31 gennaio 2023

Niente di nuovo sul fronte occidentale (E. Berger, 2022)

Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)
di Edward Berger – Germania/USA 2022
con Felix Kammerer, Albrecht Schuch
**1/2

Visto in TV (Netflix).

Le vicende del giovanissimo soldato tedesco Paul Bäumer (Felix Kammerer) e dei suoi commilitoni, fra cui il più "esperto" Stanislaus 'Kat' Katczinsky (Albrecht Schuch), sul fronte francese della prima guerra mondiale (il film si svolge dalla primavera del 1917 fino al novembre del 1918, quando viene firmato l'armistizio), impegnati in una sporca "guerra di trincea", dove milioni di soldati muoiono inutilmente nel fango per conquistare pochi chilometri di terra. Terzo adattamento dell'omonimo romanzo semi-autobiografico di Erich Maria Remarque, dopo il capolavoro del 1930 ("All'ovest niente di nuovo" di Lewis Milestone, che rimane la versione migliore) e il TV movie del 1979 (di Delbert Mann). Questa volta la realizzazione è tedesca (anche se la produzione è di Netflix), opera di un regista dai trascorsi per lo più televisivi, che si concentra sugli eventi bellici, trascurando quelli legati alla società di contorno che pure erano importanti per il contesto generale. A parte una breve scena all'inizio, quando Paul e i suoi amici lasciano la scuola, mancano infatti i momenti di confronto con la società civile e in particolare è assente la sequenza del breve ritorno di Paul a casa in licenza, ma anche quelle in cui il ragazzo ritrova sotto le armi il professor Kantorek, l'insegnante che lo aveva "indottrinato". Se dunque le scene di battaglia e di combattimento mantengono la loro potenza (l'enfasi visiva ed emozionale con cui sono riprodotte sullo schermo, del tutto spogliate di eroismo, riesce a denunciare l'orrore e l'assurdità di un conflitto in cui milioni di ragazzi perdono la vita, usati come carne da cannone), i personaggi stessi risultano invece quasi privi di personalità, compreso un protagonista di cui manca la prospettiva. E le sequenze dedicate alla trattativa dell'armistizio, con il capo della delegazione tedesca Erzberger (Daniel Brühl), nonché quelle con il generale guerrafondaio Friedrichs (Devid Striesow), che si oppone alla pace e manda i suoi uomini a combattere fino all'ultimo momento anche quando la sconfitta è ormai certa, quasi distraggono dall'intento di mostrare la guerra dal punto di vista del più umile dei soldati, e dunque con un valore universale ed esistenziale, anziché da quello della ricostruzione storica, legata alle trattative geopolitiche o a un conflitto specifico. Fotografia virata quasi sempre al blu. Ottimo il riscontro critico, con ben nove nomination agli Oscar (forse troppe?), compresa quella per il miglior film.

29 gennaio 2023

Vital (Shinya Tsukamoto, 2004)

Vital - Autopsia di un amore (Vital)
di Shinya Tsukamoto – Giappone 2004
con Tadanobu Asano, Nami Tsukamoto, Kiki
**1/2

Rivisto in divx, in originale con sottotitoli.

Dopo aver perso la memoria in seguito a un incidente stradale nel quale è rimasta uccisa la sua compagna Ryoko (Nami Tsukamoto), il giovane Hiroshi (Tadanobu Asano) decide di riprendere gli studi di medicina all'università. E durante le lezioni di anatomia, si ritrova sul tavolo operatorio proprio il cadavere di Ryoko, la quale comincia anche ad apparirgli in una serie di visioni: che si tratti dei ricordi del passato che stanno tornando, o soltanto di sogni bizzarri? Sceneggiato dallo stesso Tsukamoto, un film sul tema della memoria e dell'elaborazione del lutto. L'ossessione di Hiroshi per la dissezione anatomica va infatti di pari passo con il tentativo di recuperare i ricordi del suo rapporto con Ryoko, mentre la figura della donna si confonde (o si sovrappone) con quella di Ikumi (Kiki), sua compagna di corso con cui instaura una relazione alquanto morbosa (con i tentativi di auto-asfissia che riecheggiano le suggestioni di suicidio di Ryoko). Regia, recitazione, atmosfere sono fredde e "sospese", come devono essere, risultando inquietanti e cronenberghiane, ma senza sfociare nell'horror puro o tenere troppo a distanza lo spettatore, anche perché qualcosa di concreto (si parla di cadaveri, dopo tutto) mantiene sempre sulla terra i personaggi alienati. Analizzando il corpo morto di Ryoko, è come se Hiroshi volesse scavare nell'inconscio, alla ricerca dell'anima, tanto in quella della donna (che per lui è un mistero) tanto nella propria (recuperando i ricordi perduti). Dopo tutto, come gli spiega un docente all'inizio, sono proprio alcune aree del cervello a essere responsabili di personalità e memoria. Nel cast Ittoku Kishibe (il professore di anatomia), Kazuyoshi Kushida (il padre di Hiroshi) e Jun Kunimura (il padre di Ryoko).

28 gennaio 2023

Windtalkers (John Woo, 2002)

Windtalkers (id.)
di John Woo – USA 2002
con Nicolas Cage, Adam Beach
*1/2

Rivisto in TV (RaiPlay).

Negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, per evitare che i nemici decifrassero le loro trasmissioni radiofoniche, gli Stati Uniti fecero ricorso a un'insolita risorsa... interna: gli indiani Navajo, addestrati come marconisti e incoraggiati a usare la propria lingua nativa come codice per trasmettere i messaggi fra le linee. Il marine Joe Enders (Nicolas Cage), desideroso di tornare in battaglia dopo aver visto morire tutti i suoi compagni di plotone ed essere rimasto ferito a un orecchio, viene incaricato di scortare uno di questi "code talkers", il navajo Ben Yahzee (Adam Beach), assegnato a una compagnia d'assalto nel Pacifico, con il compito di evitare a tutti costi che venga fatto prigioniero dai giapponesi. Da uno spunto ispirato ad eventi reali (i "code talkers" Navajo parteciparono, fra le altre, alle battaglie di Saipan – mostrata nel film – e di Iwo Jima), forse il peggiore dei sei film girati a Hollywood da John Woo: enfatico nella regia e nella fotografia, e recitato svogliatamente (Cage a parte, ma il suo è un caso particolare: sembra sempre che esageri nell'interpretazione), ha però il suo difetto principale nella sceneggiatura ingessata, scolastica e a tratti retorica, con personaggi monodimensionali (vedi per esempio il marine razzista Chick) e una generale incapacità di sfruttare il suo stesso argomento portante. L'impressione è che il film non sappia cosa raccontare: a parte l'introduzione iniziale, il tema dei "code talkers" viene subito messo da parte, in favore di lunghe e violente (ma generiche e noiose) scene di combattimento; e anziché riflettere sul linguaggio, ci si concentra sul concetto (molto più abusato e meno interessante) dell'amicizia, in particolare quella fra Ben e Joe, che si cementa lentamente sul campo di battaglia. I vaghissimi aspetti da buddy movie e gli accenni all'incontro e all'accettazione di culture diverse colorano a malapena quello che è solo uno sfoggio di sequenze di battaglia, dispiegate lungo una serie di episodi scollegati l'uno dall'altro, fino a un finale random. Meritato flop al botteghino. Nel cast anche Christian Slater, Roger Willie, Peter Stormare, Noah Emmerich, Mark Ruffalo, Brian Van Holt, Jason Isaacs e, unico (inutile) personaggio femminile, Frances O'Connor. Cage e Slater avevano già lavorato con Woo, rispettivamente in "Face/Off" e "Broken Arrow".

26 gennaio 2023

Visages, villages (Agnès Varda, 2017)

Visages, villages
di Agnès Varda, JR – Francia 2017
con Agnès Varda, JR
***

Visto in TV (RaiPlay), in originale con sottotitoli.

Stringendo un'insolita collaborazione, la cineasta Agnès Varda (88 anni) e l'artista-fotografo JR (33 anni) girano per le campagne francesi, a bordo di un furgone adibito a laboratorio fotografico, per scattare immagini degli abitanti dei piccoli villaggi di provincia e farne giganteschi poster da incollare alle pareti esterne delle case e sui muri di mattoni degli edifici abbandonati. Lo scopo è quello di collegare, attraverso il ritratto, i volti delle persone (ma anche dettagli ingranditi dei loro corpi o antiche foto di famiglia) e i luoghi più isolati e dimenticati del paese, riportando al centro dell'attenzione la vita di un tempo e quella attuale, antichi e nuovi lavori, storie del passato e del presente, e ritraendo dunque il cambiamento cui persone e luoghi sono continuamente soggetti. Viaggiando insieme e discutendo delle rispettive forme d'arte, AV e JR attraversano così paesi dove un tempo fiorivano attività ormai abbandonate (una miniera), villaggi fantasma composti da edifici in rovina, cittadine turistiche sulla costa, regioni agricole dove le innovazioni tecnologiche permettono a un singolo contadino di occuparsi di centinaia di ettari di terreno, allevamenti di capre e altri animali (cui vengono tolte le corna per impedire che lottino fra loro e aumentare così la produttività), fabbriche di prodotti chimici, porti commerciali (come quello di Le Havre) i cui lavoratori sono in sciopero... e infine si dedicano anche a sé stessi. Man mano che si viaggia, infatti, anche l'amicizia fra i due artisti si fa più stretta (nonostante la differenza di età, che non impedisce loro di punzecchiarsi a vicenda), mentre il desiderio di conoscere di più l'uno dell'altra cresce a dismisura: entrambi lavorano con le immagini, e non a caso i rispettivi sguardi costituiscono lo strumento per conoscere il mondo circostante, uno strumento paradossalmente non privo di difetti (la vista di Agnès è in costante declino, e la regista vede ormai il mondo sfocato; JR, dal canto suo, non si separa mai dai suoi occhiali da sole, che frappone un filtro scuro fra i suoi occhi e la realtà). Ne risulta un originale e avvincente documentario on the road che fa riflettere sulla potenza delle immagini (anche quando effimere: molte delle affissioni di JR sono destinate a essere spazzate via dall'acqua o dagli elementi) e sul loro legame con la memoria (da conservare per le generazioni future) e i ricordi, che siano quelli di antichi lavori, di antenati lontani, di amicizie dimenticate (la Varda cerca di andare a visitare Jean-Luc Godard, ma questi non si fa trovare in casa). Il tutto intrecciato con il tema del viaggio, che sia reale o virtuale (le foto degli occhi e dei piedi di AV vengono affisse sui vagoni cisterna di un treno merci "che andrà in posti dove tu non andrai mai").

25 gennaio 2023

Una donna senza amore (L. Buñuel, 1952)

Una donna senza amore (Una mujer sin amor)
di Luis Buñuel – Messico 1952
con Rosario Granados, Joaquín Cordero
**

Visto in divx, in originale con sottotitoli inglesi.

Sposata con l'antiquario Carlos (Julio Villarreal), un uomo più anziano di lei e che non ama, Rosario (Rosario Granados) progetta di fuggire in Brasile insieme al giovane ingegnere Julio (Tito Junco): ma è costretta a rinunciare sia a lui che ai propri sogni d'amore per non abbandonare il marito malato e il figlioletto Carlitos. Vent'anni più tardi, dal Brasile giunge la notizia della morte di Julio, "amico di famiglia" che ha lasciato una cospicua eredità a Miguel (Xavier Loyá), il secondo figlio di Rosario. E Carlitos (Joaquín Cordero), che nel frattempo come il fratello minore è diventato un medico ed è già geloso nei suoi confronti perché è riuscito a conquistare Luisa, la compagna di studi di cui entrambi sono innamorati, comincia a sospettare che Miguel sia il frutto di una relazione clandestina della madre... Diviso in due parti ambientate appunto a vent'anni di distanza, un (melo)dramma famigliare ispirato al romanzo "Pierre e Jean" di Guy de Maupassant. Come molti dei primi lavori messicani di Don Luis, il film non ha quasi nulla di buñueliano, a parte forse alcune inquadrature e movimenti di macchina, nonché il tema del conflitto fra desideri personali ed esigenze sociali: il regista stesso non lo amava e anzi lo ha definito il suo film peggiore (ma secondo me "La figlia dell'inganno" e soprattutto "Gran casino" non sono poi molto meglio). Comunque, se non proprio avvincente, quantomeno nella seconda parte – in cui il punto di vista si sposta dalla madre al figlio primogenito – la vicenda si lascia seguire con un certo interesse.

