31 gennaio 2007

Tokyo-ga (W. Wenders, 1985)

Tokyo-ga (id.)
di Wim Wenders – Germania 1985
con Chishu Ryu, Werner Herzog
***

Visto in DVD, con Martin, in originale con sottotitoli.

In occasione di una visita in Giappone a vent'anni dalla morte di Yasujiro Ozu (il regista più amato da Wim Wenders, e anche uno dei miei preferiti), il cineasta tedesco ha voluto girare un documentario che mescola testimonianze e interviste a persone che hanno lavorato con il maestro nipponico (il suo attore feticcio Chishu Ryu, l'operatore Yuharu Atsuta) con un "diario di viaggio" che mostra aspetti curiosi e particolari di Tokyo e dei suoi abitanti. Si va da curiosità "tipiche" per un turista occidentale, come le sale dei Pachinko o gli alberghi dove si può giocare a golf sui tetti (e dove lo scopo del gioco è completamente dimenticato: non lo si pratica per mandare la palla in buca, ma semplicemente per celebrare e perfezionare l'armonia del movimento), a immagini più insolite e personali come la visita a uno studio dove si producono i fac-simili di cera delle pietanze che vengono esposte all'esterno dei ristoranti; l'occhio di Wenders vaga qua e là mostrando immagini dei picnic collettivi sotto i ciliegi in fiore (una pratica denominata "hanami") ed esibizioni di gruppi di giovani appassionati di musica e cultura americana degli anni cinquanta, gli schermi televisivi presenti all'interno dei taxi e il panorama che si può scorgere dalla Torre di Tokyo. E ovviamente, c'è anche una visita alla tomba di Ozu, mentre qui e lì compaiono altri registi come Werner Herzog e Chris Marker. Il risultato è interessante proprio nel suo spaziare da una cosa all'altra, e riesce a comunicare l'interesse e la passione di Wenders per il Giappone, per le immagini video, per la riproduzione della realtà, per i rapporti familiari: tutti temi presenti nelle sue opere di quel periodo e successive.

30 gennaio 2007

Vacanze romane (W. Wyler, 1953)

Vacanze romane (Roman Holiday)
di William Wyler – USA 1953
con Gregory Peck, Audrey Hepburn
***

Visto in VHS, con Hiromi.

Un classico della commedia romantica che però finora non avevo mai visto, anche se si tratta di uno di quei film così citati che di loro si sa già tutto anche prima di vederli: essendo stato girato interamente a Roma, poi, soprattutto nel nostro paese gode di una fama quasi esagerata rispetto ai suoi pregi. La trama è semplicissima: la giovane principessa di una piccola nazione europea, a Roma per un noioso viaggio diplomatico, fugge nottetempo dal palazzo per concedersi, per la prima e unica volta, una giornata di svago e di evasione dagli impegni dell'etichetta e dal rigido programma burocratico. Gira così per la città in incognito, in compagnia di uno spregiudicato giornalista americano che, a sua insaputa, l'ha riconosciuta e intende scrivere un articolo sulla sua fuga. Un film leggero e simpatico grazie anche a due interpreti in stato di grazia (soprattutto la Hepburn, al suo debutto come protagonista). Ma anche se la visita a una Roma presentata come un vero e proprio museo a cielo aperto (il Colosseo, la Bocca della Verità, Castel Sant'Angelo...) è briosa e vivace, la scena che mi è piaciuta di più è decisamente l'ultima, più triste e malinconica, quella della conferenza stampa in cui la principessa ringrazia con lo sguardo il giornalista per la splendida giornata trascorsa, prende commiato da lui e accetta serenamente il proprio destino di "reclusa regale". Una favola delicata e senza lieto fine, bella proprio per questo. Visto il successo, si pensò anche a un sequel, che però non venne mai fatto. Nominato a ben dieci premi Oscar, il film ne vinse tre: quelli per la miglior attrice, i costumi e la sceneggiatura. Quest'ultimo fu assegnato a Ian McLellan Hunter, nonostante il vero autore fosse Dalton Trumbo, che però non poteva essere accreditato apertamente perché sulla lista nera del Maccartismo. Soltanto nel 1993 l'Academy rimediò al'ingiustizia e attribuì ufficialmente la statuetta (postuma) a Trumbo.

29 gennaio 2007

Hatari! (Howard Hawks, 1962)

Hatari!

Hatari! (id.)
di Howard Hawks – USA 1962
con John Wayne, Elsa Martinelli
***

Visto in DVD, con Martin.

Successivo di quasi 25 anni ad "Avventurieri dell'aria", che io e Martin abbiamo visto qualche settimana fa, all'inizio ne sembra quasi un remake ambientato fra i cacciatori nella savana africana anziché fra i piloti postali del Sudamerica. I temi sono gli stessi: un gruppo di uomini coraggiosi di varie nazionalità e provenienti da differenti background si ritrova in un luogo impervio e fuori dal mondo per svolgere un mestiere difficile e pericoloso; le poche donne sono oggetto di contesa, oppure destinate a conquistare il cuore del capo del gruppo (qui Wayne, lì Grant), misogino perché scottato da un'esperienza precedente; e non mancano l'amicizia virile, il senso dell'umorismo e l'iniziale diffidenza verso il nuovo venuto che poi si conquista la fiducia degli altri... Rispetto all'altro film, però, il tono si rivela molto più leggero e vira spesso verso la commedia: le scene con gli elefanti e tutto l'inseguimento finale in città, per esempio, ricordano addirittura le pellicole slapstick di Hawks come "Susanna" (anche lì, a ben pensarci, c'era un animale selvaggio, il leopardo Baby, naturalmente associato a una donna come "portatrice di guai" in un ambiente maschile). E come dimenticare la musichetta che accompagna Anna (la fotografa italiana, intepretata da Elsa Martinelli) e gli elefanti quando si recano alla pozza d'acqua, così simile al tema dei Chocobo di "Final Fantasy VII"? Il brano, composto da Henry Mancini, divenne molto popolare con il titolo "Baby Elephant Walk" ed è stato reinterpretato da molti musicisti in stili diversi: dunque non è da escludere che Nobuo Uematsu, il compositore del videogioco, vi si sia ispirato al momento di ideare la marcia dei Chocobo. Hawks, come al solito, fa un ottimo lavoro: tutte le scene con gli animali sono davvero molto belle e soprattutto realistiche, altro che la CGI di oggi! Curioso comunque come il mestiere dei protagonisti (quello di catturare gli animali selvaggi per venderli agli zoo), presentato negli anni sessanta in chiave avventurosa, affascinante e positiva, già pochi decenni dopo li avrebbe invece resi automaticamente dei cattivi per via dell'ambientalismo e del politically correct. Più volte, mentre guardavo il film, mi sono divertito a immaginare un cross-over con "Io sto con gli ippopotami"! Bud Spencer contro John Wayne: chi vincerebbe? Un'ultima nota: "Hatari!" significa "Pericolo!" in Swahili. Nel film questa parola si sente quando gli indigeni fuggono davanti al razzo costruito da Red Buttons per catturare le scimmie.

