30 novembre 2012

Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera (Kim Ki-duk, 2003)

Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera
(Bom yeoreum gaeul gyeoul geurigo bom)
di Kim Ki-duk – Corea del Sud 2003
con Oh Young-su, Kim Young-min
***

Rivisto in DVD, con Sabrina.

In un eremo costruito su una piattaforma galleggiante, in mezzo a un lago isolato fra le montagne, vive un anziano monaco buddista. Con lui c'è un bambino, che seguiremo attraverso le stagioni della sua vita, fino a quando sarà anziano a propria volta e il ciclo ricomincerà... Un'ambientazione affascinante (il film è stato realizzato presso il lago di Jusan, in un parco naturale: la produzione ha avuto il permesso di girare a condizione che al termine delle riprese il set venisse distrutto e il lago tornasse allo stato originario) e una serie di esperienze più o meno edificanti, quasi una raccolta di aneddoti e di saggezza zen, per una pellicola – dal titolo ciclico e lunghissimo – che ha fatto breccia nel cuore del pubblico occidentale e ha reso di colpo popolare Kim Ki-duk (in precedenza, il solo film del regista coreano che aveva raggiunto una certa notorietà da noi era stato il disturbante "L'isola", presentato al Festival di Venezia). Peccato però che sia anche il film con cui Kim inizia ad abbandonare la sanguingua ma spontanea "cattiveria" che lo contraddistingueva e che donava spessore alle sue pellicole, in favore di una poetica e di un'estetica più rarefatta, che lascia un po' il tempo che trova e che sembra quasi studiata per compiacere il pubblico dei festival occidentali. Cito da una recensione che scrissi proprio all'epoca della sua uscita: "Kim è sempre garanzia di qualità, ma stavolta mi è sembrato più 'facile' e commerciale (ovvero accessibile ed 'esportabile') del solito". Per la prima volta, in effetti, si può notare nel regista un desiderio di "piacere" al pubblico, attraverso le immagini ma anche i vaghi insegnamenti morali, buoni – appunto! – "per tutte le stagioni". I suoi lavori successivi, e il fatto che abbiano trovato spazio più o meno regolarmente nelle nostre sale, mi hanno dato ragione. Il film, comunque, è bello, e molte sono gli elementi – spesso simbolici – che restano impressi: i portali di legno che si aprono sul lago come un sipario; l'eremo stesso, con i suoi spazi divisi da porte ma senza pareti; la barca a remi, unico mezzo a disposizione dei personaggi per muoversi dalla piattaforma alle sponde del lago (anche se il monaco anziano dimostra, a volte, di avere poteri soprannaturali che gli consentono di muoversi sull'acqua anche senza la barca, o di controllarne il movimento a distanza); gli animali che fanno compagnia ai monaci (diversi in ogni stagione: un cane, un gallo, un gatto, un serpente e una tartaruga).

I vari spezzoni presentano ciascuno una storia a sé, rendendo il lungometraggio quasi un film a episodi, anche se si concatenano in modo da raccontare l'esistenza del protagonista dall'infanzia alla vecchiaia, facendovi scorrere in parallelo l'inevitabile ciclicità della natura. Primavera: il monaco bambino gioca e si diverte a tormentare alcuni animali (un pesce, una rana e un serpente), legandoli a una pietra con una cordicella. Il maestro gli mostrerà il suo errore. Estate: nell'eremo viene ospitata una ragazza "malata nell'anima". Fra lei e il nostro monaco (ora adolescente) scatterà l'amore. Il maestro disapprova, perché "il desiderio genera dipendenza". Guarita e partita la ragazza, anche il giovane se ne andrà via (portandosi dietro la statua di Buddha custodita nel tempio). Autunno: come il maestro aveva previsto, la vita nel mondo mondano ha generato passioni incontrollabili. L'ex monaco, ora un uomo adulto, ha ucciso la propria moglie ed è tornato nell'eremo in cerca di un rifugio (ma anche per chiedere perdono). Lo raggiungeranno due poliziotti per condurlo via, ma non prima che l'anziano maestro lo abbia aiutato a "purificarsi" incidendo con il proprio coltello (lo stesso che aveva usato per il delitto) un sutra sulla piattaforma di legno. Al termine dell'episodio, il vecchio monaco muore e si reincarna in un serpente. Inverno: uscito di prigione, il protagonista (ormai maturo e interpretato in questo segmento dallo stesso regista) torna all'eremo, che era rimasto disabitato (a parte il serpente) e lo rimette in funzione. Tutto, attorno a lui, è ghiacciato. Ma pian piano la vita ricomincia: il monaco si allena con le arti marziali e accoglie una donna che ha portato lì il proprio neonato, con l'intenzione di abbandonarlo. Dopo che la donna è morta cadendo nell'acqua ghiacciata, il monaco porta la statua del Budda in cima alla montagna che domina il lago. Primavera: come all'inizio, l'eremo è di nuovo abitato da un anziano maestro e da un bambino. Nel corso della pellicola non mancano i momenti o le situazioni curiose, com'è nello stile di Kim, per esempio quelli legati agli animali: uno su tutti, l'utilizzo della coda del gatto per dipingere i caratteri cinesi incisi sulla piattaforma di legno.

