31 dicembre 2021

È stata la mano di Dio (P. Sorrentino, 2021)

È stata la mano di Dio
di Paolo Sorrentino – Italia 2021
con Filippo Scotti, Toni Servillo
***

Visto in TV (Netflix), con Sabrina.

Il giovane Fabio "Fabietto" Schisa (Filippo Scotti) cresce nella Napoli degli anni Ottanta, in preda al fermento per l'arrivo di Diego Armando Maradona nella squadra di calcio locale. Ma la tragedia che si abbatte sulla sua famiglia, con la morte accidentale e improvvisa di entrambi i genitori (Toni Servillo e Teresa Saponangelo), lo costringerà a maturare in fretta, accelerando il suo desiderio di diventare regista cinematografico. Nonostante i consueti tocchi "surreali" (l'incipit con San Gennaro e il "Monacello", la sorella perennemente in bagno) e i personaggi a volte sopra le righe (zii, parenti, vicini di casa), la pellicola è la più intima, realistica e autobiografica fra tutte quelle del regista: Fabietto è infatti lo stesso Paolo Sorrentino, e le circostanze della morte dei genitori sono quelle veramente accadute quando lui aveva solo 16 anni, compreso il fatto che a salvarlo, indirettamente, è stato proprio Maradona ("la mano di Dio", appunto, dal soprannome per il gol di mano segnato all'Inghilterra durante i Mondiali del 1986). Per assistere a una sua partita, infatti, il ragazzo non aveva seguito la famiglia nella casa di montagna a Roccaraso, dove una fuga di gas ha causato la tragedia. La Napoli di quell'epoca è ricostruita con calore, nostalgia e affetto, almeno nella prima parte del film, ricca di sorrisi, giochi e scherzi (anche quando mette in scena i battibecchi, le crisi in famiglia o i primi turbamenti sessuali); la seconda parte si fa inevitabilmente più amara e cupa, ma sfocia nel "confronto" con il regista Antonio Capuano (Ciro Capano) che gli consiglia di raccontare sé stesso e la sua città (consiglio che Fabio inizialmente non seguirà: e sembra quasi che Sorrentino, con questo film, abbia finalmente voluto tornare sui suoi passi e assecondare quel suggerimento dopo molti anni). A interessare Fabio, in verità, non è tanto l'amore per il cinema in sé (afferma di aver visto pochissimi film, e per l'intera pellicola cerca di guardare "C'era una volta in America" di Sergio Leone, di cui ha una videocassetta, senza riuscirci), quanto il fatto che il cinema "ti distrae dalla realtà, che è scadente". Curioso che una simile affermazione venga fatta proprio nel film di Sorrentino meno astratto e più legato proprio alla realtà, per quanto trasfigurata dalla memoria: se lo stile è simile ai lavori precedenti, con grande cura nelle scenografie, nelle immagini, nella descrizione di un mondo al tempo stesso decadente (la vecchiaia e la malattia di molti personaggi che circondano il protagonista) e ricco di spunti e potenzialità (l'arte, il cinema, le passioni), nel complesso il film appare per forza di cose più personale, sofferto e dunque sincero rispetto, per esempio, alle pellicole su Andreotti o Berlusconi. Il cast comprende Marlon Joubert (il fratello maggiore Marchino), Luisa Ranieri (la zia ninfomane Patrizia), Betti Pedrazzi: (la baronessa), Biagio Manna (l'amico contrabbandiere Armando), e ancora Massimiliano Gallo, Roberto De Francesco, Renato Carpentieri, Dora Romano. Musiche di Lele Marchitelli. La canzone sui titoli di coda (con le scritte naturalmente in azzurro) è "Napule è" di Pino Daniele.

30 dicembre 2021

Personal shopper (Olivier Assayas, 2016)

Personal shopper (id.)
di Olivier Assayas – Francia/Ger/Bel 2016
con Kristen Stewart, Lars Eidinger
**1/2

Visto in TV (Prime Video).