Tre passi nel delirio (Vadim, Malle, Fellini, 1968)

Tre passi nel delirio (Histoires extraordinaires)
di Roger Vadim, Louis Malle, Federico Fellini – Francia/Italia 1968
con Jane Fonda, Alain Delon, Terence Stamp
**

Rivisto in DVD.

Un film a episodi tratto dai racconti di Edgar Allan Poe che avevo già visto parecchi anni fa ma che non ricordavo quasi per niente, eccezion fatta per qualche immagine del primo episodio che mi era rimasta nella mente. Le tre storie sono ambientate in epoche differenti (un medioevo fiabesco e irreale per Vadim, un ottocento austero e opprimente per Malle, un ventesimo secolo grottesco e infernale per Fellini) e presentano protagonisti ossessionati dal paranormale che li tormenta fino a farli impazzire (come peraltro recita, correttamente, il titolo italiano del film). La qualità dei tre cortometraggi, però, è piuttosto disuguale. Se da Vadim non mi aspettavo molto di più, Malle (che pure poteva contare su uno dei racconti più interessanti di Poe) mi ha piuttosto deluso. Bello, invece, l'episodio di Fellini, soprattutto dal punto di vista estetico e visivo: è sicuramente il migliore dei tre.

"Metzengerstein" di Roger Vadim, con Jane Fonda e Peter Fonda (*1/2)
Dopo aver fatto uccidere il cugino che l'aveva respinta, una nobile viziata e dissoluta è tormentata da un gigantesco destriero nero che potrebbe essere lo spirito del congiunto. Insoddisfacente e inconcludente, si salva per i bei paesaggi (è girato in Finistère, nella Bretagna francese) e per Jane Fonda, bellissima anche se poco in parte, che sfoggia tutta una serie di eleganti vestitini medievali. Brutta invece la musica e mediocre la narrazione, che lascia troppo spazio alla voce fuori campo.

"William Wilson" di Louis Malle, con Alain Delon e Brigitte Bardot (*1/2)
Per tutta la vita, un uomo crudele e sadico è perseguitato da un misterioso sosia che manda all'aria le sue malefatte. Da uno dei racconti più interessanti di Poe sul tema del doppio, Malle tira fuori una versione scialba e priva di tensione. Curiosa la parte di Brigitte Bardot, giocatrice d'azzardo con il sigaro.

"Toby Dammit" di Federico Fellini, con Terence Stamp (***)
Un attore inglese, nevrastenico, alcolizzato e ossessionato dal demonio, giunge a Roma per interpretare "il primo western cattolico". Farà una brutta fine. L'episodio di Fellini è il migliore, e non solo perché è quello più personalizzato (ambientato ai giorni nostri, nel mondo del cinema, in una Roma trasfigurata dalla splendida la fotografia di Giuseppe Rotunno, con colori, luci e tonalità rosse). Tutto concorre a farne un piccolo gioiellino: la musica di Nino Rota, i moltissimi volti dei caratteristi, il tono grottesco, il protagonista che parla inglese e non è tradotto (il resto degli attori parla in italiano). Peccato soltanto che la scena finale, quella sulla strada che si interrompe nella nebbia, non sia bella e convincente come la parte iniziale all'aeroporto e quella centrale alla cerimonia di consegna dei premi cinematografici.

25 gennaio 2007

L'arte del sogno (M. Gondry, 2006)

L'arte del sogno (La science des rêves)
di Michel Gondry – Francia 2006
con Gael García Bernal, Charlotte Gainsbourg
**1/2

Visto al cinema Apollo, con Hiromi.

L'introverso Stephane, tornato dal Messico a Parigi dopo la morte del padre, è costretto a mettere da parte le proprie tendenze creative di illustratore, inventore e aspirante crononauta per dedicarsi a un lavoro noioso, quello del compositore di calendari. Nel frattempo si innamora della vicina di pianerottolo, ma inizialmente le nasconde persino di abitare al suo fianco. Timido, insicuro e caratterizzato da un confine fra sogno e realtà piuttosto labile, il ragazzo si perde tra visioni oniriche, pensieri in libertà e situazioni surreali. Il mondo dei sogni è per lui altrettanto reale, se non di più, di quello in cui è costretto a vivere, e lo domina attraverso un finto studio televisivo dal quale presenta, dirige e modifica il contenuto dei propri sogni. Al suo terzo lungometraggio, il regista di "Se mi lasci ti cancello" torna a girare in Francia ma come protagonista sceglie un attore messicano, quel Gael García Bernal che ultimamente sta davvero spopolando (negli ultimi dodici mesi avrò visto cinque-sei film con lui), affiancandogli noti volti francesi come Miou-Miou, che interpreta la madre, e l'irresistibile Alain Chabat (che ammiro sin dai tempi del Karamazov di "Quattro delitti in allegria") nei panni di Guy, l'imprevedibile collega sessuomane. Le molteplici scene oniriche sono arricchite e movimentate da un profluvio di effetti speciali che coraggiosamente rinunciano alla computer graphic in favore dell'animazione a passo uno, fra animali di peluche, nuvole di cotone, automobili di cartoncino e fiumi di carta stagnola. Il risultato è esteticamente "caldo" e old-fashioned, proprio come dovrebbe essere un buon sogno. Surreale, metafisico, e piuttosto divertente: forse però gli manca un tocco di genialità in più, per intenderci quella che avrebbe potuto fornire un Charlie Kaufman (lo sceneggiatore dei primi due film di Gondry).

24 gennaio 2007

Cognome e nome: Lacombe Lucien (L. Malle, 1974)

lacombe lucien

Cognome e nome: Lacombe Lucien (Lacombe Lucien)
di Louis Malle – Francia/Italia 1974
con Pierre Blaise, Aurore Clément
***

Visto in DVD.

