29 giugno 2006

Paura e desiderio (S. Kubrick, 1953)

Paura e desiderio (Fear and desire)
di Stanley Kubrick – USA 1953
con Frank Silvera, Paul Mazursky
**

Visto in DVD, in originale con sottotitoli.

Quattro soldati, non appartenenti a un esercito in particolare ma impegnati a combattere una guerra indefinita che rappresenta ogni conflitto mai esistito ("siamo al di fuori della Storia, solo le immutabili forme della paura, del dubbio e della morte provengono dal nostro mondo", dice il narratore), si ritrovano intrappolati in territorio ostile, dietro le linee nemiche, dopo che il loro aereo è stato abbattuto. Dapprima incontrano nella foresta una ragazza, che catturano e legano a un albero; ma il più giovane del gruppo, incaricato di sorvegliarla, impazzirà, la farà fuggire e sarà costretto a spararle. Poi, scoperta la residenza di un generale nemico, improvviseranno un'azione per ucciderlo pur di dare un senso alla propria missione. Infine, grazie a una zattera, riusciranno a tornare – chi sano e salvo, chi no – alla propria base. Pellicola bellica di genere "metafisico", condita da riflessioni e pensieri che rimbombano sullo schermo, una preponderanza di primi o di primissimi piani, e scelte stilistiche evocative e oniriche (il generale nemico e il suo aiutante, per esempio, hanno gli stessi volti dei due soldati che li uccidono), il primo lungometraggio di Kubrick – realizzato dopo un paio di cortometraggi – è rimasto a lungo "invisibile" perché lo stesso regista ne ha impedito la circolazione, ritirandolo dal mercato e distruggendone tutte le copie (ne sono sopravvissute soltanto alcune cadute in mano a collezionisti privati, da una delle quali proviene probabilmente la versione – non proprio ottima per audio e video, a dire il vero – contenuta in questo DVD). Kubrick odiava questa pellicola "per le pretenziosità, le carenze drammatiche, l'approssimazione tecnica e la falsa poeticità dei dialoghi" (cito dal Castorino di Ghezzi). Finanziato da parenti e amici, il film può sembrare in qualche passaggio un antesignano de "La sottile linea rossa". Le ambizioni sono alte (non è certo puro cinema di genere: si scandaglia l'animo umano, si parla per simboli e metafore, si anticipano addirittura Bergman e Tarkovskij) ma il risultato, per quanto a tratti suggestivo (le imperfezioni del video donano un particolare fascino alla fotografia in bianco e nero), è ancora confuso e immaturo.

23 giugno 2006

Cannes e dintorni 2006 - conclusioni

A mente fredda, ora che la rassegna è finita, posso dire di essere soddisfatto della qualità dei film che ho visto. Kaurismäki e Ozon non mi hanno deluso, ma nemmeno entusiasmato: conoscevo le loro qualità e forse per questo non sono rimasto sorpreso. Loach, come già detto, non è un regista che amo particolarmente, ma il suo film è bello anche se la Palma d'Oro mi è parsa esagerata. A parte "Yes Men", le sorprese più piacevoli sono state il film rumeno ("A est di Bucarest"), quello di Guillermo del Toro ("Il labirinto del fauno"), "Shortbus" di John Cameron Mitchell e diversi francesi (il noir "Tzameti", lo chabroliano "La tourneuse des pages" e il rohmeriano "Changement d'adresse"). Sono contento anche di aver visto l'opera d'esordio di Kim Rossi Stuart, che se non fosse stato per la rassegna avrei probabilmente ignorato. Peccato per la quasi totale assenza di film dell'estremo oriente, a parte il dimenticabile coreano "The Host". Il peggio è sicuramente rappresentato da "Les anges exterminateurs", ma ho detestato anche "Dans Paris", "10 canoe" e "Princess". Deludenti Bellocchio e Gatlif.

20 giugno 2006

Le luci della sera (Aki Kaurismäki, 2006)

Le luci della sera (Laitakaupungin valot)
di Aki Kaurismäki – Finlandia 2006
con Janne Hyytiäinen, Maria Heiskanen
**1/2

Visto al cinema Colosseo, in v. orig. sottotitolata.
(rassegna di Cannes)

Il nuovo film di Kaurismäki non rinuncia alle caratteristiche delle sue opere precedenti, e dunque ecco ancora in scena personaggi disadattati e solitari, circondati da un mondo che non li comprende o che li osteggia; silenzi e squarci di poesia; le radio che sfornano musica d'altri tempi (ci sono persino "Volver" e "Le temps du cerises", oltre a tanto Puccini); i colori delle stagioni che si succedono lentamente; cani, bambini, birre e vodka. Per quanto riguarda la trama, se la pellicola fosse stata in bianco e nero e magari ambientata negli USA degli anni '40, sarebbe stata la quintessenza del perfetto film noir, con tanto di dark lady che abbindola il protagonista (una guardia notturna) e lo rende complice, suo malgrado, di una rapina. Il finale aperto lascia un po' delusi. Comunque sempre bello da vedere, ma non mi è sembrato offrire molto di nuovo rispetto ai capolavori del regista finlandese.

Congorama (P. Falardeau, 2006)

Congorama
di Philippe Falardeau – Canada/Belgio/Francia 2006
con Olivier Gourmet, Paul Ahmarani
**1/2

Visto allo spazio Oberdan, in v. orig. sottotitolata.
(rassegna di Cannes)

Sorprendentemente simpatica, la pellicola racconta la storia di un ingegnere belga di mezza età che, dopo aver scoperto di essere stato adottato, si reca in Canada alla ricerca delle proprie origini e dei suoi veri genitori. La sua vicenda si intreccia con quella di un ragazzo intenzionato a riabilitare il nome del proprio padre, inventore di un'automobile elettrica ibrida in anticipo sui tempi. Il racconto è visto prima dal punto di vista di un personaggio e poi dall'altro, con numerose scene ripetute che acquistano il loro reale significato soltanto la seconda volta che vengono mostrate. Ben congegnato e confezionato, il film fa riflettere sul rapporto fra genitori e figli nonché sulle diverse etnie e culture in un'intricata connessione di eventi e relazioni che spaziano fra il Belgio, il Canada e il Congo. Non un capolavoro, ma una visione piacevole. Bravi gli attori.

10 canoe (Rolf de Heer, 2006)

10 canoe (Ten canoes)
di Rolf de Heer, Peter Djigirr – Australia 2006
con Crusoe Kurddal, Jamie Gulpilil
*

Visto al cinema Anteo (rassegna di Cannes).

Un narratore soporifero e didascalico (nonché, visto che il film è in programmazione anche nelle sale, insopportabilmente doppiato in italiano: dopo tanti film in lingua originale è stato uno shock tornare in contatto con l'odiato doppiaggio) racconta la storia di un'antica tribù di aborigeni australiani che vanno a caccia di oche sul fiume con rudimentali canoe di corteccia. Il fratello minore del capo si innamora della più giovane delle sue mogli, ma per averla dovrà imparare l'arte della pazienza. Una favoletta infantile e ingenua, noiosa e superficiale, di scarso interesse anche dal punto di vista antropologico. Senza l'onnipresente voce del narratore magari sarebbe stata una visione più piacevole, visto che gli aborigeni parlano nel loro linguaggio originale. Comunque la tensione narrativa è inesistente, e gli sviluppi della storia prevedibili e scontati.

Ça brûle (Claire Simon, 2006)

Ça brûle
di Claire Simon – Svizzera/Francia 2006
con Camille Varenne, Gilbert Melki
**

Visto allo spazio Oberdan, in v. orig. sottotitolata.
(rassegna di Cannes)

Una quindicenne in vacanza in un sonnacchioso paese della Provenza va a cavallo, gira a zonzo con gli amici e si prende una cotta per un pompiere della caserma locale. Per attirare la sua attenzione giunge persino ad appiccare un incendio nei boschi, con conseguenze devastanti. Il film è interessante nel mostrare il vuoto interiore dell'adolescente e del suo gruppo di amici, per di più con una regia attenta e con buone interpretazioni, ma poi sfocia in un finale melodrammatico che ci azzecca poco con tutto quello che lo precede. Non mi è dispiaciuto del tutto, ma non è certo un film memorabile.