28 novembre 2012

Argo (Ben Affleck, 2012)

Argo (id.)
di Ben Affleck – USA 2012
con Ben Affleck, Bryan Cranston
**1/2

Visto al cinema Colosseo, con Marisa.

Nel 1979, subito dopo la rivoluzione iraniana e la nascita della repubblica islamica, gli impiegati dell'ambasciata statunitense a Teheran vennero tenuti prigionieri per molti mesi, in quella che è passata alla storia come la "crisi degli ostaggi". A margine degli eventi principali, sei addetti riuscirono a evadere dall'ambasciata e a rifugiarsi nell'abitazione privata del console canadese. Per permettergli di lasciare il paese, venne organizzata una messinscena che soltanto vent'anni dopo la CIA ha potuto rendere pubblica: i sei furono fatti passare per cittadini canadesi che si trovavano in Iran per effettuare i sopralluoghi per un film di fantascienza, "Argo" appunto. La pellicola di Affleck racconta una versione romanzata di quegli eventi, vi aggiunge connotazioni da thriller e si prende qualche libertà (in particolare, ridimensiona parecchio il ruolo dei canadesi per "gonfiare" invece quello dell'FBI; e anche sul ritratto che ne esce del popolo iraniano ci sarebbe da discutere), ma mantiene al contempo una buona attenzione ai dettagli, come suggeriscono le fotografie e i documenti originali mostrati nei titoli di coda. La tensione e la ricostruzione storica vanno di pari passo con una certa vena satirica, diretta soprattutto al mondo di Hollywood, dove nel 1979 – dopo il successo del primo "Star Wars" – tutti si buttavano a pesce sul genere fantascientifico (scenografie e costumi dell'ipotetico "Argo" scimmiottano proprio quelli del film di George Lucas). Si tratta del terzo lungometraggio con Affleck alla regia (e forse la battuta "Anche una scimmia può imparare a fare il regista in un giorno" è rivolta contro sé stesso). Il buon Ben interpreta anche il protagonista Tony Mendez, l'agente esperto in "esfiltrazioni" che guida la missione di salvataggio, anche se la sua recitazione monocorde e poco propensa a convogliare emozioni è fra i punti deboli del film: sarebbe stato meglio se il ruolo fosse stato ricoperto da George Clooney, che qui figura fra i produttori. Fra le scene più interessanti, la lettura in pubblico del copione a Hollywood, montata in parallelo con quella delle rivendicazioni degli studenti iraniani trasmessa in televisione. Gli episodi di tensione, invece, rispecchiano le classiche regole dei thriller (più volte i nostri eroi riescono a salvarsi da una brutta situazione proprio all'ultimo secondo disponibile, per esempio al momento dell'imbarco sull'aereo che da Teheran li avrebbe portati al sicuro in Svizzera). Nel cast, John Goodman e Alan Arkin sono appunto i soci hollywoodiani di Mendez (rispettivamente il truccatore e il produttore di film fantascientifici), mentre nel ruolo di uno degli ostaggi ritroviamo con piacere Clea DuVall, che da qualche tempo avevamo perso di vista.

27 novembre 2012

Bolbol Hayran (Khaled Marei, 2011)

Bolbol Hayran
di Khaled Marei – Egitto 2011
con Ahmed Helmy, Zeina, Sherin Adel
**

Visto in volo da Bangkok a Parigi, in originale con sottotitoli inglesi.

