28 febbraio 2022

Dies irae (Carl Theodor Dreyer, 1943)

Dies irae (id.)
di Carl Theodor Dreyer – Danimarca 1943
con Lisbeth Movin, Thorkild Roose
***1/2

Rivisto in divx.

Absalon Pederssøn (Thorkild Roose), pastore di un villaggio protestante nella Danimarca di inizio Seicento, ha preso in moglie Anne (Lisbeth Movin), molto più giovane di lui e figlia di una presunta strega che lui stesso, tacendo, ha salvato dal rogo. Quando la ragazza si innamora del figlio di Absalon, Martin (Preben Lerdorff Rye), suo coetaneo, è tentata di usare i "poteri magici" che avrebbe ereditato dalla madre per desiderare la morte del marito... Tratto da un dramma teatrale di Hans Wiers-Jenssen, ispirato a un episodio realmente accaduto in Norvegia, e girato in Danimarca sotto l'occupazione nazista (e il clima paranoico che vi si respira, la "caccia alle streghe" appunto, dove basta una denuncia non circostanziata per porre una persona o un'intera famiglia sotto accusa, ne è un'evidente testimonianza) questo film segna il ritorno di Dreyer al cinema dopo oltre dieci anni di inattività, ovvero dall'insuccesso commerciale e critico di "Vampyr". La forma lenta e austera, proprio come il canto del "Dies irae" che è intonato dal coro della chiesa, è la cifra stilistica perfetta per riprodurre sullo schermo il rigido protestantesimo del 1600, veicolando al contempo l'idea di cinema rigorosa e quasi teatrale che aveva caratterizzato (si pensi a "La passione di Giovanna d'Arco") e caratterizzerà ("Ordet", "Gertrud") tutte le pellicole del grande regista. L'attenzione alla composizione dell'immagine, il bianco e nero fortemente contrastato della fotografia, i lunghi piani sequenza e l'interpretazione quasi in trance degli attori (soprattutto della protagonista), i cui primi piani risultano incredibilmente intensi e suggestivi, contribuiscono a un'esperienza unica nel suo genere per lo spettatore. Molto interessante la prima parte, con le peripezie della fattucchiera Marte Herlofs (Anna Svierkier), accusata di stregoneria dagli abitanti del suo villaggio e mandata sul rogo nonostante chieda aiuto, inutilmente, proprio ad Absalon, minacciando di rivelare la verità sulla madre di Anne. Cosa che non farà: a tradire la ragazza sarà invece un altro tipo di strega, ovvero la severa suocera Merete (Sigrid Neiiendam), la madre di Absalon, dopo che il figlio è morto, apparentemente ucciso dal semplice desiderio di Anne. Che questa sia davvero una strega, oppure semplicemente una giovane ragazza che sogna l'amore e che è stata costretta a essere imprigionata nel matrimonio con un uomo più vecchio di lei e che non ama, rimane lasciato nell'ambiguità. E in realtà non è così importante: è l'ambiente che la circonda, patriarcale e teocratico, il vero "male" che il "giorno dell'ira" dovrà dissipare e da cui, nel frattempo, riesce a fuggire soltanto con un atto finale di sacrificio ed eroismo quasi pari a quello della Giovanna d'Arco del film precedente. Il parallelo fra la cupezza del diciassettesimo secolo e gli orrori dell'attualità è dunque sottile ma fino a un certo punto: proprio il "realismo" della messa in scena, la naturale accettazione dell'esistenza del maligno e del soprannaturale che permea tutti, serve a trasfigurare in maniera coinvolgente le vicende per uno spettatore contemporaneo (o del 1943: ricordiamo ancora una volta le circostanze in cui fu girato!) che, se ci riflette, scopre di essere a sua volta circondato da forze che operano per il male, pensando magari di operare per il bene. Il che rende la pellicola, nonostante la sua forma apparentemente datata, ancora e sempre d'attualità.

27 febbraio 2022

Da Mayerling a Sarajevo (Max Ophüls, 1940)

Da Mayerling a Sarajevo (De Mayerling à Sarajevo)
di Max Ophüls – Francia 1940
con John Lodge, Edwige Feuillère
*1/2

Visto in divx, in originale con sottotitoli.

L'arciduca Francesco Ferdinando (John Lodge), erede al trono austriaco dopo la morte del cugino Rodolfo a Mayerling nel 1889, è malvisto a corte (e dallo stesso imperatore Francesco Giuseppe, suo zio) per via delle sue idee politiche liberali e riformiste (sogna addirittura di trasformare l'impero in una federazione di stati, sul modello degli Stati Uniti!). Innamoratosi della contessa Sophie Chotek, figlia di un nobile minore ceco, vede la sua relazione con lei osteggiata dal principe di Montenuovo (Aimé Clariond), importante dignitario a lui ostile, che impone alla coppia un matrimonio morganatico (ovvero senza riconoscere alla moglie e agli eventuali figli alcun privilegio o tantomeno diritti sul trono d'Asburgo). La pellicola, di impostazione storico-romantica, si conclude con l'assassinio dell'arciduca a Sarajevo, nel 1914: è l'evento che scatenerà la prima guerra mondiale. Incastrato (come da titolo) fra i due "incidenti" che più di ogni altro hanno segnato la fine all'impero austro-ungarico e di fatto la storia dell'Europa centrale, un lavoro essenzialmente "alimentare" per Ophüls, che non ne mette in mostra (se non a tratti) le capacità artistiche: il film ebbe comunque scarso successo e venne bandito dalle sale quando, poco dopo la sua uscita, i nazisti occuparono la Francia, costringendo il regista – che già era fuggito dalla Germania nel 1933 – a un'ulteriore esilio negli Stati Uniti (farà ritorno in Francia solo negli anni Cinquanta). Jean Worms è l'imperatore Francesco Giuseppe, Gabrielle Dorziat l'arciduchessa Maria Teresa. Ai fatti di Mayerling, qui solo citati di sfuggita, Anatole Litvak aveva dedicato un bel film nel 1936, di cui questo può essere considerato praticamente il sequel (anche per via dei numerosi paralleli fra le innovative idee politiche e le tormentate vicende romantiche di Rodolfo e Francesco Ferdinando).

