30 agosto 2012

Piccoli omicidi tra amici (D. Boyle, 1995)

Piccoli omicidi tra amici (Shallow grave)
di Danny Boyle – GB 1995
con Ewan McGregor, Kerry Fox, Christopher Eccleston
***

Rivisto in divx alla Fogona, con Marisa e Sabrina.

Tre giovani amici che condividono un appartamento a Edimburgo (un giornalista, un avvocato e un'infermiera) organizzano audizioni goliardiche per trovare un quarto coinquilino che sia di loro gradimento. La scelta ricade su un sedicente scrittore dall'aria misteriosa: dopo una sola giornata, però, questi viene ritrovato morto per overdose nella sua camera, insieme a una valigia piena di denaro. I tre progettano di tenersi i soldi e di sbarazzarsi del cadavere, che fanno a pezzi e seppelliscono in un bosco: ma presto i sospetti e le paranoie cominceranno a incrinare la loro amicizia, mentre due gangster si mettono sulle tracce della valigia e la polizia sembra indagare su di loro. Dirompente esordio alla regia di Danny Boyle con un thriller cinico, vivace e frizzante (anche se il titolo italiano suggerisce più che si tratti di una black comedy), girato in economia e ambientato quasi interamente fra le quattro mura dell'appartamento condiviso dai tre protagonisti. La pellicola segna di fatto anche l'esordio come attore cinematografico di Ewan McGregor (in precedenza aveva avuto solo una particina), che con Boyle girerà poi i successivi "Trainspotting" e "Una vita esagerata". Ma anche i coprotagonisti Eccleston e Fox erano relativamente poco noti. L'incipit e alcune scene (come quelle con il pupazzo-bebé che si aggira sul pavimento) saranno di ispirazione proprio per l'opera seconda del regista, vale a dire "Trainspotting". La sceneggiatura è di John Hodge, la colonna sonora di Simon Boswell.

28 agosto 2012

Il danno (Louis Malle, 1992)

Il danno (Fatale, aka Damage)
di Louis Malle – Francia/GB 1992
con Jeremy Irons, Juliette Binoche
**1/2

Visto in divx alla Fogona, con Marisa.

Il politico Stephen Fleming (Irons), la cui vita è sempre stata morigerata e "priva di passione", intreccia una relazione clandestina con Anna Barton (Binoche), la fidanzata del figlio Martyn, verso la quale prova una vera ossessione. Finirà in tragedia. Tratto da un romanzo di Josephine Hart e interpretato in maniera intensa e al contempo misurata da due ottimi attori (ma anche il cast di contorno non è male, a cominciare da Miranda Richardson nei panni della moglie; il figlio è invece Rupert Graves), il penultimo lavoro di Malle è un film dalle atmosfere fredde e torbide (che non poteva non ambientarsi in Inghilterra) su una passione insana e distruttrice. Pur se il punto di vista è costantemente quello dell'uomo, il motore della vicenda è la donna, il cui passato scabroso (il "danno" al quale si fa riferimento nel titolo è il suicidio del fratello di Anna, uccisosi da adolescente per amore di lei) l'ha portata a fuggire ogni forma di possessività: è per questo motivo che non intende rinunciare alla relazione con l'uomo più maturo persino mentre sta organizzando il matrimonio con il figlio. Una scena madre che lascia un po' perplessi (quella della caduta di Martyn dalla tromba delle scale) e un eccesso di "costruzione" narrativa a tavolino sono compensati dalla buona indagine psicologica nell'animo del protagonista, dall'eleganza formale (la mano del grande regista, nella messa in scena, si vede) e dall'atmosfera generale di "discesa all'inferno". Particina, nel finale, per David Thewlis nei panni di un poliziotto.

24 agosto 2012

Il ferroviere (Pietro Germi, 1956)

Il ferroviere
di Pietro Germi – Italia 1956
con Pietro Germi, Luisa Della Noce
**1/2

Visto in divx alla Fogona, con Marisa.