L'eccentrico designer Bolbol, ricoverato in ospedale per fratture multiple, racconta alla dottoressa che lo accudisce come è finito in quella situazione: la colpa è della sua incapacità di scegliere fra due ragazze, Yasmine e Hala, con le quali – dapprima in momenti diversi, e poi contemporaneamente – si è fidanzato. Le due sono diversissime fra loro (la prima è bellissima ma anche svagata e indipendente, apparentemente poco attenta ai suoi desideri e ai suoi sentimenti; la seconda, goffa e grassottella, è invece sensibile e premurosa, ma anche assai più gelosa e soffocante): e Bolbol, complice anche una temporanea perdita di memoria in seguito a un incidente, ha avuto la rara opportunità di conoscere ciascuna delle due "per la prima volta", giungendo in ogni caso alla conclusione che, se avesse visto prima l'altra, avrebbe invece scelto lei. Alla fine, recuperata la memoria e incapace di decidere quale delle due ama davvero, prova a "prendere tempo" fidanzandosi con entrambe (ovviamente tenendole all'oscuro l'una dell'altra): ma quando queste scoprono la verità, sapranno vendicarsi. Bizzarra commedia romantica (più o meno), vagamente maschilista, che punta le sue carte su un protagonista divertente e spregiudicato, dalla parlantina irrefrenabile e con la battuta sempre pronta: una specie di Groucho Marx medio-orientale. Forse un po' ripetitiva, costruita essenzialmente su una lunga (e sfilacciata) serie di gag, la pellicola offre comunque un simpatico spaccato dei rapporti amorosi nell'Egitto moderno (ma l'ambientazione è neutra, e potrebbe essere collocata in qualsiasi altro paese al mondo). La vicenda è raccontata interamente in flashback da Bolbol in ospedale, e non manca il finale a sorpresa. La morale? "Se mi chiedono se è più alta la palma o più veloce il treno, io rispondo che il mare è più largo".

25 novembre 2012

The amazing Spider-Man (M. Webb, 2012)

The amazing Spider-Man (id.)
di Marc Webb – USA 2012
con Andrew Garfield, Emma Stone
*1/2

Visto in volo da Bangkok a Parigi.

Un reboot di cui non si sentiva la necessità, che giunge a soli dieci anni di distanza dal primo episodio della saga di Raimi (alla quale, già non trascendentale, è comunque inferiore in ogni comparto: cast, regia, sceneggiatura) e che è stato concepito con il solo scopo di puntare sul 3D (ma la pellicola è perfettamente visionabile anche in 2D, senza che si perda alcunché) e sul pubblico teen di pellicole come “Twilight”. Insomma, un prodotto puramente commerciale e privo non solo di impronta autoriale ma anche di appeal, che ripropone per l'ennesima volta le origini dell'Uomo Ragno: stavolta c'è di mezzo la genetica trans-specie (in poche parole, il nuovo Spider-Man è un OGM). Si ritorna quindi alle origini, con il Peter Parker nerd liceale e maltrattato dai suoi coetanei come nelle storie di Steve Ditko e Stan Lee (che fa il suo solito cameo, nei panni del bibliotecario con le cuffie), mentre il ruolo di prima nemesi del nostro eroe è svolto da Lizard, ovvero il dottor Curt Connors, esperto di genetica con l'ambizione di "creare un mondo senza punti deboli", che nel tentativo di farsi ricrescere il braccio perso in guerra si trasforma in un'enorme lucertola assassina. L'anonima regia di Webb (un passo indietro rispetto al suo film d'esordio, la commedia romantica "(500) giorni insieme") fa sì che per buona parte della pellicola ci si annoi non poco (soprattutto nella prima ora, visto che tanto si deve attendere prima che Peter indossi per la prima volta una maschera, e in cui pare di assistere a un teen movie di cattiva qualità), mentre la sceneggiatura ricorre a una serie di coincidenze concatenate che mettono a dura prova la sospensione dell'incredulità (alcuni esempi: la scomparsa dei genitori di Peter, ammantata di mistero, è direttamente collegata alle ricerche scientifiche da cui poi trae i suoi poteri; e Gwen, la compagna di classe di cui si innamora, lavora alla Oscorp insieme al dottor Connors, a sua volta ex collega del padre del nostro eroe). Le lunghe scene d'azione nel finale riescono a tenere un po' desta l'attenzione, ma non rappresentano certo nulla che non si sia già visto in tanti altri film del genere: anche la spettacolarità sembra scarseggiare. Bello, comunque, il costume. Come al solito, a differenza dei fumetti, il numero di persone che scopre l'identità di Spider-Man è sempre elevatissimo (a Gwen, addirittura, lo dice subito lui stesso). Più che Emma Stone nei panni di Gwen Stacy e Rhys Ifans in quelli di Curt Connors, a brillare è soprattutto Denis Leary in quelli del capitano Stacy, il poliziotto inizialmente ostile all'eroe mascherato ma che poi diventa suo alleato (così come buona parte dei cittadini newyorkesi, ancora una volta in barba alla filosofia originale del fumetto, che vede nel personaggio il classico "eroe incompreso"). Martin Sheen è zio Ben, Sally Field è zia May, mentre meno si dice del protagonista Andrew Garfield, meglio è.