25 febbraio 2022

Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli (D. D. Cretton, 2021)

Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli
(Shang-Chi and the Legend of the Ten Rings)
di Destin Daniel Cretton – USA 2021
con Simu Liu, Awkwafina
**

Visto in TV (Disney+).

Dopo le quote neri ("Black Panther") e donne ("Captain Marvel", "Black Widow"), l'Universo Cinematico Marvel si occupa anche degli asiatici, andando a ripescare un personaggio che ebbe una certa popolarità negli anni Settanta, grazie a una bella serie a fumetti scritta da Doug Moench e disegnata da Paul Gulacy, Mike Zeck e Gene Day: Shang-Chi, "Master of Kung-fu", creato (da Steve Englehart e Jim Starlin) sull'onda della mania per le arti marziali istigata in quel decennio dai film di Bruce Lee e dalla serie televisiva "Kung fu" con David Carradine. Il personaggio originale era legato strettamente al mondo immaginario ideato dallo scrittore inglese Sax Rohmer, di cui al tempo la Marvel aveva acquisito i diritti, che ora ha perduto. Ecco perché suo padre, in questa rivisitazione, non è più il leggendario Fu Manchu ma un più "anonimo" villain, Xu Wenwu (Tony Leung Chiu-wai), fusione di diversi personaggi classici Marvel: il suddetto Fu Manchu, Master Khan (l'arcinemico di Iron Fist) e il Mandarino (avversario di Iron Man). Quest'ultimo era già stato introdotto in "Iron Man 3", ma con il twist che si trattava solo di un attore che ne recitava la parte: tale sciroccato attore, interpretato da Ben Kingsley, fa una comparsata anche qui in un ruolo comico. Tornando a Shang-Chi (il non trascendentale Simu Liu), è appunto il figlio di un signore della guerra che ha acquisito enormi poteri (e l'immortalità) grazie ai magici Dieci Anelli, artefatti di misteriosa natura. Addestrato dal genitore a diventare un killer, Shang-Chi si ribella a lui e cercherà di fermarlo, insieme alla sorella Xialing (Zhang Meng'er) e all'amica Katy (Awkwafina), quando l'uomo – convinto che lo spirito della moglie defunta (Fala Chen) sia tenuto prigioniero nel suo villaggio di origine – lo assalterà per liberare un potente demone. La fusione fra il genere supereroistico e quello del Wuxia e delle arti marziali è tutto sommato intrigante, il ritmo non latita e anche i combattimenti, per una volta, sono meno noiosi del solito (ma sempre troppo lunghi e "digitali"). Ma se l'immaginario e le scenografie risultano gradevoli, purtroppo i personaggi sono banali e poco approfonditi: il migliore è quello più low-key, ovvero la Katy interpretata dalla simpatica Awkwafina, mentre nel comparto attoriale, oltre a Kingsley e all'ottimo Leung, spiccano Michelle Yeoh nel ruolo della zia del protagonista e Yuen Wah in quello del capo del villaggio – nascosto fra le montagne e popolato da creature magiche e mitologiche – da cui proveniva sua madre. Per il resto, tutto (umorismo compreso) sa di pre-confezionato e di dimenticabile: il solito telefilm. Tenui anche i legami con il resto del MCU: a parte il suddetto rimando al Mandarino, abbiamo un casuale riferimento a Thanos e una breve apparizione di Wong (l'assistente del Dottor Strange) e di Abominio. Fra i mercenari al servizio di Wenwu spicca Razorfist (Florian Munteanu). E nella scena a metà dei titoli di coda appaiono brevemente anche Bruce Banner e Carol Danvers.

23 febbraio 2022

Black Hawk Down (Ridley Scott, 2001)

Black Hawk Down - Black Hawk abbattuto (Black Hawk Down)
di Ridley Scott – USA/GB 2001
con Josh Hartnett, Ewan McGregor
***

Rivisto in TV (Now Tv).

Nella Somalia scossa dalla guerra civile, durante una missione che sarebbe dovuta durare pochi minuti, un Black Hawk (elicottero d'assalto dell'esercito degli Stati Uniti) viene abbattuto dalle milizie del generale Aidid, signore della guerra locale, e precipita nelle strade di Mogadiscio. Qui i soldati superstiti a bordo, nonché quelli che vengono inviati a recuperarli, devono difendersi dall'assalto dei miliziani nemici: ne nasce una vera battaglia, uno cruento scontro a fuoco per le strade e i palazzi della città, che durerà tutta la notte e si concluderà con numerosi caduti. Da un episodio realmente avvenuto nel 1993 (che lo sceneggiatore Ken Nolan ha adattato da un saggio dello storico Mark Bowden), una pellicola bellica ad alta intensità che si concentra quasi tutta sull'azione, rappresentata con grande maestria dalla regia di Scott che, pur immersiva, evita sempre (per fortuna) l'effetto videogioco. Fra i film di guerra non esplicitamente di impostazione antibellica (nonostante accenni alle diverse sensibilità dei soldati coinvolti, c'è poco spazio per riflessioni ad ampio raggio sull'impegno e l'interventismo americano nei paesi stranieri, e anzi se ne celebra l'eroismo con una certa retorica), sicuramente è uno dei migliori per confezione tecnica e costruzione della suspense, viscerale e frenetica, grazie anche a un'impostazione corale nella quale comunque non mancano di sollevarsi alcune figure individuali. Il ricco cast comprende Josh Hartnett, Ewan McGregor, Eric Bana, Orlando Bloom, Sam Shepard, Tom Sizemore e molti altri (compreso un esordiente Tom Hardy). Ma più di loro a essere protagoniste sono le immagini (la fotografia è di Sławomir Idziak), il montaggio (di Pietro Scalia) e il sonoro, con queste due ultime categorie premiate con l'Oscar (due su quattro nomination). Colonna sonora di Hans Zimmer. Qualche critica per come sono stati rappresentati i somali (sia i "cattivi" sia la popolazione inerme).