Nella Francia meridionale occupata dai tedeschi, nel 1944, un giovane contadino cerca dapprima di entrare nella resistenza (venendone respinto per la sua giovane età) e poi si mette a lavorare per la polizia tedesca, facendo rapidamente carriera come collaborazionista. Si innamorerà però della figlia di un vecchio sarto ebreo. Malle mostra un delicato periodo della storia europea attraverso gli occhi di un personaggio ingenuo e immaturo che passa dalla parte dei "cattivi" quasi per caso, senza nemmeno rendersi conto della situazione, e che diventa un collaborazionista non per ideali politici ma per una sorta di opportunismo quasi infantile. La descrizione dei personaggi, priva di gran parte dei soliti stereotipi, è il punto di forza del film, perfetto nel mostrare la "banalità del male" e la disinvoltura che spesso si nasconde dietro scelte fondamentali e radicali. In fondo Malle intende dimostrare che chiunque, anche le persone più innocenti, possono passare dalla parte del torto. Alla sceneggiatura ha collaborato anche Margarethe von Trotta, mentre il direttore della fotografia è Tonino Delli Colli.

La segretaria quasi privata (W. Lang, 1957)

La segretaria quasi privata (Desk Set)
di Walter Lang – USA 1957
con Spencer Tracy, Katharine Hepburn
**

Visto in DVD, con Hiromi, Daniela e Alfredo.

L'ufficio "quesiti" di un'emittente radiofonica (ovvero il dipartimento che si occupa di fornire informazioni sui più svariati argomenti a chiunque ne faccia richiesta) è messo sottosopra dall'arrivo di un misterioso addetto che intende installarvi un computer. Le impiegate temono naturalmente di perdere il posto in favore del cervello elettronico, capace di eseguire il loro stesso lavoro in maniera più veloce ed efficace. Alla battaglia fra l'uomo e la macchina si aggiunge quella fra i sessi, con la love story fra l'esperto di informatica e la direttrice dell'ufficio, anche se da questo punto di vista il film risulta piuttosto annacquato e poco intrigante, nonostante la presenza di una coppia spumeggiante come quella Tracy/Hepburn. Interessante in prospettiva storica (l'introduzione del computer come "strumento di lavoro" per le impiegate è un'idea che non le sfiora nemmeno per un attimo: la macchina è da loro vista soltanto come un concorrente e non come un database che va a sostituire la polverosa biblioteca), il film non è particolarmente vivace dal punto di vista cinematografico: è registicamente piatto, senza primi piani o sequenze di rilievo.

19 gennaio 2007

Casino Royale (M. Campbell, 2006)

Casino Royale (id.)
di Martin Campbell – USA 2006
con Daniel Craig, Eva Green
**

Visto al cinema Plinius, con Hiromi.

Devo ammettere che mi aspettavo qualcosa di più dal film che doveva rappresentare un nuovo inizio per James Bond; nuovo non soltanto perché cambia l'attore protagonista, ma anche perché la pellicola è tratta dal primissimo romanzo della serie, quello che introduce il personaggio e che era già stato trasposto al cinema nel 1967 da un nutrito gruppo di registi (fra cui John Huston), con David Niven nella parte di Bond e Orson Welles in quella di Le Chiffre. Il film del 1967 era dissacrante e parodistico (c'erano anche Woody Allen e Peter Sellers!) ed è considerato fuori serie rispetto alle pellicole successive, e dunque questo remake ne va a prendere il posto nella cronologia ufficiale (anche se la presenza di cellulari, computer e tecnologie moderne collocano senza ombra di dubbio la vicenda ai giorni nostri, mettendo di fatto "fuori continuity" i vecchi episodi: seguiranno altri remake, magari dei film con Connery, per gli spettatori più giovani?). La prova di Craig, alla fine, è la cosa migliore del film. Che fosse un bravo attore si sapeva, ma qui è abile a dar vita a un 007 al tempo stesso più debole, fragile e insicuro rispetto a come siamo abituati (si tratta delle sue prime missioni, commette svariati errori ed è persino meno misogino del solito, arrivando addirittura a meditare di sposarsi e di abbandonare i servizi segreti) e più forte, fisico e muscoloso, persino rude e brutale, rispetto agli attori che lo hanno preceduto. Ma anche meno elegante, meno raffinato, meno ironico, meno simpatico: forse, in fin dei conti, avrei preferito un Bond più tradizionale. Nel resto del cast spicca il danese Mads Mikkelsen nei panni del cattivo, mentre Giannini non fa nulla più del dovuto e la Green (come già ne "Le crociate"... ahimè, si sta perdendo!) non lascia alcuna traccia di sé. Il cambiamento di carattere di 007, all'inizio, mi ha un po' infastidito. Bond deve essere Bond, pensavo: se si cambia la sua personalità, tanto vale utilizzare le risorse finanziarie e cinematografiche per fare un "normale" action movie. Ma qui in fondo vengono narrate le origini del personaggio: ed era quasi necessario sacrificare un intero film per spiegare meglio come 007 è diventato quello che era (e sarà, spero) nelle altre avventure. A rendere questo film il meno "bondiano" di sempre contribuiscono anche le assenze di "Q" e Moneypenny. Dal punto di vista tecnico, la regia di Campbell (già autore di "Goldeneye", il miglior 007 degli ultimi vent'anni) non ha nulla di speciale. Tutta la prima mezz'ora è indistinguibile da un qualsiasi moderno film d'azione hollywoodiano e senz'anima. Meglio invece la parte centrale, quella ambientata al casinò da cui il film prende il titolo, dove Bond deve sconfiggere i nemici a poker (si gioca con il "Texas Hold'em", due carte a ciascun giocatore e cinque carte in comune, lo stesso sistema che viene usato negli incontri del World Poker Tour trasmessi anche da noi su Sportitalia – e che, lo ammetto, guardavo spesso con piacere!) e dove per fortuna non c'è il solito abuso di effetti speciali. Il finale, invece, soffre di eccessivi colpi di scena, molti dei quali peraltro prevedibili. E l'affondamento del palazzo a Venezia è francamente ridicolo. Molto belli, invece (come quasi sempre nei film di 007), i titoli di testa.

17 gennaio 2007

L'angelo ubriaco (A. Kurosawa, 1948)

angelo ubriaco

L'angelo ubriaco (Yoidore tenshi)
di Akira Kurosawa – Giappone 1948
con Takashi Shimura, Toshiro Mifune
***1/2

Rivisto in DVD, in originale con sottotitoli.

