20 agosto 2020

Chicago (Rob Marshall, 2002)

Chicago (id.)
di Rob Marshall – USA 2002
con Renée Zellweger, Catherine Zeta-Jones
**1/2

Rivisto in TV.

Nella Chicago degli anni venti, la ballerina di fila Roxie Hart (Renée Zellweger) e la soubrette di vaudeville Velma Kelly (Catherine Zeta-Jones), entrambe in prigione per omicidio e in attesa di processo, diventano rivali anche dietro le sbarre pur di calamitare l'attenzione dell'avvocato Billy Flynn (Richard Gere) e i riflettori dei media sui rispettivi casi. Dall'omonimo spettacolo di Broadway del 1975, ispirato peraltro a una commedia teatrale del 1926 che si rifaceva a una storia vera e che era già stata portata due volte sullo schermo ("Chicago" nel 1927 e "Roxie Hart" nel 1942, quest'ultimo con Ginger Rogers), un musical che fonde cinismo, satira e leggerezza per parlare di fama e celebrità (che, come sempre, sono quanto mai volatili). Con l'eccezione forse di Amos (John C. Reilly), il marito di Roxie, tutti i personaggi mentono o simulano per il proprio tornaconto, a cominciare da Billy, avvocato manipolatore che gioca con le persone e... le prove in tribunale. In un mondo in cui ogni cosa, dal giornalismo ai processi, è uno spettacolo ("È tutto un circo", dice Billy a Roxie), recitare una parte sembra l'unico modo per restare a galla, anche se per poco, prima che giunga una nuova diva ad eclissare la precedente. Alla prima regia cinematografica, Marshall punta a sottolineare questo aspetto in ogni modo, forse esagerando col montaggio e perdendo un po' la presa sulla materia trattata: ecco dunque che i numeri cantati, eseguiti su un palco immaginario a mo' di cabaret, scorrono in parallelo all'azione filmata, alternandosi a essa come per punteggiarla con i loro commenti. E anche la fotografia appare definita e luminosa come se i personaggi fossero sempre sotto le luci di un teatro. Fra i punti deboli, purtroppo, ci sono proprio le canzoni, tutt'altro che memorabili (se si eccettua la prima, la celebre "All that jazz"), che rallentano la storia anziché portarla avanti. Belle, invece, le coreografie (per esempio quella della conferenza stampa, con i giornalisti come burattini e l'avvocato come ventriloquo). Nel cast anche Queen Latifah ("Mama", la detenuta intrallazzona), Lucy Liu (un'altra donna assassina), Colm Feore (il procuratore) e Christine Baranski (la giornalista). Esagerato il successo di critica (ben 12 nomination agli Oscar e 6 statuette vinte, compresa quella per il miglior film), ma d'altronde eravamo in un periodo di revival del musical (l'anno precedente era uscito "Moulin rouge!") e cominciava ad affiorare quella nostalgia ossessiva per il cinema del passato che caratterizzerà i decenni successivi.

4 commenti:

Bruno ha detto...

Un film che m'è piaciuto parecchio, e con i musical non sempre è così. Ho visto anche lo spettacolo teatrale (e io a teatro non ci vado quasi mai).

Forse non meritava tutto il successo che ha avuto? Non saprei, ma le assegnazioni delle statuette sono sempre molto controverse.

Christian ha detto...

I premi lasciano sempre il tempo che trovano, è vero, ma mi è parso esagerato premiare un musical che proprio nelle musiche... non brilla particolarmente. Come film è senza dubbio carino, ma secondo me era il peggiore della cinquina candidata agli Oscar quell'anno (che comprendeva, ricordiamo, "Il pianista", "Gangs of New York", "Il Signore degli Anelli: Le due torri" e "The hours"!).

In The Mood For Cinema ha detto...

Effettivamente non sono una fan sfegatata dei musical, ma questo lo ricordo sempre con molto piacere. Ovviamente gli Oscar sono esagerati, ma non è di certo questo l'unico caso.

Christian ha detto...

È che di musical più belli ce ne sono stati parecchi (quelli tratti dagli spettacoli di Andrew Lloyd Webber, per esempio), e mi dà un po' fastidio che proprio questo abbia avuto un simile successo critico...