22 febbraio 2022

Ovunque nel tempo (Jeannot Szwarc, 1980)

Ovunque nel tempo (Somewhere in time)
di Jeannot Szwarc – USA 1980
con Christopher Reeve, Jane Seymour
**1/2

Visto in divx.

Innamoratosi (solo guardando un suo ritratto!) di Elise McKenna (Jane Seymour), attrice teatrale vissuta a inizio secolo, il commediografo Richard Collier (Christopher Reeve) viaggia indietro nel tempo con la forza della mente, ritrovandosi così nel 1912 nell'albergo che l'aveva ospitata... Da un romanzo di Richard Matheson ("Appuntamento nel tempo"), anche sceneggiatore, una pellicola romantico-fantastica nella vena di classici degli anni '30-50 come "Sogno di prigioniero", "Il ritratto di Jennie", "Pandora" o "Il fantasma e la signora Muir" (con il quale condivide il finale): la celebrazione dell'amor fou che supera le barriere del tempo e dello spazio. Anche se c'è di mezzo, appunto, un viaggio nel tempo, la pellicola tecnicamente non è fantascientifica: il fenomeno è spiegato semplicemente con la forza dell'autosuggestione o dell'ipnotismo, in grado di permettere il balzo se ci si trova nel luogo giusto e con la corretta predisposizione d'animo. E naturalmente non manca il paradosso del loop in cui si smarrisce il rapporto di causa ed effetto: da dove proviene, per esempio, l'orologio che Elise da anziana dona a Richard e che poi lo stesso Richard le restituisce? Christopher Plummer è Robinson, l'impresario di Elise, che ostacola la relazione fra lei e Richard perché teme (o "sa") che questa porrà fine alla sua carriera. Nel cast anche Bill Erwin, Teresa Wright e George Voskovec. Matheson stesso appare in un cameo. La colonna sonora di John Barry comprende anche una variazione della rapsodia di Rachmaninov su un tema di Paganini.

20 febbraio 2022

Le lacrime amare di Petra von Kant (R. W. Fassbinder, 1972)

Le lacrime amare di Petra von Kant
(Die bitteren Tränen der Petra von Kant)
di Rainer Werner Fassbinder – Germania 1972
con Margit Carstensen, Hanna Schygulla
***1/2

Visto in divx.

La stilista Petra von Kant (Margit Carstensen), che vive reclusa nella propria casa in compagnia della silenziosa assistente tuttofare Marlene (Irm Hermann), riceve la visita dell'amica Sidonie (Katrin Schaake) che le presenta Karin (Hanna Schygulla), una giovane modella da poco tornata in Germania dall'Australia. Innamorata della ragazza, la donna la prende sotto la sua ala protettrice e la invita ad abitare con lei: ma quando Karin, dopo aver raggiunto a sua volta la fama, la abbandonerà, Petra avrà un crollo e un esaurimento nervoso... Uno dei capolavori di Fassbinder, uno studio sul narcisismo e la dipendenza amorosa ("Ein krankheitsfall", "Un caso di malattia", recita il sottotitolo) con un cast esclusivamente femminile e tratto da una sua opera teatrale. Tale origine è evidente: l'intera azione – divisa in quattro "atti" di mezz'ora ciascuno – si appoggia ai dialoghi e si svolge tutta nell'appartamento di Petra, anzi nella sua camera da letto, fra colonne e pareti ricoperte da perlinature di legno, tendaggi, quadri (una parete è rivestita completamente da una riproduzione del dipinto seicentesco "Mida e Bacco" di Nicolas Poussin), specchi e oggetti vari, come manichini e bambole, una delle quali ha proprio le fattezze della bionda Karin. Le fenomenali attrici (sei in tutto: ci sono anche Eva Mattes e Gisela Fackeldey, rispettivamente la figlia e la madre di Petra, che appaiono nel quarto e ultimo atto) danno vita a personaggi diversificati, che ruotano tutti intorno alla figura centrale di Petra: dai loro dialoghi con lei, infatti, emergono i suoi sentimenti, le riflessioni sul ruolo della donna nei rapporti d'amore e di potere, il differente modo di atteggiarsi in un mondo solo apparentemente pigro e decadente (sia Petra che Sidonie sono evidentemente di famiglia aristocratica). Notevole in particolare la figura di Marlene, che non parla mai ma assiste e osserva soltanto, pallida e vestita di nero come un servo di scena (un kuroko del teatro giapponese): devota alla sua padrona, accetta di essere comandata e maltrattata da lei e sceglierà di andarsene quando questa invece le mostrerà empatia. È un cinema certo teatrale, con scenografie barocche e claustrofobiche, ma tagliente e profondo nei personaggi e nelle caratterizzazioni psicologiche: Fassbinder al suo meglio, insomma, con le sue attrici belle, vive e sfaccettate, problematiche e complesse, imprigionate nei propri problemi di dipendenza che sfociano in punte di pura (melo)drammaticità. Come colonna sonora, proveniente dai dischi di Petra, ci sono due canzoni del Platters ("Smoke Gets Into Your Eyes" e "The Great Pretender") e poi, nella scena dello "sclero" finale, quando la donna è tormentata dalla disperazione e dal dolore, un estratto dalla "Traviata" di Verdi ("Un dì, felice, eterea") con il celebre inno a "quell’amor ch’è palpito dell’universo intero, misterioso, altero, croce e delizia al cor". Nel 2005 il compositore irlandese Gerald Barry realizzerà proprio un'opera lirica a partire dal testo di Fassbinder. Il film ha ispirato, fra gli altri, cineasti come Olivier Assayas, Peter Strickland e soprattutto François Ozon (che nel 2022 ne realizzerà anche una versione al maschile, "Peter von Kant").

18 febbraio 2022

Tick, tick... boom! (Lin-Manuel Miranda, 2021)

Tick, Tick... Boom! (id.)
di Lin-Manuel Miranda – USA 2021
con Andrew Garfield, Vanessa Hudgens
**

Visto in TV (Netflix).

