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1 aprile 2021

Ingeborg Holm (Victor Sjöström, 1913)

Ingeborg Holm, aka Il calvario di una madre (Ingeborg Holm)
di Victor Sjöström – Svezia 1913
con Hilda Borgström, Aron Lindgren
**

Visto in TV (Netflix).

Dopo la morte del marito, una donna (Hilda Borgström) si ritrova sommersa dai debiti ed è costretta a dare in adozione i suoi tre figli, mentre lei viene rinchiusa in un ricovero per poveri. Da qui evaderà (è la parola giusta!) per correre al capezzale della figlia maggiore, malata. E a causa delle avversità della vita, diverrà pazza. Rinsavirà soltanto quando, quindici anni più tardi, potrà rivedere il secondo figlio Erik, ora cresciuto e giunto a cercarla. Da un dramma teatrale di Nils Krok (ispirato forse a una storia vera), un romanzo d'appendice di puro interesse storico, essendo uno dei primi lavori importanti del futuro regista de "I proscritti" e "Il carretto fantasma". Pare che contribuì a portare all'attenzione del pubblico in Svezia le difficili condizioni degli indigenti e il modo discutibile in cui erano gestite le case di accoglienza (il direttore e il contabile del ricovero sono ritratti come particolarmente insensibili), ma a parte la buona prova della Borgström c'è poco di interessante qui a livello cinematografico (la macchina da presa è statica e sempre fissa nella stessa posizione, e gran parte delle scene, con poche eccezioni, sono girate in interni e in campo medio o lungo). Aron Lindgren interpreta sia il marito della protagonista sia il figlio da adulto.

7 settembre 2014

I proscritti (Victor Sjöström, 1918)

I proscritti (Berg-Ejvind och hans hustru)
di Victor Sjöström – Svezia 1918
con Victor Sjöström, Edith Erastoff
***

Visto su YouTube.

Il giovane Ejvind, costretto per disperazione a diventare un ladro per sfamare la propria famiglia, cerca di rifarsi una vita fuggendo al nord e trovando lavoro sotto falso nome nella fattoria della ricca vedova Harra. Scoperto, è costretto a darsi nuovamente alla fuga, ma questa volta non da solo: la donna, innamorata di lui, decide infatti di rinunciare a tutto per seguirlo sulle montagne, dove vivranno per anni in clandestinità, fra piccole gioie e grandi difficoltà, fino all'inesorabile morte durante una tormenta di neve. Tratto da un dramma teatrale di Jóhann Sigurjónsson di sette anni prima (ispirato, pare, a una storia vera) e ambientato suggestivamente in Islanda a metà del diciottesimo secolo, è uno dei capisaldi del cinema svedese muto: uscito nelle sale il 1° gennaio 1918, segna infatti l'inizio di un periodo caratterizzato da poche produzioni ad alto budget e di elevata qualità, un periodo dominato da nomi come lo stesso Sjöström, il regista Mauritz Stiller e l'attrice Greta Garbo. Come nel precedente "C'era un uomo", Sjöström gira quasi sempre in esterni e fonde meravigliosamente i personaggi con il paesaggio: le sequenze di vita fra le montagne, nella seconda parte, brillano per la concretezza e il realismo, mentre la natura spettacolare e selvaggia (fra picchi impervi, altopiani, ghiacciai, cascate e geyser) non si limita a fare da sfondo alle vicende umane ma assurge quasi al ruolo di protagonista: memorabili, in particolare, sequenze come il combattimento sul ciglio del burrone, il bagno nella cascata, la cavalcata sulla neve. Nonostante il soggetto sia di origine teatrale e l'impianto narrativo possa sembrare ottocentesco, siamo ormai lontani anni luce dal kammerspiel di matrice tedesca. E al di là dell'uso del paesaggio e della natura, non si può non notare una consapevolezza del linguaggio cinematografico che si fa sempre più matura e moderna (vedi il rapido montaggio, la luminosa fotografia di J. Julius, la recitazione misurata e funzionale alla melodrammaticità della vicenda, l'ottimo trucco che – come nel film precedente – invecchia il protagonista nel corso della storia). Ma anche sul fronte dei contenuti non sono pochi gli elementi che meritano una riflessione (la rigidità di leggi e società che spingono l'uomo a diventare fuorilegge e sono sordi ai suoi bisogni, tema fra l'altro ricorrente nel cinema del regista scandinavo sin dai tempi di "Ingeborg Holm"; il dilemma morale dell'amico ladro, che spinto dalla gelosia ha la tentazione di uccidere Ejvind ma poi ci ripensa; la terribile scena in cui Harra sacrifica la figlioletta pur di non farla cadere nelle mani dei nemici; ma soprattutto la sequenza finale, che mostra come l'amore possa essere messo a dura prova e finanche esaurirsi di fronte al freddo, alla povertà e alla vecchiaia). L'attrice che interpreta Harra, Edith Erastoff, era la vera moglie di Sjöström.

19 luglio 2014

C'era un uomo (Victor Sjöström, 1917)

Nota: se non ho fatto male i conti, questo è il 2000° film di cui scrivo su questo blog!

C'era un uomo (Terje Vigen)
di Victor Sjöström – Svezia 1917
con Victor Sjöström, Bergliot Husberg
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Visto su YouTube.

