fra i due personaggi principali. Comunque troppo lungo (come se non bastasse, nel DVD sono state inserite anche alcune sequenze che erano state tagliate all'epoca e di cui non si sentiva certo la mancanza) e troppo "autocelebrativo" nel mettere in scena i meccanismi di un mondo che proprio in quegli anni cominciava il suo declino. La pellicola fu nominata a sei premi Oscar (fra cui Mason, la Garland, la scenografia e la colonna sonora) ma non ne vinse nessuno. Seguiranno altri remake nel 1976 (di Frank Preston con Barbra Streisand) e nel 2018 (in preparazione, di Bradley Cooper con Lady Gaga).