Un medico ubriacone e scontroso si prende a cuore la salute di un giovane yakuza troppo orgoglioso e testardo per cambiar vita nonostante soffra di tubercolosi. Ambientato nei quartieri poveri e periferici della Tokyo del dopoguerra, una città malata e semidistrutta, è il primo vero capolavoro di Kurosawa, coinvolgente e toccante per l'umanità dei personaggi e per la desolazione del mondo attorno a loro. Alcuni critici lo hanno definito un film "neorealista", paragonandolo a quelli italiani dello stesso periodo, ma non credo che sia completamente giusto: l'ambientazione è sì importante ma funge soltanto da sfondo per la storia di due personaggi che potrebbero in fondo vivere in ogni luogo e in ogni tempo. Shimura tratteggia alla perfezione la figura di un dottore che – a differenza dei colleghi che hanno fatto carriera negli ospedali e nelle cliniche di lusso – ha scelto di vivere in mezzo alla povera gente per aiutarla il più possibile (esemplari le scene in cui si preoccupa per i bambini che giocano in prossimità delle fogne a cielo aperto). E anche Mifune, alla sua prima collaborazione con il regista che lo avrebbe reso celebre, mostra già tutta la propria bravura creando un personaggio complesso e sfaccettato. La coppia di attori, che recitavano per la prima volta insieme, avrebbe dato vita l'anno dopo a un altro capolavoro, "Cane randagio".

Curiosamente non sono pochi i film giapponesi con protagonisti medici e dottori: oltre a questo, a memoria mi vengono in mente "Barbarossa" dello stesso Kurosawa (dove Mifune interpreta invece la parte del medico), "Dr. Akagi" di Imamura, e il recente "Vital" di Tsukamoto.

Chambre 666 (W. Wenders, 1982)

Chambre 666
di Wim Wenders – Francia/Germania 1982
con Jean-Luc Godard, Steven Spielberg
**1/2

Visto in DVD, con Martin, in originale con sottotitoli.

Nell'ambito della nostra rassegna wendersiana, ci siamo visti anche questo corto (dura 45 minuti) girato dal regista tedesco durante la sua permanenza al festival di Cannes nel 1982.
Wenders ha fatto entrare nella sua stanza d'albergo (avrà avuto davvero il numero 666?) svariati suoi colleghi, fra i quali Godard, Spielberg, Herzog, Fassbinder e Antonioni, chiedendo loro di rispondere, davanti alla videocamera e a un registratore, ad alcune domande sul futuro del cinema e sulla sua eventuale prossima scomparsa come arte e linguaggio. Già allora sembrava imminente la morte della pellicola in favore della televisione, del video e del nastro magnetico (il digitale era ancora lontano).
Come mi ha fatto notare Martin, probabilmente il film risulta molto più interessante oggi di quando è stato girato, oltre venticinque anni fa. È quasi incredibile il tono profetico di alcuni dei registi intervistati (in particolare Antonioni) sui temi dell'home video e delle nuove tecnologie. Riguardo al futuro del cinema, alcuni erano ottimisti (come Herzog), altri più pessimisti (come Monte Hellman), alcuni attenti solo all'aspetto economico della produzione di film (come Spielberg), altri solo a quello estetico-teorico (come Godard). Non mancavano opinioni completamente differenti fra loro sul ruolo della televisione (per Morissey la televisione è meglio del cinema perché mostra la "vita vera", mentre per Herzog è l'esatto contrario: è il cinema a essere "reale", mentre la tv è "finta"). L'ambiente che ospita le interviste era curiosamente "alla Ghezzi" (con tanto di inquadratura fissa e televisore acceso sullo sfondo – che soltanto Herzog spegne prima di iniziare a parlare).

16 gennaio 2007

Wild zero (T. Takeuchi, 2000)

Wild zero
di Tetsuro Takeuchi – Giappone 2000
con Masashi Endo, Kwancharu Shitichai
***

Visto in divx, in originale con sottotitoli inglesi.

A bordo di dischi volanti che sembrano usciti da un film di Ed Wood, gli alieni invadono la Terra e trasformano gli esseri umani in zombi. Li combatterà Ace, un giovane motociclista, aiutato da una banda di rockettari dai superpoteri (Guitar Wolf, Bass Wolf e Drum Wolf, veri musicisti che interpretano sé stessi). Quasi una versione giapponese dei B-movie della Troma (ma realizzata molto meglio), è divertente, demenziale, kitsch e trash come "Flippaut". Ricco di personaggi bizzarri e simpatici, è anche un ottimo zombie movie, ripieno fino al midollo di atmosfere anni ottanta, al tempo stesso inno al rock'n'roll e dissacrante film di genere, con colpi di scena piuttosto insoliti (il personaggio di Tobio, per esempio, di cui il protagonista si innamora), effetti speciali artigianali e molta musica da ascoltare ad alto volume. A suo modo è pure romantico (oltre alla coppia Ace-Tobio, c'è anche l'indimenticabile scena del bacio fra i due fidanzati zombi). Memorabile anche la spada che esce dalla chitarra con cui Guitar Wolf taglia a metà l'astronave nemica.

15 gennaio 2007

Volcano High (Kim Tae-gyun, 2001)

Volcano High (Wa San Go)
di Kim Tae-gyun – Corea del Sud 2001
con Jang Hyuk, Shin Min-ah
**1/2

Visto in divx.

Vulcano è un istituto scolastico sconvolto dai continui conflitti fra studenti e professori e fra gli stessi studenti, che competono fra loro a suon di arti marziali e tecniche segrete nella speranza di impossessarsi del fantomatico "manoscritto del maestro". Quando il malvagio vicepreside avvelena il bonario preside e assolda cinque professori dotati di superpoteri per portare la disciplina nelle classi, scoppia la rivolta. Il protagonista, che può controllare l'acqua e i fulmini perché è caduto da piccolo in una vasca piena di anguille (!), mette da parte le proprie esitazioni e sconfigge i malvagi insegnanti. Un film divertente soprattutto nella prima parte, quella in cui vengono introdotti numerosissimi personaggi che si fregiano di titoli quali "Spada magica senza pietà" o "Giada di ghiaccio" (con sovrabbondanza di scritte in sovraimpressione). La seconda parte, invece, è piena di combattimenti in stile manga (e wuxia) e un po' più noiosetta, ma nel complesso lo spettacolo, condito da una forte dose di computer grafica, non latita. L'edizione italiana mi è sembrata buona.

14 gennaio 2007

Zulu (Cy Endfield, 1964)

zulu

Zulu (id.)
di Cy Endfield – USA 1964
con Stanley Baker, Michael Caine
***

Visto in DVD, con Albertino.