19 giugno 2006

Gli angeli sterminatori (J.C. Brisseau, 2006)

Gli angeli sterminatori (Les anges exterminateurs)
di Jean-Claude Brisseau – Francia 2006
con Frédéric van den Driessche, Lise Bellynck
*

Visto al cinema Plinius, in v. orig. sottotitolata.
(rassegna di Cannes)

Nulla a che vedere con "L'angelo sterminatore" di Buñuel... Un film orrendo, ma talmente orrendo che si piazza di diritto all'ultimo posto della mia classifica di questa rassegna! Racconta la storia di un regista che intende girare un film sul tema del piacere femminile e di come le donne amino superare i tabù sessuali. Come "provini", chiede a tre ragazze di spogliarsi davanti a lui, masturbarsi o fare l'amore fra loro. Palloso e caratterizzato da un erotismo freddo, intellettuale e voyeuristico, senza un briciolo di passione o di sensualità, il film zoppica da ogni punto di vista. Gli attori sono inespressivi e non spontanei, la regia piatta e televisiva, i dialoghi (dovrei dire i monologhi, perché i personaggi parlano per ore da soli, quasi senza ascoltare quello che dicono gli altri) insulsi e cerebrali. Gli inserti soprannaturali, poi, sono ridicoli e del tutto fuori contesto. Come se non bastasse, mentre cercavo in rete un'immagine da inserire sul blog, ho scoperto che il regista ha girato il film per "difendersi" dall'accusa di violenza sessuale che gli è stata fatta da tre attrici che avevano lavorato nel suo film precedente. Ma che vada all'inferno!

Day night day night (J. Loktev, 2006)

Day night day night
di Julia Loktev – USA 2006
con Luisa Williams
**1/2

Visto allo spazio Oberdan, in v. orig. sottotitolata.
(rassegna di Cannes)

Una misteriosa ragazza (di cui non sappiamo niente, nemmeno il nome: e possiamo a malapena immaginarne le motivazioni) si prepara a compiere un attentato terroristico a New York, facendosi esplodere con uno zaino-bomba al centro di Times Square. La pellicola, lenta, semplice ed elegante, la segue nei due giorni che precedono l'attentato mostrando con attenzione minimalista ogni minimo gesto e dettaglio e scavando nella sua determinazione e nella sua indecisione. Il risultato è molto interessante. L'occhio del macchina da presa si sofferma su infiniti piccoli particolari, oggetti e azioni quotidiane (a volte snervanti nella loro ripetizione ossessiva), caricandoli di significati drammaturgici e consentendo allo spettatore di partecipare e riflettere su quello che sta accadendo senza dare giudizi. Non è un film etico, ma estetico.

Il regista di matrimoni (M. Bellocchio, 2006)

Il regista di matrimoni
di Marco Bellocchio – Italia 2006
con Sergio Castellitto, Donatella Finocchiaro
*1/2

Visto al cinema Apollo (rassegna di Cannes).

Franco (Castellitto), regista un tempo affermato ma caduto in crisi, si reca clandestinamente in Sicilia dove viene assunto da un nobile decaduto perché giri il filmato del matrimonio della figlia con il rampollo di una famiglia ricca. Si innamora però della ragazza e cerca di convincerla a fuggire con lui anziché sposarsi per convenienza. Un film confuso e poco riuscito, che soffre soprattutto per lo scarso approfondimento dei personaggi principali. Una delusione, dopo che i film immediatamente precedenti di Bellocchio ("L'ora di religione" e "Buongiorno, notte") mi erano piaciuti molto e sembravano segnare una rinascita per il cineasta. Del tutto pretestuose le citazioni de "I promessi sposi" (di cui Franco stava preparando un adattamento teatrale). L'unico spunto interessante è l'affermazione secondo cui "in Italia comandano i morti": e infatti il collega del protagonista riesce a vincere il David di Donatello soltanto dopo essersi finto deceduto in un incidente stradale. Nel cast Sami Frey e Gianni Cavina.

Oreste Pipolo (M. Garrone, 1998)

Oreste Pipolo, fotografo di matrimoni
di Matteo Garrone – Italia 1998
con Oreste Pipolo, Teresa Onorato
**1/2

Visto al cinema Apollo (rassegna di Cannes).

Una delle opere d'esordio di Garrone, l'interessante regista de "L'imbalsamatore" e "Primo amore". Si tratta di un documentario su un celebre fotografo napoletano specializzato in matrimoni e rinomato per i suoi scatti insoliti e personali, ritratto all'opera durante ma soprattutto prima e dopo le cerimonie nuziali. Divertente e colorato, il film segue incessantemente Oreste Pipolo e i suoi poveri assistenti durante il loro lavoro, ma trova spazio anche per mostrare alcune delle cerimonie e dei pranzi di nozze decisamente kitsch che fanno da sfondo alla sua attività (a Napoli e dintorni, infatti, le feste di matrimonio sono qualcosa di straordinariamente fuori misura!). La copia proiettata aveva sottotitoli in inglese sul dialetto napoletano, cosa che le donava un ulteriore tocco surreale e umoristico.

Volevo solo vivere (M. Calopresti, 2006)

Volevo solo vivere
di Mimmo Calopresti – Italia 2006
con attori non professionisti
**1/2

Visto al cinema Apollo (rassegna di Cannes).

Attraverso le testimonianze di alcuni sopravvissuti, il film ripercorre la storia degli ebrei italiani deportati ad Auschwitz e Birkenau dopo il 1943. Cinematograficamente non è altro che il montaggio delle loro interviste con immagini di repertorio dai campi di concentramento, ma il risultato è sufficientemente efficace per descrivere una delle pagine più tragiche e assurde della storia dell'umanità. I racconti sono interessanti e commoventi, spesso drammatici ma a volte anche alleggeriti da aneddoti o da curiosità che, in un altro contesto, sembrerebbero quasi incredibili. Alla fine resta l'indignazione non tanto per i responsabili di quelle atrocità, quanto per tutti coloro che ancora oggi si ostinano a ignorare o, ancor peggio, a negare che esse siano mai avvenute.

18 giugno 2006

Transylvania (Tony Gatlif, 2006)

Transylvania
di Tony Gatlif – Francia 2006
con Asia Argento, Birol Ünel
**

Visto al cinema Plinius, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes)

Dal regista di "Gadjo Dilo", il solito viaggio fra usi e costumi gitani dell'Europa dell'est. Una ragazza si reca in Transilvania alla ricerca dell'uomo che l'ha messa incinta ed è fuggito. Quando lo trova e viene abbandonata nuovamente, si mette a vagare per il paese in compagnia di un misterioso avventuriero che traffica in oro e oggetti vari. La prima parte del film mi è sembrata insulsa e noiosa, piena di musica gitana e di scene folcloristiche: un perfetto film-cartolina per turisti, che mostra la Romania secondo i più scontati stereotipi. Meglio la seconda, "on the road", con diverse scene divertenti e un po' surreali. Nel complesso, però, una pellicola che non emoziona particolarmente, coinvolge poco e lascia il tempo che trova.
Curiosità: i personaggi parlano fra loro in moltissime lingue diverse (italiano, francese, tedesco, inglese, rumeno, ungherese). Se mai il film dovesse uscire nelle sale italiane, doppiarlo sarebbe una sciocchezza.

Princess (A. Morgenthaler, 2006)

Princess
di Anders Morgenthaler – Danimarca 2006
con Thure Lindhardt – animazione tradizionale
*1/2

Visto al cinema Plinius, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes)

Una pellicola sconcertante, girata quasi interamente a cartoni animati (con brutti disegni e un'animazione scadente sia dal punto di vista tecnico che da quello artistico). Alla morte della sorella, che faceva l'attrice di film porno, un giovane (ex prete missionario?) prende con sé la nipotina di 5 anni e si imbarca in un'assurda crociata personale contro la pornografia, mettendo a ferro e fuoco la città come un qualsiasi giustiziere della notte. Un film sgradevole anche se con un suo certo stile, implausibile nei personaggi e nella trama, e forse un po' bacchettone: non mi è ben chiaro se il regista condivida le "buone" intenzioni del protagonista: qualche sospetto c'è (vedi la scena in cui la polizia esita a proteggere i pornografi), ma lasciamogli il beneficio del dubbio.

