Visualizzazione post con etichetta Sordità. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Sordità. Mostra tutti i post

24 agosto 2022

Listening (Kenneth Branagh, 2003)

Listening
di Kenneth Branagh – GB 2003
con Frances Barber, Paul McGann
**1/2

Visto su YouTube.

Un uomo (McGann) e una donna (Barber), ospiti di una struttura dove, per rilassarsi, è assolutamente vietato l'uso della parola, stringono un legame empatico. Cortometraggio (di 20 minuti) quasi senza dialoghi, che narra una storia d'amore accompagnata solo da sguardi e dai suoni della natura: insolitamente "minimalista" per Branagh, anche sceneggiatore, ma con un twist finale. Una pellicola delicata e al tempo stesso intensa, che distilla le sue emozioni contando proprio sull'assenza delle parole, poco nota (anche se ha vinto alcuni premi a vari festival internazionali) e di difficile reperibilità (la copia su YouTube è di scarsa qualità e con sottotitoli in greco), ma che rappresenta una pausa quanto mai benvenuta fra un filmone ipertrofico e un altro. Ottimi i due attori, attivi per lo più a teatro: ma McGann è noto anche come ottavo "Doctor Who". Nella colonna sonora c'è il secondo movimento del concerto "Emperor" di Beethoven.

20 luglio 2022

Paese del silenzio e dell'oscurità (W. Herzog, 1971)

Paese del silenzio e dell'oscurità (Land des Schweigens und der Dunkelheit)
di Werner Herzog – Germania 1971
con Fini Straubinger, Else Fehrer
***

Rivisto in DVD, in originale con sottotitoli.

Documentario sui sordociechi: il film segue in particolare Fini Straubinger di Monaco di Baviera, che Herzog aveva conosciuto durante le riprese del precedente "Futuro impedito". Fini, diventata completamente cieca a 15 anni e sorda a 18, racconta com'è la vita per chi, come lei, vive immerso nell'oscurità e nel silenzio (che poi in realtà non sono tali: come spiega lei stessa, si sentono continuamente rumori e ronzii, e anche gli occhi non vedono solo nero ma strani colori). I suoi ricordi di bambina e di ragazza, quando ancora vedeva e sentiva, le tornano in mente in continuazione: come le immagini di una gara di salto con gli sci. Rispetto ad altri "colleghi" di sventura, Fini è fra le più autonome: e infatti si occupa di volontariato, andando a fare visita ad altri sordociechi (soprattutto a quelli che vivono più isolati dagli altri, per esempio in campagna o negli istituti psichiatrici) per conto di un'associazione bavarese. Ciascuno ha un "accompagnatore" che li aiuta a comunicare fra loro e con il mondo esterno, grazie a un linguaggio esclusivamente "tattile", il metodo Lormen, che consiste in una serie di punti e di linee tracciate sul palmo della mano e lungo le dita. In generale, quello tattile è il principale modo che i sordociechi hanno per comunicare con il mondo, toccando oggetti e tastando forme. Fini e i suoi amici vengono così portati a volare per la prima volta (su un piccolo aeroplano), al giardino botanico a toccare le piante (persino i cactus!) e allo zoo ad accarezzare gli animali. Si incontrano regolarmente, per "parlare" e recitare poesie. Tutto, insomma, pur di non rimanere da soli a "naufragare nel buio e nel silenzio". Un film sincero, intenso, commovente, fra i migliori documentari di Herzog (ma d'altronde, quasi tutti i documentari di Herzog sono belli). La parte forse più impressionante è quella, nel finale, in cui incontriamo alcuni bambini che, a differenza di Fini, sono sordociechi dalla nascita: e ci viene spiegato che, se sin da piccoli non gli si insegna qualche forma di comunicazione, rimangono del tutto isolati dal mondo e chiusi in sé stessi, con conseguenze anche a livello mentale. Girato in maniera sobria e diretta, il film ha come unico accompagnamento alcuni brani di musica classica.

21 marzo 2021

Sound of metal (Darius Marder, 2020)

Sound of metal (id.)
di Darius Marder – USA 2020
con Riz Ahmed, Olivia Cooke
**1/2

Visto in TV (Prime Video), con Sabrina.

