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28 novembre 2020

Processo a Giovanna d'Arco (R. Bresson, 1962)

Processo a Giovanna d'Arco (Procès de Jeanne d'Arc)
di Robert Bresson – Francia 1962
con Florence Delay, Jean-Claude Fourneau
**1/2

Visto in divx.

Processata a Rouen da un tribunale ecclesiastico asservito agli invasori inglesi, la "pulzella di Orléans" – che afferma di udire nella sua testa le voci di santa Caterina e santa Margherita e il conforto di san Michele, che le avrebbero intimato di prendere le armi in favore del re di Francia – viene condannata a morte come eretica (in quanto ritiene di poter comunicare con Dio senza la mediazione della chiesa e dei sacerdoti) e bruciata sul rogo. Tratto direttamente dagli atti e dalle minute del processo del 1431, nonché dalle deposizioni e testimonianze di quello di venticinque anni dopo, che riabilitò Giovanna, il film è breve (dura solo 65 minuti), asciutto e privo di qualsivoglia fronzolo, com'è nello stile di Bresson. Impossibile però non fare un confronto con il capolavoro di Dreyer, "La passione di Giovanna d'Arco" del 1928, che – forse perché muto – era molto più intenso e "spirituale". Questo si dipana in maniera più meccanica e distaccata, come un resoconto stenografico o la ricostruzione di una seduta in tribunale: tantissime domande su dettagli spesso insignificanti (ma, immagino, teologicamente importanti), cui Giovanna risponde sempre con raziocinio e dignità, rifiutando di farsi trascinare dove gli inquisitori vorrebbero. Anche le inquadrature sono sempre le stesse, ripetute uguali e inserite nel ritmo monotono della pellicola. Fra i pregi: il rigore, la compostezza e il senso di austerità (favorito dal bianco e nero), che fanno percepire, se non le emozioni, la trascendenza e la spiritualità (come era in Dreyer), quanto meno il peso della storia e la posta in gioco. Gli interpreti, come capita spesso nei film del regista, sono attori non professionisti: Florence Delay (accreditata come Florence Carrez) diventerà una scrittrice; Jean-Claude Fourneau (che interpreta il vescovo Cauchon) era un pittore surrealista.

23 ottobre 2020

La passione di Giovanna d'Arco (C. T. Dreyer, 1928)

La passione di Giovanna d'Arco (La passion de Jeanne d'Arc)
di Carl Theodor Dreyer – Francia 1928
con Renée Falconetti, Antonin Artaud
****

Rivisto in DVD.

Il processo di Giovanna d'Arco a Rouen, da parte di una giuria ecclesiastica assoggettata agli invasori inglesi durante la guerra dei cent'anni, e la sua condanna al rogo come eretica, dopo che la fanciulla rifiutò più volte di ritrattare la propria asserzione di essere stata "eletta" dal Signore per liberare la Francia. Film muto fra i più importanti e influenti della storia del cinema (anche se girato proprio mentre stava per arrivare il sonoro), fu il primo lavoro di Dreyer in Francia dopo aver lasciato la sua natìa Danimarca: nelle intenzioni dei produttori, che vi investirono una grossa somma di denaro e che contavano sulla rinnovata popolarità della figura di Giovanna d'Arco (canonizzata come santa e patrona di Francia proprio in quegli anni, nel 1920), avrebbe dovuto essere un film storico dai toni epici e monumentali, tratto dal romanzo di Joseph Delteil del 1925 di cui avevano acquistato i diritti. Il regista, invece, preferì basarsi sulle trascrizioni autentiche del processo di Giovanna per dare vita a "un capolavoro di emozioni che fonde in maniera uguale realismo ed espressionismo", costruito su insistite inquadrature in primissimo piano della protagonista (ripresa quasi sempre soltanto dal collo in sù) e carrellate sui volti dei giudici e degli inquisitori (con la fotografia ad alto contrasto di Rudolph Maté che, insieme all'illuminazione drammatica e alle inquadrature dal basso, mette enfaticamente in risalto ogni ruga e imperfezione dei visi: agli attori fu imposto di non ricorrere al make-up). Gli eventi storici (o leggendari) diventano dunque la base per la rappresentazione delle passioni, delle paure e dei desideri umani, con il volto di Giovanna (interpretata da una straordinaria Renée Falconetti, attrice teatrale qui alla sua seconda e ultima esperienza cinematografica) al centro di primi o primissimi piani prolungati e intensissimi (e dire che agli albori del cinema sembrava irreale fare primi piani, o anche semplicemente piani medi, perchè sullo schermo le figure apparivano troppo grandi e mettevano a disagio un pubblico abituato al teatro). Il risultato è un cinema che parla di umanità senza filtri, mettendo a nudo l'anima del personaggio atraverso un processo di purificazione ed astrazione. La protagonista diventa un simbolo del sacrificio, della verità, del coraggio di fronte alla crudeltà e al pregiudizio dei suoi accusatori, uomini distanti dall'universo sia divino che intimo della ragazza. Il titolo del film (ma anche la corona di spine) suggerisce addirittura un parallelo fra lei e Gesù Cristo.