The host (Bong Joon-ho, 2006)

The host (Gwoemul)
di Bong Joon-ho – Corea del Sud 2006
con Song Kang-ho, Byun Hee-bong
**

Visto allo spazio Oberdan, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes)

Le sostanze tossiche versate nell'acqua del fiume Han, che attraversa Seul, fanno nascere un gigantesco e mostruoso pesce-anfibio che semina il terrore in superficie. Ad affrontarlo, anziché l'esercito (che anzi ne ostacola gli sforzi), ci pensa una famiglia (il vecchio padre, due figli e una figlia, tutti in cerca di qualche forma di riscatto) che vuole ad ogni costo salvare la nipotina, catturata e tenuta prigioniera dal mostro. La prima parte di questo action/horror movie è gradevole e moderatamente divertente, e stempera con una certa ironia le situazioni tipiche dei film di mostri. La seconda, invece, è troppo lunga e commette l'errore di prendersi sul serio, trasformando così in veri eroi quelli che erano nati come personaggi ridicoli. La commistione di generi (qui abbiamo la commedia, il dramma familiare e l'horror), di solito un punto di forza delle pellicole dell'estremo oriente, non sembra funzionare al meglio, e spesso si rimane perplessi davanti a un film che cerca a fasi alterne di emozionare, di far ridere o di far paura (o addirittura di abbozzare discorsi di denuncia sociale, lanciando strali contro i militari, gli scienziati e la burocrazia), senza mai riuscire veramente in nessuno di questi intenti. Bae Du-na, nei panni della figlia che tira con l'arco, è sprecata. Bello il mostro in CG, ma viene rivelato subito e appare in troppe scene, tanto che alla lunga anche lui comincia a stufare. Gode di un certo riscontro fra gli appassionati del genere, ma è poco più che una pellicola fracassona e superficiale.

17 giugno 2006

Soap (P. Fischer Christensen, 2006)

Soap (En soap)
di Pernille Fischer Christensen – Danimarca 2006
con Trine Dyrholm, David Dencik
**

Visto al cinema Colosseo, in v. orig. sottotitolata.
(rassegna di Cannes)

Anche questo film, pur inserito nella rassegna, non proviene da Cannes ma da Berlino, dove ha vinto l'orso d'argento per la miglior opera prima. Girato come se fosse una soap opera (diviso in episodi, con il riassunto delle puntate precedenti, e apparentemente senza un inizio e una fine), è la storia di Charlotte, una donna che ha lasciato il marito per trasferirsi in un nuovo appartamento, e di Veronica, un giovane travestito che abita al piano di sotto in perenne attesa dell'autorizzazione per poter cambiare sesso. I due diventano amici, si confidano, si aiutano, forse si innamorano. Realizzato esclusivamente in due appartamenti, con due attori protagonisti, due comprimari e un paio di comparse, è un film che sicuramente sarà costato molto poco. Ma l'ottima sceneggiatura funziona e rende vivi i personaggi, i cui problemi e la cui umanità contrastano un poco con quelli della telenovela che Veronica guarda in continuazione in TV (e di cui si sentono solo le voci).

Anche libero va bene (K. Rossi Stuart, 2006)

Anche libero va bene
di Kim Rossi Stuart – Italia 2006
con Alessandro Morace, Barbora Bobulova
**1/2

Visto al cinema Apollo (rassegna di Cannes).

Il film d'esordio di Kim Rossi Stuart alla regia ha sorpreso molti spettatori, e anche me, che mi aspettavo decisamente qualcosa di più buonista. È invece uno spaccato di famiglia duro, sincero e senza concessioni al sentimentalismo. L'intera storia è vista attraverso gli occhi di un bambino (molto bravo il piccolo attore), alle prese con un padre emotivo e violento, una madre assente e instabile, la scuola, gli amici, lo sport. Niente retorica, niente stereotipi, niente colpi di scena telefonati. Non siamo dalle parti del neorealismo né delle tante storie di bambini viste finora nel cinema italiano, ed è proprio questo che lo rende interessante e consente di simpatizzare con il protagonista senza odiare o detestare nessuno degli altri personaggi, nemmeno quelli più negativi. Forse a volte rischia di andare un po' sopra le righe (soprattutto per quanto riguarda il personaggio del padre, interpretato dallo stesso Rossi Stuart) ma il risultato finale è più che apprezzabile.

Giovane e violento (D. Buck, 2006)

Giovane e violento (Knallhart, aka Tough enough)
di Detlev Buck – Germania 2006
con David Kross, Jenny Elvers
**1/2

Visto al cinema Colosseo, in v. orig. sottotitolata.
(rassegna di Cannes)

Un quindicenne si trasferisce con la madre nelle periferie più disadattate di Berlino, si difende dalle prepotenze dei teppisti della scuola, cerca di adattarsi al nuovo ambiente e poi entra in contatto con la mafia turca, diventando corriere e spacciatore di droga. Incomberà la tragedia, visto che la storia è tutta narrata in flashback dal ragazzo in una stazione di polizia? Secco e violento, magari non originalissimo come trama ma raccontato egregiamente, con un ottimo protagonista e attori giovani e bravi. La fotografia presenta colori particolarmente slavati, una scelta tecnica per accentuare il (neo)realismo e lo squallore del quartiere. Premio Fipresci al festival di Berlino.

Dans Paris (Christophe Honoré, 2006)

Dans Paris
di Christophe Honoré – Francia 2006
con Romain Duris, Louis Garrel
*

Visto allo spazio Oberdan, in v. orig. sottotitolata.
(rassegna di Cannes)

La storia di due fratelli a Parigi: il minore (che funge anche da narratore, "uscendo" dal personaggio e parlando direttamente con gli spettatori) vive ancora con il padre ed è pieno di ragazze, il maggiore viene lasciato dalla sua compagna e cade in depressione. Un film che non mi ha detto assolutamente nulla. Non potrei nemmeno dire che sia brutto, visto che mi è passato attraverso come se fossi stato trasparente. I dialoghi sono banali e pieni di frasi fatte sull'amore e la vita, la regia è piena di "giochini" intellettuali completamente gratuiti, privi di significato e usati pure male e fuori contesto. Si potrebbe riassumere così: Nouvelle vague fuori tempo massimo. Tra due giorni lo avrò dimenticato.

Lying (M. Blash, 2006)

Lying
di M. Blash – USA 2006
con Chloë Sevigny, Jena Malone
**

Visto allo spazio Oberdan, in v. orig. sottotitolata.
(rassegna di Cannes)

Quattro donne vanno a trascorrere un week-end in campagna nella casa di una di loro. Giocano, oziano, perdono tempo, chiacchierano, e nel frattempo incontrano strani visitatori, danno la caccia a un fantasma, girano un misterioso filmato, scoprono che una di loro ha sempre mentito. Francamente non ho capito molto il significato di questo film (sempre che ce ne sia uno), sicuramente non troppo riuscito, ma non posso dire che mi sia dispiaciuto del tutto. Pur essendo un po' noiosetto, mi è piaciuta l'atmosfera, sognante e impalpabile come quella di altri film tutti al femminile ("Picnic ad Hanging Rock" e "Il giardino delle vergini suicide"). Mi è piaciuta l'ambientazione, la casa, il bosco, che mi ha ricordato la Fogona. E anche le attrici non erano male.

Nota: a dire il vero, c'è anche un altro mistero. Chi è il regista? Un uomo o una donna? Nel film, il cognome era preceduto solo dall'iniziale, e da nessuna parte, nemmeno sull'IMDb, ci sono informazioni più complete. [Aggiornamento: pare che sia un uomo.]

16 giugno 2006

13 - Tzameti (Géla Babluani, 2005)

13 - Tzameti
di Géla Babluani – Francia 2005
con Georges Babluani, Aurélien Recoing
***

Visto al cinema Arlecchino, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes).

Un giovane immigrato georgiano in Francia rimane coinvolto in una vicenda da incubo quando, fiutando un lucroso affare, entra in contatto con un'organizzazione criminale che organizza un crudele gioco clandestino. Un noir duro e spietato, che forse parte un po' lento ma si sviluppa poi in maniera sorprendente senza lesinare colpi nello stomaco. Tensione alle stelle, la morte che incombe in continuazione, dialoghi secchi ed essenziali, una bella colonna sonora e soprattutto una fotografia in b/n che da sola sostiene gran parte del peso del film. Il protagonista, Georges Babluani, è il fratello minore del regista, all'esordio nel lungometraggio. “Tzameti” è la parola georgiana per “tredici”. Anche se ospitato qui a Milano nella rassegna di Cannes, il film era stato presentato a Venezia nel 2005, dove aveva vinto il premio per la miglior opera prima (l'anno dopo riceverà anche il premio della giuria al Sundance Festival).
Aggiornamento: nel 2010 lo stesso regista ha diretto un remake americano e a colori del film, "13 - Se perdi... muori", con Sam Riley, Ray Winstone, 50 Cent, Mickey Rourke e Jason Statham.