La giovane Maureen (Kristen Stewart), che lavora a Parigi come "personal shopper" per la celebrità Kyra (Nora von Waldstätten), è anche una medium in grado di percepire la presenza degli spiriti. Ma i suoi tentativi di instaurare un contatto con il fratello gemello Lewis, morto da poche settimane per un problema cardiaco, si rivelano infruttuosi... Uno strano film, che mescola in parallelo due storie/vicende legate fra loro solo dalla protagonista e dai suoi traumi: da una parte l'elaborazione del lutto e il tentativo di contattare lo spirito del fratello; dall'altro il rapporto con sé stessa, i propri desideri e le proprie paure, che si riflettono nello strano lavoro per conto della sfuggente Kyra, che praticamente non vede mai di persona, di cui cura l'immagine acquistando vestiti di lusso, scarpe, borse e gioielli che però gli è proibito provare o indossare lei stessa. Una proibizione che naturalmente si trasforma in desiderio di trasgressione, portando alla luce turbamenti nascosti. Le due storie si sfiorano soltanto, come quando Maureen inizia a ricevere strani messaggi sul cellulare da uno sconosciuto: si tratta del fratello morto, o di qualcuno dell'entourage di Kyra? E si incrociano infine nel finale-thriller, compresa una sequenza surreale (il "fantasma" che esce dall'albergo) che contribuisce al mistero di un film permeato da cupezza e disagio (vedi anche la fotografia "fredda") fino all'ultima sequenza, da horror psicologico. Un film un po' evanescente e pretenzioso, e non privo di divagazioni (come quelle artistiche, sulla pittrice astratta di inizio novecento Hilma af Klint o sulle sedute spiritiche di Victor Hugo), ma ben diretto e recitato. Assayas ha scritto il film espressamente per la Stewart, che aveva già recitato per lui in "Sils Maria". Premio per la miglior regia al festival di Cannes, ex aequo con "Un padre, una figlia" di Mungiu.

29 dicembre 2021

Don't look up (Adam McKay, 2021)

Don't Look Up (id.)
di Adam McKay – USA 2021
con Leonardo DiCaprio, Jennifer Lawrence
*1/2

Visto in TV (Netflix), con Sabrina.

Il professore di astronomia Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) e la sua dottoranda Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) scoprono che una gigantesca cometa, dal diametro di dieci chilometri, è in rotta di collisione con la Terra e colpirà il pianeta entro sei mesi, minacciando di estinguere ogni forma di vita. Cercano allora di lanciare l'allarme, ma il mondo è troppo stupido per capirlo. I loro tentativi si scontrano infatti con l'ottusità dei politici – a cominciare dal presidente degli Stati Uniti, Janie Orlean (Meryl Streep) – e l'indifferenza del pubblico, interessato solo a gossip e vacuità varie. Pastrocchio senza capo né coda, funestato da fastidiosissimi cambi di registro: il progetto iniziale, con ogni probabilità, era quello di fare solo una satira politica, puntata soprattutto verso l'amministrazione Trump, con i suoi slogan, la cecità (motivata da interessi e cinismo) di fronte a emergenze globali come i cambiamenti climatici, e la discutibile gestione del pubblico e del privato (nepotismo compreso: il segretario di stato (Jonah Hill) è il figlio del presidente). Ma essendosi la lavorazione del film protratta in piena pandemia di Covid-19, la satira è finita inevitabilmente per rivolgersi verso la situazione attuale, l'emergenza sanitaria appunto (basta sostituire il virus con la cometa!), con tutto il corredo di negazionisti, complottisti o semplicemente persone che prendono le decisioni sbagliate per ignoranza, incomprensione del pericolo, diffidenza verso la scienza, o desiderio di autodistruzione. Il che sarebbe anche valido, intendiamoci: ma sceneggiatura e regia, oltre a mancare di ogni sottigliezza (e rendendo così fastidiosa la divisione fra chi sa la verità e chi rifiuta di vederla, ovvero "buoni" e "cattivi"), non sembrano nemmeno capaci di mantenere lo stesso taglio per più di dieci minuti: e così si passa da momenti che sembrano uscire da "Idiocracy", dove tutti sono incredibilmente stupidi, ad altri che vorrebbero essere "seri" e toccanti, come gran parte del finale; e gli stessi personaggi (quello interpretato da DiCaprio in primis) oscillano in continuazione da un estremo all'altro, senza una personalità chiara. Il tutto ricorda un altro (brutto) film, "Mars attacks", che aveva gli stessi difetti: un mix di registri che alla lunga spiazza lo spettatore. Immaginatevi un "Dottor Stranamore" con scene toccanti o ispirazionali nel finale: che ci azzeccano? Il vasto cast – ci sono anche Mark Rylance (la parodia di Steve Jobs/Elon Musk), Cate Blanchett (la giornalista tv), Timothée Chalamet (lo skateboarder), Ron Perlman (il militare astronauta), Ariana Grande (praticamente sé stessa), Himesh Patel (l'ex di Kate) e altri ancora – serve solo a far numero: l'unico che recita intensamente è DiCaprio, gli altri sono macchiette. Il titolo del film ("Non guardate sopra" nei dialoghi italiani: perché non intitolare anche la pellicola così?) è lo slogan usato dal presidente Orlean e dei suoi seguaci per negare l'esistenza della cometa.