Dall'omonimo "monologo rock" di Jonathan Larson (autore di musical di Broadway, morto a soli 35 anni nel 1996 dopo aver completato il lavoro che gli darà la fama, "Rent"), una pellicola semi-autobiografica che racconta i tribolati giorni che precedettero la presentazione in pubblico della sua prima opera, "Superbia". Per Jonathan (Garfield) la sensazione è che il tempo stringa e stia passando troppo in fretta (da cui il ticchettio del titolo): sta arrivando ai trent'anni senza ancora aver avuto successo, si barcamena con lavoretti di secondo piano come fare il cameriere in un diner, la fidanzata (Alexandra Shipp) preme perché si trasferisca con lei in un altro stato, gli amici che lo circondano – come Michael (Robin de Jesús), pubblicitario gay – si ammalano e muoiono di AIDS... e nel contempo, a pochi giorni dalla presentazione di "Superbia", non ha ancora scritto la canzone più importante dello spettacolo, proprio lui che di solito non ha problemi a improvvisare o a comporre in poche ore brani su qualsiasi argomento, ispirandosi alla realtà che lo circonda. Opera prima di Lin-Manuel Miranda, già attore, sceneggiatore e compositore, il film racconta la sua storia fondendo diversi piani narrativi: lo stesso Larson che si esibisce su un palco davanti a un pubblico, la ricostruzione filmata di quei giorni, e alcuni spezzoni di repertorio. Peccato che proprio le canzoni, che punteggiano continuamente la pellicola, siano mediocrissime sia nei testi che nella musica, sentite mille volte e incapaci di stimolare alcunché nello spettatore: forse negli anni novanta potevano sembrare diverse o interessanti (per il loro lato esistenzialista, per come affrontavano temi allora d'attualità come l'epidemia di AIDS), ma oggi lasciano indifferenti. Male, nel complesso, anche la sceneggiatura, didascalica e pretenziosa, e l'impostazione generale, banale e compiaciuta, con una ripetuta e scontatissima dicotomia fra l'arte (e la creatività) e l'aridità (e l'indifferenza) del mondo circostante. Bradley Whitford è Stephen Sondheim, l'idolo di Jonathan, uno fra i pochi a sostenerlo. Judith Light è Rosa, l'evanescente manager. Fra i performer: Joshua Henry e Vanessa Hudgens. Molti i cameo di personaggi e celebrità del mondo dello spettacolo teatrale newyorkese. Due nomination agli Oscar per l'attore (Garfield) e il montaggio.

16 febbraio 2022

Il gioco del destino e della fantasia (R. Hamaguchi, 2021)

Il gioco del destino e della fantasia (Guzen to sozo)
di Ryusuke Hamaguchi – Giappone 2021
con Kotone Furukawa, Katsuki Mori, Fusako Urabe
**1/2

Visto in TV (RaiPlay), in originale con sottotitoli.

Tre storie "minimaliste" (con protagoniste femminili) per un film a episodi sull'amore, le coincidenze, le finzioni, gli inganni, gli errori e la scoperta di sé. Accompagnate dalla musica per piano di Schumann, le tre vicende sono slegate l'una dall'altra ma condividono uno stile asciutto, basato su lunghi dialoghi e una regia poco invadente. Il regista, anche sceneggiatore, di solito realizza "film fiume": qui invece si è messo alla prova con la breve durata (praticamente si tratta di tre cortometraggi), con risultati in crescendo. Orso d'argento (gran premio della giuria) a Berlino.

1. "Magia (o qualcosa di meno rassicurante)" (*1/2): quando l'amica Tsugumi (Hyunri) le racconta dell'incontro "magico" avuto con un ragazzo, la fotomodella Meiko (Kotone Furukawa) capisce che si tratta del suo ex, Kazuaki (Ayumu Nakajima), che l'aveva lasciata due anni prima. E torna da lui per riconquistarlo, o almeno per costringerlo a scegliere fra lei e l'amica... Personaggi non particolarmente simpatici e dialoghi sull'amore intellettuali e noiosi, per l'episodio più scontato e meno interessante dei tre. Lo stile, per certi versi, mi ha ricordato quello del coreano Hong Sang-soo (vedi anche la sequenza in cui Meiko si immagina la possibile reazione degli altri due).

2. "La porta spalancata" (**1/2): per vendicarsi del professor Segawa (Kiyohiko Shibukawa), l'insegnante che lo aveva bocciato all'università, lo studente Sasaki (Shouma Kai) convince l'amica Nao (Katsuki Mori) a sedurlo e a registrare l'audio del loro incontro per screditarlo. Ma la donna rimane colpita dalla sensibilità dell'insegnante, capace di scrutare nel profondo delle sue insicurezze e dei suoi traumi... La lunga sequenza dell'incontro fra Nao e Segawa nell'ufficio di lui, la cui porta rimane sempre aperta e dove lei – per "tentarlo" – legge ad alta voce un passo particolarmente erotico del libro da lui scritto, è al cuore di un episodio intenso e terapeutico.

3. "Ancora una volta" (***): in un mondo in cui un virus informatico ha reso inutilizzabili i mezzi di comunicazione digitali, Natsuko (Fusako Urabe) torna al suo paese di origine per partecipare a una rimpatriata con le compagne del liceo, nella speranza di rivedere Mika, il suo primo amore, di cui non ha notizie da vent'anni. Ma per un malinteso scambia per lei Aya, un'estranea che a sua volta è rimasta legata a un'amicizia da tempo persa di vista. Dopo aver chiarito l'equivoco, le due donne "reciteranno" ciascuna la parte dell'amica perduta, aiutandosi a darsi sostegno a vicenda e a fare un bilancio della propria vita. Sicuramente l'episodio migliore dei tre, sorprendente e delicato.

15 febbraio 2022

I gemelli (Ivan Reitman, 1988)

I gemelli (Twins)
di Ivan Reitman – USA 1988
con Arnold Schwarzenegger, Danny DeVito
*1/2

Rivisto in TV (Now Tv), per ricordare Ivan Reitman.