Il tempo che resta (F. Ozon, 2005)

Il tempo che resta (Le temps qui reste)
di François Ozon – Francia 2005
con Melvil Poupaud
**1/2

Visto al cinema Arlecchino, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes).

Romain (Melvil Poupaud), un giovane fotografo di moda gay, scopre di avere un tumore allo stato avanzato e che gli restano pochi mesi di vita. Anziché disperarsi o rassegnarsi, preferisce tagliare i ponti con il presente (non comunica la notizia a nessuno, nemmeno ai parenti) e rivolgersi invece al passato e al futuro: recuperà così il rapporto con la sorella e soprattutto con il sé stesso bambino, e accetterà di essere il padre del figlio di una coppia di sconosciuti il cui marito è sterile. Il poliedrico Ozon firma stavolta un film semplice ed essenziale, forse fin troppo distaccato: una di quelle pellicole che funzionano solo se si riesce a simpatizzare con il protagonista, cosa a dire il vero non sempre facile visto che il personaggio tende a chiudersi in sé stesso e ad isolarsi dal resto del mondo. La parte centrale mi è sembrata un po' debole, ma il finale mi è piaciuto. Per fortuna Ozon non scivola nel patetico e il tono non diventa mai consolatorio o, peggio, ricattatorio (e in questo ci sono similarità con il bel film coreano "Christmas in august", che parte da presupposti identici). Bravo il protagonista, ci sono piccole parti per Jeanne Moreau (nel ruolo della nonna Laura) e Valeria Bruni-Tedeschi (la cameriera con il marito sterile).

Jindabyne (Ray Lawrence, 2006)

Jindabyne
di Ray Lawrence – Australia 2006
con Laura Linney, Gabriel Byrne
*1/2

Visto allo spazio Oberdan, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes).

Quattro amici che vivono nell'entroterra australiano si recano a pescare in un fiume di montagna ("un luogo segreto, dove alle donne non è permesso andare"). Quando trovano il cadavere di una donna che galleggia nell'acqua, anziché avvertire subito la polizia attendono un paio di giorni, attirando su di sé i rimproveri e l'odio dell'intero paese. Bellissimi paesaggi per un film non troppo riuscito, soprattutto per colpa della sceneggiatura: dialoghi finti e forzati, con un moralismo e un'ipocrisia di fondo che mi sono parsi particolarmente fastidiosi. In particolare ho trovato odiosa e detestabile la protagonista (la moglie di uno dei pescatori), che invece sembra essere stata scelta dal regista per sottolineare il proprio punto di vista. Bravi, comunque, gli attori. Lo stesso soggetto è alla base di un episodio di "America oggi" di Altman.

Nota: all'inizio del film, una didascalia diceva più o meno: "Si avvisano gli spettatori aborigeni che questo film potrebbe contenere voci o immagini di persone già decedute". All'inizio mi è sembrato un divertente tocco di colore ma poi, alla luce del film, l'ho trovata un'altra fastidiosa testimonianza della politically correctness che evidentemente dagli USA ha invaso anche l'Australia.

Cronaca di una fuga (A. Caetano, 2006)

Buenos Aires 1977 - Cronaca di una fuga (Crónica de una fuga)
di Israel Adrián Caetano – Argentina 2006
con Rodrigo De la Serna, Nazareno Casero
**1/2

Visto al cinema Odeon, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes).

Come in "Un condannato a morte è fuggito" di Bresson, è la storia di una dura prigionia e di una fuga disperata. Stavolta si parla dei desaparecidos argentini: il film è ambientato nel 1978, durante la dittatura della giunta di Videla, ed è tratto dal libro di memorie di uno dei reali protagonisti della vicenda, Claudio Tamburrini, giovane portiere di calcio sequestrato in seguito alla denuncia di un amico. Dopo mesi di prigionia e di torture, in una notte di pioggia riuscì a evadere insieme a tre compagni dalla casa in cui era tenuto segregato. Una pellicola forte e coinvolgente, ottimamente recitata e diretta, con la tensione che raggiunge livelli altissimi soprattutto considerando che non si tratta di semplice finzione ma di una storia vera. Tamburrini e uno dei suoi compagni di fuga, Guillermo Fernández, hanno collaborato con il regista e gli sceneggiatori, fornendo informazioni per rendere il film il più accurato possibile.

Il labirinto del fauno (G. del Toro, 2006)

Il labirinto del fauno (El laberinto del fauno)
di Guillermo del Toro – Spagna/Messico 2006
con Ivana Baquero, Sergi López
***1/2

Visto al cinema Odeon, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes).

Nella Spagna del 1944, sconvolta dalla guerra civile, infuria la battaglia fra le truppe di Franco e i ribelli che si nascondono nei boschi. Ofelia (Ivana Baquero), una bambina la cui madre si è appena risposata con un crudele e spietato capitano dell'esercito franchista (Sergi López), entra in contatto con il mondo delle fate: un misterioso fauno le annuncia infatti che dovrà superare tre difficili prove per dimostrare di essere la principessa del magico Regno Sotterraneo e riconquistare così il proprio posto sul trono. Mentre da un lato la guerra prosegue sempre più cruenta, dall'altro la ragazzina si trova ad affrontare orchi e demoni. Un film strano e originale che riesce nell'intento di mescolare alcuni tragici eventi della storia recente (una costante di molti film di questa edizione di Cannes) con un universo fantasy cupo e gotico che sembra uscito dalle fantasie di Tim Burton incrociate con quelle di Peter Jackson. Le due anime del film sono fuse perfettamente fra loro, tanto che nessuna delle due prevale sull'altra e anzi si rinforzano a vicenda: mettere a confronto due mondi entrambi estremamente violenti come quello adulto della guerra e quello infantile delle fiabe (che potrebbe anche essere tutto frutto dell'immaginazione della piccola protagonista, un modo per proteggersi dagli orrori e dai cambiamenti che si dipanano intorno a lei, a partire dallo sconvolgimento della propria famiglia) è stata un'idea geniale. Meriterà una seconda visione. Il regista, messicano, è specializzato nel fantasy con venature horror: questo, come il precedente “La spina del diavolo”, è però molto più personale rispetto ai suoi successi hollywoodiani (“Blade II”, “Hellboy”). Ariadna Gil é Carmen, la madre di Ofelia. Maribel Verdú è Mercedes, la governante segretamente alleata dei ribelli. Doug Jones “interpreta” il fauno e un altro mostro, l'Uomo Pallido (ispirato a un demone del folklore giapponese e al Saturno del dipinto di Goya).

15 giugno 2006

La voltapagine (Denis Dercourt, 2006)

La voltapagine (La tourneuse de pages)
di Denis Dercourt – Francia 2006
con Déborah François, Catherine Frot
***

Visto al cinema Excelsior, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes).

Quando un saggio di pianoforte le va male, una bambina decide di smettere di suonare e attribuisce la colpa a una concertista di talento che l'ha distratta durante l'esecuzione. Cresciuta, medita una crudele vendetta: si introduce nella sua vita e ne conquista lentamente la fiducia diventando la sua "voltapagine", ossia la persona alla quale il pianista deve affidarsi totalmente mentre suona. Un thriller psicologico freddo e quasi chabroliano, dove ogni gesto degli attori è misurato, proprio come quelli dei musicisti. È un tipo di film con cui mi sento particolarmente in sintonia. La protagonista mi ha ricordato, soprattutto per la recitazione ma a volte anche per l'espressione, Emmanuelle Béart.
La musica da camera (la concertista suona in un trio) sembra particolarmente adatta a questo genere di film: suggerisce sempre un sottile lato di ambiguità e di inquietudine. Ed è un genere di musica che mi piace molto perché consente facilmente di seguire e tracciare con la mente il contribuito di ciascuno dei singoli strumenti che invece, nelle grandi orchestre sinfoniche, sono spesso confusi all'interno dell'insieme.

Shortbus (John Cameron Mitchell, 2006)

Shortbus (id.)
di John Cameron Mitchell – USA 2006
con Lee Sook-Yin, Paul Dawson
***

Visto al cinema Arcobaleno, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes).