23 gennaio 2023

Rumore bianco (Noah Baumbach, 2022)

Rumore bianco (White noise)
di Noah Baumbach – USA 2022
con Adam Driver, Greta Gerwig
**1/2

Visto in TV (Netflix).

Jack Gladney (Adam Driver), stimato professore universitario di studi hitleriani ("Insegno nazismo avanzato"), ha una grande paura della morte. Che aumenta ancora di più dopo essere rimasto esposto a una misteriosa nube tossica, liberatasi nell'aria in seguito a un incidente a una cisterna ferroviaria che trasportava strani prodotti chimici e che costringe la sua intera famiglia a una breve ma confusa evacuazione: secondo gli esperti, tale esposizione lo ha condannato a morire, anche se potrebbero volerci molti decenni (di fatto, dunque, la cosa è indifferente: aumenta solo la sua consapevolezza che prima o poi morirà!). Quando scopre che la moglie Babette (Greta Gerwig), all'apparenza aperta e solare, sta assumendo di nascosto un farmaco sperimentale (che però su di lei non sembra avere effetto) per vincere questa stessa paura, decide di indagare sulla sua provenienza... Per la prima volta Noah Baumbach, giunto al tredicesimo film, firma una pellicola di cui non ha scritto il soggetto: è tratta infatti dal romanzo omonimo di Don DeLillo (del 1985: l'ambientazione anni ottanta è stata mantenuta), surreale, post-moderno e assurdista, a lungo considerato infilmabile (ma in realtà si sposa bene con le recenti tendenze del cinema americano, che da qualche decennio ha appunto preso una deriva post-moderna). La pretenziosità, il continuo sfasamento tonale, l'accatastamento di situazioni inconsequenziali, le molte deviazioni inutili (esemplificate dalla scena in cui l'automobile guidata da Driver va nei boschi e finisce nel fiume, soltanto per rientrare poi sulla strada, senza che la deviazione in sé sia servita a nulla nell'economia del racconto) minano la fluidità e la coerenza della storia, che pure mette tantissima carne al fuoco, compresi spunti decisamente interessanti: quelli sull'ossessione umana per la morte e per le catastrofi (un collega di Jack, interpretato da Don Cheadle, mostra agli studenti immagini di incidenti stradali), le teorie del complotto (tutto il segmento centrale, che racconta l'evacuazione, è ammantato di mistero e di strani intrighi da parte di un governo che tiene i cittadini all'oscuro), l'invasione del consumismo (il supermercato come ulteriore metafora della morte), le riflessioni sulla memoria (la nube tossica provoca un senso di dejà vu, il farmaco fa confondere le parole con le cose che esse indicano), e in generale le relazioni umane (quando sono di scena molti personaggi, i dialoghi fra loro si intrecciano e si confondono, coprono argomenti disparati e scollegati, facendo perdere il filo e il senso delle cose), in particolare all'interno della famiglia ("La famiglia è la culla della disinformazione mondiale"). In questo ambiente ricco di stimoli e di confusione, il tema della morte rimane costantemente come sottofondo ("E se la morte fosse solo un suono?"), appunto un rumore bianco e onnipresente, che né la razionalità (il protagonista è, come detto, un intellettuale) né la religione (la suora infermiera, nel finale, che non crede all'aldilà) è in grado di dissipare: fa parte dell'essenza dell'uomo. Anche se gli spunti, come si vede, non mancano, e i personaggi sono ben caratterizzati (Driver, in particolare, offre un'altra prova eccellente), il film però funziona solo a tratti e la sua atmosfera surreale lascia spesso lo spettatore confuso e sperso in una sorta di mondo filosofico quasi wendersiano. Lars Eidinger è Mister Gray, il "fornitore" del farmaco; Raffey Cassidy è Denise, una dei quattro figli – da partner diversi – della coppia. Nel cast anche Barbara Sukowa (la suora), Francis Jue (il medico), Kenneth Lonergan e Jodie Turner-Smith (due colleghi di Jack). Sui titoli di coda, un balletto finale con tutti i personaggi all'interno del supermercato.

21 gennaio 2023

The outfit (Graham Moore, 2022)

The Outfit (id.)
di Graham Moore – GB/USA 2022
con Mark Rylance, Zoey Deutch
**

Visto in TV (Now Tv).

Nella Chicago degli anni cinquanta, un sarto di origine inglese (Mark Rylance) consente a una banda di gangster di usare la propria bottega come copertura per lo scambio di messaggi e informazioni. Ma quando la banda, impegnata in un regolamento di conti con un gruppo rivale, viene informata che fra di loro si nasconde una spia, le cose si complicano. E i vari banditi cominciano a sospettarsi fra di loro, mentre il sarto, umile e sottovalutato da tutti, nonché dal passato misterioso, inizia a manipolarli dietro le quinte, sfruttandone le rivalità sotterranee... Ambientato tutto in una notte e tutto all'interno del negozio del sarto (anzi, "tagliatore", come lui si definisce), il film segna l'esordio come regista di lungometraggi per Graham Moore, già sceneggiatore ("The imitation game"). Nonostante la collocazione spaziale e temporale così ridotta, i twist e i colpi di scena non mancano: ma la pellicola, pur dall'aspetto elegante, comincia ben presto ad apparire meccanica e persino prevedibile, senza vere emozioni. Non aiutano le caratterizzazioni semplicistiche e il fatto che le innumerevoli svolte e le decisioni dei personaggi non siano sempre credibili, e pure i continui riferimenti metaforici al mestiere di sartoria sembrano girare a vuoto. Alla fine l'impressione è quella di aver assistito a un "Le iene" dei poveri: ma in fondo ci si può accontentare, basta non attendersi di essere scossi da qualcosa di epocale. Zoey Deutch è la segretaria del sarto. Nel cast Dylan O'Brien (il figlio del boss), Johnny Flynn (il suo braccio destro), Simon Russell Beale (il boss irlandese), Nikki Amuka-Bird (il capo della gang rivale). Il titolo non si riferisce a un capo di vestiario, ma al nome di un'organizzazione criminale, una sorta di sindacato globale, fondata nientemeno che da Al Capone. Curiosamente, nel 1973 era uscito un altro gangster movie con il medesimo titolo (in italiano "Organizzazione crimini").