Andrea Marcocci, macchinista delle ferrovie con il vizio del bere, viene sospeso dal servizio dopo aver rischiato di causare un incidente: ancora scosso da un suicida finito poco prima sotto il suo treno, non aveva visto un segnale rosso e solo la prontezza dei riflessi del suo frenatore, Gigi, aveva impedito il disastro. Sarà dunque assegnato a incarichi meno prestigiosi e peggio pagati, e questo lo spingerà a lavorare come crumiro durante uno sciopero generale. Oltre che sul lavoro, però, i problemi li ha anche in famiglia: la figlia maggiore Giulia (una Sylva Koscina accreditata nei titoli solo come "Silvia") è stata da lui costretta a sposarsi con Renato, un uomo che non ama, perché incinta; il figlio Marcello è disoccupato e bighellona in giro con gli amici, cercando di fare affari in maniera più o meno losca; e il figlio più piccolo Sandrino (che è di fatto il narratore del film; l'attore bambino, Edoardo Nevola, diventerà poi musicista e doppiatore) va male a scuola perché preferisce seguire il padre nei suoi giri in osteria con gli amici anziché rimanere a casa a studiare. I contrasti generazionali fra il padre autoritario e i figli che cercano l'indipendenza minacciano di frantumare la famiglia, e solo la madre Sara sembra interessata a mantenere saldi i legami che si stanno sfaldando. Interpretato con intensità dallo stesso Germi (doppiato però da Gualtiero De Angelis, così come doppiati sono quasi tutti gli interpreti), il film copre un arco di tempo pari esattamente a un anno – da un Natale all'altro – e si conclude con un finale, se non completamente lieto (c'è la morte del protagonista), almeno consolatorio (i problemi pian piano si risolvono e l'armonia famigliare si ricompone), il che ha portato alcuni critici ad accusarlo di "poetica deamicisiana". Grande successo di pubblico all'epoca, è una delle ultime e più tipiche pellicole neoraliste di stampo intimistico. Il rischio di eccedere sul versante del sentimentalismo è scongiurato dalle ferme interpretazioni degli attori (nel cast ci sono anche Carlo Giuffré e Saro Urzì), dal buon equilibrio della sceneggiatura (alla quale, tratta da un soggetto di Alfredo Giannetti, ha collaborato anche Luciano Vincenzoni) e dalla sincera e vivace descrizione dell'ambiente sociale e storico in cui si muovono i personaggi (si pensi alle sequenze dello sciopero, che pure fecero storcere il naso ai critici di sinistra, che accusarono Germi di populismo per il suo modo di ritrarre i lavoratori). Ma la presenza di figure un po' stereotipate (il bambino con l'animo e la sensibilità da adulto, o la madre compassionevole e sottomessa che però tiene unita la famiglia) può affievolire la carica emotiva e rendere il film oggi interessante soltanto come spaccato di vita dell'Italia "popolare e proletaria" dell'immediato dopoguerra. Il produttore Carlo Ponti avrebbe voluto Spencer Tracy nel ruolo del protagonista, ma Germi minacciò di non dirigere il film se non avesse potuto anche interpretarlo. Bella la colonna sonora di Carlo Rustichelli.

22 agosto 2012

Scusate il ritardo (M. Troisi, 1983)

Scusate il ritardo
di Massimo Troisi – Italia 1983
con Massimo Troisi, Giuliana De Sio, Lello Arena
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Visto in divx, con Sabrina.

Il timido e impacciato Vincenzo (Troisi) si innamora di Anna (De Sio), ex compagna di scuola della sorella Patrizia. Il film segue l’evolversi della loro relazione fra alti e bassi, e parallelamente mostra i tentativi del protagonista di consolare l’amico Tonino (Arena) – reduce a sua volta da una delusione sentimentale – e il suo difficile rapporto con il fratello Alfredo, attore comico di successo. Secondo film di Troisi come regista (dopo “Ricomincio da tre”: il titolo farebbe riferimento proprio al troppo tempo trascorso dall’uscita del lavoro precedente), è costruito attorno a una serie di sequenze a sé stanti che potrebbero essere paragonate a tanti piccoli dialoghi teatrali, e mette in mostra il lato più surreale, malinconico ed esistenzialista della sua comicità, così lontana dallo stereotipo della napoletanità estroversa, solare e scanzonata (soltanto il personaggio interpretato da Lello Arena presenta alcune suggestioni macchiettistiche). Film cult per un’intera generazione, assai amato dalla critica (che lo considera il lavoro migliore dell’artista), abbina a situazioni minimaliste e quotidiane tutta una serie di dialoghi ai limite dell’assurdo, attraverso i quali Troisi riesce a scavare profondamente nell’animo del suo personaggio, facendone risaltare la personalità viva e sfaccettata. Memorabili le discussioni sulla vita di coppia (come nella scena in cui Vincenzo, a letto con Anna, cerca di ascoltare le partite alla radio mentre lei vorrebbe parlare della loro relazione) e le “divagazioni” che Vincenzo intraprende durante i suoi dialoghi con gli altri personaggi (i ricordi della vita scolastica, i cinquanta giorni da “orscacchiotto”, la “madonna che ride”...).

21 agosto 2012

Secretary (Steven Shainberg, 2002)

Secretary (id.)
di Steven Shainberg – USA 2002
con Maggie Gyllenhaal, James Spader
***

Rivisto in DVD, con Sabrina.