27 dicembre 2021

Il giardino delle parole (Makoto Shinkai, 2013)

Il giardino delle parole (Kotonoha no niwa)
di Makoto Shinkai – Giappone 2013
animazione tradizionale
**

Visto in TV (Netflix).

Nei giorni di pioggia (che in Giappone, durante la stagione delle piogge fra giugno e luglio, sono abbondanti), lo studente Takao marina la scuola e trascorre le mattine su una panchina coperta, in un parco pubblico di Shinjuku. Qui incontra regolarmente una donna misteriosa, seduta sulla stessa panchina a bere birra e mangiare cioccolata. E pian piano i due cominciano a interagire: lui sogna di diventare un calzolaio, lei reca un segreto dentro di sé... Mediometraggio intimo e minimalista, dai toni poetici e romantici: forse fin troppo, visto che l'esistenzialismo è di maniera e la storia è tutt'altro che avvincente, anche perché i protagonisti sono appena abbozzati e i dialoghi sono calligrafici (per non parlare della musica). Pur apparentemente meno ambizioso (dura soltanto 45 minuti, è privo di elementi fantastici, ha una narrazione lineare e di fatto due soli personaggi), ha dunque gli stessi difetti delle altre opere di Shinkai. La miglior qualità è data dai disegni, estremamente realistici, al punto da sembrare a volte delle fotografie appena ritoccate. Dal film è stato tratto anche un manga, scritto dal regista e uscito contemporaneamente alla pellicola.

19 dicembre 2021

Le cinque variazioni (Lars von Trier, 2003)

Le cinque variazioni (De fem benspænd)
di Lars von Trier e Jørgen Leth – Danimarca 2003
con Lars von Trier, Jørgen Leth
**1/2

Rivisto in DVD.

Il regista Jørgen Leth viene "sfidato" dal più giovane collega Lars von Trier a girare cinque variazioni del suo celebrato cortometraggio sperimentale "L'essere umano perfetto" del 1967. Il compito sarà reso più difficile da una serie di "impedimenti" che LVT impone al collega, come dover utilizzare una particolare tecnica o lavorare in determinate condizioni ambientali (per esempio: girare a Cuba, o "nel posto più povero del mondo"; limitare la durata delle inquadrature a 12 fotogrammi; girare senza un set; ricorrere all'animazione...). Il film segue la lavorazione dei corti come se fosse un documentario dietro le quinte, e mostra anche gli stessi remake alternati a spezzoni del corto originale. Se l'intera operazione sembra un gioco cinefilo un po' pretestuoso e fine a sé stesso, in controluce emergono le ossessioni e le caratteristiche di tutta la filmografia di Lars von Trier: il ricorso a regole assurde o arbitrarie per imbrigliare la creatività artistica (come nel manifesto del Dogma), il piacere di fare cose "pazze" senza un motivo, sfidando le logiche comuni per metterle a nudo e nel contempo divertendosi (come in "Idioti"), e naturalmente la volontà di tormentare i suoi attori/personaggi, portandoli fino all'estremo. LVT dice a Leth che si tratta di "una forma di terapia", ma resta il dubbio a chi dei due sia davvero mirata. L'ultima variazione è accompagnata da una lettera aperta di Leth a Trier, scritta in realtà da quest'ultimo.