Nati in laboratorio come risultato di un esperimento scientifico, i gemelli Julius (Schwarzy) e Vincent (DeVito) sono stati separati alla nascita. Si ritroveranno per andare alla ricerca della madre. Per la prima volta Schwarzenegger è protagonista di una commedia (o quasi, visto che anche "Commando", dopo tutto, poteva essere definita tale), aprendosi una carriera che porterà avanti sporadicamente (con titoli come "Un poliziotto alle elementari" e "Junior", sempre diretti da Ivan Reitman), anche se naturalmente non manca una sottotrama più avventurosa/d'azione, quella legata al furto – da parte del fratello Vincent – di un'auto nel cui portabagagli c'è un motore d'aereo sperimentale trafugato da una spia industriale. L'umorismo è però di grana grossa, e di fatto si incentra su un'unica idea, certamente poco originale: quella di mettere a confronto due personaggi all'opposto per fisicità (Julius è "l'uomo perfetto", aitante e muscoloso; Vincent è basso, grasso, calvo) e personalità (Julius è intelligente ma ingenuo, avendo vissuto sempre su un'isola tropicale; Vincent è furbo, imbroglione, manipolatore). Nel complesso è una pellicola dozzinale, che offre un divertimento ingenuo e infantile senza particolare spessore. A parte i due protagonisti (meglio comunque DeVito: Schwarzy appare molto impacciato), gli altri personaggi sono macchiette insulse, a partire dai comprimari femminili (Kelly Preston e Chloe Webb). Marshall Bell è la spia killer, Bonnie Bartlett la madre dei gemelli. Da sottolineare la scena in cui Arnold se la ride davanti a un poster di "Rambo" con Sylvester Stallone. Reitman stava per realizzare un seguito a distanza di trent'anni ("Triplets", con Eddie Murphy nel ruolo di un terzo gemello) quando è morto.

13 febbraio 2022

Il potere del cane (Jane Campion, 2021)

Il potere del cane (The power of the dog)
di Jane Campion – GB/Australia/NZ/Canada 2021
con Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst
**1/2

Visto in TV (Netflix).

Montana, 1925: quando suo fratello George (Jesse Plemons) si sposa con Rose (Kirsten Dunst), locandiera vedova con un figlio studioso e delicato (Kodi Smit-McPhee), il ranchero Phil (Benedict Cumberbatch) fa di tutto per rendere loro la vita difficile con il suo atteggiamento aggressivo, rozzo e scostante, apparentemente infastidito soprattutto dai modi gentili ed effemminati del ragazzo. Ma forse c'è qualcosa di più, e il rapporto fra Phil e il giovane Peter riecheggia in qualche modo quello fra l'uomo e il suo mentore di un tempo, l'enigmatico Bronco Henry... Da un romanzo di Thomas Savage, una pellicola che si svolge sul filo dell'ambiguità dei sentimenti, mai esplicitati fino in fondo oppure nascosti sotto la patina dei ruoli e delle maschere che ciascuno indossa. Un western (moderno) incentrato sulle finezze psicologiche sembrerebbe manna dal cielo, e infatti la critica ha gradito parecchio (ben 12 nomination agli Oscar, con la forte probabilità di portare a casa i premi più importanti!). Eppure, sin dai tempi di "Lezioni di piano", c'è sempre qualcosa nei film della Campion che non mi va a genio e che mi lascia la sensazione di aver perso il mio tempo a guardarli: l'impressione di un mondo artefatto e fasullo, che sotto l'apparente ambiguità nasconde psicologie da romanzo Harmony, con una confezione patinata e manierista, emozioni e sentimenti artificiali e caratterizzazioni di carta velina. Il risultato è un film in gran parte noioso, trascinato e manierista, che si ravviva però nel finale, quando lo "scontro" fra gli unici due personaggi che contano davvero nella storia (ovvero Phil e Peter: Rose e George invece, nonostante il lungo tempo di esposizione sullo schermo, restano figure marginali e, nel caso di lei, patetiche) si fa più diretto e persino esplicito. Rimane dentro anche una buona atmosfera, veicolata dalla bella colonna sonora (di Jonny Greenwood dei Radiohead) e dai paesaggi malickiani (il "cane" del titolo è legato alla conformazione dei monti che circondano le pianure in cui si svolge la storia). Ottimi gli interpreti. La Campion non dirigeva un film cinematografico da 12 anni, ovvero dall'orribile "Bright star".

11 febbraio 2022

A proposito dei Ricardo (A. Sorkin, 2021)

A proposito dei Ricardo (Being the Ricardos)
di Aaron Sorkin – USA 2021
con Nicole Kidman, Javier Bardem
**

Visto in TV (Prime Video).

America, anni cinquanta: Lucille Ball (Nicole Kidman) e Desi Arnaz (Javier Bardem), coppia nel lavoro e nella vita, interpretano i coniugi Ricardo, protagonisti di "I love Lucy" ("Lucy ed io", in italiano), la più popolare sitcom della televisione americana. Ma mentre si apprestano a registrare la puntata settimanale, la loro vita privata e pubblica è messa a repentaglio da più parti. Da un lato, infatti, sulla stampa filtra la voce che Lucille possa aver simpatizzato in passato per il partito comunista (siamo in piena epoca Maccartista!), il che preoccupa non poco i responsabili del canale televisivo e quelli dell'azienda del tabacco che sponsorizza lo show; dall'altro, la stessa relazione coniugale fra Lucille e Desi è scossa dai sospetti di tradimento che la donna ha nei confronti dell'uomo, proprio nel momento in cui scopre di stare aspettando un bambino... E così gelosie e tensioni si riversano nel lavoro quotidiano, fra frecciatine e litigi con i collaboratori. Il terzo film di Sorkin è, ancora una volta, ispirato a una storia vera e a personaggi reali, e si iscrive nel filone nostalgico e autocelebrativo con cui l'industria dell'intrattenimento americana ama rivisitare e ritrarre sé stessa. "I love Lucy" è stata infatti una pietra miliare della tv a stelle e strisce, tuttora considerata una delle sitcom più influenti e popolari di sempre. Attrice cinematografica di secondo piano (la ricordiamo per piccole particine in alcuni film di Astaire e Rogers), la Ball trovò infatti la fama dapprima in radio e poi in tv, come ci mostrano una serie di flashback che interrompono il flusso degli eventi (la storia vera e propria si svolge nell'arco di una settimana, quella che precede la messa in scena della puntata del programma) e che raccontano anche l'incontro e il matrimonio con Arnaz, esule cubano e una delle prime stelle "latine" della tv americana. Ma nel complesso i personaggi (la perfezionista Ball e l'istrionico Arnaz) qui sono molto meno interessanti della storia e dell'ambiente di contorno. J. K. Simmons e Nina Arianda sono William Frawley e Vivian Vance, i comprimari della sitcom. Tony Hale è il produttore esecutivo Jess Oppenheimer, Alia Shawkat la sceneggiatrice Madelyn Pugh: questi ultimi due personaggi, insieme all'altro sceneggiatore Bob Carroll Jr., appaiono anche da "anziani" in una serie di finte interviste che incorniciano la pellicola come se si trattasse di un documentario. Curiosamente è del tutto assente, invece, il direttore della fotografia Karl Freund, figura chiave per il successo dello show originale. Tre nomination agli Oscar, tutte per gli interpreti (Bardem, Kidman e Simmons). Il progetto originale, che risale al 2015, prevedeva Cate Blanchett come protagonista e Sorkin soltanto alla sceneggiatura.