Appena dimessa dall'istituto dov'era stata ricoverata per la sua tendenza ad autoinfliggersi ferite e bruciature, la giovane Lee trova lavoro come segretaria presso un eccentrico avvocato, Edward, che sembra essere attratto dalla sua personalità sottomessa. L'amore non tarda ad arrivare: ben presto i due instaurano una relazione sadomasochistica che spinge entrambi a superare le proprie insicurezze e a trovare finalmente un punto di equilibrio e stabilità. Curioso film indipendente che colora di venature romantiche il tema del BDSM e che ha rappresentato un piccolo caso di costume, portando sullo schermo i soggetti della dominanza e della sottomissione in chiave fresca e "naturale", evitando le trappole in cui cadono di solito le pellicole sull'argomento (la ricerca di provocazione o scandalo fine a sé stessa, la retorica, l'ipocrisia, la condanna, i toni "dark", l'eccesso di umorismo che sfocia nella farsa o trasforma i personaggi in macchiette). Lo dimostrano anche le scelte di scenografia: l'ufficio di Edward sembra un appartamento spazioso e luminoso, con piante e arredi dai colori chiari: nulla a che vedere con dungeon o ambienti cupi. Il regista Steven Shainberg ha dichiarato appunto di aver voluto realizzare il lungometraggio per mostrare agli spettatori come anche una relazione BDSM possa essere vissuta in modo "normale" e risultare felice o addirittura salvifica, nello stesso modo in cui negli anni ottanta il film "My Beautiful Laundrette" di Stephen Frears (sua fonte d'ispirazione) aveva contribuito a "sdoganare" gli amori gay presso il grande pubblico, mostrandone la normalità. Per i due protagonisti, il sadomasochismo è un gioco amoroso che permette di dar vita a un rapporto basato sulla soddisfazione dei propri istinti anche attraverso l'umiliazione ma senza giungere alla mortificazione (uno dei primi ordini che Edward dà a Lee è quello di non infliggersi più ferite). D'altronde, provenendo da una famiglia disfunzionale (con il padre alcolista che maltratta regolarmente la moglie), la ragazza non poteva trovare la felicità in una relazione "tradizionale" come quella con l'ex compagno di liceo Peter (interpretato da Jeremy Davies). E allo stesso tempo Edward, che il bravo James Spader arricchisce di sfumature a volte contrastanti fra di loro (non è il tipico dominatore freddo e spietato, ma mostra dubbi e incertezze), impara a superare le proprie insicurezze, quelle che evidentemente avevano portato al fallimento del suo precedente matrimonio. La pellicola, fra le altre cose, ha lanciato l'attrice Maggie Gyllenhaal (vero punto di forza del film), sorella di quel Jake che sarebbe diventato a sua volta noto qualche anno più tardi con un altro lungometraggio "scabroso", "Brokeback Mountain" di Ang Lee.

20 agosto 2012

Il fiume (Jean Renoir, 1951)

Il fiume (The river)
di Jean Renoir – Francia/India/USA 1951
con Patricia Walters, Thomas E. Breen
**1/2

Visto in divx, con Marisa.