18 dicembre 2021

Mortal Kombat 2 (John R. Leonetti, 1997)

Mortal Kombat - Distruzione totale (Mortal Kombat: Annihilation)
di John R. Leonetti – USA 1997
con Robin Shou, Sandra Hess
*

Visto in TV (Netflix).

Sequel del film del 1995, ma inferiore sotto ogni aspetto (e già il primo non era questo gran che!). Si ricomincia esattamente da dove si era finito, con l'imperatore di Outworld, il perfido Shao Khan (Brian Thompson), che invade il nostro mondo per conquistarlo, trasgredendo di fatto le regole che erano state fissate nel film precedente. Khan ha aperto i portali che dividono i due regni: se i nostri eroi non riusciranno a chiuderli entro sei giorni, sconfiggendo tutti i nemici, i mondi si fonderanno. Dalla prima pellicola tornano soltanto due attori: Robin Shou nei panni di Liu Kang e Talisa Soto in quelli di Kitana; tutti gli altri sono stati sostituiti (James Remar al posto di Christopher Lambert per Lord Raiden, Sandra Hess per Sonya Blade, Chris Conrad per Johnny Cage, che peraltro muore subito) o sono new entry (Lynn Williams è Jax Briggs, dalle braccia bioniche; Irina Pantaeva è Jade; Musetta Vander è Sindel, la madre di Kitana; gli altri lasciamoli pure perdere). Una trama senza senso, situazioni accatastate a caso, dialoghi imbarazzanti, effetti digitali invadenti ma di bassa qualità, personaggi che tornano dalla morte senza un motivo (Scorpion) o con un motivo (Sub-Zero: è il fratello minore!), il tutto come scusa per inscenare una serie di combattimenti mal realizzati. L'unica cosa "mortale", alla fine, è la noia. La fotografia ricorda i colori di Frank Frazetta. I produttori pensavano anche a un terzo film, ma l'insuccesso al botteghino ha cambiato i piani.

12 dicembre 2021

Mortal Kombat (Paul W.S. Anderson, 1995)

Mortal Kombat (id.)
di Paul W.S. Anderson – USA 1995
con Robin Shou, Linden Ashby
*1/2

Rivisto in TV (Netflix), con Monica, Roberto e Marisa.

Il campione di arti marziali Liu Kang (Robin Shou), che vuole vendicare il fratello ucciso; l'attore hollywoodiano Johnny Cage (Linden Ashby), che vuole rilanciare la propria carriera; e la poliziotta Sonya Blade (Bridgette Wilson), alla caccia di un ricercato, sono fra i combattenti reclutati da Lord Raiden (Christopher Lambert), divinità del fulmine, per rappresentare la Terra al torneo interdimensionale denominato "Mortal Kombat": se perderanno contro i malvagi campioni del regno di Outworld, scelti dal perfido Shang Tsung (Cary-Hiroyuki Tagawa), l'imperatore di questo potrà invadere e conquistare il nostro mondo. Da un celebre videogioco picchiaduro (sullo stile di "Street Fighter"), un filmaccio che pure si lascia vedere per l'assoluta improbabilità della trama, i personaggi variopinti e l'impossibilità di essere preso sul serio. La trama è improvvisata (una scusa per mettere in scena un combattimento dopo l'altro), i personaggi sono monodimensionali, stereotipati o incoerenti, le scene d'azione ridicole (il regista Paul W.S. Anderson, quasi agli esordi, è costretto a non mostrare mai chiaramente i combattimenti per l'evidente incapacità degli attori a portare a segno i colpi nelle arti marziali), gli effetti digitali dilettanteschi (meglio quelli pratici: ma Goro, il mostro forzuto con quattro braccia, è chiaramente composto da due attori l'uno sulle spalle dell'altro!). Eppure, tutti questi difetti possono concorrere a rendere la pellicola una sorta di "guilty pleasure". Fra le cose indubbiamente da salvare: le scenografie, belle e suggestive, come le varie sale dell'isola (dei morti?) dove si svolge il torneo (ma anche i templi thailandesi da cui proviene Liu Kang); la recitazione svagata di Christopher Lambert, unico nome noto nel cast, che sembra essersela spassata un mondo; ...e naturalmente Talisa Soto (nei panni della principessa Kitana). Fra gli altri personaggi/nemici provenienti dal videogioco ci sono Kano (Trevor Goddard), Scorpion, Sub-Zero e Reptile. Il successo al botteghino porterà due anni dopo alla realizzazione di un sequel (oltre che di alcune serie animate). Nel 2021, invece, è stata la volta di un (brutto) reboot.