Una curiosa pellicola sul sesso e le molte facce dell'amore nella New York post-11 settembre, un racconto corale nel quale lo sceneggiatore e regista ha lasciato mano libera agli stessi attori per approfondire e sviluppare i propri personaggi e le loro storie. Lo stile è moderno, mentre l'anima è hippy (uno dei personaggi dice "E' proprio come negli anni sessanta, ma con meno speranze"). Una sessuologa che non riesce a raggiungere l'orgasmo, una coppia di gay in crisi (uno dei quali medita un insensato suicidio), una dominatrix sadomaso in cerca d'affetto: le vite di questi e altri personaggi si incrociano nello "Shortbus", un locale dove tutto è permesso e dove le serate passano all'insegna di musica e amore libero. Nonostante il tono sia a volte malinconico o addirittura sfiori la tragedia, il sesso è finalmente visto in maniera positiva e appagante: che differenza con l'immagine sessuofobica che viene fuori da molte pellicole americane e anglosassoni! Il film non lesina nudi e scene esplicite, ma non rasenta mai la pornografia. Non c'è nulla di gratuito o di morboso: lo scopo non è eccitare lo spettatore, ma farlo sorridere insieme ai personaggi. Bella e divertente l'animazione usata per le panoramiche della città, che la fa sembrare un enorme modellino nel quale, come piccole pedine, si muovono i protagonisti della storia.

The Yes Men (Ollman, Price, Smith, 2003)

The Yes Men
di Dan Ollman, Sarah Price, Chris Smith – USA 2003
con Mike Bonanno, Andy Bichlbaum
***

Visto al cinema Brera, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes).

Andate sul sito www.gatt.org (il GATT è il trattato che ha dato vita al WTO, l'organizzazione mondiale del commercio). Dalla grafica e da una distratta occhiata ai contenuti potrà sembrarvi in tutto e per tutto il sito del WTO stesso, ma non fatevi ingannare! In realtà ne è una versione satirica, messa in piedi da un gruppo di attivisti no-global particolarmente goliardici, gli "Yes Men", fortemente critici nei confronti dell'organizzazione e del suo orientamento a favore delle multinazionali e dei paesi più ricchi. Da quando hanno realizzato il falso sito, molti utenti lo scambiano per quello vero e scrivono agli autori, convinti di contattare il vero WTO. A volte, gli "Yes Men" vengono addirittura intervistati da giornalisti o invitati a conferenze e dibattiti sulla globalizzazione e sul commercio. E naturalmente loro ci vanno, criticando il WTO oppure elogiandolo con discorsi paradossali e assurdi, spesso senza che nessuno si renda conto (ed è tragico!) che a parlare non è un rappresentante dell'organizzazione ma un suo detrattore.
Questo documentario mostra alcune delle loro bravate, le più esilaranti e spudorate, eseguite con coraggio e senza ritegno davanti a platee sbigottite (nel migliore dei casi) o che applaudono distrattamente (nel peggiore). Discorsi senza senso, a volte assurdi ("Ricicliamo lo stesso hamburger fino a dieci volte"), a volte razzisti ("Reintroduciamo la schiavitù, ma a distanza"), a volte surreali e umoristici (la dimostrazione dell'"abito da manager per il tempo libero"). Un film istruttivo e molto, molto divertente.

The hawk is dying (J. Goldberger, 2006)

The hawk is dying
di Julian Goldberger – USA 2006
con Paul Giamatti, Michelle Williams
*

Visto allo spazio Oberdan, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes).

George (Paul Giamatti), un uomo poco incline alle relazioni sociali, che vive con la sorella e il figlio ritardato di quest'ultima, ha un solo desiderio nella vita: allevare un falco da caccia. Quando il nipote (Michael Pitt) muore misteriosamente, l'uomo si chiude ancora più in sé stesso e vaga per tutta la notte in compagnia del rapace, ormai ossessionato dalla sfida di addomesticarlo. Tratto da un libro di Harry Crews e ambientato in Florida, un film pesante e noioso, molto più infantile e meno profondo di quanto vorrebbe essere, ravvivato soltanto dalla bravura di Giamatti che riesce a rendere interessante e sensibile anche un personaggio altrimenti squallido. Rusty Schwimmer è la sorella, Michelle Williams una studentessa di psicologia che osserva il comportamento di George.

14 giugno 2006

Il vento che accarezza l'erba (Ken Loach, 2006)

Il vento che accarezza l'erba (The wind that shakes the barley)
di Ken Loach – GB/Irlanda 2006
con Cillian Murphy, Padraic Delaney
**1/2

Visto al cinema Anteo, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes)

È il film che ha vinto la Palma d'Oro. Racconta alcuni episodi della rivolta degli irlandesi contro l'esercito di occupazione britannico, nel 1920. Crudo e spietato, riesce a comunicare con passione ed efficacia le tensioni e le contraddizioni della guerra (toccante, per esempio, la scena dell'esecuzione della giovane spia), ma pecca per il solito manicheismo di Loach: da un lato sono tutti rozzi e cattivi e dall'altro invece tutti buoni e sensibili, anche se mettere in scena le prepotenze e i soprusi degli inglesi serve a far indignare lo spettatore e a farlo partecipare con più coinvolgimento alle vicende. Comunque interessante: soprattutto nella seconda parte, quando gli stessi irlandesi si dividono fra quelli che accettano la tregua proposta dagli inglesi e quelli che continuano a ribellarsi in nome di ideali socialisti. Ovviamente si mettono a combattere fra loro, e altrettanto ovviamente abbiamo due fratelli che si trovano a lottare uno contro l'altro su fronti opposti della barricata. Per la prima volta ho visto il bravo Cillian Murphy in un ruolo positivo (dopo "Red Eye" e "Batman Begins").

A est di Bucarest (C. Porumboiu, 2006)

A est di Bucarest (A fost sau n-a fost?)
di Corneliu Porumboiu – Romania 2006
con Mircea Andreescu, Ion Sapdaru
***

Visto al cinema Anteo, in originale con sottotitoli
(rassegna di Cannes)

Siamo sotto Natale, in un piccolo centro abitato della Romania, a malapena ravvivato dai bambini che fanno esplodere incessantemente i petardi per le strade. Il 22 dicembre, anniversario della liberazione del paese dal dittatore Ceausescu, una scalcinata emittente televisiva locale manda in onda un dibattito per determinare se anche questa città di provincia abbia partecipato in maniera attiva alla conquista della "libertà": si tratta di chiarire innanzitutto se ci sia stata davvero una rivoluzione (il titolo originale significa appunto "C'è stata o non c'è stata?") oppure se tutti siano scesi in piazza quando ormai i giochi erano già stati fatti nella Capitale. Il dibattito è esilarante, grazie agli interventi di un professore ubriacone, perennemente indebitato, e di un anziano pensionato che si veste da Babbo Natale: tutto viene ridimensionato, e alla fine i grandi eventi storici sembrano un po' più piccoli e insignificanti. Un film brillante che strappa molte risate, pur trattando di temi seri e tragici: godibile e divertente, è permeato di un umorismo amaro, essenziale e surreale che ricorda un po' le pellicole di Aki Kaurismäki. Credo che sia stato il primo film rumeno che abbia mai visto. E nonostante già sapessi che il rumeno è una lingua latina, e non slava, mi sono stupito nel sentire come gran parte delle parole fossero comprensibili e simili all'italiano (e anche al francese e allo spagnolo, naturalmente).

Cambio di indirizzo (E. Mouret, 2006)

Cambio di indirizzo (Changement d'adresse)
di Emmanuel Mouret – Francia 2006
con Emmanuel Mouret, Frédérique Bel, Fanny Valette
***

Visto allo spazio Oberdan, in v. orig. sottotitolata
(rassegna di Cannes)

David (interpretato dallo stesso regista, anche sceneggiatore), timido suonatore di corno trasferitosi da poco a Parigi, si innamora – forse più per mancanza di alternative che per vero amore – di Julia (Fanny Valette), la giovane allieva a cui dà lezioni. Quando la relazione viene compromessa dall'arrivo inaspettato di un rivale, il ragazzo troverà conforto in Anne (Frédérique Bel), la bionda e vivace coinquilina con cui divide l'appartamento e della quale era diventato il confidente. Una deliziosa e delicata commedia sentimentale come solo i francesi sanno fare, con tre attori simpatici che "fanno tenerezza", come del resto tutto il film. La giovane allieva assomiglia un po' a Liv Tyler. Paragonato da molti critici a Woody Allen, anche per via degli sprazzi surreali delle sue pellicole, il regista ha dichiarato di ispirarsi soprattutto a Truffaut e alle commedie di Rohmer. Questo film è il suo terzo lavoro, nonché il primo a essere distribuito anche in Italia.