10 febbraio 2022

2002: la seconda odissea (D. Trumbull, 1972)

2002: la seconda odissea (Silent running)
di Douglas Trumbull – USA 1972
con Bruce Dern, Cliff Potts
**1/2

Rivisto in divx, per ricordare Douglas Trumbull.

L'ultimo tentativo di preservare le foreste e la vegetazione terrestre, ormai estinte e impossibilitate a crescere su un pianeta dove la natura è stata sacrificata al progresso e all'urbanizzazione, è quello di provare a coltivarle nello spazio, in enormi serre e cupole geodetiche in orbita attorno a Saturno. Ma quando il progetto viene definitivamente interrotto, il "giardiniere spaziale" Lowell (Bruce Dern) decide di salvare a ogni costo l'ultima cupola rimasta, lanciandola alla deriva oltre gli anelli di Saturno e dedicandosi alla coltivazione delle piante con l'aiuto soltanto di due droni per la manutenzione, robot bipedi che lui stesso ha riprogrammato e che, nel tentativo di umanizzarli, ha battezzato "Paperino" e "Paperina". Primo degli unici due film diretti da Douglas Trumbull, specialista degli effetti speciali e collaboratore fondamentale in tanti film di fantascienza: in particolare ha realizzato o supervisionato gli effetti visivi di pellicole come "2001: Odissea nello spazio", "Incontri ravvicinati del terzo tipo", "Blade Runner" e il primo film di "Star Trek". Forse proprio per la sua presenza, i distributori italiani dell'epoca decisero di spacciare questo film come un seguito di "2001", appioppandogli un titolo fuorviante ma apparentemente inequivocabile e persino modificando parte dei dialoghi con riferimenti al monolito nero e al computer HAL 9000 (per fortuna un ridoppiaggio successivo, nel 2002, ha rimesso le cose a posto). A parte l'ambientazione futuristica e la messa in scena della solitudine di un uomo nello spazio, in realtà, il film non ha quasi nient'altro in comune con il capolavoro di Kubrick. Non gli mancano comunque i pregi, a partire dallo sguardo pessimista su un futuro dove la conservazione delle risorse naturali non sembra importare più a nessuno, se non a un singolo individuo che per questo motivo si trova isolato dal resto dell'umanità, costretto a condividere il proprio compito soltanto con dei robot (oltre, naturalmente, con le piante e con piccoli animali). L'intera pellicola conta solo quattro interpreti, tre dei quali (Cliff Potts, Ron Rifkin e Jesse Vint, i compagni di Lowell a bordo dell'astronave) escono di scena dopo appena mezz'ora. Per il resto ci sono solo le voci provenienti dal comando della flotta, nonché i droni/robot semoventi (all'interno dei quali si muovevano degli attori amputati bilaterali). Alla sceneggiatura ha collaborato Michael Cimino. Colonna sonora di Peter Schickele, con due canzoni interpretate da Joan Baez. Nella versione originale, i nomi che il protagonista affibbia ai tre droni sono Dewey, Huey e Louie (ovvero Qui, Quo e Qua). Chi cercasse realmente un seguito di "2001" dovrà attendere il 1984, quando uscirà "2010: l'anno del contatto".

8 febbraio 2022

Starship troopers (Paul Verhoeven, 1997)

Starship troopers - Fanteria dello spazio (Starship Troopers)
di Paul Verhoeven – USA 1997
con Casper Van Dien, Denise Richards
***

Rivisto in TV (Disney+).