Con i capelli corti e poi rasati, spogliata di elmo e di corazza (e dunque privata sia della femminilità che delle caratteristiche maschili e guerresche), Giovanna ci appare fragilissima e sperduta, ma comunque sempre dignitosa e ferma nelle proprie convinzioni. A volte quasi in trance mistica, con gli occhi lucidi e lo sguardo perso nel vuoto (o nel trascendente), è a malapena in grado di comprendere le domande che le vengono poste o di rispondere agli inquisitori (che, dal canto loro, cercano di approfittarne con intricate questioni teologiche per strapparle dichiarazioni "eretiche" e poterla così condannare). L'iconografia, pur originalissima, è quella di una vera e propria santa e martire. Soltanto per un momento Giovanna cede alla tentazione di salvarsi la vita firmando un documento di abiura, per poi cambiare subito idea, preferendo la morte al tradimento. Gran parte del budget (sette milioni di franchi) fu speso per costruire un set di cemento che riproducesse il castello di Rouen e le sue prigioni, ispirandosi a varie strutture medievali. Gli edifici furono dipinti di rosa (!) in modo che apparissero grigi sullo schermo in contrasto con il cielo bianco sopra di loro. Dreyer, che girò l'intero film in rigoroso ordine cronologico, fece scavare delle buche sul pavimento per poter effettuare le riprese dal punto più basso possibile. Notevoli anche le inquadrature capovolte, nel finale, della folla che si ribella ai soldati inglesi dopo l'esecuzione di Giovanna. Nonostante tanta cura nei dettagli, le scenografie (di Hermann Warm e Jean Hugo) si intravedono a malapena nella pellicola finale, che pone invece maggior attenzione sulle figure umane, il che fece infuriare i produttori che ritennero di aver speso tanto denaro per niente. Dreyer ribatté che il realismo del set era necessario per ottenere interpretazioni realistiche e convincenti dagli interpreti. La voce che il regista abbia maltrattato tirannicamente la Falconetti per estorcerle una recitazione più sofferente ed intensa è soltanto una leggenda, come forse quella del suo suicidio, ma è vero che l'attrice soffrì di depressione e non tornò mai più al cinema, nonostante gli elogi della critica. Nel resto del cast spicca lo scrittore Antonin Artaud nel ruolo del chierico simpatetico Jean Massieu, mentre Eugène Silvain è il vescovo Pierre Cauchon, Maurice Schutz il giudice Nicolas Loyseleur, e André Berley il pubblico accusatore Jean d'Estivet. L'intero film è girato con un mascherino sui bordi.