12 giugno 2006

Cannes e dintorni 2006

Quest'anno ho fatto per la prima volta l'abbonamento alla rassegna di Cannes e nei prossimi giorni conto di vedere un bel po' di pellicole. Negli anni passati mi limitavo ad andare a vedere tre-quattro film, soprattutto orientali. Stavolta, invece, cercherò di seguire tutta la rassegna, e magari di scoprire qualche titolo o autore sconosciuto e interessante.
Stay tuned!

11 giugno 2006

Falso movimento (W. Wenders, 1975)

Falso movimento (Falsche Bewegung)
di Wim Wenders – Germania 1975
con Rüdiger Vogler, Hanna Schygulla
***

Rivisto in DVD con Martin.

Prosegue la nostra rassegna su Wenders, con il suo quarto lungometraggio nonché il secondo della trilogia di road movies degli anni settanta (il primo, "Alice nelle città", purtroppo l'abbiamo dovuto saltare perché non avevamo a disposizione né il DVD né una VHS: lo recupereremo in futuro!). L'avevo già visto anni fa, e come allora mi ha fatto l'impressione di un film da lasciare decantare e da non giudicare immediatamente dopo o addirittura durante la visione. Scritto da Peter Handke e liberamente tratto dal "Wilhem Meisters Lehrjahre" di Goethe, ha come protagonista un giovane aspirante scrittore che, spinto dal malessere e dall'inquietudine, intraprende un viaggio attraverso la Germania per imparare a conoscere il mondo e le persone che lo abitano. Incontra numerosi personaggi che si uniscono a lui nel suo vagabondaggio, che sembra procedere senza meta e senza obiettivo. Alla fine, tornato solo, dovrà ammettere di non aver concluso nulla e di non aver compiuto altro che un "falso movimento". Negli occhi e nella mente rimangono le immagini della Germania del nord, brumosa e industrializzata, la campagna e la città che sembrano entrambe desolate e quasi disabitate, e le lunghe sequenze dei personaggi che camminano per la strada, parlando di arte e di poesia, di sogni e di aspirazioni, del passato (anche del nazismo) e del futuro, della vita e della morte. I testi di Handke sono forse troppo letterari (e risentono di una certa intellettualità, tipica peraltro degli anni '70, che oggi è un po' fuori contesto): ammetto di aver fatto fatica a seguire alcuni discorsi, come quello sulla solitudine. Ma alla fine, a distanza di tempo, rimane comunque uno dei film più affascinanti di Wenders, nel quale si possono già trovare le caratteristiche delle sue migliori opere.

Nota: è il film d'esordio di Nastassja Kinski, che aveva 16 anni, era già bellissima e non dice una parola in tutta la pellicola. Il suo personaggio mi ha fatto pensare, chissà perché, a quello di Milla Jovovich in "Million Dollar Hotel".

10 giugno 2006

Crimen perfecto (A. de la Iglesia, 2004)

Crimen perfecto (Crimen ferpecto)
di Álex de la Iglesia – Spagna 2004
con Guillermo Toledo, Mónica Cervera
***

Visto in DVD con Albertino.

Gli spagnoli sembrano ormai essersi specializzati in commedie ciniche e grottesche, come quelle che un tempo (più di trent'anni fa) si facevano anche in Italia. E de la Iglesia è quasi un maestro in questo genere. Questo film è una black comedy con interessanti risvolti di analisi sociale, quasi interamente ambientata in un grande magazzino dove regna incontrastato Rafael, caporeparto egocentrico, ambizioso e amante delle donne. Ricattato da un'impiegata bruttina che lo ha visto uccidere accidentalmente un rivale, Rafael è costretto a fidanzarsi con lei. Con la prospettiva dell'infernale matrimonio che incombe, Rafael vede la propria vita piombare lentamente nella mediocrità (meravigliosamente illustrata nella scena dell'incontro con la famiglia di lei), e allora progetta un nuovo delitto che stavolta dovrà essere davvero "ferpetto"! A differenza di alcuni suoi film precedenti (come "La comunidad"), stavolta de la Iglesia padroneggia perfettamente la situazione e non si perde per strada, grazie anche a due ottimi attori. Alla riuscita del film contribuiscono il ritmo, le gag, la sceneggiatura che prende di mira consumismo e arrivismo senza però dispensare giudizi o condanne (non c'è divisione fra buoni e cattivi) e la regia (con numerose scene girate come se si trattasse di un horror). La scena della caldaia nel locale dei manichini mi ha fatto venire in mente, per associazione d'idee, "Estasi di un delitto" di Luis Buñuel. In quel momento mi sono anche chiesto se il regista avesse voluto citare, magari inconsciamente, quel film. La risposta me l'ha data una sequenza successiva, quando Rafael si reca in videoteca a noleggiare, fra gli altri, proprio "Ensayo de un crimen" di Don Luis!
Da notare come il titolo italiano, che fra l'altro è in spagnolo, corregga l'errore di ortografia presente nell'originale eliminandone completamente l'ironia. A proposito: che anche questa sia una citazione (da Asterix?).

Tube (Baek Woon-hak, 2003)

Tube (id.)
di Baek Woon-hak – Corea del Sud 2003
con Kim Seok-hun, Park Sang-min, Bae Du-na
*

Visto in DVD con Albertino.

Un cattivone sequestra un treno della metropolitana di Seul e lo riempie di esplosivo. Ovviamente a bordo, fra i passeggeri, c'è anche un eroico poliziotto. Un action movie inutile e insulso, che prende un po' da "Speed" e un po' da "Die Hard", mentre la sparatoria iniziale guarda direttamente a John Woo e il finale (tutto sommato la parte migliore) ricorda "A trenta secondi dalla fine". Ma oltre a non essere originale, il film non è nemmeno coinvolgente. Pieno di buchi logici e di personaggi piatti e stereotipati, in alcuni punti pretende persino di commuovere, ovviamente senza riuscirci. Ed è un peccato vedervi coinvolta un'attrice di valore come Bae Du-na, già vista in "Mr. Vendetta" e che personalmente avevo adorato in "Saving my hubby". Credo sia giunto in Italia solo perché è un film d'azione ad alto budget, mentre titoli coreani ben più meritevoli come "Memories of Murder", "Attack the gas station" o "Kick the moon" sono ancora inediti...

8 giugno 2006

Lady Henderson presenta (S. Frears, 2005)

Lady Henderson presenta (Mrs. Henderson Presents)
di Stephen Frears – Gran Bretagna 2005
con Judi Dench, Bob Hoskins
**

Visto in DVD con Albertino.

Una simpatica commedia ambientata nel West End di Londra fra la fine degli anni '30 e l'inizio della seconda guerra mondiale. Una ricca vedova, nobile e (apparentemente) frivola, decide di acquistare un teatro di varietà dove per la prima volta verranno fatte esibire sul palco ragazze completamente senza veli. Le autorità sono imbarazzate ma tollerano, anche perché il teatro fornisce lo svago necessario ai soldati e alla popolazione durante i bombardamenti nazisti. Un film dal tono leggero e calligrafico, forse con poca tensione: la prima parte è vivace, la seconda (dopo lo scoppio della guerra) ha più pathos ma perde decisamente di mordente. Peccato che il tema della censura e dello scandalo sia soltanto sfiorato, ma anche in questo il film è molto british: vedi, ad esempio, la scena in cui il gran ciambellano non riesce a pronunciare il nome delle parti intime femminili. È comunque bello quando attori o attrici come la Dench, che di solito hanno ruoli minori in miriadi di altri film, hanno la possibilità di recitare da protagonisti, uscendo dalle macchiette che interpretano di solito e potendo approfondire un po' i loro personaggi.

5 giugno 2006

Ashes of time (Wong Kar-wai, 1994)

Ashes of time (Dung che sai duk)
di Wong Kar-Wai – Hong Kong 1994
con Leslie Cheung, Tony Leung Kar-fai, Brigitte Lin
***

Visto in DVD alla Fogona, in originale con sottotitoli inglesi.