24 novembre 2012

Marsupilami (Alain Chabat, 2012)

Marsupilami (Sur la piste du Marsupilami)
di Alain Chabat – Francia/Belgio 2012
con Jamel Debbouze, Alain Chabat
**

Visto in volo da Bangkok a Parigi, in originale con sottotitoli inglesi.

Il Marsupilami è un personaggio ideato dal disegnatore belga André Franquin e apparso nei popolari albi a fumetti di "Spirou", chiaramente ispirato all'Eugene the Jeep (Eugenio il Gip) delle strisce di "Popeye". Si tratta di un bizzarro e rarissimo animale esotico, un marsupiale che vive nella giungla amazzonica di Palombia, stato fittizio dell'America del Sud. Protagonista di una serie di albi personali e di diversi cartoni animati, sbarca ora al cinema in una pellicola che mescola live action e animazione digitale. Chabat interpreta Dan Geraldo, reporter televisivo ormai caduto in disgrazia, che per risollevare i bassi ascolti della sua trasmissione viene inviato in Palombia alla ricerca di uno scoop (l'intenzione sarebbe quella di intervistare gli ultimi superstiti di una tribù amazzonica, i Paya) e si imbatte nello scalcinato Pablito, guida locale e veterinario imbroglione che sostiene di aver visto, tempo prima, proprio un esemplare del leggendario e mitologico Marsupilami. Nessuno gli crede, tranne l'anziano professor Hermoso, che ha scoperto che la creatura si nutre con un'orchidea dai cui fiori è possibile ricavare un filtro dell'eterna giovinezza. Per salvare il Marsupilami dal malvagio scienziato, che nel frattempo è diventato il dittatore della piccola nazione, Geraldo e Pablito dovranno imbarcarsi un'avventura dalle mille difficoltà e convincere il mondo di non essere quei bugiardi che tutti credono (Geraldo perché si scopre che tutti i suoi scoop precedenti erano falsi, Pablito perché è sempre vissuto di truffe e di piccoli espedienti). La comicità di Chabat (al suo secondo film tratto da un fumetto dopo "Asterix e Obelix: missione Cleopatra", nel quale già figurava Debbouze) è al servizio di una storia che mescola avventura, azione e umorismo senza soluzione di continuità. Se la sceneggiatura a tratti arranca (forse perché mette troppa carne al fuoco, con il rischio di risultare eccessivamente stratificata per un pubblico infantile) e il messaggio ecologista contro lo sfruttamento della natura lascia un po' il tempo che trova, non mancano però le sequenze esilaranti, come l'esibizione canora del deposto generale Pochero (Lambert Wilson) nei panni di Céline Dion o la satira contro il mondo della televisione, comprese le finte pubblicità (Loréins, lo sponsor del programma di Geraldo, è chiaramente una parodia di L'Oréal), una trovata che era già presente nel capolavoro dei "Nuls", "La cité de la peur".

23 novembre 2012

Didier (Alain Chabat, 1997)

Dider (id.)
di Alain Chabat – Francia 1997
con Jean-Pierre Bacri, Alain Chabat
**1/2

Visto in volo da Bangkok a Parigi, in originale con sottotitoli inglesi.

Quando la sorella Annabelle, prima di partire per una vacanza, gli affida per una settimana il proprio labrador Didier, il procuratore calcistico Jean-Pierre (Bacri) pensa che si tratti soltanto dell'ennesima seccatura. Anche perché ha ben altro di cui preoccuparsi: la squadra locale – alla quale ha venduto i suoi migliori giocatori – naviga in cattive acque, fra sconfitte e infortuni, e l'irascibile presidente minaccia di rivalersi su di lui se non troverà una soluzione prima della partita decisiva per salvarsi dalla retrocessione (che verrà giocata contro il PSG al Parco dei Principi!). Una notte, magicamente, Didier da cane si ritrova trasformato in essere umano. Resosi conto dell'accaduto, Jean-Pierre ha il suo ben da fare nell'insegnare al suo ospite come comportarsi da uomo e non da animale (prima regola: non annusare il sedere alle persone!). Ma quando scopre che Didier ha un incredibile talento per il calcio, decide di farlo aggregare alla squadra, spacciandolo per un eccentrico campione lituano... Commedia surreale e quasi-disneyana (il meccanismo, seppur al contrario, è lo stesso di "Geremia, cane e spia") che è valsa a Chabat, geniale comico e uno dei fondatori del gruppo "Le Nuls", il premio César per il miglior debutto cinematografico. La sospensione dell'incredulità è obbligatoria per potersi godere il film (il motivo della misteriosa trasformazione di Didier non viene spiegato), ma il divertimento non manca. Chabat – esilarante nella parte del "cane", del quale imita ogni dettaglio del comportamento (gli istinti, i movimenti, gli sguardi) – tornerà a recitare in compagnia dell'ottimo Bacri anche ne "Il gusto degli altri".