L'adolescente inglese Harriet vive con la famiglia sulle rive di "uno dei tanti fiumi sacri dell'India, le cui acque scendevano dalle nevi eterne dell'Himalaya per gettarsi nel golfo del Bengala" (anche se il nome non viene mai specificato, il riferimento è al Gange o a uno dei suoi tributari), dove il padre gestisce una fabbrica di iuta e la madre è impegnata a sfornare figli ma soprattutto figlie (ben cinque, che diventeranno sei prima della fine del film). L’arrivo di John, giovane eroe di guerra americano, ospite di un vicino di casa, sconvolgerà la tranquilla esistenza della ragazza, così come quella delle amiche Valerie e Melanie (quest'ultima mezzosangue, di padre inglese e madre indiana), che vivranno così i primi amori e le prime delusioni. Con una trama esile e dall’incedere quieto e minimalista, basata sui personaggi più che sugli eventi (la storia è tratta da un romanzo semi-autobiografico di Rumer Godden, autrice anche di “Narciso nero” e co-sceneggiatrice insieme a Renoir), il film è “al tempo stesso una meditazione sui rapporti degli esseri umani con la natura e la storia della crescita di tre ragazze” e ha avuto il merito di mostrare per la prima volta l’India più “autentica” agli spettatori occidentali, abituati fino ad allora alle fasulle ricostruzioni in studio che caratterizzavano i film di Hollywood. Certo, l’India rimane comunque uno scenario esotico e misterioso, filtrato attraverso uno sguardo più interessato a costruirne una propria rappresentazione artistica che a comprenderlo davvero, e questo nonostante il regista (che nel 1949 era reduce dalla fallimentare esperienza hollywoodiana, e si apprestava a tornare in Europa) punti molto su scenari realistici e inserti quasi da documentario, con una certa attenzione alle usanze e alle credenze locali. La strana e ingenua commistione fra il mondo cristiano/occidentale e quello indù/bengalese è evidente in personaggi come Melanie o come suo padre, che si costruisce una propria "filosofia della sottrazione" a partire da quella indiana, ma anche nei continui riferimenti ai miti della creazione e della distruzione (le storie di Krishna o Kalì) o della metempsicosi (la sorellina più piccola di Harriet, mentre gioca con la sua bambola, spiega che i bambini possono nascere e rinascere più volte). Il principale tema conduttore, comunque, è quello che vede rispecchiare lo scorrere della vita (amori, morti e nascite) in quello delle placide acque del fiume; nasce da qui la serena accettazione di cambiamenti e tragedie, che si tratti delle vicissitudini sentimentali (per le tre ragazze), del lutto per la morte di un figlio (per i genitori di Harriet), della perdita di una gamba (per John). L’intera vicenda è narrata, attraverso il tempo e i ricordi, dalla voce fuori campo di una Harriet cresciuta. Fu il primo film a colori di Renoir, che si preoccupò molto di dare alla pellicola tonalità veriste e luminose (la fotografia è del nipote Claude Renoir). La pellicola influenzò il giovane bengalese Satyajit Ray, che dopo aver assisitito alle riprese – e collaborato alla scelta delle location – decise di diventare regista a sua volta (esordì quattro anni dopo con il primo film della trilogia di Apu, “Il lamento sul sentiero”). Ma rivisto oggi, nonostante la sua aura di capolavoro, appare un po' sopravvalutato e non all'altezza dei grandi film di Renoir degli anni trenta, anche per la recitazione non certo esaltante da parte di interpreti non professionisti.

18 agosto 2012

Tabarin di lusso (A. Hitchcock, 1928)

Tabarin di lusso (Champagne)
di Alfred Hitchcock – GB 1928
con Betty Balfour, Gordon Harker
**

Visto in DVD alla Fogona.

Betty, ricca e viziata figlia di un milionario americano, fugge in Europa contro il volere del padre, decisa a sposare il suo fidanzato George nonostante questi non apprezzi il suo modo di ostentare la ricchezza. A Parigi, immersa fra feste, lusso, cocktail, vestiti e gioielli, la ragazza fa anche ingelosire il fidanzato accettando l'amicizia di un misterioso e attempato playboy che la segue in continuazione. Ma il padre la raggiunge, comunicandole che a causa del crollo in borsa (siamo negli anni della Grande Depressione) ha perso tutto il suo denaro. Troppo orgogliosa per chiedere l'aiuto di George, e decisa a non abbandonare il genitore, Betty trova allora lavoro come intrattenitrice in un tabarin, un locale notturno dove si balla e si beve champagne: ha il compito di offrire fiori da appuntare al bavero dei gentiluomini. Scoprendola nel locale, George avvisa il padre che, vedendola umiliarsi nel cabaret, le confessa che si era trattato di una messinscena: il loro patrimonio non è affatto crollato. Per ripicca la ragazza progetta di tornare in America con l'attempato playboy, che però si rivelerà un amico del padre, il quale l'aveva incaricato di non perderla di vista e di impedire il suo matrimonio con George. Ma non manca il lieto fine, visto che il genitore acconsentirà alle nozze. Dopo una serie di melodrammi, il giovane Hitchcock prova a realizzare una commedia, dai toni più frivoli e leggeri. Alcune sequenze divertenti (i tentativi della protagonista di cucinare per il padre, che dal canto suo preferisce andare di nascosto al ristorante) non bastano però a sollevare il film al di sopra di una stentata sufficienza: da confrontare con la freschezza de "La principessa delle ostriche" e altre commedie di Lubitsch su temi simili. Da segnalare, nella sequenza a bordo del transatlantico, i movimenti di camera che simulano l'andamento ondivago della nave (e il mal di mare dei protagonisti), mentre rimane memorabile – hitchcockianamente parlando – l'inquadratura attraverso una coppa di champagne.

17 agosto 2012

La moglie del fattore (A. Hitchcock, 1928)

La moglie del fattore (The Farmer's Wife)
di Alfred Hitchcock – GB 1928
con Jameson Thomas, Lillan Hall-Davis
*1/2

Visto in DVD alla Fogona.