Finalmente ho visto l'ultimo Wong Kar-wai che mi mancava, fra l'altro l'unico a non essere uscito in italiano, nonostante fosse stato presentato a suo tempo al festival di Venezia. È anche il solo wuxiapian della sua filmografia, seppure decisamente atipico e caratterizzato dal suo stile personale. Splendidissimo il cast, composto in gran parte da suoi habitué: Leslie Cheung, Tony Leung Chiu-wai, Maggie Cheung, Brigitte Lin (è sempre un piacere vederla vestita da uomo, come fa spesso in questo genere di film), Jacky Cheung, Carina Lau e Tony Leung Kar-fai.
Uno spadaccino vive ai margini del deserto, struggendosi nel ricordo della donna amata e perduta. Nella sua capanna si incrociano le storie di una moltitudine di personaggi: amici che gli fanno visita, viaggiatori di passaggio, stranieri che intendono assoldarlo, rivali giunti a sfidarlo. Un film complesso e affascinante, visivamente straordinario, con il tempo e la memoria come filo conduttore: scandito dal passare delle stagioni e dai ricordi che alcuni vorrebbero cancellare e altri mantenere immutati per sempre, ricco di personaggi tormentati, di guerrieri che si allenano combattendo contro il proprio riflesso o che attendono in eterno l'arrivo di fantomatici nemici, storie incrociate di gelosia, vendette e tradimenti… la narrazione è destrutturata al punto da sembrare, almeno inizialmente, saltare di palo in frasca, salvo poi tirare le fila di ogni sottotrama al momento opportuno. Quello che lo rende affascinante è lo stile di WKW, ipnotico e avvolgente, con la sua regia sofisticata, le inquadrature sghembe o ricercate, l'attenzione ai dettagli, il montaggio frammentato. Interessante come sempre la fotografia di Christopher Doyle, dominata da tonalità gialle, rosse e ocra, colori caldi come la sabbia del deserto che fa da sfondo alle vicende. La copia in DVD che ho visto (Mei Ah) era piuttosto scadente, ma la sgranatura e le imperfezioni donavano ulteriore fascino alle immagini. Le rare sequenze di combattimento, più contrappunti didascalici che scene madri, sono girate in maniera confusa e sperimentale, a scatti oppure con ralenti che fanno assomigliare i movimenti degli spadaccini alle pennellate su un dipinto. Ed è quasi incessante l'accompagnamento della colonna sonora, magari non sempre memorabile ma fondamentale nell'economia della pellicola.

4 giugno 2006

Needing you... (Johnnie To, Wai Ka-fai, 2000)

Needing you... (Goo laam gwa lui)
di Johnnie To e Wai Ka-Fai – Hong Kong 2000
con Andy Lau e Sammi Cheng
*1/2

Visto in DVD alla Fogona, in originale con sottotitoli inglesi.

Lui è manager in una grande azienda di computer, divorziato e con la fama di dongiovanni. Lei un'impiegata alle sue dipendenze, con la testa perennemente fra le nuvole e sfortunata in amore: all'inizio c'è attrito e incomprensione, poi amicizia e complicità, e infine scatta il colpo di fulmine. Classica commedia hongkonghese leggera e romanticosa, ma poco originale e poco divertente, nonostante la simpatia di Sammi Cheng. Mi è parsa una pellicola "alimentare" di scarso interesse che non ha nulla a che vedere con i prodotti Milkyway che hanno reso celebre Johnnie To. Eppure proprio questo tipo di commedie romantiche ebbero un grande successo di pubblico in patria e salvarono la casa di produzione del regista dai suoi guai finanziari (evidentemente i thriller cupi e angoscianti su gangster e poliziotti, pur apprezzati dalla critica, non ottenevano il riscontro sperato), spingendola a realizzare altri film dello stesso tipo negli anni successivi.

3 giugno 2006

L'uomo che volle farsi re (J. Huston, 1975)

L'uomo che volle farsi re (The Man Who Would Be King)
di John Huston – USA 1975
con Sean Connery, Michael Caine
***

Rivisto in DVD alla Fogona.

Un bel filmone d'avventura epica che Huston ha tratto da un racconto di Rudyard Kipling (il quale, interpretato da Christopher Plummer, compare anche in prima persona come personaggio). Intriso di imperialismo e colonialismo britannico (rivisitato con ironia), è ambientato alla fine dell’ottocento e narra la folle ambizione di due ex soldati inglesi, truffatori e imbroglioni, che dall'India decidono di recarsi nello sperduto territorio del Kafiristan (una regione dell'odierno Afghanistan) per addestrare militarmente una delle tribù del paese e conquistare il potere grazie ai loro fucili, proclamandosi così sovrani assoluti. Ma quando uno dei due viene addirittura scambiato per un dio (ossia per la reincarnazione di Sikander, vale a dire Alessandro Magno, qui descritto come il leggendario fondatore della massoneria), le cose sfuggono al loro controllo. Diretto con mestiere, solido e vecchio stile, il film ha i suoi punti di forza nei due carismatici protagonisti e nei magnifici scenari naturali (è stato girato nel deserto del Marocco), ma è anche una parabola sul potere e l'ambizione. Rossana, la donna di cui Connery si innamora, è interpretata da Shakira Caine, moglie di Michael Caine.

1 giugno 2006

X-Men: Conflitto finale (B. Ratner, 2006)

X-Men: Conflitto finale (X-Men: The Last Stand)
di Brett Ratner – USA 2006
con Hugh Jackman, Halle Berry, Ian McKellen
**

Visto ieri al cinema Splendor, con Valeria.

Diciamo subito che l'assenza di Bryan Singer alla regia di questo capitolo conclusivo della prima trilogia sui mutanti si sente parecchio. Impegnato con il progetto di "Superman returns", il regista avrebbe dovuto essere sostituito da Matthew Vaughn (che dirigerà poi il prequel "X-Men: L'inizio"), ma alla fine è stato scelto il mediocre Ratner. Pur essendo decisamente inferiore al precedente, mi sono comunque divertito a vederlo perché dei tre è quello con più riferimenti diretti al fumetto (a cominciare dalla lotta contro le Sentinelle nella stanza del pericolo). Non per niente una delle due trame principali, come si poteva immaginare già dal finale di "X-Men 2", è quella di Fenice, una delle saghe più celebri di Chris Claremont e John Byrne, anche se spogliata degli elementi cosmici e ridotta a una "semplice" questione di schizofrenia. Alla storia di Fenice si interseca la vicenda principale, la scoperta di un farmaco in grado di sopprimere il gene che dona i poteri ai mutanti. Questa parte, purtroppo, è trattata assai superficialmente, forse perché si è preferito abbondare con i combattimenti anziché dedicare più tempo ad approfondire i personaggi, alcuni dei quali (Colosso e Angelo, per esempio) sono quasi sprecati. Una delle preoccupazioni degli sceneggiatori, poi, sembra essere stata quella di giustificare la natura di "capitolo conclusivo" del film: ed ecco che gran parte dei protagonisti degli episodi precedenti fa una brutta fine, si defila o perde i poteri (ma nel finale c'è qualche sorpresina). In compenso c'è più spazio per un’ottima Kitty, già intravista brevemente nei film precedenti. Fra le new entry: la Bestia e Angelo tra i buoni (e così sono presenti tutti e cinque gli X-Men originali del fumetto, anche se mai contemporaneamente); il Fenomeno (non male la sua resa) e Madrox l'uomo multiplo tra i cattivi. La franchise sarà "resettata" dallo stesso Bryan Singer con "X-Men: Giorni di un futuro passato", che di fatto annullerà gli eventi qui presentati.

X-Men 2 (Bryan Singer, 2003)

X-Men 2 (X2)
di Bryan Singer – USA 2003
con Patrick Stewart, Ian McKellen, Hugh Jackman
***

Per prepararmi alla visione del terzo capitolo, mi sono ripassato rapidamente quelli precedenti.