21 novembre 2012

As one (Moon Hyun-sung, 2012)

As one (id.)
di Moon Hyun-sung – Corea del Sud 2012
con Ha Ji-won, Bae Du-na
**1/2

Visto in volo da Abu Dhabi a Bangkok, in originale con sottotitoli inglesi.

Nel 1991, i governi della Corea del Sud e della Corea del Nord decisero per la prima volta di inviare ai campionati mondiali di ping pong, che si svolgevano in Giappone, una squadra unificata, composta da atleti di entrambe le nazioni, per competere sotto una bandiera comune. La campionessa sudcoreana Hyun Jung-hwa (Ha Ji-won) e quella nordcoreana Li Bun-hui (Bae Du-na), da sempre acerrime rivali, furono così costrette a unire le proprie forze e portarono la squadra femminile a vincere la medaglia d'oro, sconfiggendo l'avversaria di entrambe, la Cina. Ispirato a fatti realmente accaduti (che sono tuttora ricordati come una delle poche liete parentesi nel lento e ancora difficile processo di riunificazione delle due Coree), il film racconta la storia di quel leggendario torneo, mostrando la lenta e progressiva amicizia fra gli atleti delle due nazioni, dapprima "imposta" dall'alto e poi – quando finalmente i ragazzi si dimostrano in grado di superare diffidenze e pregiudizi – mal tollerata e anzi ostacolata dagli stessi responsabili istituzionali delle due squadre. Forse semplicistico, a tratti melodrammatico ma comunque sempre coinvolgente, è un originale teen movie a sfondo sportivo che invita a superare le divisioni politiche e ideologiche in nome dell'amicizia, dell'amore (si veda la sottotrama "romantica" che unisce due dei ragazzi della squadra) e del sano agonismo. Ottimi gli interpreti, fra cui spiccano le due protagoniste che hanno dovuto sottoporsi a lunghe sessioni di allenamento (sotto la consulenza della Hyun in persona, che fa anche un breve cameo nei panni dell'allenatrice della squadra francese) per poter interpretare in maniera convincente le sequenze degli incontri di ping pong, girati in stile drammatico e spettacolare da una regista (l'esordiente Moon) che dona tensione e dinamismo a ogni scambio, fra sudore e lacrime, senza comunque sacrificare l'autenticità e il realismo. Alla fine, sui titoli di coda, vengono mostrate immagini e fotografie delle vere atlete protagoniste di quell'evento.

20 novembre 2012

Vykrutasy (Levan Gabriadze, 2011)

Vykrutasy (aka Lucky Trouble)
di Levan Gabriadze – Russia 2011
con Konstantin Khabensky, Milla Jovovich
**1/2

Visto in volo da Milano ad Abu Dhabi, in originale con sottotitoli inglesi.

Quando Slava (Kabensky, già visto nei film di Bekmambetov sui "Guardiani della notte"), insegnante e aspirante scrittore senza successo, incontra la bellissima Nadya (Milla, al suo primo film girato in Russia), se ne innamora perdutamente. E la passione è ricambiata, tanto che la ragazza decide di mandare a monte il proprio fidanzamento precedente (con Daniel, un amico d'infanzia) per sposare invece lui. Mentre Nadya organizza a Mosca il sontuoso ricevimento di nozze, Slava si reca al proprio paese (un villaggio sulla costa) per dare le dimissioni da insegnante e sbrigare le ultime pratiche: ma qui – per una serie di equivoci – viene coinvolto come allenatore e costretto a partecipare a un torneo di calcio giovanile. La sua unica possibilità per lasciare il paese e partire subito per Mosca è quella di essere eliminato dal torneo. Ma i ragazzi – un gruppo di orfani presi dalla strada, tutti ladruncoli indisciplinati e apperantemente inesperti – dimostrano di avere mille risorse e riescono inaspettatamente a vincere ogni incontro nonostante il loro stesso allenatore complotti contro di loro. E così ogni giorno Slava deve inventarsi una scusa per giustificare il suo ritardo alla promessa sposa, che nel frattempo a sua volta ha il proprio da fare per tenere a bada i parenti e gli invitati al matrimonio (nonché le avances dell'ex fidanzato, che torna alla carica spalleggiato dalla futura suocera). Divertente commedia che sconfina spesso nella farsa e che alterna scene tipiche delle pellicole sportive (l'elogio del gioco di squadra, lo spirito di gruppo che si cementa man mano, il desiderio di rivalsa) a quelle dei film romantici (con l'interminabile festa di matrimonio che si protrae per giorni e giorni, ma anche i tentativi dell'ex fidanzato di riconquistare a ogni costo la ragazza). Il ritmo è spigliato e i colpi di scena non mancano, con la regia che ben si destreggia fra le riprese delle varie partite del torneo (mostrando anche azioni spettacolari quasi alla "Shaolin soccer") e sequenze che sviluppano i rapporti fra i personaggi. Milla, bellissima come sempre e pure autoironica, nei titoli di coda ringrazia per aver avuto finalmente l'opportunità di girare un film in russo (quando la vede per la prima volta, Slava commenta che gli sembra di trovarsi "in un film di Hollywood"). Vladimir Menshov, il regista di "Mosca non crede alle lacrime", partecipa nei panni del funzionario che impone al protagonista di allenare la squadra di ragazzini. Cameo anche per il calciatore Aleksandr Kerzhakov.