La figura di Giovanna d'Arco era già stata portata sullo schermo diverse volte: fra gli altri, da Georges Méliès nel 1900, da Mario Caserini nel 1908, da Ubaldo Maria Del Colle nel 1913 e da Cecil B. DeMille nel 1917, ma nessuno si era limitato a rappresentarne soltanto la morte. La versione di Dreyer, proiettata nell'aprile del 1928 a Copenaghen e nell'ottobre dello stesso anno a Parigi, fu preceduta da veementi polemiche in Francia, fomentate da nazionalisti che non tolleravano che a dirigere la pellicola fosse un regista che non era "né francese né cattolico" (a peggiorare le cose ci fu la diceria infondata che il ruolo di protagonista era stato affidato all'attrice americana Lillian Gish). L'arcivescovo di Parigi e la censura governativa imposero inoltre numerosi tagli. E come se non bastasse, a dicembre un incendio distrusse il negativo originale del film. Dreyer rimontò una nuova versione della pellicola utilizzando materiali scartati, ma anche questa scomparve in un incendio nel 1929 (evidentemente ad avere problemi con il fuoco non è soltanto Giovanna, ma anche i film a lei dedicati!). Per anni l'unica edizione circolante fu quella realizzata dallo storico del cinema Joseph-Marie Lo Duca nel 1951, a partire da una copia della seconda versione di Dreyer, con l'aggiunta di una colonna sonora a base di musica barocca. Pur lontana dalle intenzioni originarie del regista, questa copia ha contribuito a mantenere elevata la fama del film nel corso dei decenni, rendendolo uno dei titoli più celebrati nella storia del cinema muto, fonte di ispirazione per numerosi cineasti (come gli autori della Nouvelle Vague: in una celebre sequenza di "Questa è la mia vita" di Godard, per esempio, i protagonisti assistono a una sua proiezione). Soltanto nel 1981 venne ritrovata in un ospedale psichiatrico in Norvegia (e poi restaurata) una copia del film originale, com'era prima delle censure. In ogni caso, alla sua uscita riscosse un grande successo critico ma fu un flop al botteghino, impedendo a Dreyer di realizzare altre pellicole fino al 1931. Oggi figura in pianta stabile nella lista dei migliori film di tutti i tempi, e può essere considerato come uno dei primi casi in cui il cinema ha dimostrato di essere un'arte in grado di produrre opere di livello paragonabile ai grandi capolavori della letteratura, della poesia o della pittura dei secoli precedenti, e non una semplice moda, attrazione tecnologica o forma di intrattenimento popolare. Forse solo Sjöström, Chaplin, Murnau ed Eisenstein, prima di Dreyer, erano stati capaci di tanto.

30 luglio 2020

Bill & Ted's excellent adventure (S. Herek, 1989)

Bill & Ted's Excellent Adventure
di Stephen Herek – USA 1989
con Alex Winter, Keanu Reeves
***

Rivisto in DVD, in originale con sottotitoli inglesi.

Bill S. Preston, Esquire (Alex Winter) e Ted "Theodore" Logan (un Keanu Reeves agli esordi) sono due liceali non esattamente acuti e brillanti, che vivono a San Dimas, cittadina in California. Poco portati per lo studio, il loro unico sogno è quello di formare una rock band, i Wyld Stallyns, anche se nessuno dei due è davvero capace di suonare decentemente la chitarra elettrica. Tuttavia, se non supereranno l'esame finale di storia (cosa non certo facile per chi crede che "Joan of Ark" sia la moglie di Noè), saranno bocciati: e di fronte a questa eventualità il padre di Ted minaccia di spedire il figlio in un'accademia militare in Alaska, separando così per sempre il duo. Per fortuna giunge loro un inatteso aiuto da Rufus (George Carlin), un uomo del futuro (!) che mette a loro disposizione una macchina del tempo (con l'aspetto di una cabina telefonica): grazie ad essa, Bill e Ted potranno viaggiare nelle diverse epoche del passato e portare nel presente alcune importanti figure storiche (Napoleone, Socrate, Billy the Kid, Gengis Khan, Giovanna d'Arco, Sigmund Freud, Beethoven e Abramo Lincoln) che, dopo aver trascorso alcune ore nel mondo moderno (compresa una movimentata visita al centro commerciale della città), li assisteranno nella loro presentazione a scuola. Mai tradotto o distribuito in Italia (a differenza del sequel che uscirà due anni più tardi, "Bill & Ted's bogus journey", intitolato da noi "Un mitico viaggio"), un autentico cult movie nonché mio particolare guilty pleasure: una commedia sui viaggi nel tempo, assolutamente da non prendere sul serio, che garantisce un divertimento ingenuo ma senza freni e che in patria, insieme per l'appunto al suo secondo capitolo (creativamente migliore, più cupo e complesso), nonché a una serie animata e una a fumetti, ha dato origine a un vero e proprio mito generazionale, capace di influenzare l'immaginario collettivo sotto molteplici aspetti. Quello della commedia demenziale – antesignana di cose come "Fusi di testa" o "Beavis & Butt-head" – è soltanto lo strato più superficiale (al di sotto c'è la satira della società moderna, del consumismo, della famiglia e del sistema scolastico), ma già da solo garantisce una notevole dose di divertimento per l'approccio scanzonato alla storia e ai classici temi della fantascienza e delle pellicole teen a sfondo scolastico.