9 dicembre 2021

Notorious (Alfred Hitchcock, 1946)

Notorious - L'amante perduta (Notorious!)
di Alfred Hitchcock – USA 1946
con Ingrid Bergman, Cary Grant, Claude Rains
***

Rivisto in TV (Prime Video).

Figlia americana di una spia nazista incarcerata per tradimento, Elena Huberman (Ingrid Bergman) viene contattata dall'agente segreto T.R. Devlin (Cary Grant) affinché sfrutti la sua ascendenza per avvicinarsi ad Alessio Sebastian (Claude Rains), un ricco espatriato tedesco in Brasile, e ne conquisti la fiducia, sperando così di venire a conoscenza dei suoi segreti. La ragazza accetta, spingendosi fino a sposare Sebastian, pur essendosi nel frattempo innamorata (ricambiata) di Devlin... Seminale thriller spionistico con cui Hitchcock recupera alcuni temi già trattati in opere precedenti (come "Amore e mistero" o "L'uomo che sapeva troppo", quello del 1934), aggiornandoli e contaminandoli con una preponderante love story: il "triangolo" fra Grant, Rains e la Bergman, anzi, è il vero motore della vicenda, ancor più della trama gialla/spionistica (il "MacGuffin", in questo caso, è la polvere di uranio che i tedeschi stanno contrabbandando per costruire una bomba, e che Sebastian conserva all'interno delle bottiglie di cabernet nella sua cantina). A guidare la trama, infatti, sono i rapporti fra i personaggi: quello fra Devlin ed Elena, considerata da tutti come una "donna di facili costumi", alcolizzata e dal comportamento immorale (questo è uno dei significati del titolo "Notorious"), che si amano in segreto; e quello fra Elena e Sebastian, che passa dall'amarla al volerla uccidere dopo aver scoperto il suo doppio gioco (che però non può rivelare ai propri complici, per il timore che se la prendano con lui per la sua ingenuità). L'uomo, insieme alla madre (una memorabile Leopoldine Konstantin, attrice austriaca qui alla sua unica apparizione hollywoodiana), cercherà dunque di avvelenarla lentamente con il caffè, in una serie di scene reminiscenti de "Il sospetto". Notevole la costruzione della suspense, per esempio nella sequenza della festa in casa di Sebastian, durante la quale Devlin ed Elena cercano di introdursi nella cantina senza che il padrone di casa se ne accorga. Memorabile anche il bacio fra i due protagonisti, della durata record di due minuti e mezzo, che in realtà è una serie di baci interrotti ogni tre secondi per aggirare un'assurda regola del codice Hays che vietava di mostrare sullo schermo un'effusione più lunga, appunto, di tre secondi. Grant e la Bergman erano entrambi al secondo film con Hitchcock (rispettivamente dopo "Il sospetto" e "Io ti salverò"), mentre Rains, che non aveva mai lavorato con il regista inglese, aveva ovviamente già recitato con la Bergman in "Casablanca". Proprio l'ottimo Rains sarà nominato agli Oscar come miglior attore protagonista, una delle due nomination ricevute dal film (l'altra è quella alla sceneggiatura di Ben Hecht). Sir Alfred appare nei panni di uno degli invitati alla festa, mentre beve un bicchiere di champagne. Nella versione originale, il personaggio della Bergman non si chiama Elena ma Alicia (e Alessio è Alexander).