18 novembre 2012

Prometheus (Ridley Scott, 2012)

Prometheus (id.)
di Ridley Scott – GB 2012
con Noomi Rapace, Michael Fassbender
*1/2

Visto in volo da Milano ad Abu Dhabi.

Dopo trent'anni, Ridley Scott ritorna al genere che lo aveva reso celebre a inizio carriera, la fantascienza. Ma la tanto attesa pellicola non riesce a ripetere i fasti di "Alien" (di cui è una sorta di prequel) o di "Blade Runner", e risulta pesante e noiosa, del tutto in linea con gli ultimi deludenti lavori di un regista che forse ormai non ha più molto da dire. Il film racconta il viaggio dell'astronave "Prometheus" in cerca nientemeno che delle origini dell'umanità: a guidare la missione, finanziata dall'anziano milionario Weyland, è l'archeloga Elizabeth Shaw, che grazie alle sue scoperte ha elaborato la teoria che gli esseri umani siano stati creati da una razza di extraterrestri, da lei chiamati "ingegneri". Giunti a destinazione su un pianeta roccioso e deserto, Elizabeth e gli altri membri dell'equipaggio (fra cui spicca l'androide David) scopriranno dapprima che gli ingegneri sono ormai scomparsi, e poi che il loro intento era quello di dare vita a un'altra creatura, selvaggia e pericolosa, per distruggere gli stessi esseri umani che avevano creato. Filosofico, anti-darwiniano (sotto le spoglie fantascientifiche siamo di fronte alla teoria del "disegno intelligente") e fideistico (il tema dei "veri credenti" permea l'intera narrazione e in particolare i personaggi di Elizabeth e di Weyland, che intende chiedere agli "ingegneri" il dono dell'immortalità), il film affronta temi ambiziosi (su tutti il mistero della creazione, com'è evidente sin dal titolo: che si tratti di quella degli esseri umani da parte degli alieni oppure – di riflesso – di quella del robot David da parte degli umani stessi) che però si risolvono in sterili sequenze d'azione e in un finale inconcludente, quando non vengono pigramente posticipate e poi definitivamente rinviate a un possibile sequel. Molti, ovviamente, i rimandi e le similitudini con "Alien", a partire dal personaggio femminile che si rivela il più forte e l'unico in grado di sopravvivere alle mostruose creature aliene (alcune scene, come quelle del parto con taglio cesareo, riecheggiano anche sequenze dei film successivi della saga). Se però Ripley (Sigourney Weaver) nel film del 1979 emergeva poco a poco, qui il ruolo di protagonista di Elizabeth è evidente sin dall'inizio. Diverse le similarità anche a livello dell'ambientazione e della tecnologia (le capsule per l'ibernazione a bordo dell'astronave, la presenza di un ambiguo robot, la mega-corporazione Weyland – che poi diventerà Weyland-Yutani – alle spalle della missione): tutto però è meno fascinoso del prototipo, che faceva della fantascienza "sporca" e realistica uno dei suoi punti di forza. Qui c'è molta meno originalità, anche pensando che il film arriva dopo "Avatar" e dopo mille altre astronavi asettiche e tecnologiche viste nei decenni passati. Il problema principale della pellicola, comunque, è l'incapacità di stimolare l'immaginazione del pubblico: la storia non sembra mai decollare e offre allo spettatore soltanto velate suggestioni che lasciano più frustrati che entusiasti, in attesa di risposte che non verranno mai o, se arrivano, risultano molto meno interessanti di quanto si poteva credere all'inizio. Oltre alla fotografia (da sempre punto di forza dei film di Scott) e all'aspetto visivo dei panorami extraterrestri, si salvano alcune trovate legate principalmente al personaggio del robot David, subdolo e manipolatore, che parla con frasi tratte da altri film (grazie ai quali ha imparato la lingua inglese) e che mostra nei confronti dei suoi "creatori" lo stesso interesse, misto a curiosità e rancore, che gli umani mostrano nei confronti degli "ingegneri". Bravo Fassbender a interpretarlo (a tratti ricorda lo Jude Law di "A.I."), anche se mantenere sempre la stessa espressione non gli sarà costato troppo sforzo. Nel cast anche un irriconoscibile Guy Pearce (nei panni "invecchiati" di Weyland: ma perché non scritturare un attore anziano anziché applicare tutto quel pesante trucco?) e la solita "algida" Charlize Theron (il cui personaggio, del tutto inutile, è mantenuto in vita fin troppo a lungo, per poi essere spazzato via con nonchalance).