Il film racconta la battaglia di Rorke's Drift (in Sudafrica) fra inglesi e zulu, quando una guarnigione di poco più di cento soldati britannici (per lo più gallesi, a dire il vero) venne assediata da oltre quattromila guerrieri delle nazioni africane. Michael Caine, al suo esordio in un ruolo da protagonista, è uno dei due giovani ufficiali in comando (e in conflitto fra loro) durante la strenua difesa del campo. Grandioso e spettacolare, ma al tempo stesso semplice e senza fronzoli, è stato citato da Peter Jackson come una delle fonti di ispirazione per la battaglia del fosso di Helm ne "Le due torri". Ovviamente il punto di vista è esclusivamente quello britannico, e gli zulu svolgono lo stesso ruolo che gli indiani ricoprivano nei primi western, ma comunque vengono descritti come guerrieri eroici e coraggiosi. Apprezzabile l'unità di tempo e di luogo: la pellicola si svolge quasi interamente nel campo britannico e nell'arco di ventiquattr'ore. Mi è piaciuta in particolare la lunga attesa che precede l'assalto degli zulu (praticamente la prima ora di film) e il triste appello dei soldati superstiti che segue la conclusione della battaglia.

13 gennaio 2007

Nicotina (H. Rodriguez, 2003)

Nicotina – La vita senza filtro (Nicotina)
di Hugo Rodriguez – Messico 2003
con Diego Luna, Lucas Crespi
**1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Il cinema messicano sta vivendo un periodo particolarmente felice, con autori come Iñarritu, Cuarón o Del Toro che sfornano ottimi film uno dietro l'altro. Questa black comedy dello sconosciuto Rodriguez (ex assistente proprio di Cuarón, al suo secondo lungometraggio) è un po' una versione tarantiniana di pellicole del tipo "Tutto in una notte" o "Fuori orario". Un terzetto di messicani deve ritirare una partita di diamanti da due mafiosi russi, ma equivoci e coincidenze fanno precipitare gli eventi coinvolgendo anche una coppia di avidi barbieri e due farmacisti in preda a una crisi coniugale. Il tono è pulp, ironico e sopra le righe, ma la quotidianità che incombe in ogni momento consente alla vicenda di mantenersi ben ancorata nel mondo reale, senza troppe esagerazioni. Piuttosto divertente e ben fatto. L'attore principale, Diego Luna, era co-protagonista di "Y tu mamá también" insieme a Gael-García Bernal. Il titolo è un po' pretestuoso e si riferisce alla passione per il fumo che lega fra loro, in un modo o nell'altro, quasi tutti i personaggi.

12 gennaio 2007

Operazione Cicero (J. L. Mankiewicz, 1952)

Cicero

Operazione Cicero (5 Fingers)
di Joseph L. Mankiewicz – USA 1952
con James Mason, Danielle Darrieux
***

Visto in DVD.

Nel 1944, durante la guerra, il cameriere personale dell'ambasciatore inglese ad Ankara si propone come spia ai tedeschi, vendendo loro documenti segreti compresi i piani dello sbarco in Normandia: il suo scopo è quello di arricchirsi per poter dichiarare il proprio amore a una contessa, che pur essendo caduta in disgrazia continua a guardarlo dall'alto verso il basso per la differenza di classe. Un ottimo film di spionaggio valorizzato dall'eccellente prova di Mason e dalla consueta bravura di Mankiewicz, sempre attento alla caratterizzazione dei suoi personaggi, anche di quelli minori. "Cicerone" (nome in codice della spia) è un individuo mistificatore e doppiogiochista, intelligente ma sottovalutato da tutti, ossessionato dal desiderio di superare le barriere di classe: tutti temi tipici del cinema di questo grande regista e sceneggiatore. Bello il finale, con Mason braccato fra le strade di Istambul sia dagli inglesi che dai tedeschi, e il successivo colpo di scena in Brasile, beffardo ma soddisfacente (vedi la risata finale). Una didascalia all'inizio afferma che si tratta di una storia vera, e per quanto sembri improbabile è proprio così: è stata tratta dal libro di memorie scritto da un funzionario dell'ambasciata tedesca, che peraltro compare anche nel film facendo la figura del sempliciotto.

11 gennaio 2007

Tutti gli uomini del presidente (A. Pakula, 1976)

Tutti gli uomini del presidente (All the President's Men)
di Alan J. Pakula – USA 1976
con Robert Redford, Dustin Hoffman
***1/2

Visto in DVD.

Tratto dal libro autobiografico di Carl Bernstein e Bob Woodward, i giornalisti che con le loro indagini fecero esplodere lo scandalo Watergate che portò alle dimissioni di Nixon e all'incriminazione dei suoi più stretti collaboratori, più che sulla politica è un'accurato docu-drama sul mondo del giornalismo americano all'apice del suo periodo d'oro, quando un'inchiesta aveva addirittura il potere di far cadere un presidente. Gran parte della vicenda si svolge fra le pareti della redazione del "Washington Post", fra il ricchettio delle macchine da scrivere, il suono dei telefoni che squillano, il frusciare dei fogli dei bloc-notes. Se la sala stampa è illuminata costantemente dalle luci dei neon del soffitto, il mondo esterno è invece perennemente avvolto nell'oscurità (bella la fotografia di Gordon Willis), come i corridoi del potere ma anche il garage dove Woodward si incontra con il suo misterioso informatore, "Gola profonda". Pakula è bravo a mantenere uno stile asciutto e a riprodurre senza spettacolarizzazioni il lavoro investigativo dei reporter, mostrandone tutta la ripetitività ma anche la tenacia e l'accuratezza. Più che suo, però, il film è di Redford: è lui che ha avuto l'idea di portare il caso Watergate sullo schermo, è lui che ha persuaso i produttori e scelto il regista, è lui che ha approcciato i due giornalisti, Woodward e Bernstein, allora in procinto di scrivere un romanzo sulla vicenda, convincendoli che il fulcro della storia non doveva essere Nixon con i suoi subalterni ma proprio i giornalisti e la loro inchiesta. In quest'ottica è ovvio che la sceneggiatura di William Goldman si concentri soprattutto sui primi mesi dell'indagine, quelli quelli più oscuri e difficili, quando la portata dello scandalo non era ancora evidente e Woodward e Bernstein si facevano largo in un'intricata rete di silenzi, reticenze e minacce. La pellicola si conclude con la rielezione di Nixon e dedica a poche immagini il compito di riassumere gli eventi successivi, ben più eclatanti, fino alle dimissioni del 1974. Il titolo fa il verso a "Tutti gli uomini del re", altro celebre film (del 1949) sul tema della corruzione politica.

Driver l'imprendibile (W. Hill, 1977)

Driver l'imprendibile (The Driver)
di Walter Hill – USA 1977
con Ryan O'Neal, Bruce Dern, Isabelle Adjani
**1/2

Visto in DVD.