Il batterista Ruben (Riz Ahmed) perde improvvisamente l'udito. Non rassegnandosi alla sua condizione, cerca di mettere insieme il denaro necessario a una difficile operazione chirurgica per l'impianto di una protesi acustica (anche se potrà restituirgli soltanto un suono artificiale e metallico). E nel frattempo, su suggerimento della fidanzata Lou (Olivia Cooke), trova accoglienza in una comunità di recupero dove potrà apprendere il linguaggio dei segni e soprattutto imparare ad accettare la sua nuova realtà. Sarà l'occasione per cambiare vita e ripulirsi dalle scorie di quella precedente (Ruben ha un passato di tossicodipendenza)? E riuscirà a giungere finalmente ad apprezzare anche il silenzio? Primo lungometraggio di finzione diretto da Darius Marder, in precedenza sceneggiatore per Derek Cianfrance ("Come un tuono"), il quale ha ricambiato il favore all'amico cedendogli quello che era un suo progetto originale, basato su esperienze personali di batterista affetto da acufene. Il tema del musicista (dunque di qualcuno la cui vita ruota intorno al suono) che perde l'udito, magari proprio per l'eccessiva esposizione alla musica alta, è ovviamente un classico, con sottotesti karmici e ironici, da Beethoven in poi. Sfidando le trappole della retorica, il film vi aggiunge quello del personaggio tormentato e ribelle che deve imparare a trovare la pace e un proprio equilibrio interiore. Gli attori che interpretano i membri della comunità di non udenti sono quasi tutti non professionisti affetti veramente da sordità, mentre Paul Raci (Joe, il fondatore della comunità) è figlio di genitori sordi e dunque conosce a menadito la lingua dei segni. Nel cast anche Mathieu Amalric, il padre francese di Lou. Grande successo di critica, con sei nomination agli Oscar per il miglior film, la sceneggiatura, il montaggio, gli attori (Ahmed e Raci) e quello che forse è il valore aggiunto della pellicola, ovvero il sonoro, che "simula" le sensazioni acustiche del protagonista lasciando che anche gli spettatori sperimentino cosa si prova a vivere all'improvviso in un mondo dove le voci e i suoni che ci circondano giungono ridotti o ovattati.

26 ottobre 2020

La stanza delle meraviglie (T. Haynes, 2017)

La stanza delle meraviglie (Wonderstruck)
di Todd Haynes – USA 2017
con Oakes Fegley, Julianne Moore
*1/2

Visto in TV.

Nel 1977, il piccolo Ben (Oakes Fegley) fugge dall'ospedale del Minnesota dov'era ricoverato dopo essere stato colpito da un fulmine (che gli ha tolto l'udito) e si reca a New York alla ricerca del padre, di cui non sa nulla. Nel 1927, una bambina sorda, Rose (Millicent Simmonds), fugge a sua volta dalla sua casa nel New Jersey per raggiungere la madre (Julianne Moore), attrice teatrale e cinematografica. Le due vicende, con parecchi punti in comune, vengono narrate in parallelo: entrambi i bambini finiranno al museo di storia naturale della città, vivendo esperienze simili... Da un romanzo illustrato di Brian Selznick (lo stesso autore de "La straordinaria invenzione di Hugo Cabret"), un doppio racconto di crescita e di formazione che Haynes porta sullo schermo in maniera assolutamente piatta. La struttura rigida, i dialoghi poco naturali, la retorica e la trama generalmente poco interessante concorrono nel generare un risultato dimenticabile, un film che si prosegue a guardare più per sfinimento che per curiosità, in attesa di una risoluzione che si rivela peraltro tutt'altro che sconvolgente. Ciò che probabilmente risultava suggestivo sulle pagine disegnate perde quasi del tutto valore in una pellicola schematica che si limita a tracciare un parallelo fra i percorsi dei due bambini (che hanno in comune la sordità e la ricerca di un genitore, oltre all'esplorazione di una città – e di un museo – a loro estranea). L'unico spunto degno di nota è il rimando fra le vicende di Rose e il cinema muto (il suo segmento è girato in bianco e nero e, essendo raccontato dal punto di vista della bambina, senza dialoghi udibili). Sinceramente trovo Haynes uno dei registi più noiosi in assoluto, per lo stile, il modo di narrare e quello di costruire i personaggi. E se mi hanno annoiato i suoi lavori più apprezzati ed elogiati dalla critica (come "Carol" e "Io non sono qui"), figuriamoci questo, un mezzo flop passato abbastanza inosservato. Il titolo, del tutto pretestuoso, si riferisce alle cosiddette "Wunderkammer", collezioni private e antenate dei moderni musei. Come in "Hugo Cabret", c'è qualche esile collegamento con personaggi o eventi reali (per esempio, nel finale, con il celebre blackout di New York del 1977).

22 dicembre 2017

Io e Beethoven (A. Holland, 2006)

Io e Beethoven (Copying Beethoven)
di Agnieszka Holland – USA/Germania 2006
con Diane Kruger, Ed Harris
*1/2

Visto in divx.