5 novembre 2012

Alice nelle città (Wim Wenders, 1974)

Alice nelle città (Alice in den Städten)
di Wim Wenders – Germania Ovest 1974
con Rüdiger Vogler, Yella Rottländer
***

Rivisto in divx, con Sabrina, in originale con sottotitoli.

Il giornalista tedesco Philip Winter avrebbe dovuto scrivere un reportage sul "paesaggio americano", ma ha vagato per settimane negli Stati Uniti senza combinare nulla se non scattare fotografie prive di ispirazione. Quando decide di tornare in Germania, si ritrova a viaggiare insieme a una bambina, Alice, che gli è stata affidata dalla madre affinché la riporti in patria. I due percorreranno le strade della Germania da città in città, alla ricerca della nonna di Alice, senza denaro e muniti soltanto di una foto della vecchia casa dove la nonna vive. Quarto lungometraggio di Wenders, è il primo dell'acclamata "trilogia della strada" (gli altri due, usciti l'anno seguente, sono "Nel corso del tempo" e "Falso movimento"). Girato in uno splendido bianco e nero, il film dedica molta attenzione ai paesaggi che circondano i personaggi: comincia nei classici scenari aperti degli Stati Uniti (l'America e il suo mito hanno sempre avuto un notevole fascino su Wenders: e lo si percepisce anche dalla continua presenza di musica, immagini, radio e schermi televisivi: anche dopo essere tornati in Germania, dai juke box esce musica americana; il protagonista si reca a un concerto rock; e nel finale, su un quotidiano campeggia la foto di John Ford, altro "mito americano" che era scomparso da poco) e prosegue con la rivisitazione dei paesaggi tedeschi (i villaggi della Ruhr, per esempio, dove le vecchie case si svuotano una dopo l'altra o vengono demolite). Si tratta in tutto e per tutto un road movie europeo – che parte dalla disillusione e dalla "fine del sogno americano", per andare alla scoperta di un nuovo equilibrio più giovane e spontaneo – e come tale veicola il classico tema di questo tipo di film: la ricerca di sé stessi. "Ho perso me stesso", confessa infatti Philip all'editore, per spiegargli come non sia riuscito a scrivere l'articolo che gli era stato commissionato. E le fotografie Polaroid (dunque da sviluppare immediatamente) che scatta in continuazione sono "prove" della sua stessa esistenza: è sintomatico che, da quando torna in Germania con Alice, smette di scattarne. Alla fine, grazie alla ragazzina, avrà finalmente una storia da scrivere. L'atmosfera avvolgente (grazie anche alla colonna sonora minimalista e ripetitiva di Irmin Schmidt), le memorabili interpretazioni (spicca in particolare la naturalezza della giovane Yella Rottländer), scene simboliche (come quella in cui Philip "spegne" il Chrysler Building fingendo di soffiarvi contro proprio allo scoccare della mezzanotte) e temi archetipici del cinema del regista tedesco (come il tentativo di catturare la realtà attraverso le immagini) lo rendono il primo vero capolavoro di Wenders. Peccato che sia anche uno dei pochi suoi film a non essere ancora uscito da noi in DVD. Da notare che Philip Winter è il nome con cui si chiamano quasi tutti i personaggi interpretati da Rüdiger Vogler nei vari film di Wenders (da "Nel corso del tempo" a "Così lontano, così vicino", da "Fino alla fine del mondo" a "Lisbon Story").

4 novembre 2012

Yes Man (Peyton Reed, 2008)

Yes Man (id.)
di Peyton Reed – USA 2008
con Jim Carrey, Zooey Deschanel
**

Visto in TV, con Sabrina.