Il "cowboy" è un autista provetto che i banditi assoldano per guidare le loro auto durante la fuga. La sua fama è giunta anche alle orecchie della polizia, ma nessuno è mai riuscito a incastrarlo. Pur di assicurarlo alla giustizia, un detective poco ligio ai regolamenti stringe un patto con una banda di rapinatori dal grilletto facile, consentendo loro di organizzare liberamente un colpo in banca. Ma le cose non vanno come previsto. Un classicone, fonte di ispirazione per numerosi altri film, telefilm e cartoni animati (da "Riding Bean" a "The transporter"). Fosse girato oggi, sarebbe una bessonata piena di azione e di umorismo. Hill usa invece uno stile piuttosto sobrio, quasi da noir, persino nei numerosi inseguimenti automobilistici, spericolati e realistici, dove le acrobazie dipendono esclusivamente dall'abilità del pilota e non dalle caratteristiche e dalla potenza della macchina. I suoi personaggi sono solitari, mantengono sempre il sangue freddo e addirittura non hanno nome: interpretano soltanto dei ruoli ("l'autista", "il detective", "la giocatrice", "la mediatrice"), come in un gioco senza fine fra guardie e ladri, dove non possono esserci né vinti né vincitori. O'Neal e la Adjani (pallida e fascinosa, come sempre) mantengono la stessa espressione per tutto il film.

10 gennaio 2007

Il grande capo (L. von Trier, 2006)

Il grande capo (Direktøren for det hele)
di Lars von Trier – Danimarca 2006
con Jens Albinus, Peter Gantzler
**1/2

Visto al cinema Apollo, con Marisa.

Invece di sfornare il terzo capitolo della trilogia americana (dopo "Dogville" e "Manderlay"), von Trier sorprende tutti con una commedia, un genere che a prima vista non sembrerebbe adatto a lui. Eppure si ride: l'umorismo è di quel tipo freddo e nordico che già faceva capolino qua e là in altri suoi lavori, come in "The Kingdom" (l'imprenditore islandese che insulta continuamente i danesi non può non ricordare il medico svedese di quella serie televisiva). La trama? Un attore di teatro fallito viene assoldato dal proprietario di un'azienda di informatica per impersonare il presidente della società. Costui, infatti, non esiste: il proprietario ha sempre finto di essere il vicepresidente per poter scaricare la responsabilità delle decisioni impopolari su qualcun altro. Ma adesso c'è bisogno della presenza del "grande capo" in persona per concludere la vendita della società. Man mano che la situazione si fa sempre più delicata, l'attore deve far ricorso a tutte le proprie capacità di improvvisazione. Von Trier ironizza su ogni cosa: il mondo degli affari, i rapporti interpersonali, il teatro d'avanguardia, i classici (Ibsen e Strindberg) e persino se stesso. Un personaggio, a un certo punto, afferma "La vita è come un film Dogma"! Curioso, divertente, imprevedibile.

Nota: von Trier afferma di aver sperimentato, con questo film, un sistema chiamato Automavision (che nei credits figura come "direttore della fotografia"). Si tratta di un computer che aziona autonomamente la macchina da presa dopo che il regista o l'operatore hanno stabilito l'inquadratura di partenza. Questo spiegherebbe i movimenti meccanici e le inquadrature bizzarre, che spesso appaiono poco centrate o tagliano via parte dei volti dei personaggi... sarà la solita provocazione per prendere in giro gli spettatori creduloni?

7 gennaio 2007

Vita futura (W.C. Menzies, 1936)

Vita futura (Things to come)
di William Cameron Menzies – GB 1936
con Raymond Massey, Cedric Hardwicke
*1/2

Visto in DVD, con Martin e Albertino.

Un visionario spaccato della storia futura, caratterizzato dalla contrapposizione fra barbarie e progresso e ispirato a un romanzo di H.G. Wells. Interessante in alcune parti, noioso in molte altre, non è male visivamente ma pecca dal punto di vista della sceneggiatura, confusa e poco appassionante. La pellicola inizia nel 1940, quando scoppia la guerra mondiale (il film è del 1936, ma probabilmente era fin troppo facile prevedere cosa sarebbe accaduto di lì a pochi anni). Contro ogni previsione, però, il conflitto dura per molti decenni fino al 1966, lasciando il paese nel caos e praticamente cancellando la civiltà. Segue un periodo di barbarie, che ricorda scenari post-catastrofici come quelli di "Mad Max": carenza di materie prime e città-stato governate da dittatori in guerra fra loro. Un'elite di scienziati riuscirà però a riunificare il pianeta, non più nel nome della politica e dell'economia, ma in quello del progresso e dell'utopia scientifica. Nel 2036, l'umanità vivrà in moderne megalopoli in stile "Metropolis" e si appresterà a conquistare le stelle (progettando di raggiungere la Luna per mezzo di un "cannone spaziale" che ricorda quello descritto da Giulio Verne in "Dalla Terra alla Luna"). Ma ci sarà sempre chi vorrà porre fine al progresso. La pellicola è corale, e più che sui singoli personaggi si concentra su temi e ambientazioni. Non male, per l'epoca, le scenografie e gli effetti speciali (d'altronde Menzies era uno scenografo, e questo fu il suo primo film). Ma ci sarebbe voluta una trama più interessante per legare insieme tutto il materiale.

Avventurieri dell'aria (H. Hawks, 1939)

Avventurieri dell'aria (Only angels have wings)
di Howard Hawks – USA 1939
con Cary Grant, Jean Harlow
***

Visto in DVD, con Martin.

La vita, gli amori, le tragedie di un gruppo di piloti civili che svolge il servizio postale in un'imprecisato paese dell'America Latina, fra il porto e le montagne perennemente immerse nella nebbia e nel maltempo. Cary Grant è il capo del gruppo, cinico e indurito dalle esperienze ma abile e benvoluto da tutti; Jean Harlow è la bionda che si innamora di lui nonostante il rischio, che incombe continuamente, di non vederlo tornare da una missione; Richard Barthelmess è un altro pilota con un passato scomodo da dimenticare; Rita Hayworth è sua moglie, nonché ex fiamma di Grant, in un ruolo un po' sacrificato (ma "Gilda" era ancora lontana da venire). Hawks è bravissimo a descrivere l'ambiente e a far interagire fra loro personaggi ben caratterizzati. Un piccolo gioiellino con molti temi tipici del regista, dall'amicizia virile al conflitto fra i sessi, dall'eroismo stemperato dall'ironia al rischio della morte incombente.