La ventitreenne Anna Holtz (Kruger), aspirante compositrice, diventa la fedele copista e assistente di Ludwig van Beethoven (Harris) proprio mentre questi sta per completare la stesura della nona sinfonia. Nonostante il carattere rude, scostante e viscerale dell'uomo, i due entreranno in sintonia e in comunione d'intenti. Romanzato biopic sugli ultimi anni di vita del grande compositore (dal 1824 al 1827, anno della morte), quando lavorò a Vienna alla celebre sinfonia corale e poi agli ultimi "rivoluzionari" quartetti d'archi e alla Grande Fuga, visti attraverso gli occhi di un personaggio fittizio (anche se ispirato a figure reali). A parte il tentativo di scimmiottare qua e là atmosfere e momenti di "Amadeus" (come nella scena in cui Beethoven, a letto malato, detta ad Anna una delle sue composizioni) e di rappresentare il contrasto fra le altezze dell'anima (mediante la musica) e le bassezze e le volgarità della vita, il film resta una semplice curiosità senza particolare valore storico o artistico. La sequenza migliore (ma il merito è tutto della musica) è quella della première della nona sinfonia, in cui Anna, suggerendogli il tempo a gesti dal retro del palcoscenico, aiuta il sordo Beethoven a dirigere l'orchestra. Bravi comunque i due interpreti: in parti minori ci sono anche Phyllida Law (la zia suora di Anna) e Joe Anderson (Karl, il nipote di Beethoven). Nel mettere in luce i pregiudizi verso Anna in quanto compositrice donna, la Holland voleva forse accennare agli stessi pregiudizi che esistono contro le registe.

5 febbraio 2013

Sulle mie labbra (Jacques Audiard, 2001)

Sulle mie labbra (Sur mes lèvres)
di Jacques Audiard – Francia 2001
con Emmanuelle Devos, Vincent Cassel
***

Rivisto in divx, con Giovanni, Rachele, Paola, Eleonora, Claudia, Francesca, Fausto, Florian, Sabine.

Carla, ragazza sorda e solitaria che lavora come segretaria in un ufficio immobiliare, assume come assistente personale Paul, un giovane ladruncolo appena uscito di prigione. Oltre che per il piacere di avere finalmente un uomo accanto, la donna approfitta dei suoi metodi e della sua spregiudicatezza per prendersi – non sempre in maniera lecita – qualche rivincita nell’ambiente di lavoro (dove i colleghi tendono a isolarla e a ridicolizzarla). A sua volta, Paul sfrutterà la capacità di lei di leggere le labbra per coinvolgerla nel tentativo di “soffiare” la refurtiva a tre malviventi che hanno appena compiuto una rapina in banca. Insolito ed elegante thriller esistenziale che a una prima parte a sfondo “sociale”, tutta ambientata in un contesto lavorativo quotidiano e frustrante, ne fa seguire una seconda dai toni più “polar”, che si dipana nel sottobosco della malavita parigina come un film d’azione. Fondamentale la caratterizzazione dei personaggi, descritti come figure a tutto tondo e piene di luci e ombre (più che una relazione sentimentale – anche se il sottotesto sessuale è sempre presente, e alla fine la storia d’amore si concretizza – entrambi “usano” le capacità dell’altro per il proprio beneficio e il proprio riscatto: persino lei non si fa scrupolo a infrangere la legge). La fotografia è scura e avvolgente, le riprese con la macchina a mano si soffermano spesso e volentieri su primissimi piani e su particolari ravvicinati dei corpi, dei volti e delle mani dei protagonisti, mentre il sonoro gioca con il particolare modo in cui Carla percepisce il mondo intorno a sé (come quando si toglie l’apparecchio acustico per non essere disturbata o infastidita dai rumori che la circondano, affidandosi totalmente agli altri sensi, la vista in primis). Buone e intense le interpretazioni di Emmanuelle Devos (che per questo ruolo ha vinto il premio César) e Vincent Cassel: i due reggono quasi tutto il peso del film sulle loro spalle, lasciando pochissimo spazio ai comprimari (fra i quali spicca Olivier Perrier nei panni dell’assistente sociale di Paul, protagonista di un’insolita sottotrama che lo vede alle prese con la scomparsa della moglie). Il tema della comunicazione attraverso un linguaggio straniero o comunque “diverso” (qui quello dei sordi che leggono le labbra) rimarrà una costante di tutto il cinema di Audiard (si pensi alla musica in “Tutti i battiti del mio cuore” o al dialetto ne “Il profeta”), così come quello dell’handicap (fino al recente, anche se meno riuscito, “Un sapore di ruggine e ossa”).