19 gennaio 2023

Pane, amore e gelosia (L. Comencini, 1954)

Pane, amore e gelosia
di Luigi Comencini – Italia 1954
con Vittorio De Sica, Gina Lollobrigida
***

Visto in TV (RaiPlay).

Proseguono le vicende del maresciallo dei carabinieri Antonio Carotenuto (De Sica), della bella "Bersagliera" Maria (Gina Lollobrigida) e degli altri abitanti di Sagliena (immaginario paese sulle montagne abruzzesi), da dove si erano interrotte nel precedente "Pane, amore e fantasia". Visto l'enorme successo di quella pellicola, infatti, l'anno successivo venne prodotto un sequel con il medesimo cast e troupe e girato negli stessi luoghi. Questo secondo capitolo racconta cosa succede dopo il "lieto fine": le due coppie formatesi nel precedente film vengono messe a rischio da inattesi conflitti e gelosie, causati in parte dal regolamento dell'arma che impedisce ai carabinieri di fidanzarsi con le ragazze locali. Pietro (Roberto Risso), trasferito in un paese vicino, si raccomanda col maresciallo affinché vigili su Maria, ma le chiacchiere delle malelingue gli fanno credere che fra i due ci sia una tresca; le voci arrivano anche ad Annarella (Marisa Merlini), che peraltro ha già dei dubbi sul matrimonio con Antonio, anche perché all'improvviso ricompare il padre (Nico Pepe) del suo figlioletto Ottavio, intenzionato a riprendersela con sé. Rispetto al film precedente, questo è meno attento al realismo e al lato "antropologico", e più ricco di gag (si pensi alla scena della lettera di dimissioni, o ai due pranzi di battesimo presso le famiglie rivali) e di attenzione ai personaggi (alla sceneggiatura ha collaborato anche Eduardo De Filippo). Ha anche momenti drammatici (la "rottura" fra le due coppie) ed è forse meno organico, ma non certo meno indovinato per atmosfere e leggerezza. Nel finale, la "Bersagliera" è tentata brevemente di dedicarsi al teatro, attratta da una compagnia itinerante e dal ruolo di "sciantosa", prima di riappacificarsi con Pietro e trasferirsi nel paese di lui, in Trentino. La Lollo sarà sostituita da Sophia Loren (e Comencini da Dino Risi) nel terzo film della serie, intitolato semplicemente "Pane, amore e...". Nel cast ritornano Tina Pica (la domestica del maresciallo), Virgilio Riento (il parroco) e Maria Pia Casilio (l'intrigante Roberta). Saro Urzì è il capocomico, Yvonne Sanson la nuova levatrice del villaggio nella scena finale.

17 gennaio 2023

Pane, amore e fantasia (L. Comencini, 1953)

Pane, amore e fantasia
di Luigi Comencini – Italia 1953
con Vittorio De Sica, Gina Lollobrigida
***

Visto in TV (RaiPlay), per ricordare Gina Lollobrigida.

Il maresciallo Antonio Carotenuto (De Sica), appena trasferito nel piccolo paese appenninico di Sagliena per dirigere la locale caserma dei carabinieri, fa la conoscenza della giovane ed esuberante Maria, detta "la Bersagliera" (Lollobrigida), una ragazza povera ma molto bella e vivace, che per questo motivo ha la fama (in un paese dove tutti sparlano di tutti) di essere di facili costumi. In realtà Maria è una ragazza onesta, segretamente innamorata di Pietro (Roberto Risso), un giovane carabiniere di stanza nel villaggio, troppo timido per dichiararsi a sua volta. Quando capirà come stanno le cose, Carotenuto favorirà la loro relazione, e nel frattempo troverà anche lui l'amore nelle braccia di Annarella (Marisa Merlini), la levatrice del villaggio. Da una sceneggiatura di Ettore Margadonna (che modellò il paese dove si svolge la vicenda sul proprio luogo natìo, ovvero Palena in Abruzzo: ma il film venne girato a Castel San Pietro Romano nel Lazio), uno dei capostipiti della commedia all'italiana, una pellicola ricca di equivoci che ebbe un eccezionale riscontro di pubblico, lanciò la Lollo nell'olimpo delle attrici più note del paese (e più tardi del mondo, visto che sbarcò a Hollywood) e diede origine a tutto un filone caratteristico (a partire da tre sequel ufficiali, "Pane, amore e gelosia" (1954) dello stesso Comencini, "Pane, amore e..." (1955) di Dino Risi, e "Pane, amore e Andalusia" (1958) di Javier Setó) che, in un certo senso, ha condotto fino a "Benvenuti al Sud". I personaggi vivono in un microcosmo (il paesino isolato sui monti) pigro e caratteristico, dove ogni evento è oggetto di chiacchiere e speculazioni, e ogni storia d'amore è conosciuta da tutti: è un paese ancora arretrato, con le ferite del dopoguerra (la case diroccate dai bombardamenti), le antiche superstizioni (il "miracolo" di Sant'Antonio), la delicata convivenza fra stato e chiesa (ma qui il prete locale, in parroco interpretato da Virgilio Riento, è alleato del protagonista, a differenza del coevo "Don Camillo") e i primi accenni di modernità (il venditore ambulante) in un ambiente ancora caratterizzato da povertà e antichi modi di vivere ("Si va a letto con le galline"). Nel cast anche Tina Pica (Caramella, la domestica del maresciallo), Maria Pia Casilio, Vittoria Crispo, Guglielmo Barnabò. Musiche popolari di Alessandro Cicognini. Il progetto iniziale (il cui titolo doveva essere semplicemente "Pane e fantasia", come ciò che uno degli abitanti del villaggio dice al maresciallo di star mangiando) prevedeva Gino Cervi come protagonista. De Sica lo sostituì dopo che il produttore Marcello Girosi, suo amico, ottenne dal corpo dei carabinieri il beneplacito per girare quella che in un primo momento poteva sembrare una pellicola lesiva dell'onore dell'arma.

16 gennaio 2023

Le avventure di Ichabod e Mr. Toad (aavv, 1949)

Le avventure di Ichabod e Mr. Toad
(The Adventures of Ichabod and Mr. Toad)
di Jack Kinney, Clyde Geronimi, James Algar – USA 1949
animazione tradizionale
**1/2

Visto in TV (Disney+).