Ricco di gag, di giochi di parole, di trovate comiche legate alla cultura pop (con citazioni da "Doctor Who" o "Star Wars") o frutto originale della creatività degli autori (a volte anche stupida, certo, ma sempre comicamente contagiosa), il film ha saputo crearsi una fan base affezionata e duratura, come testimoniano le recenti menzioni in pellicole ad ampio budget quali "Ready Player One" e "Avengers: Endgame". Il motivo è chiaro: innanzitutto è facile affezionarsi a due protagonisti ingenui e simpatici, due slacker ignoranti e clueless ma sempre allegri e ottimisti, che quantomeno – per usare le parole di Socrate – "sanno di non sapere", e che parlano attraverso un linguaggio o slang del tutto particolare che fa ampio uso di aggettivi di valutazione esagerati o desueti (come "Excellent" o "Triumphant"), spesso comicamente rafforzati da avverbi come "Most" e "Totally". Bill e Ted si rivolgono agli altri con il termine "Dude", esclamano il proprio stupore con "No way!" (o "Yes way!"), si esprimono con versi di celebri canzoni rock, usano il gesto dell'air guitar come segno di approvazione, e coniano, come tormentone, le frasi "Be excellent to each other" e "Party on, dude!" che diventeranno le forme di saluto standard nella società del futuro. Il mondo da cui proviene Rufus, 700 anni più tardi, è infatti un'utopia che poggia le proprie fondamenta sulla musica e la filosofia dei Wyld Stallyns, per quanto assurdo e improbabile possa sembrare. Per questo motivo è necessario che i due ragazzi non vengano divisi e che passino l'esame di storia. La sceneggiatura, nata a partire da alcuni sketch comici scritti e interpretati al liceo, è di Chris Matheson (figlio di Richard Matheson!) e Ed Solomon, che firmeranno anche quelle dei seguiti. Fra gli aspetti più interessanti c'è il modo in cui sono concepiti i viaggi nel tempo, assolutamente lineari e a prova di paradosso (i rapporti causa-effetto sono sempre rispettati, anche quando la cronologia è invertita: se i due protagonisti hanno bisogno di qualcosa nel presente, gli basta decidere che nel futuro torneranno indietro a predisporre il tutto). Alcune scene sono state girate in Italia (il castello medievale, per esempio è l'Orsini-Odescalchi di Bracciano). Le carriere dei due protagonisti prenderanno strade differenti: Reeves diventerà una star, Winter finirà nel dimenticatoio. Ma nel 2020 i due si ritroveranno insieme a girare, trent'anni dopo, un terzo capitolo di "Bill & Ted".

24 agosto 2019

Giovanna d'Arco (Georges Méliès, 1900)

Giovanna d'Arco (Jeanne d'Arc)
di Georges Méliès – Francia 1900
con Jeanne Calvière, Georges Méliès
**1/2

Visto su YouTube.