Lo scienziato militare William Stryker, che considera i mutanti un abominio (anche perché il suo stesso figlio è uno di loro, con poteri che gli permettono di controllare le menti altrui), tenta di scatenare una guerra contro di essi accusandoli di aver attentato alla vita del presidente degli Stati Uniti. Gli si opporranno gli X-Men, per una volta affiancati da Magneto e dalla sua confraternita (avversari nel film precedente). Il secondo film della serie è quello che mi è piaciuto di più, anche perché dà molta importanza alle relazioni interpersonali fra i vari personaggi e per questo mi è sembrato più "claremontiano" del primo: ci sono persino le sottotrame non risolte! Viene introdotto Nightcrawler (Alan Cumming), e appaiono anche Yuriko e (brevemente) Colosso e Siryn. L’Uomo Ghiaccio e Pyro, visti di sfuggita nel primo film, hanno qui un ruolo più importante. E Tempesta ha finalmente una capigliatura decente. Notevole poi lo spazio dedicato a Mystica, presente in numerose sequenze, in una delle quali la splendida Rebecca Romijn-Stamos appare anche “al naturale”, senza il pesante make-up blu. Ottima soprattutto la sceneggiatura. Una delle cose che mi sono piaciute di più in assoluto è il modo naturale con cui vengono presentati, anche a un pubblico che non avesse magari visto il primo film, i numerosissimi personaggi e i loro superpoteri. Anziché interrompere la narrazione o il flusso degli eventi per complesse e inutile spiegazioni, i poteri vengono semplicemente mostrati in azione (le ferite di Wolverine che si rimarginano, Mystica che si trasforma) o fatti capire per accenni e allusioni (i "problemi" di Rogue e Bobby per baciarsi) perfettamente incastonati nei dialoghi. Fra le scene più belle: l'attacco di Nightcrawler al presidente e l'evasione di Magneto dalla prigione di plastica.

X-Men (Bryan Singer, 2000)

X-Men (id.)
di Bryan Singer – USA 2000
con Patrick Stewart, Ian McKellen, Hugh Jackman
**1/2

Rivisto in DVD.

I mutanti, individui con una mutazione genetica che dona loro straordinari poteri, conducono in segreto una guerra che vede in campo essenzialmente due fazioni: gli X-Men, guidati dal professor Xavier, in guisa di super-eroi; e la confraternita di Magneto, che sogna il predominio sulla razza umana. L’universo dei comics degli X-Men è estremamente complesso e non era facile trasporlo al cinema. Singer e collaboratori ci sono riusciti tutto sommato abbastanza bene, prendendosi alcune libertà (l’età di alcuni personaggi, per esempio) e calando la storia in un contesto più "realistico" che fumettistico. La principale difficoltà era naturalmente quella di presentare così tanti personaggi e i loro poteri, cosa che fra l’altro occupa gran parte del film a discapito della trama. L’approccio scelto è stato di guidare lo spettatore attraverso due di loro, Rogue (Anna Paquin) e Wolverine (Hugh Jackman), che scoprono i propri poteri e vengono in contatto per la prima volta con la scuola di Xavier. Del gruppo titolare fanno anche parte Ciclope (James Marsden), Tempesta (Halle Berry) e Jean Grey (Famke Janssen), mentre fra le fila dei ragazzini che studiano nella scuola si intravedono, fra gli altri, l’Uomo Ghiaccio, Kitty e Jubilee. La vicenda non poteva poi prescindere dal villain mutante per eccellenza, un Magneto interpretato in maniera eccellente da Ian McKellen, che insieme a Patrick Stewart (il professor Xavier) rappresenta senza alcun dubbio il punto di forza del cast. A proposito di attori, la pellicola ha lanciato la carriera di Hugh Jackman, anche se quello di Wolverine rimarrà comunque il suo ruolo più celebre (ho sempre rimpianto che Kurt Russell fosse ormai troppo vecchio per la parte). Le scene d'azione, immancabili in un blockbuster di questo tipo, non sono eccessivamente invadenti e i combattimenti sono ben coreografati da Corey Yuen. Il tono generale scelto per il film, nonostante l'assunto fantascientifico, è quello di un certo realismo che ha portato, per esempio, ad abbandonare i variopinti costumi da supereroi in favore di più credibili tute nere (una scelta che, a sua volta, si rifletterà per breve tempo nelle storie a fumetti). Da sottolineare anche la cura nelle scenografie e negli ambienti, con "X" che compaiono un po' dappertutto. Trattandosi di un film della Fox (quelli prodotti direttamente dai Marvel Studios sono ancora di là da venire), sono del tutto assenti riferimenti al più ampio universo Marvel, e lo stesso varrà per i seguiti. In ogni caso la pellicola è da ricordare perché si tratta di uno dei primi cinecomic realizzati in maniera seria e con notevoli ambizioni, e il cui successo aprirà la strada a quello che diventerà il principale filone dei blockbuster hollywoodiani di inizio millennio.

Matrimonio in quattro (E. Lubitsch, 1924)

Matrimonio in quattro (The Marriage Circle)
di Ernst Lubitsch – USA 1924
con Marie Prevost, Monte Blue, Florence Vidor
***

Visto in DVD.

Uno dei primi muti girati da Lubitsch negli Stati Uniti, una storia di tradimenti, tentazioni e di infedeltà che parte come una commedia degli equivoci, leggera e audace, e si trasforma in un gioco delle parti raffinato e crudele, grazie a una regia moderna, una sceneggiatura intelligente e attori bravi ed espressivi (c'è anche Adolphe Menjou). La storia si incentra su due amiche vivono a Vienna con i rispettivi mariti. Charlotte è un'innamorata ingenua e idealista, Mizzi una rubacuori cinica e disillusa. Quando la seconda cerca di sedurre il marito della prima, mette in moto una catena di fraintendimenti nella quale ogni personaggio si convince (a torto o a ragione) che il coniuge lo tradisca ma sospetta della persona sbagliata. Pare sia stato ambientato a Vienna per giustificare agli occhi dei moralisti americani il comportamento frivolo e spregiudicato dei personaggi (a quei tempi l'Europa era considerata "moderna" e sbarazzina!). Nel 1932 lo stesso Lubitsch ne fece un remake sonoro, lo splendido "Un'ora d'amore", con alcune scene girate da George Cukor.

Serenity (Joss Whedon, 2005)

Serenity (id.)
di Joss Whedon – USA 2005
con Nathan Fillion, Summer Glau
*1/2

Visto in DVD, con Albertino e Giovanni.

Non ho mai letto i fumetti di Joss Whedon né visto le sue serie televisive, ma se il livello è questo non devo essermi perso molto. "Serenity" prosegue le vicende dei personaggi di un telefilm di fantascienza, "Firefly", interrotto per scarso successo. E guardando il film sembra proprio di assistere a un telefilm, peraltro non particolarmente intrigante. La storia è confusa e autoreferenziale, i personaggi sono indistinguibili l'uno dall'altro (parlano tutti nello stesso modo, con frasi fatte e battutine), la regia è senza guizzi e la fotografia è piatta e pesante. Il tutto sembra ideato da un adolescente la cui idea di cinema e di intrattenimento comincia e finisce con "Guerre Stellari" (il protagonista è un clone di Han Solo). La prima parte è incredibilmente noiosa, poi almeno subentra una specie di trama, ma naturalmente sono assenti approfondimenti psicologici, sottotesti o sfumature e tutto sfocia in una serie di scene d'azione già viste mille volte. Insomma un prodotto su misura per fan che sguazzano nella cultura pop-televisiva-fumettistica americana di inizio millennio. Quasi meritava di beccarsi il primo voto minimo (*) da quando ho aperto questo blog, ma tutto sommato in questo periodo mi sento troppo buono per infierire su un B-movie.

Pitch black (David Twohy, 2000)

Pitch Black (id.)
di David Twohy – USA/Australia 2000
con Vin Diesel, Radha Mitchell
***

Rivisto in DVD, con Elena.

Anche rivedendolo, questo film conferma la buona impressione che mi aveva fatto la prima volta. Una pellicola SF/horror che per certi versi ricorda anche il primo Alien e diverse cose di Carpenter, che si rifà ai primi anni ottanta e che forse prende lo spunto da qualcosa di ancora precedente, il celebre racconto "Notturno" di Isaac Asimov. Vin Diesel ha azzeccato la parte che gli ha dato la notorietà, quella del carcerato Riddick, duro ma in fondo più umano del cacciatore di taglie che gli dà la caccia. L'astronave a bordo della quale sta venendo condotto in galera si schianta su un misterioso pianeta desertico dotato di ben tre soli. Peccato che l'unica notte (ogni 22 anni!) in cui il pianeta piomba nell'oscurità sia ormai vicina, e che stormi di feroci predatori notturni siano pronti a uscire dalle loro tane sotterranee. La prima parte serve a presentare personaggi e ambientazione, poi il film si trasforma in una classica pellicola da "totomorti". La cura tecnica con cui è realizzato (bravo il regista) e i buoni effetti speciali riescono comunque a mantenere alta la tensione fino alla fine e consentono di passare sopra ad alcune ingenuità narrative. Ora sono pronto per vedermi anche il seguito, "Le cronache di Riddick".