L'undicesimo "classico Disney" (l'unico di due – l'altro è "Le avventure di Winnie the Pooh" del 1977 – a non essere mai stato distribuito al cinema in Italia, essendo uscito solo in home video) è anche il sesto e ultimo della serie di "film a episodi" prodotti fra il 1942 e il 1949, ovvero nel periodo in cui lo studio dovette fare a meno di gran parte del proprio personale a causa della seconda guerra mondiale. Con "Cenerentola", nel 1950, si tornerà ai lungometraggi completi. Questo invece, come il precedente "Bongo e i tre avventurieri", fonde insieme due mediometraggi, ciascuno dei quali era stato immaginato inizialmente come una pellicola a sé stante. E tutto considerato, è forse il migliore dei sei film in questione. Il primo segmento è tratto dal classico romanzo per bambini "Il vento tra i salici" di Kenneth Grahame, con protagonisti animali antropomorfi che vivono avventure di vario genere nella campagna britannica. Il title character (Taddeo Rospo, anche se il titolo del film mantiene il suo nome inglese, Mr. Toad), dal carattere giocoso ma scriteriato, è il facoltoso proprietario di Villa Rospo, che finisce nei guai quando le sue molte passioni (tutte improvvise e... di breve durata) lo portano in prigione, accusato di aver rubato un'automobile, e gli fanno perdere la sua agiata dimora. Lo aiuteranno tre amici fidati, ovvero un topo, una talpa e un tasso. Un'avventura divertente e movimentata, con personaggi simpatici, che soffre forse soltanto per un'animazione povera e piuttosto semplice se confrontata con le pellicole Disney dei primordi.

Il vero pezzo forte del film è però senza dubbio il secondo segmento, "La leggenda della valle addormentata", tratto dal racconto gotico "La leggenda di Sleepy Hollow" di Washington Irving. Il protagonista stavolta è Ichabod Crane, un bizzarro maestro di scuola che si trasferisce in un villaggio sperduto in una colonia americana. Qui corteggia la giovane e bella Katrina, figlia di un ricco proprietario terriero, suscitando la rivalità di Brom Bones, il "bullo" locale. Che per spaventarlo, essendo Ichabod fortemente superstizioso, la sera di Halloween gli racconta la leggenda del "cavaliere senza testa" che bazzica le campagne circostanti... Fascinoso per atmosfera e assai fedele al materiale di partenza (che non viene travisato né banalizzato, pur essendo la pellicola rivolta a un pubblico infantile: da confrontare invece con la versione dal vivo di Tim Burton del 1999, "Il mistero di Sleepy Hollow", che rivisita e cambia molte cose), l'episodio è senza dubbio un unicum all'intero della produzione Disney, anche per il finale aperto. Nella versione originale, i narratori delle due storie sono rispettivamente l'attore Basil Rathbone e il cantante Bing Crosby (il secondo segmento non ha dialoghi, ma solo la voce narrante e qualche canzone). In televisione i due episodi (che non hanno alcun legame fra loro, a parte il fatto di essere tratti da classici racconti della letteratura angloamericana) sono stati spesso trasmessi separatamente.

14 gennaio 2023

Stray Dog: Kerberos Panzer Cops (M. Oshii, 1991)

Stray Dog: Kerberos Panzer Cops (Kerberos: Jigoku no banken)
di Mamoru Oshii – Giappone 1991
con Yoshikatsu Fujiki, Shigeru Chiba
**

Visto su YouTube, in originale con sottotitoli inglesi.

Dopo aver trascorso tre anni in prigione per aver partecipato alla fallita rivolta dei Kerberos, unità speciale di un corpo di polizia paramilitare che si era ribellata al governo autoritario del Giappone, Inui (Yoshikatsu Fujiki) lascia il paese e parte alla ricerca di Koichi Todome (Shigeru Chiba), l'ex leader del suo squadrone che si era dato alla fuga. Grazie all'aiuto di una misteriosa ragazza, Tang Mie (Sue Eaching), lo rintraccerà a Taiwan. Ma scoprirà di essere stato usato dal misterioso Hayashi (Takashi Matsuyama) e da una sedicente organizzazione che fornisce "supporto" ai soldati fuggitivi e che intende eliminare il troppo scomodo Koichi... Secondo capitolo cinematografico della bizzarra "Kerberos saga" di Mamoru Oshii dopo "The red spectacles" del 1987, di cui è a tutti gli effetti un prequel. La saga proseguirà nel 1999 con un altro prequel, stavolta in animazione, "Jin-Roh - Uomini e lupi". Dei tre film, questo è quello più diseguale e che lascia più perplessi: soltanto nel finale, infatti, c'è una sequenza d'azione fantascientifica, con la resa dei conti fra Inui, in armatura da Kerberos, e i suoi nemici in un edificio abbandonato: in precedenza assistiamo a scene di ordinaria quotidianità, dapprima seguendo il viaggio quasi turistico di Inui e Tang Mie per le città e le campagne taiwanesi, e poi, una volta rintracciato Koichi, con la permanenza dei tre presso il mare, in una sorta di commedia punteggiata da siparietti comici e aspetti ludico-surreali non dissimili da certe cose di Takeshi Kitano ("L'estate di Kikujiro", "Sonatine"). Il personaggio di Koichi, in particolare, risulta particolarmente in contrasto con i temi distopico-bellici del resto della saga. I dialoghi, specialmente quelli fra Hayashi e Inui, si appoggiano sull'insistita metafora degli ex soldati come veri e propri "cani randagi", sperduti e spaventati ma comunque sempre alla ricerca del padrone che li ha abbandonati. Il budget è piuttosto basso, ma non inficia sul risultato. Fondamentale nell'economia del film la quasi onnipresente colonna sonora acustica e d'atmosfera di Kenji Kawai (per una volta senza i suoi soliti cori), che accompagna i piani sequenza di Oshii.

13 gennaio 2023

L'uomo dalla croce (R. Rossellini, 1943)

L'uomo dalla croce
di Roberto Rossellini – Italia 1943
con Alberto Tavazzi, Roswita Schmidt
*1/2

Visto in TV (Prime Video).