17 giugno 2012

Silenced (Hwang Dong-hyeuk, 2011)

Silenced (Do-ga-ni)
di Hwang Dong-hyeuk – Corea del Sud 2011
con Gong Yoo, Jeong Yu-mi
*

Visto al cinema Apollo, in originale con sottotitoli (rassegna di Cannes).

Il giovane insegnante d'arte In-ho si trasferisce nella cittadina di Mujin, perennemente avvolta dalla nebbia, per lavorare in un istituto privato frequentato da bambini sordomuti. Ben presto però scopre che gli alunni – molti dei quali sono orfani o con problemi famigliari o psicologici, e assai chiusi in sé stessi – vengono regolarmente maltrattati e sono persino vittime di abusi sessuali da parte del preside e degli insegnanti. Con l'aiuto di un'attivista per i diritti umani, l'eccentrica Seo Yu-jin, denuncerà i responsabili e li porterà (a fatica, trattandosi di "pilastri" della società e della chiesa locale) in tribunale: ma giustizia non sarà fatta. Fra bambini dagli occhi lucidi, cattivi ghignanti e corrotti, burocrati ottusi e insensibili e tanto manicheismo, un film che gioca tutte le carte del sensazionalismo e dei colpi bassi per indignare lo spettatore e ricattare il suo coinvolgimento emotivo. Siamo dalle parti delle fiction italiane, solo con una miglior confezione (nella prima metà, quella ambientata nella scuola, pare quasi di essere immersi in atmosfere horror). Non aiuta di certo, poi, un protagonista inespressivo e inadeguato.

25 luglio 2009

Il silenzio sul mare (T. Kitano, 1991)

Il silenzio sul mare (Ano natsu, ichiban shizukana umi)
di Takeshi Kitano – Giappone 1991
con Claude Maki, Hiroko Oshima
***1/2

Rivisto in VHS, in originale con sottotitoli, con Marisa e Daniela.

Poetico, delicato, minimalista e riflessivo: il terzo film di Kitano – il primo in cui il regista non recita di persona e in cui si distacca dalle consuete e sanguinose vicende a base di yakuza e poliziotti – spiazza ancora una volta gli spettatori raccontando la storia di una coppia di fidanzati sordomuti alle prese con la passione del ragazzo per il surf. Lui, Shigeru, è un netturbino che un giorno trova una tavola buttata via e decide quasi casualmente di provare a praticare quello sport; lei, Takako, assiste amorevolmente ai suoi progressi guardandolo dalla riva, ripiegando con cura gli abiti che lui lascia sulla spiaggia e incitandolo quando decide di iscriversi a una gara impegnativa. Quasi senza trama e senza dialoghi (già normalmente nei lungometraggi di Kitano si parla poco, figuriamoci in questo!), la pellicola scorre lenta e rilassata ed è ravvivata da alcuni momenti romantici e da deliziosi tocchi umoristici (la scena in cui il ciclista cade improvvisamente dal molo, sorprendendo tanto gli spettatori quanto i personaggi sullo schermo, è geniale), in parte incentrati sulle disavventure di alcuni personaggi minori – inconfondibilmente kitaniani – come i due amici di Shigeru che, dopo averlo preso in giro, ne seguono le orme. Nel finale, in maniera inaspettata vista la sostanziale assenza fino ad allora di momenti drammatici, irrompe una misteriosa tragedia che aggiunge un particolare spessore fatalista all'intera vicenda.

Il mare è un tema ricorrente nelle opere di Kitano, che spesso ama mostrare i suoi personaggi sulla spiaggia o di fronte alle onde. Con questo lungometraggio comincia anche la fondamentale collaborazione con il compositore Joe Hisaishi (già noto per le musiche dei film di Hayao Miyazaki), che realizza una bella colonna sonora nella quale spicca il tema principale, "Silent love". Da segnalare il cameo di Susumu Terajima (quasi un attore feticcio di Kitano) nel ruolo del camionista che dà un passaggio a Shigeru e Takako. Il titolo originale si può tradurre con "Quell'estate, il mare era molto calmo". Il film è noto in occidente anche con il titolo inglese "A scene at the sea", mentre quello italiano è identico a quello di una pellicola di Jean-Pierre Melville ("Le silence de la mer").

9 giugno 2009

Mr. Vendetta (Park Chan-wook, 2002)

Mr. Vendetta (Boksuneun naui geot, aka Sympathy for Mr. Vengeance)
di Park Chan-wook – Corea del Sud 2002
con Shin Ha-kyun, Song Kang-ho
**1/2

Rivisto in DVD, con Martin, in originale con sottotitoli.