Carl, impiegato all'ufficio prestiti di una banca, conduce una vita miserabile: dopo il divorzio si è ritirato dal mondo, rifiuta gli inviti degli amici e trascorre le serate da solo davanti alla tv, rinunciando a qualsiasi opportunità che gli viene offerta. Tutto cambia quando, spinto da un conoscente, partecipa al seminario di un guru il cui motto è quello di "dire di sì" alla vita. Di fronte agli altri adepti, Carl si ritrova a stringere un patto: dovrà rispondere di "sì" a ogni proposta che gli verrà fatta, altrimenti subirà gravi conseguenze. Spaventato dalla maledizione, Carl si accorge di non poter più rifiutare nulla a chi gli chiede qualcosa: ma incredibilmente, in questo modo la vita comincia a sorridergli. Per aver dato un passaggio in auto (e regalato tutto il suo denaro) a un barbone, incontra una deliziosa e stravagante ragazza (Zooey Deschanel) che si innamora di lui; per aver dimostrato intraprendenza sul lavoro (concedendo prestiti anche in casi apparentemente disperati, ma che si rivelano fruttuosi per la banca), riceve una promozione; per aver accettato di frequentare i corsi più improbabili (lezioni di volo, insegnamenti di lingua coreana, incontri matrimoniali con donne iraniane) si ritrova con un bagaglio di esperienze che gli saranno utili in più occasioni. Inoltre fa amicizia con il suo capo nerd (memorabile l'invito alla serata a tema "Harry Potter"), rinnova il rapporto con gli amici di vecchia data, si dedica al volontariato... Ma presto si accorgerà a proprie spese che qualche volta anche dire di "no" sarebbe altrettanto importante. Il solito (ottimo) Carrey nel solito (bizzarro) film: regia e sceneggiatura hanno forse qualche punto debole, e il messaggio è alquanto banale, ma nel complesso il divertimento non manca e la pellicola è sufficientemente simpatica da meritare la visione. Nel cast anche Rhys Darby (il capo di Carl), Fionnula Flanagan (la vicina di casa) e Terence Stamp (il guru).

3 novembre 2012

Splash (Ron Howard, 1984)

Splash - Una sirena a Manhattan (Splash)
di Ron Howard – USA 1984
con Tom Hanks, Daryl Hannah
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Visto in TV, con Sabrina.

Il primo grande successo di Ron Howard come regista (e di Tom Hanks come attore, mentre Daryl Hannah era già salita alla ribalta per il suo ruolo da androide in "Blade Runner") è una romantica rivisitazione urbana della fiaba della Sirenetta di Andersen (che cinque anni dopo la Disney – forse spinta proprio dalla buona accoglienza di questa pellicola – adatterà anche a cartoni animati). Allen, che insieme al fratello Freddie dirige un'azienda che distribuisce frutta e verdura, aveva incontrato la giovane sirena Madison per la prima volta quando entrambi erano bambini, nelle acque al largo di Cape Cod. Anni dopo ripensa all'accaduto come a un sogno: ed essendo reduce da varie delusioni sentimentali, si convince di non essere in grado di innamorarsi mai più. Ma quando Madison lo rivede per caso, decide di uscire dall'acqua per vivere al suo fianco, mimetizzandosi fra gli esseri umani grazie al fatto che, all'asciutto, le sue pinne si trasformano magicamente in gambe perfette. Ha però a disposizione un tempo limitato, solo sei giorni, prima di dover tornare in mare per sempre. Il ritmo è spigliato, il tono (fortunatamente) mai troppo sdolcinato, e la sceneggiatura aggiorna con intelligenza la fiaba classica ai tempi moderni (la sirena, inizialmente muta, impara la lingua inglese dopo essere stata tutta un pomeriggio a guardare gli apparecchi televisivi esposti in un centro commerciale). Il finale, in particolare, è tutt'altro che scontato. Fra i comprimari spiccano John Candy (il fratello del protagonista) ed Eugene Levy (lo scienziato che vuole dimostrare al mondo che le sirene esistono, e che cerca in ogni modo di "innaffiare" Madison per farle spuntare le pinne). Memorabile l'uscita di Daryl Hannah dall'acqua, completamente nuda, sull'isola della Statua della Libertà. Il film fu la prima pellicola distribuita dalla Disney sotto la nuova etichetta Touchstone Pictures, creata appositamente e riservata a lungometraggi rivolti a un pubblico meno infantile. Una curiosità: Allen dà alla sirena il nome Madison ispirandosi al cartello stradale di Madison Avenue, commentando che non si tratta di un vero nome: eppure, in seguito all'uscita del film, questo divenne talmente popolare che numerose ragazze negli Stati Uniti furono chiamate proprio così, tanto che oggi Madison è un nome femminile piuttosto comune.