In Ucraina, nell'estate del 1942, fra le truppe italiane impegnate sul fronte russo della seconda guerra mondiale c'è anche un cappellano militare (Alberto Tavazzi) che reca conforto non solo ai propri commilitoni feriti, ma anche alla popolazione civile (aiutando una donna a partorire) e persino ai soldati nemici. La terza pellicola della cosiddetta "trilogia della guerra fascista" di Rossellini, dopo i precedenti "La nave bianca" (1941) e "Un pilota ritorna" (1942), è un film di propaganda pieno di retorica umanista e religiosa ("Il trionfo del bene contro il male", recitava la frase di lancio), prima ancora che bellica e patriottica. Certo, i soldati italiani sono ritratti come disciplinati, organizzati ed efficienti, mentre i sovietici sono malridotti, codardi e infidi. Ma il cuore della storia, più che nelle vicende della guerra, si concentra in quelle spirituali. La didascalia finale dedica il film «alla memoria dei cappellani militari caduti nella crociata contro i "senza dio"», e infatti la sceneggiatura (da un soggetto del giornalista fascista Asvero Gravelli) sottolinea a più riprese il disprezzo dei militari bolscevichi verso le "superstizioni cristiane", mentre naturalmente i poveri abitanti dei villaggi (essenzialmente donne e bambini) accolgono con favore la parola biblica portata dal protagonista. Buone, in ogni caso, le scene di battaglia, realizzate con discreto dispiego di mezzi (anche molti carri armati). Fra i pochi personaggi degni di nota di un film che, protagonista a parte (ispirato alla figura reale di padre Reginaldo Giuliani, cappellano fascista morto nel 1936 durante la guerra d'Etiopia), è perlopiù corale, ci sono il russo Sergej (Antonio Marietti) e la sua compagna Irina (Roswita Schmidt), in particolare quest'ultima, miliziana indottrinata e ostile all'occidente, ma che di fronte alla morte rivela il proprio passato tragico e accetta il conforto portatogli dal cappellano. Quanto ai soldati italiani, come nei film precedenti sono ritratti come un miscuglio di giovani di varia provenienza ed estrazione sociale, attraverso l'uso di dialetti. Gli attori sono in gran parte non professionisti. Musiche di Renzo Rossellini.

11 gennaio 2023

Scipione detto anche l'Africano (L. Magni, 1971)

Scipione detto anche l'Africano
di Luigi Magni – Italia 1971
con Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman
**1/2

Visto in TV (Prime Video).

Davanti al senato romano, Catone il Censore (Vittorio Gassman) accusa i fratelli Publio Scipione, detto l'Africano (Marcello Mastroianni), e Lucio Scipione, detto l'Asiatico (Ruggero Mastroianni), comandanti dell'esercito, di essersi "intascati" un ricco tributo di cinquecento talenti destinato dal re della Siria alla repubblica di Roma. Quando l'Africano, celebrato eroe di guerra (ha sconfitto i cartaginesi nella seconda guerra punica) nonché uomo onesto e incorruttibile, e come tale amato e idolatrato dal popolo, scopre che il responsabile è suo fratello, sarebbe anche pronto a denunciarlo. Non si rende conto però che Catone non è alla ricerca della verità, ma vuole solo impedire che un uomo come lui possa diventare troppo popolare, ingombrante e dunque "scomodo". Ispirato alle vicende reali dei "processi degli Scipioni", un peplum decisamente originale per temi, forma e confezione, a metà strada fra la ricostruzione storica e la satira politica (e umanistica) in chiave moderna. Caratterizzato da una teatralità quasi pasoliniana, con dialoghi e battute in romanesco e scenografie pauperistiche (è girato tutto in esterni, fra campagne e antiche rovine: le riprese sono state effettuate in gran parte a Pompei, ma anche a Paestum, nella Villa Adriana a Tivoli e presso la necropoli etrusca di Sovana), il film mette in scena i germi della decadenza di una Roma che dimentica il proprio passato, celebra ipocritamente eroi di cui non ha bisogno, si mostra cinica davanti ai valori morali ("Il più pulito c'ha la rogna"), dove gli schiavi non vogliono essere liberati e, quando ci si trova davanti a un uomo troppo grande, fedele e perfetto (dunque "non umano"), questi viene ripudiato e considerato fastidioso. Scipione stesso, pur di scendere dal piedistallo, sceglierà di autoaccusarsi e di distruggere la propria immagine pubblica, ma così facendo non otterrà che di esporre in piena luce le ipocrisie di tutti gli altri. Molto interessante il cast, con i due fratelli Mastroianni (Ruggero, celebre montatore, recita qui per l'unica volta in carriera) che interpretano a loro volta due fratelli. Silvana Mangano è Emilia, la moglie di Scipione. Turi Ferro è nientemeno che Giove Capitolino, con il quale Scipione ha una serie di conversazioni private. Woody Strode è Massinissa, re di Numidia e antico compagno d'armi del protagonista. Wendy D'Olive è Licia, la servetta "invisibile". Colonna sonora del flautista Severino Gazzelloni.

9 gennaio 2023

Siberia (Abel Ferrara, 2020)

Siberia (id.)
di Abel Ferrara – Italia/Germania/Messico 2020
con Willem Dafoe, Dounia Sichov
**

Visto in TV (RaiPlay).

Un uomo (Dafoe), isolatosi dal mondo per sfuggire ai fantasmi di morte del proprio passato, gestisce una baita sperduta in mezzo a un paesaggio innevato. Perseguitato da allucinazioni e visioni di vario genere, parte – con la slitta trainata dai suoi cani – per un viaggio che è soprattutto mentale, attraversando una natura impervia e ostile (che rappresenta il suo subconscio) e cercando di fare i conti con la propria vita. Incontrerà il proprio alter ego, rivedrà i genitori defunti, l'ex moglie, il figlio, passando per scenari freddi e cupi e altri insoliti e surreali (compreso un deserto africano e un pascolo primaverile). Un film bizzarro, surreale, onirico, pieno di non sequitur e salti narrativi, come la psiche del protagonista: ha però un suo strano fascino, che ne sostiene la visione fino in fondo, nonostante alcuni passaggi a vuoto nei (pochi) dialoghi (vedi quello con l'ex moglie, pieno di luoghi comuni come "L'unica mia colpa è quella di amarti troppo"). Ferrara, che ha scritto la sceneggiatura insieme al terapista Chris Zois, si sarebbe ispirato al "Libro rosso" di Carl Gustav Jung, ma è difficile capire come. Per il sempre ottimo Dafoe si tratta della sesta collaborazione con il regista italoamericano: nella versione italiana del film ha un accento molto marcato, essendosi doppiato da solo. Le riprese sono state effettuate per lo più in Alto Adige (e infatti i paesaggi di montagna non ricordano affatto la Siberia, che d'altronde è un luogo mentale più che reale).