Dopo il matrimonio della figlia, un fattore vedovo decide che è giunto anche per lui il momento di risposarsi. Con l'aiuto della fedele domestica Araminta stila così un elenco delle possibili pretendenti, tutte donne vedove o zitelle del circondario che però, per una ragione o per l'altra, lo respingono. Alla fine scoprirà che la compagna ideale per lui è proprio quella che ha già in casa e che si prende cura di lui, e cioè la servizievole domestica. Meccanico e noiosetto, è decisamente un lavoro minore nella filmografia di Hitchcock, senza particolari guizzi o i tipici marchi di fabbrica del regista britannico: di suspense ce n'è ben poca, visto che sin dall'inizio è evidente che nessuna delle donne nella lista sarà quella giusta per il nostro eroe. Il tema del passaggio "sociale" del protagonista da un ruolo rispettabile a quello di emarginato è poi accennato solo per un attimo, nella sequenza in cui è deriso da tutto il villaggio dopo i suoi goffi approcci non andati a buon fine. E c'è anche una punta di misoginia (la domestica non si offende a essere chiesta in moglie come ultima di una lista, e solo dopo che l'uomo è stato respinto dalle altre). La messa in scena è classica, quanto basta per un dramma familiare riflessivo e intimista, a parte la lunga e inutile sequenza della festa, con goffi tentativi di umorismo non proprio british, gran parte dei quali riguardanti il servitore Ash (il caratterista Gordon Harker, presenza ricorrente nei film muti di Hitchcock: era l'allenatore in "Vinci per me!" e sarà il padre della protagonista in "Tabarin di lusso"). Si salvano le buone prove degli interpreti, segnatamente del protagonista Jameson Thomas, e l'ambientazione nel villaggio rurale, che a tratti ricorda quasi Dreyer. Proprio all'aspetto scenografico del film si appigliarono critici illustri come Rohmer e Chabrol per salvare la pellicola: "Quello che ha interessato in The Farmer's Wife", scrissero infatti, "è stato certamente il décor, la campagna gallese... Il clima della vita rurale ingelse, all'inizio del secolo, è stato reso con grande precisione".

16 agosto 2012

Vinci per me! (Alfred Hitchcock, 1927)

Vinci per me! (The Ring)
di Alfred Hitchcock – GB 1927
con Carl Brisson, Lilian Hall-Davis
**1/2

Visto in DVD alla Fogona.

Il pugile dilettante "One Round" Jack (chiamato così perché sconfigge tutti gli avversari entro la prima ripresa) si guadagna da vivere esibendosi nelle fiere di paese, fra giostre e imbonitori, battendosi contro chiunque accetti di affrontarlo. Ma trova pane per i suoi denti quando gli si presenta davanti Bob Corby, campione australiano dei pesi massimi, che lo sfida per farsi bello agli occhi di Nelly, cassiera del baraccone e fidanzata di Jack. Nonostante la pesante sconfitta, Jack viene assoldato dal manager di Bob come suo sparring partner: peccato che anche Nelly – nel frattempo diventata sua moglie – subisca il fascino del campione e finisca col lasciare il marito per correre da lui. Più per vendicare l'affronto che per riconquistarla, Jack arriverà a sfidare Bob sul ring: ma durante l'incontro decisivo, proprio Nelly – che fra un round e un altro si presenta inaspettatamente al suo angolo – gli darà le forze e l'energia per vincere. La boxe è sempre stata lo sport cinematografico per eccellenza, e anche il grande "Hitch" – in uno dei suoi primi film muti – sceglie di rendergli omaggio, sovrapponendo al tema dello scontro sul ring quello per la conquista di una donna. Non particolarmente originale a livello di trama, la pellicola è ravvivata da una certa maestria registica, che si esprime attraverso l'uso di sovrimpressioni (la gelosia di Jack, che gli fa immaginare la moglie mentre amoreggia con il rivale), trucchi ottici, distorsioni, e una serie di fortunate invenzioni narrative (come la "scalata" di Jack nei titoli dei cartelloni, man mano che il suo cammino verso la sfida al titolo procede). Da sottolineare la scena in cui il protagonista attende inutilmente che la moglie torni a casa per brindare a una delle sue vittorie, e nel frattempo lo champagne già versato nei bicchieri perde tutte le bollicine. L'attrazione della ragazza nei confronti dell'amante è simboleggiata dal bracciale a foggia di serpente che lui le regala (il serpente, sin dalla Bibbia, è il simbolo della tentazione!), mentre il titolo originale gioca sui due significati della parola "ring": anello (di fidanzamento) e quadrato in cui si battono i pugili.