Ryu, un giovane operaio sordomuto alla disperata ricerca di denaro per consentire alla propria sorella un trapianto di rene (dopo che una banda di trafficanti di organi gli ha sottratto tutti i soldi che aveva faticosamente accumulato), decide di rapire la figlioletta di Park, il suo ex datore di lavoro, e di chiedere un riscatto. Ma il destino è in agguato: la sorella si suiciderà prima di essere operata, mentre la bambina affogherà in un fiume per un incidente prima che Ryu possa restituirla al genitore, scatenando la ritorsione di quest'ultimo. Primo film della cosiddetta "trilogia della vendetta" di Park Chan-wook (i titoli successivi sono "Old Boy" e "Lady Vendetta"), tre pellicole slegate fra loro ma che hanno in comune il tema appunto della vendetta, che in questo film non è solo quella di Park nei confronti dei giovani rapitori, ma anche quella di Ryu stesso verso i trafficanti di organi. Ogni atto di violenza, in effetti, finisce con lo scatenare una rappresaglia da parte di qualcun altro, in un vortice di morte che termina soltanto con i titoli di coda. Caratterizzato da toni che sfiorano il grottesco e il caricaturale e da una violenza truce e sanguinosa che non lascia scampo a nessun personaggio, ma anche da uno stile elegante e asciutto (i dialoghi sono essenziali, le inquadrature sono accuratamente studiate e gli snodi narrativi sono mostrati allo spettatore senza inutili didascalismi), il film è interessante e non lascia indifferenti, anche se non è certo per tutti i gusti e adombra un certo autocompiacimento nell'esibire torture ed efferatezze sullo schermo. A tratti la mano del regista ricorda il miglior Kitano, con echi anche di Peckinpah e di Cronenberg: peccato che in seguito Park virerà invece verso istrionismi alla Tarantino. Nel cast spicca Bae Du-na nei panni della ragazza del protagonista, attivista politica di sinistra che lo aiuta nel rapimento della bambina. Brutta l'edizione italiana: meglio vederselo in coreano con sottotitoli.

11 novembre 2006

Babel (Alejandro G. Iñárritu, 2006)

Babel (id.)
di Alejandro González Iñárritu – USA/Messico 2006
con Brad Pitt, Cate Blanchett
**1/2

Visto al cinema Excelsior, con Saveria.

Dopo "Amores perros" e "21 grammi", Iñárritu e il suo sceneggiatore Guillermo Arriaga presentano un'altra storia corale, brulicante di vita e di violenza, che ha vinto il premio per la miglior regia a Cannes. Questa volta, come indicato sin dal titolo, l'argomento è la babele linguistica: e non solo perché i personaggi provengono un po' da tutto il pianeta (le storie narrate nel film si svolgono in Marocco, in Giappone, in Messico e negli USA), ma perché il tema principale è quello della comunicazione e dell'incomprensione fra culture, società e condizioni diverse. Per fortuna l'edizione italiana ha mantenuto i sottotitoli (soltanto l'inglese è stato doppiato), anche perché sarebbe stato impossibile farne a meno nelle scene con i personaggi sordomuti. Un cast insolito e variegato (oltre agli hollywoodiani Pitt e Blanchett, sul cartellone figurano i nomi di Gael García Bernal e Koji Yakusho, ma i ruoli più delicati e importanti sono interpretati da attrici meno note, Adriana Barraza, già vista in "Amores perros" dove era la madre di Bernal, e Rinko Kikuchi) è al centro di vicende drammatiche legate fra loro da fili conduttori esili e forse un po' pretestuosi. L'aspetto più interessante è il sonoro: Le musiche, le canzoni, i suoni e i rumori sono amplificati al massimo e svolgono un ruolo chiave nell'esposizione formale della vicenda, coinvolgendo l'udito dello spettatore come raramente capita: dai colpi di fucile che risuonano contro le pietre nel deserto marocchino all'allegria festosa del matrimonio messicano, dal frastuono della discoteca giapponese al silenzio assordante nel quale vive Chieko. La prima parte mi è parsa davvero folgorante, ricca e profonda: nella seconda alcune storie si dilungano forse troppo e al momento di tirare le fila mi aspettavo qualcosa di più. Inoltre mi ha dato un po' fastidio il comportamento insensato di alcuni personaggi, soprattutto nell'episodio messicano, un difetto che – molto più amplificato – mi aveva fatto detestare un film per molti versi paragonabile a questo, "Crash" di Paul Haggis, che comunque il talento visivo e registico di Iñárritu se lo sognava.