5 gennaio 2007

The prestige (Christopher Nolan, 2006)

The prestige (id.)
di Christopher Nolan – USA/GB 2006
con Christian Bale, Hugh Jackman
***1/2

Visto al cinema President.

Grande film: se dopo "Memento" e "Batman begins" ci fossero stati ancora dubbi sul valore di Nolan, questo pellicola li spazza via definitivamente. Ambientata nella Londra vittoriana alla fine del diciannovesimo secolo, racconta la feroce rivalità fra due illusionisti che competono fra loro in una spirale di odio e vendetta, al punto che non basta più dimostrare di essere il migliore ma bisogna anche distruggere fisicamente l’avversario, annientarne la reputazione, rubargli i trucchi del mestiere, fino a sacrificare sé stessi, la propria vita e la propria identità. Ed esattamente come un prestigiatore, anche Nolan gioca con gli spettatori, manipolandoli ed ingannandoli, facendo loro credere di aver già capito tutto a metà film e naturalmente sorprendendoli nel finale. Tutto questo grazie a un'enorme quantità di indizi e di dettagli che rivelano il loro reale significato soltanto con il senno di poi, magari addirittura ripensandoci a qualche giorno di distanza dalla visione del film.
Intrigante e ricco di colpi di scena, oltre a essere un film che non si dimentica tanto facilmente è anche uno che andrebbe immediatamente rivisto per coglierne tutti gli aspetti, come "Il sesto senso" o "I soliti sospetti". Anche la costruzione narrativa è insolita: gran parte delle vicende ci vengono narrate attraverso un lungo flashback nel quale un personaggio legge il diario di un altro che a sua volta legge gli appunti del primo, e questo fa sospettare in più punti di trovarsi di fronte al classico "narratore inattendibile". Al termine, poi, rimane il dubbio sul genere cui appartiene questo film: realistico o fantastico? In fondo alcuni temi sarebbero adatti per un fumetto di supereroi, un settore del quale sia "Wolverine" Jackman che "Batman" Bale hanno esperienza. Dei due protagonisti, comunque, meglio il primo. Il cast è completato da Michael Caine (bravo come al solito), Scarlett Johansson (insipida come al solito), Piper Perabo (purtroppo in una parte assai breve) e la straordinaria coppia David Bowie/Andy Serkis nei panni dello scienziato Nikola Tesla e del suo assistente. Proprio Tesla e le sue invenzioni sono la chiave di volta della storia: ed è ironico che sia uno scienziato, per di più realmente esistito, a fungere da deus ex machina per introdurre in maniera sottile e misteriosa (il funzionamento della sua macchina, se poi funziona realmente, non viene mai spiegato) la "vera magia" in un mondo dove tutte le illusioni non sono altro che trucchi da palcoscenico, sofisticati macchinari, giochi di abilità o eccellenti capacità manuali. La presenza di Tesla a fianco dei prestigiatori mi ha ricordato il mondo di Hirohiko Araki, l'autore de "Le bizzarre avventure di JoJo", grande appassionato di illusionismo ma anche cultore del rivoluzionario scienziato: un film come questo gli sarà sicuramente piaciuto.

4 gennaio 2007

Quo vadis, baby? (G. Salvatores, 2005)

Quo vadis, baby?
di Gabriele Salvatores – Italia 2005
con Angela Baraldi, Claudia Zanella
**1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Ossessionata dal suicidio della sorella, avvenuto sedici anni prima, un'investigatrice privata decide di indagare sull'accaduto dopo aver scoperto grazie ad alcune videoregistrazioni l'esistenza di un suo amante segreto. L'atmosfera è torbida e misteriosa, la sorella è presente come un fantasma in ogni momento e la stessa vita privata della protagonista sembra scuotersi e risvegliarsi tutta di colpo dopo anni di apatia e letargo. Un thriller psicologico sui generis, pieno di esplicite citazioni cinematografiche, da "Ultimo tango a Parigi" (il titolo proviene da una battuta di Marlon Brando) a "M, il mostro di Düsseldorf", e di suggestivi scorci notturni e urbani di Bologna e di Roma.
Da tempo non rimanevo così soddisfatto dopo la visione di un film di Salvatores (i precedenti "Amnesia" e "Io non ho paura" mi avevano lasciato piuttosto deluso). Come quelli, comunque, è lontano dalle pellicole che hanno reso celebre il regista italiano. A parte la presenza di Gigio Alberti, anzi, se non lo avessi saputo non avrei mai indovinato che si trattava di un suo film: niente macchiette, né concessioni comiche o personaggi "simpatici".

3 gennaio 2007

Larry Flynt (M. Forman, 1996)

larry flynt

Larry Flynt – Oltre lo scandalo (The People vs. Larry Flynt)
di Miloš Forman – USA 1996
con Woody Harrelson, Courtney Love
***

Visto in DVD.

Ho sempre apprezzato i film biografici di Forman, dedicati spesso a personaggi eccentrici e controversi ("Amadeus" è fra le mie pellicole preferite, "Man on the Moon" era molto bello e attendo con fiducia il suo nuovo film su Goya). Questo è dedicato all'intraprendente e vulcanico editore della rivista Hustler, che all'erotismo patinato di Playboy contrapponeva immagini più esplicite e meno testi ("tanto nessuno li legge"): in pratica, l'inventore di una forma editoriale di pornografia più sincera e meno ipocrita.
Ma più che il mondo della pornografia (come rappresentazione del quale era forse meglio "Boogie Nights" di Paul Thomas Anderson), il cuore del film è in realtà un altro: la lotta di Flynt contro la censura e in favore della libertà di stampa, che lo trasforma suo malgrado in un paladino dei diritti civili. Flynt difende il diritto di satira, di parola e di opinione contro le imposizioni moralistiche dei gruppi religiosi e di benpensanti, magari anche attraverso atteggiamenti di sfida sempre più irriverenti e trasgressivi verso le autorità. E da questo punto di vista il film funziona e coinvolge. Bravo Harrelson e tutto sommato anche la Love nei panni di sua moglie. Edward Norton ha una piccola parte, quella del giovane avvocato di Flynt.