La storia di Giovanna d'Arco, a partire da quando, semplice pastorella, riceve la visita dell'arcangelo Michele, accompagnato da Santa Caterina e Santa Margherita, che la invitano a prendere le armi per liberare la Francia dagli invasori inglesi. Dopo aver comunicato ai genitori contadini la sua intenzione di partire, la ragazza si reca al castello di Vaucouleurs, dove incontra il capitano Robert de Baudricourt che, dopo i dubbi iniziali, la consegna una spada e la mette a capo di un'armata di soldati. Assistiamo dunque a una grandiosa sfilata per le strade di Orléans. Grazie alle sue vittorie, Carlo VII è incoronato re nella cattedrale di Reims. Catturata dai nemici durante l'assedio di Compiègne, Giovanna viene imprigionata e poi processata per eresia. Ma rifiuta di firmare l'atto di abiura ed è condotta sul rogo. Dopo la morte, la vediamo assunta in cielo. Diviso in dodici tableaux e con una durata complessiva di oltre una decina di minuti, superando i sei della "Cenerentola" dell'anno precedente, questo film fu il più lungo e ambizioso lavoro di Méliès fino ad allora, il suo secondo "grand spectacle" dopo quello tratto appunto dalla fiaba di Perrault. Come nel caso precedente, le diverse scene fluiscono naturalmente l'una nell'altra, concorrendo a narrare un'unica storia. A colpire è l'alto numero di comparse e la cura nei costumi e nelle scenografie, che elevano la pellicola al di sopra di quanto il regista francese aveva proposto fino ad allora. Certo, la vicenda è raccontata in modo convenzionale e didascalico, ed è inutile cercare qui le finezze psicologiche e umanistiche della versione di Dreyer, e nemmeno il relativo realismo del coevo James Williamson: Méliès punta come sempre al puro spettacolo e ad intrattenere un pubblico che conosce già bene la storia, ma riesce con efficacia a condensare gli eventi principali, anche se a scapito della caratterizzazione dei personaggi. La protagonista è interpretata da Jeanne Calvière, attrice circense che Méliès scritturò appositamente per questo film e che continuò a lavorare con lui negli anni a venire. Lo stesso regista interpreta sette diversi ruoli (fra cui il padre di Giovanna) e Jeanne d'Alcy tre (fra cui la madre). Relativamente pochi gli "effetti speciali": giusto le apparizioni dell'arcangelo nelle visioni di Giovanna. La copia oggi esistente, ritrovata nel 1982 dopo che per lungo tempo il film era stato considerato perduto, è colorata a mano (e sarebbe priva della prima scena). Numerata 264–275 nel catalogo della Star Film, la pellicola ebbe un notevole successo commerciale, anche se per venderla meglio all'estero non si fa menzione da nessuna parte che i nemici di Giovanna sono inglesi. Méliès affermò che nella scena della sfilata a Orléans furono impiegate 500 comparse (e anche diversi cavalli), ma in realtà sono molte di meno (e parecchie di esse escono dallo schermo a destra per rientrarvi a sinistra!). Curiosità: non si tratta del primo film in assoluto su Giovanna d'Arco, ma del secondo (dopo "Exécution de Jeanne d'Arc" di Georges Hatot del 1898, che però durava soltanto 50 secondi e si limitava alla scena del rogo).

19 giugno 2019

Giovanna d'Arco (Cecil B. DeMille, 1916)

Giovanna d'Arco (Joan the woman)
di Cecil B. DeMille – USA 1916
con Geraldine Farrar, Raymond Hatton
**

Visto su YouTube.

Incorniciata da un prologo e un epilogo ambientati durante la prima guerra mondiale (un ufficiale sul fronte francese trova in una trincea l'antica spada di Giovanna d'Arco, e questa gli appare in sogno raccontandogli la propria storia per incitarlo a difendere la patria), una delle molte versioni cinematografiche della vicenda della pulzella d'Orleans (in precedenza ce n'erano state almeno altre cinque, di cui due di produzione italiana). La protagonista è Geraldine Farrar, attrice e cantante lirica che per DeMille aveva già interpretato Carmen l'anno precedente. La sua recitazione, così enfatica e irrealistica (anche per la mancanza del physique du rôle: la Farrar aveva 34 anni, mentre il personaggio dovrebbe essere adolescente), è purtroppo il punto debole della pellicola, che per il resto è degna di nota a livello produttivo, con grande cura riversata nei costumi, nelle scenografie, nella ricostruzione storica e nelle scene di massa e di battaglia (spettacolare l'assalto al castello di Orleans), al punto da rivaleggiare con le coeve produzioni di Griffith. Anzi, pare che fu proprio in seguito a questo film che DeMille si interessò sempre più a pellicole di ambientazione storica e "colossali", con tanto di effetti speciali (qui il colore, aggiunto in alcune scene – in particolare quella del rogo – grazie a un metodo inventato per l'occasione e poi utilizzato diffusamente negli anni venti, il processo Handschiegl o DeMille-Wyckoff). Perdonabili gli elementi "spuri" nella sceneggiatura (ispirata al dramma di Schiller), come la storia d'amore fra Giovanna e un soldato inglese ferito, mentre quelli più noti (la "chiamata" divina, l'ingresso alla corte del re Carlo, i combattimenti, il processo, il rogo) sono tutti presenti. Nel cast anche Wallace Reid, Hobart Bosworth, Theodore Roberts e James Neill.