In un futuro in cui tutte le nazioni della Terra sono unite in una federazione governata da una giunta militare (e dove soltanto l'aver svolto un periodo di servizio sotto le armi garantisce diritti e cittadinanza), gli esseri umani si ritrovano a fronteggiare una minaccia aliena: una razza di insetti giganteschi, ostili e letali, provenienti da un distante pianeta. Per amore della compagna di studi Carmen Ibanez (Denise Richards), il giovane Johnny Rico (Casper Van Dien) si arruola nella fanteria mobile, inizialmente senza troppa convinzione: ma dopo che la loro nativa Buenos Aires è stata spazzata via da un attacco a tradimento degli insetti, getterà tutto sé stesso nella guerra contro il nemico. Tratto – non senza libertà – dal celebre e iconico romanzo di Robert A. Heinlein (che ha ispirato decine di altre opere: il cartone giapponese "Gundam", per dirne una), adattato dallo sceneggiatore Edward Neumeier, un caposaldo della fantascienza bellica, testosteronica e d'azione. La satira del militarismo (non senza pizzichi di black humour sparsi a piene mani: "La fanteria ha fatto di me l'uomo che sono", dice a Rico un veterano completamente menomato) e della propaganda in tempo di guerra ("L'unico insetto buono è un insetto morto"), nonché i rimandi al mondo reale (in particolare alla seconda guerra mondiale: l'attacco a Buenos Aires rievoca chiaramente quello a Pearl Harbour), sono evidenti: eppure c'è stato chi ha incredibilmente frainteso la pellicola, accusandola di celebrare proprio l'atteggiamento guerrafondaio, la xenofobia, i valori fascisti e antidemocratici e la disumanizzazione del nemico (cosa c'è di più disumano di un insetto?) di cui invece si prende gioco. [A questo proposito, cito una frase attribuita allo stesso Heinlein: "C'è un termine tecnico per chi confonde le opinioni di un personaggio di un libro con quelle dell'autore. Il termine è idiota."] Contenuti e forma vanno di pari passo nel mettere in scena – esagerando a più non posso – un mondo dove l'essere guerrieri e morire per la patria è la massima aspirazione, dove i bambini schiacciano scarafaggi per la strada (e i video in stile "Istituto Luce" commentano: "Ognuno sta facendo la sua parte"), dove i giovani sono tutti belli, aitanti, atletici, insomma dei soldati ariani perfetti, e gioiscono nell'infliggere paura e dolore ai nemici...

Le vicende personali dei protagonisti, che si dipanano nell'arco della guerra, sono quasi un contorno: Johnny, Carmen, e gli amici Carl (Neil Patrick Harris), Dizzy (Dina Meyer), Ace (Jake Busey), Zender (Patrick Muldoon) fanno carriere parallele e diverse: chi nella fanteria, appunto, la "carne da macello" che viene mandata a morire su pianeti alieni, combattendo in prima linea i nemici; chi nella flotta spaziale, come pilota di gigantesche e sofisticati astronavi (anche se il film si limita a mostrare tutta questa tecnologia senza indugiare nei dettagli del loro funzionamento); chi nell'intelligence o nella catena di comando (soprattutto se dimostra di possedere dei poteri ESP). Gli effetti speciali (nominati all'Oscar) sono ottimi, così come l'avvolgente world building, anche se l'insieme è mantenuto al necessario livello di semplicità e ingenuità, quasi in stile fantascienza anni '50 (dove gli insetti giganti erano una costante!), come testimoniano anche le scenografie elementari, i colori luminosi (per certi versi il film è all'opposto dell'"Aliens" di James Cameron, dominato invece da claustrofobia e oscurità), i sentimenti (le storie d'amore incrociate: Johnny ama Carmen, ma è amato da Dizzy) e le emozioni primordiali. La vicenda è complessivamente lineare, senza "cattivi" o traditori fra gli esseri umani (l'unica tensione è quella fra Rico e Zender, rivali in amore), mentre le scene di violenza sono parecchie e sfociano nello splatter (arti tranciati in combattimento, soldati squartati, cervelli risucchiati), allo scopo di mostrare in tutta la sua tragicità il "lato sporco" della guerra che manda a morire migliaia di giovani reclute. Da notare che nel mondo del futuro c'è quantomeno la parità di genere: uomini e donne si dividono equamente ruoli di potere, comandanti e soldati, senza barriere e distinzioni: anzi, spesso le donne sono toste quanto e più dei maschi (e fanno la doccia insieme!). Nel vasto cast anche Michael Ironside (l'insegnante e poi tenente Rasczak), Clancy Brown (il sergente istruttore Zim), Brenda Strong (il capitano dell'astronave). Per Verhoeven era il terzo film di SF "fracassona" (ma di qualità) girato a Hollywood, dopo "RoboCop" e "Atto di forza". Il regista olandese non sarà coinvolto però nei due sequel a basso costo e nei due film d'animazione che usciranno negli anni successivi.

6 febbraio 2022

The house (aavv, 2022)

The House (id.)
di Emma de Swaef, Marc James Roels, Niki Lindroth von Bahr, Paloma Baeza – Gran Bretagna 2022
animazione a passo uno
**1/2

Visto in TV (Netflix).

Tre episodi (di mezz'ora ciascuno) in animazione stop motion, surreali e inquietanti, ambientati nella stessa casa ma in contesti ed epoche diverse. Cambiano anche i protagonisti: umani nel primo segmento, topi e gatti antropomorfi negli altri due. La produzione è degli studi londinesi di Nexus, che ha affidato ciascuno dei tre episodi a un team di animatori differente, mentre la sceneggiatura dell'intera pellicola è di Enda Walsh. I temi sono kafkiani (soprattutto nei primi due capitoli), mentre l'atmosfera ricorda a tratti il cinema di Jan Švankmajer, con tocchi persino di Lynch e Cronenberg. Il primo episodio, "E dentro di me, si tessero menzogne" (diretto da Emma de Swaef e Marc James Roels), è una favola cupa e dark, horror e angosciante, che ci racconta l'origine della casa. Siamo in epoca vittoriana: un misterioso ed eccentrico architetto si offre di costruire una nuova dimora per una famiglia povera che vive in campagna. Ma i suoi abitanti si ritroveranno trasformati in parte del mobilio. Il secondo episodio, "È smarrita la verità che non si può vincere" (diretto da Niki Lindroth von Bahr), si svolge in epoca contemporanea. Un topo ristruttura la casa in stile moderno, con l'intenzione di venderla. Ma dopo un disastroso party per presentarla ai potenziali acquirenti, scopre che due di questi si sono stabiliti nella dimora e non intendono andarsene, proprio come scarafaggi o parassiti. È decisamente l'episodio più kafkiano e surreale. Il terzo, "Ascolta bene e cerca la luce del sole" (diretto da Paloma Baeza), si svolge in un imprecisato futuro post-apocalittico, dove un'inondazione ha ricoperto quasi tutto il territorio circostante. La casa, circondata dalle acque, ospita adesso la gatta Rosa, che sogna di riammodernarla per farne una pensione. Ma gli unici due ospiti, il pigro Elias e la sciroccata Jen, non hanno il denaro per pagarla... È l'unico dei tre episodi che si conclude in qualche modo con un messaggio positivo, invitando a prendere in mano il controllo della propria vita e a non rimanere attaccati alle fondamenta (della casa, ovvio!), al contrario dei primi due segmenti dove l'attaccamento ai beni materiali finiva col far perdere ai personaggi la propria identità. Un tema dunque esistenziale ma al tempo stesso concreto e di notevole interesse, per un film che merita di certo una visione.