West and soda (B. Bozzetto, 1965)

West and soda
di Bruno Bozzetto – Italia 1965
animazione tradizionale
**1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Il primo lungometraggio di Bozzetto è stato anche il primo film d'animazione italiano moderno (l'unico precedente, "La rosa di Bagdad" di Domeneghini, risaliva agli anni quaranta), al tempo stesso popolare (in quegli anni il genere western spopolava) e sperimentale, quasi pioneristico per grafica e animazione. Ambientazione e personaggi sono la quintessenza dei classici del west: saloon, strade polverose, deserti e fattorie. Anche la trama è piuttosto semplice: un cattivone spadroneggia grazie ai suoi due scagnozzi. Gli si oppone solo la bella Clementina, che gli rifiuta ripetutamente la propria mano e soprattutto il proprio terreno, l'unico appezzamento fertile della vallata, aiutata da un misterioso pistolero giunto dal nulla (che graficamente ricorda Lucky Luke). Fanno da contorno numerosi personaggi, alcuni umani e molti animali (i cavalli, le mucche, il cane ubriacone, persino le formiche e le mosche), nonché una banda di indiani al perenne inseguimento di una diligenza. Il film è reso piacevole dalle divertenti gag di Guido Manuli, dagli effetti speciali di Luciano Marzetti e soprattutto dalle belle scenografie di Giovanni Mulazzani.

2 gennaio 2007

La storia infinita (W. Petersen, 1984)

La storia infinita (Die Unendliche Geschichte)
di Wolfgang Petersen – Germania/USA 1984
con Barret Oliver, Noah Hathaway
**

Rivisto in TV, con Hiromi.

Il piccolo Bastian, ragazzino tranquillo che ama la lettura, riceve da un vecchio libraio un romanzo fantasy che racconta la lotta del giovane Atreyu contro il "Nulla" che sta divorando il regno di Fantasia. Nel momento culminante della vicenda, quando tutto sembra perduto, proprio Bastian verrà chiamato a intervenire nella storia con la sua fantasia per aiutare l'imperatrice bambina a ricostruire il paese. Già ai tempi della sua uscita, più di venti anni fa, non mi aveva entusiasmato: da giovane appassionato di Tolkien ero alla disperata ricerca di altri mondi fantasy, ma “La storia infinita” mi era sembrato eccessivamente semplice e infantile, rivolto a un target troppo giovane persino per me, e la cosa si rifletteva nelle caratteristiche tecniche del film, dagli effetti speciali poco credibili (con le creature che mostravano tutta la loro natura di pupazzi e che per questo motivo si faticano a prendere sul serio) alla storia (con le sue metafore fin troppo esposte ed evidenti). Ricordo persino di aver provato un briciolo di fastidio nel sentir citare “Il Signore degli Anelli”, all’inizio, fra i libri letti e posseduti da Bastian: com’è possibile, mi chiedevo, che un ragazzo che conosce e ama un’opera complessa come il romanzo di Tolkien potesse farsi coinvolgere ed entusiasmarsi a tal punto per la lettura di un’avventura semplice e lineare come quella di Atreyu? Rivedendolo adesso, devo ammettere che è un po’ meglio di quanto ricordassi, ma i difetti citati restano tutti. Si tratta di una favoletta senza infamia e senza lode, appena appena caratterizzata dall’autoreferenzialità e dal bel concetto del “nulla” che divora il mondo della fantasia: spunti che provengono dritti dal libro di Michael Ende (più strutturato anche come trama: il film ne adatta solo la prima parte), non certo merito della trasposizione cinematografica. Indimenticabile, comunque, la canzone di Moroder cantata da Limahl. Da notare che Ende non fu per nulla soddisfatto del film, e chiese (inutilmente) di cambiarne il titolo e di non essere citato nei credits. Esistono inoltre due sequel e persino una serie animata, che non ho mai visto.

1 gennaio 2007

Due o tre cose che so di lei (J.L. Godard, 1967)

2 ou 3 choses que je sais d'elle

Due o tre cose che so di lei (2 ou 3 choses que je sais d'elle)
di Jean-Luc Godard – Francia 1967
con Marina Vlady, Anny Duperey
**1/2

Visto in DVD.

"Lei" è la regione parigina, sottoposta negli anni sessanta a una pesante opera di ristrutturazione e riqualificazione urbana (sono numerose le inquadrature in cui si vedono gru e cantieri). Ma "lei" è anche Juliette, la ragazza la cui vita quotidiana, relativamente piatta e priva di emozioni, è seguita in continuazione dalla macchina da presa. All'inizio la voce del narratore (Godard in persona) presenta l'attrice protagonista allo spettatore. Pochi istanti dopo, Godard utilizza le stesse identiche parole per descrivere invece il personaggio interpretato dall'attrice stessa: un modo per sottolineare come in questo film il confine fra finzione e vita reale sia piuttosto labile. Il tono è infatti quello dell'inchiesta o del documentario. La protagonista parla ad alta voce direttamente con gli spettatori, guarda in camera, risponde alle domande di Godard fuori campo come se si trattasse di un'intervista. Forse "lei" è anche l'arte cinematografica: il cinema come luogo di intrattenimento fa capolino in numerosi dialoghi, mentre Godard sperimenta inquadrature decostruite, attenzione a dettagli e particolari apparentemente insignificanti, primissimi piani e piani sequenza lungamente protratti, dialoghi improvvisati ("parliamo come si fa normalmente, non come in un film"). "Lei", infine, è anche la prostituzione. Benché borghese, sposata e con due figli, Juliette è infatti una "bella di giorno", professione che svolge occasionalmente per arrotondare lo stipendio. Completano questo film, bello e interessante, molte riflessioni sul consumismo, il lavoro, il tempo libero, la guerra, l'amore, l'esistenza, le persone e gli oggetti inanimati. Alla fine più che una descrizione di personaggi è la descrizione di un ambiente, proprio come i documentari sugli animali.

Il piccolo diavolo (R. Benigni, 1988)

Il piccolo diavolo
di Roberto Benigni – Italia 1988
con Roberto Benigni, Walter Matthau
*1/2

Visto in TV, con Hiromi.

Non sono mai stato un grande appassionato di Benigni. A volte qualche sua battuta o gag mi fa ridere, ma nel complesso i suoi film non mi piacciono e non mi trovo in sintonia con il suo tipo di umorismo. La cosa vale anche per questo film. La prima parte è decisamente la più bella, grazie alla presenza straniante e ben sfruttata del "burbero" Walter Matthau (divertentissima la scena del pranzo con il vescovo). Peccato soltanto che fra lui e Benigni manchi una vera interazione, e che il comico toscano tenda quasi sempre a recitare "da solo" e a rubare la scena al compare. La seconda parte, invece, con l’arrivo di Nicoletta Braschi (come al solito il punto debole delle pellicole del comico toscano) è molto inferiore. La trama si sfilaccia e perde di vista i temi e i contenuti iniziali: a volte dimentichiamo persino che l'attore sta interpretando un diavolo, visto che si comporta esattamente come i personaggi umani e ingenui dei suoi film precedenti. Il finale, poi, è francamente brutto.