7 gennaio 2023

Oltre la notte (Fatih Akin, 2017)

Oltre la notte (Aus dem Nichts)
di Fatih Akin – Germania 2017
con Diane Kruger, Denis Moschitto
**1/2

Visto in TV (RaiPlay).

Dopo la morte del marito (un immigrato di origine curda) e del figlioletto per l'esplosione di una bomba piazzata da due giovani neonazisti nel quartiere turco di Amburgo, Katja (Diane Kruger) confida nella giustizia in tribunale. Non ottenendola, cercherà vendetta da sola. Un soggetto che a prima vista appare poco originale, simile a quello di tanti revenge movie tutta azione, ma che si ispira alla realtà, e precisamente alle decine di attentati di questo tipo avvenuti in Germania all'inizio degli anni Duemila. Il regista lo sviluppa con grande intensità, appoggiandosi alla straordinaria interpretazione della Kruger (premiata a Cannes come miglior attrice) nei panni di una moglie e di una madre che non sa darsi pace per la perdita dei suoi cari. Niente elaborazione del lutto o commozione ricattatoria, ma solo durezza, rabbia, decisione e persino un certo distacco, almeno in superficie. La vicenda è divisa in tre "capitoli" (intitolati "La famiglia", "La giustizia" e "Il mare", e dedicati rispettivamente all'attentato stesso, al processo in tribunale e al finale in Grecia in cui Katja rintraccia i due terroristi), coinvolgenti per il loro realismo e con la donna sempre al centro di tutto. Il finale potrebbe essere la cosa che convince meno: ma a renderlo interessante è la scelta – intenzionale e voluta – di un volto così "tedesco" (bianca, bionda e con gli occhi azzurri) per una protagonista che, in cerca di vendetta e spinta dall'odio e dalla rabbia, diventa estremista quasi quanto i neonazisti che le hanno tolto i suoi cari, fino a scegliere di utilizzare – letteralmente – i loro stessi mezzi. Nell'insieme, al di là dell'apparente appartenenza a un genere ben preciso e alle riflessioni sul terrorismo, la pellicola rappresenta un altro tassello nella filmografia di un regista, Akin, che da sempre affronta nelle proprie opere il tema dei rapporti fra tedeschi e immigrati, soprattutto quelli di origine greca, turca e curda (essendo lui stesso uno di loro).

5 gennaio 2023

Bardo (Alejandro González Iñárritu, 2022)

Bardo, la cronaca falsa di alcune verità
(Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades)
di Alejandro González Iñárritu – Messico 2022
con Daniel Giménez Cacho, Griselda Siciliani
**1/2

Visto in TV (Netflix), in originale con sottotitoli.

Il giornalista e documentarista Silverio Gama (Daniel Giménez Cacho), da tempo trapiantato negli Stati Uniti, torna brevemente nel natìo Messico dove viene celebrato dagli amici per un prestigioso premio che riceverà presto a Los Angeles. È l'occasione per riflettere sulla propria vita e la propria carriera, ma soprattutto sulle proprie contraddizioni interne e ideologiche, sui propri drammi familiari e anche sul rapporto asimmetrico fra i due paesi. Forse il film più personale e ambizioso di Iñárritu (come testimonia il fatto che il regista firma anche la sceneggiatura, il montaggio e persino la colonna sonora), che fonde insieme la crisi esistenziale di un personaggio in parte autobiografico e la storia convulsa e insanguinata del Messico. E lo fa scegliendo non una narrazione lineare, ma la via del surrealismo, con una selva di immagini oniriche che ricordano, di volta in volta, il cinema di Fellini e quello di Roy Andersson, passando per Sokurov ("Arca russa"), Buñuel e Malick. Ne risulta un film decisamente complesso, ma anche pretenzioso e confuso (critica che Iñárritu, decisamente consapevole, si fa rivolgere direttamente nel film stesso, per bocca del conduttore televisivo Luis, ex amico di Silverio, che critica con queste stesse parole il suo ultimo documentario, intitolato appunto "Cronaca falsa di alcune verità"). Gli eventi della vita del protagonista (la morte del primo figlio appena nato, l'impegno civile nel lavoro da documentarista, il rigetto della televisione, le riflessioni sul passato del Messico) sono trasfigurate nella realtà da una serie di sequenze immaginarie e di fantasie oniriche ma di grande impatto. In effetti, l'aspetto visivo è stupefacente, con la fotografia (di Darius Khondji) che dona colore e spessore iperrealistico alle immagini, e la regia che dà sfoggio di tecnica a 360 gradi, fra grandangoli, soggettive, movimenti di camera e naturalmente tanti lunghi ed elaborati piani sequenza. Centrali, nella storia tanto del personaggio quanto del paese, i contrastati rapporti fra il Messico (paese di emigranti) e gli Stati Uniti (la parte dominante, in nome del dio denaro: esemplare la suggestione dell'acquisto, da parte di Amazon, dell'intera Bassa California). Stati Uniti che Silverio, dentro di sé, disprezza, ma dove ha scelto di abitare (e di chiamare "casa") e di far crescere i figli, cosa per la quale è criticato dagli amici di un tempo che mettono in luce la sua ipocrisia. A questo si aggiungono i ricordi della fanciullezza, i rapporti con i genitori scomparsi o con il figlio morto, quelli con i colleghi e in generale con un'intera nazione che si fonda sui massacri dei conquistadores (in una sequenza, Silverio "intervista" addirittura Hernán Cortés). Primo film girato in Messico da Iñárritu dai tempi del suo esordio con "Amores perros", è stato accolto con meno favore dalla critica rispetto ai suoi lavori precedenti, ma nonostante tutto va considerato un tassello importante – se non fondamentale – della sua filmografia, ricco di momenti interessanti (purtroppo diluiti da un'eccessiva lunghezza) e intelligenti, capace di riflettere sul passato senza ricorrere all'arma ormai cinematograficamente abusata del tuffo nella nostalgia e della riproposizione continua di un "passato dorato".