3 febbraio 2022

La ragazza con la pistola (M. Monicelli, 1968)

La ragazza con la pistola
di Mario Monicelli – Italia 1968
con Monica Vitti, Carlo Giuffré
***

Visto in TV (Prime Video), per ricordare Monica Vitti.

Rapita (più o meno volontariamente), sedotta e abbandonata dal compaesano Vincenzo (Carlo Giuffré), che poi se ne fugge in Gran Bretagna, la siciliana Assunta Patanè (Monica Vitti) parte alla sua ricerca armata di pistola per vendicare il proprio onore e quello della sua famiglia. L'inseguimento all'uomo, che continua a sfuggirle, la porterà da Edimburgo (in Scozia) a Sheffield, da Bath a Londra, fino a Brighton: un viaggio e una permanenza in un paese così diverso e distante da quello di origine che finiranno per cambiarla profondamente. Diventerà infatti una ragazza moderna, cambierà abbigliamento e acconciatura, metterà in discussione i vecchi valori di una terra arcaica e arretrata, legati all'onore e ai ruoli della donna e dell'uomo, e infine si prenderà a suo modo una rivincita, ribaltando i ruoli e gli stereotipi. Se la forma è quella della commedia (all'italiana), non scevra di macchiette e di gag, i contenuti di questo film epocale sono dunque da contestualizzare e legati al movimento di liberazione ed emancipazione della donna, di cui la protagonista – attraverso le sue varie avventure – diventa simbolo e paradigma. Per la Vitti, fino ad allora identificata con il cinema di Antonioni, fu uno dei primi ruoli comici di una carriera che si rinnoverà in maniera brillante, pur non rinnegando mai lo spessore messo in mostra nelle esperienze precedenti. La scelta di ambientare quasi tutta la pellicola in un paese lontano e diverso (il contrasto fra i paesaggi, le usanze, la lingua, è sempre sottolineato con precisione e rispetto, pur nel contesto comico e parodistico), in un panorama sociale caratterizzato da costumi "liberi", fra omosessuali, sportivi, modelle e contestazione giovanile, consente di portare in primo piano la personalità della protagonista, impegnata a portare a termine la "commissione", con le sue contraddizioni sui ruoli di genere ("Un vero uomo ci deve provare, ma una vera donna si deve difendere"). Stanley Baker è il dottore dell'ospedale di Bath di cui Assunta si innamora, Anthony Booth il giocatore di rugby che la ospita a Sheffield, Corin Redgrave il suicida gay, Stefano Satta Flores il cameriere al ristorante italiano. Le scene ambientate in Sicilia sono state girate in realtà in Puglia (a Polignano a Mare e a Conversano). Alla sceneggiatura ha collaborato Luigi Magni.

2 febbraio 2022

Ladri di saponette (Maurizio Nichetti, 1989)

Ladri di saponette
di Maurizio Nichetti – Italia 1989
con Maurizio Nichetti, Caterina Sylos Labini
**1/2

Rivisto in divx.

Il regista Maurizio Nichetti è ospite in uno studio televisivo per presentare il suo ultimo film, un omaggio neorealista a "Ladri di biciclette" di Vittorio De Sica, che andrà in onda in serata. Ma le continue e invadenti interruzioni pubblicitarie creano uno strano cortocircuito con la pellicola: i personaggi del film – un disoccupato nell'Italia del dopoguerra (interpretato sempre da Nichetti, ma senza baffi) e la sua famiglia – si ritrovano a interagire con quelli dei commercial, scambiandosi di posto, e la trama deraglia. A un certo punto lo stesso Nichetti deve "entrare" nella pellicola per cercare di riportare la storia sui binari originali. Il quinto film del regista milanese è forse il suo lavoro più famoso e paradigmatico, per come gioca con uno dei temi a lui più cari, ovvero la dissonanza fra realtà e fantasia. O fra due tipi diversi di fantasia: quella del cinema neorealista, con il suo mondo in bianco e nero, funestato da drammi sociali ed eventi tragici; e quello della pubblicità, colorato e popolato da accattivanti jingle, da modelle seminude e inviti al consumismo. Attraverso la televisione, mezzo che non si fa scrupolo di mescolare le carte (le interruzioni pubblicitarie irrompono nei momenti meno opportuni, troncando le battute e alterando il flusso delle emozioni), anche mondi all'apparenza distinti possono fondersi e mescolarsi: e così un bambino povero viene esposto a merendine e giocattoli, una moglie disperata (Caterina Sylos Labini) si ritrova in un universo di elettrodomestici, un'appariscente modella straniera (Heidi Komarek) viene catapultata nello squallore dell'Italia del dopoguerra. La satira di Nichetti non si limita comunque all'invettiva contro la tv commerciale (o "berlusconiana") dell'epoca, ma è diretta anche ai tanti luoghi comuni del cinema d'autore (si pensi ad alcuni personaggi del film neorealista, come il prete interpretato da Renato Scarpa), all'intellettualità dei critici cinematografici (con Claudio G. Fava che interpreta sé stesso, disquisendo di Melville e di Lubitsch) e alle modalità di consumo di film e tv, distratta e superficiale, di una famiglia borghese qualunque (Massimo Sacilotto e Carlina Torta). Oggi il film passa raramente in televisione, forse perché avendo molte pubblicità inglobate al proprio interno (fasulle, come un recupero di "Ho fatto splash" proveniente dall'omonimo film dello stesso Nichetti, o reali, come quelle celebri del Cynar e del detersivo Aiax) si corre il rischio di confonderle con quelle che davvero interrompono in continuazione i programmi sui canali generalisti. Le musiche sono di Manuel De Sica, figlio appunto di Vittorio!