Terje Vigen è un pescatore che vive con la famiglia in una piccola isola vicino alle coste della Norvegia. Nel 1809, durante le guerre napoleoniche, la flotta inglese occupa i mari, impedendo il passaggio a chiunque: pur di procurare del cibo alla moglie e alla figlia, Terje cerca di forzare il blocco con la sua piccola barca a remi, ma viene catturato e chiuso in prigione per cinque anni. Quando torna a casa, scopre che i suoi cari sono morti di fame e povertà. Passa diverso tempo, che Terje trascorre da solo covando rabbia e rancore, finché una notte uno yacht inglese si trova in difficoltà per la tempesta nelle acque che circondano l'isola. Terje si lancia al salvataggio dei suoi occupanti, ma scopre che il lord a bordo dello yacht non è altri che il capitano inglese che anni prima lo aveva catturato e che non aveva avuto pietà di lui: coglierà l'occasione per vendicarsi oppure prevarranno la ragione e il perdono? Da un poema di Henryk Ibsen (i cui versi donano un tono letterario ed elevato alle didascalie della pellicola), un film che sposa una drammatica vicenda a sfondo morale con una tecnica cinematografica moderna e all'avanguardia, non solo dal punto di vista formale (il montaggio, la fotografia) ma anche strutturale (la costruzione narrativa non lineare e l'uso dei flashback). All'epoca fu il lungometraggio più costoso mai prodotto in Svezia e per molti critici rappresenta l'inizio del "periodo d'oro" del cinema muto svedese, di cui lo stesso Sjöström fu una delle figure di spicco con lavori come "Il carretto fantasma". Qui colpisce l'uso dei paesaggi e degli ambienti, resi magistralmente attraverso la profondità di campo (quella di girare spesso in esterni rimarrà una caratteristica – peculiare per quei tempi – del regista scandinavo). Impressionanti, in particolare, le scene in mare aperto, con il contrasto fra le onde burrascose della tempesta (come l'animo del protagonista) e le acque calme e quiete del finale. Fra le sequenze più belle: l'inseguimento (con montaggio alternato) della scialuppa inglese alla barca di Terje in fuga; la bufera notturna che mette in pericolo lo yacht; e il confronto finale presso lo scoglio. Il dramma di Ibsen, al di là della dimensione individuale, si ammanta di toni lirici e universali e può essere letto anche in chiave politica, auspicando una riconciliazione dopo la guerra (proprio nel 1814 Svezia e Norvegia posero fine alle ostilità unendosi in una sola nazione). Sjöström, anche attore protagonista, ricorre a un ottimo trucco che lo mostra in vari gradi di invecchiamento.

25 novembre 2013

Il carretto fantasma (Victor Sjöström, 1921)

Il carretto fantasma (Körkarlen)
di Victor Sjöström – Svezia 1921
con Victor Sjöström, Astrid Holm
***1/2

Visto in divx.

Secondo un'antica leggenda scandinava, l'uomo che muore per ultimo nella notte del 31 dicembre è costretto a condurre per un anno intero il carretto della Morte che va in giro a raccogliere le anime dei defunti destinati all'inferno. È quello che capita allo scapestrato David Holm, ucciso proprio sul rintocco di mezzanotte in una rissa con due compagni di bevute in un cimitero: attraverso una serie di flashback assistiamo alla storia del suo degrado, a come sia stato trascinato verso l'alcolismo dalle cattive amicizie e a come abbia abbandonato la moglie e i figli per dedicarsi ai bagordi e al vagabondaggio, rifiutando persino i nobili tentativi di Edith, una suora laica innamorata di lui, di redimerlo. Ma quando il precedente carrettiere, Georges, gli mostra la morte di Edith (malata di tisi proprio a causa sua) e il tentativo di suicidio della moglie (che intende avvelenare anche i due bambini), David comprende finalmente i propri errori, viene perdonato e riportato in vita. Tratto dall'omonimo romanzo (1912) di Selma Lagerlöf, un memorabile film muto diretto e interpretato da quel Victor Sjöström che nel 1957 sarà il protagonista de "Il posto delle fragole" di Ingmar Bergman. I toni lugubri e spettrali sono abilmente resi con sovraimpressioni (tramite doppia esposizione direttamente in camera), giochi di luce o di ombra e angolazioni ardite, mentre l'insegnamento morale con la redenzione possibile anche all'ultimo istante e attraverso l'intervento soprannaturale ricorda il Dickens de "Il canto di Natale" e prefigura a sua volta il film di Frank Capra "La vita è meravigliosa". La scena in cui David abbatte a colpi di ascia la porta che lo separa dalla stanza in cui la moglie e i figli si sono rifugiati presenta notevoli similitudini con quella analoga in "Shining" di Stanley Kubrick (a onor del vero, una scena simile appare anche in "Giglio infranto" di D.W. Griffith, del 1919). Hilda Borgström è la moglie di David, Tore Svennberg è Georges il carrettiere. In precedenza Sjöström aveva già adattato per lo schermo altri lavori della Lagerlöf, ma fu questo film – distribuito nelle sale proprio il giorno di capodanno del 1921 – a renderlo celebre anche fuori dai suoi confini e a rivelarsi pivotale per il cinema svedese. Fra le altre cose, la pellicola ha avuto una forte influenza su Ingmar Bergman, che ha affermato di averla vista e rivista più volte e le ha dedicato un film per la tv, "The image makers", oltre a prenderne spunti per "Il settimo sigillo" e "Il posto delle fragole".