3 gennaio 2023

Glass Onion (Rian Johnson, 2022)

Glass Onion - Knives Out (Glass Onion: A Knives Out Mystery)
di Rian Johnson – USA 2022
con Daniel Craig, Edward Norton
***

Visto in TV (Netflix), con Sabrina.

L'eccentrico milionario e imprenditore tecnologico Miles Bron (Edward Norton: il personaggio è ovviamente modellato su Elon Musk) invita sulla sua isola privata in Grecia, dominata dall'avveniristica struttura chiamata "Glass Onion", un gruppo di amici e appartenenti alla sua "cerchia ristretta" – una candidata politica (Kathryn Hahn), uno scienziato (Leslie Odom Jr.), un'imprenditrice della moda (Kate Hudson) con la sua assistente (Jessica Henwick), un muscoloso influencer maschilista (Dave Bautista) con la sua compagna (Madelyn Cline), e persino l'ex socia che ha recentemente estromesso dalla sua azienda (Janelle Monáe) – per trascorrere un weekend all'insegna di giochi ed enigmi, con l'intenzione di mettere in scena la propria (finta) morte e lasciare che gli amici risolvano il mistero. Fra i presenti, a sorpresa, c'è anche l'investigatore Benoit Blanc (Daniel Craig), che qualcuno ha invitato all'insaputa di Bron. E sarà proprio lui a indagare quando un assassinio verrà commesso veramente... Il secondo film della serie "Knives out", dopo "Cena con delitto" (ma l'unico personaggio che ritorna è appunto il detective), prosegue nell'intento di rivisitare i meccanismi e le modalità del whodunit, il giallo per eccellenza alla Agatha Christie, di cui rispetta – almeno apparentemente – le classiche regole, ma colorandone i contenuti di satira e osservazioni su temi sociali. A questo giro si ironizza (via Musk) su una certa modalità di pensiero e di concezione del "successo", dal "pensare fuori dalla scatola" (thinking outside the box: esemplificato dalla scena in cui uno degli invitati, anziché risolvere i complessi enigmi contenuti nella scatola inviata da Bron, la demolisce a colpi di martello per estrarne poi il biglietto di invito) al ritenersi "al di sopra delle masse", tanto da che il gruppo formato da Bron e dai suoi amici si è denominato "i disgregatori", nel senso che si vantano di distruggere le regole di comportamento comune pur di superare gli altri e vincere ogni sfida. Blanc, invece, ne metterà crudelmente in luce i limiti, dimostrando che tutto ciò che sembrava estrosa genialità nasconde soltanto stupidità e superficialità. Strutturalmente la pellicola è divisa in tre parti: la prima è quella introduttiva, che presenta i personaggi, l'ambientazione e mette le carte in tavola; la seconda torna indietro, mostrandoci il dietro le quinte e rivelandoci che non tutto era come sembrava; la terza, quella risolutiva, conduce a un finale distruttivo e insolito per un giallo (ma lo stesso meccanismo del whodunit aveva già riservato alcune sorprese, a partire dalla vittima, che non era quella prevista). Un finale che rende il film più esagerato, grottesco e postmoderno del precedente: ciò nonostante la visione non è fastidiosa, anzi tutt'altro, perché Johnson sa misurarsi e usare questi elementi (di cui il cinema americano moderno, da Tarantino in poi, abusa allo sfinimento) in maniera sempre sensata, intelligente e coerente. E dunque poco importano l'assurdità e l'irrealtà di alcuni passaggi, situazioni o conseguenze (la Gioconda distrutta!?), visto che – come nel primo film – la trama gialla è solo un pretesto per una serie di riflessioni socio-politiche sulle distorsioni del mondo attuale (si parla anche di ambiente, crisi energetica e, visto che la pellicola è ambientata nel 2020, della pandemia di Covid: naturalmente Bron ha sviluppato, solo per sé e i suoi amici, un vaccino/cura efficace). Craig e Norton sono in forma, ma il resto del cast è meno brillante rispetto a quello del film precedente (con la Monáe che prende il posto, narrativamente parlando, che era di Ana de Armas). Del tutto inutile il personaggio di Noah Segan (lo slacker che bivacca sull'isola). Minuscole parti per Hugh Grant ed Ethan Hawke, cameo (nei panni di sé stessi) per "celebrità" come Stephen Sondheim, Angela Lansbury, Kareem Abdul-Jabbar, Yo-Yo Ma e Serena Williams.

2 gennaio 2023

Daguerréotypes (Agnès Varda, 1976)

Daguerréotypes
di Agnès Varda – Francia 1976
con attori non professionisti
**

Visto in TV (RaiPlay), in originale con sottotitoli.

In questo documentario, Agnès Varda (che lo narra in prima persona) passa in rassegna i piccoli negozi di quartiere che popolano la rue Daguerre, vicino a Montparnasse, nella cui zona la regista abitava. I commercianti, i commessi, gli artigiani vengono mostrati nella loro quotidianità, nel lavoro di tutti i giorni, nei rapporti con i clienti: che si tratti di drogherie, panifici, botteghe di oggetti vari o di riparazioni, parrucchieri, macellai, autoscuole, i loro proprietari sono intervistati e raccontano dei loro trascorsi, della loro vita privata, dei loro sogni. C'è persino spazio per l'esibizione di un illusionista. Ne risulta il ritratto di un quartiere, anzi una serie di ritratti o appunto di "dagherrotipi", le fotografie dei primordi, inventate proprio da colui da cui la strada prende il nome. Un documentario "umano", sincero, silenzioso, che come un diario non esita a trasfigurare la realtà (una realtà che oggi non esiste più, visto che tutti quei negozi e quelle botteghe antiche, a conduzione famigliare, probabilmente sono scomparsi) con i colori dell'immaginazione e della psicoanalisi. E che la stessa Varda, che si firma "Agnès, la daguerréotypesse", definisce "un ritratto collettivo e quasi stereotipato" di uomini e donne della via Daguerre che, tutti insieme, "formano... un reportage? un omaggio? un saggio? un rimpianto? un rimprovero? un approccio?..."