8 dicembre 2021

La vetta degli dei (Patrick Imbert, 2021)

La vetta degli dei (Le sommet des dieux)
di Patrick Imbert – Francia 2021
animazione tradizionale
**

Visto in TV (Netflix).

Sulle tracce del leggendario scalatore Habu Joji, scomparso misteriosamente dalla scena anni prima in seguito a una tragedia personale (la morte di un suo giovane compagno di cordata), il fotoreporter Fukamachi crede di averlo rintracciato in Nepal, dove si sta apprestando a scalare in solitaria, e senza ossigeno, la pericolosa parete sud-ovest dell'Everest. Deciderà di seguirlo, non solo per documentare l'impresa ma anche per svelare un mistero legato alla macchina fotografica di George Mallory, che potrebbe far luce sul destino del primo alpinista ad aver tentato di scalare l'Everest nel 1922. Tratto da un manga di Jiro Taniguchi, a sua volta ispirato a un romanzo di Baku Yumemakura, un film d'animazione di produzione francese ma che, per molti aspetti, potrebbe sembrare giapponese. Lo stile di disegno è estremamente realistico, così come i fondali, al punto da chiedersi che motivo c'era di realizzare la pellicola in animazione anziché in live action. La storia, appassionante, è purtroppo poco originale: i "soliti" temi dello scalatore che si spinge oltre i limiti perché, interrogato su cosa lo spinga a scalare montagne, afferma: "Non posso vivere senza". Se Habu è una figura interessante e complessa (bravo ma arrogante, che vuole fare tutto da solo), il protagonista Fukamachi è praticamente privo di caratterizzazione. Ma l'ambiente delle montagne, della neve e dei pericoli dell'alpinismo, con il confronto fra uomo e natura, è ben rappresentato.

7 dicembre 2021

L'Odissea (De Liguoro, Bertolini, Padovan, 1911)

L'Odissea
di Giuseppe De Liguoro, Francesco Bertolini, Adolfo Padovan – Italia 1911
con Giuseppe De Liguoro, Eugenia Tettoni
**

Visto su YouTube.

Lo stesso anno in cui aveva realizzato "L'inferno" (il film tratto dalla "Divina commedia" di Dante che è considerato il primo lungometraggio di produzione italiana), il trio Bertolini-Liguoro-Padovan firma anche questo adattamento dell'Odissea di Omero, che venne proiettato per la prima volta all'Esposizione internazionale di Torino in occasione del cinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia. La copia attualmente sopravvissuta manca di alcune scene, ma per il resto si può considerare completa, ed è divisa in tre sezioni. La prima, la più breve, è il prologo, che mostra la partenza di Ulisse (interpretato dal regista De Liguoro) per la guerra di Troia e i Proci che prendono possesso del palazzo in sua assenza. La seconda è dedicata alle varie avventure di Ulisse durante il viaggio di ritorno: in particolare l'incontro con Polifemo, le Sirene, i mostri Scilla e Cariddi, l'episodio dei buoi sacri a Giove, il soggiorno sull'isola di Calipso e quello con Nausicaa alla corte dei Feaci. Infine, l'ultima parte racconta il ritorno a Itaca, dove Ulisse viene trasformato in mendicante da Minerva per non farsi riconoscere, e la strage dei Proci. Se la recitazione enfatica e il linguaggio cinematografico appaiono ancora arretrati (la narrazione è estremamente lineare, così come il montaggio, con ogni sequenza introdotta da una semplice didascalia), è però da sottolineare la grande cura nella messa in scena: i costumi, i set elaborati e le scenografie sontuose (vedi la reggia di Alcinoo) mostrano una certa ambizione e preparano il campo per i "kolossal" italiani che seguiranno negli anni immediatamente successivi ("Quo vadis" e soprattutto "Cabiria"). Buoni anche gli occasionali effetti speciali (in particolare il gigantesco Polifemo). Nel complesso è un adattamento competente e fedele (e didascalico), che non tradisce il materiale di partenza.