Visualizzazione post con etichetta Montagne. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Montagne. Mostra tutti i post

26 maggio 2023

Le otto montagne (Van Groeningen, Vandermeersch, 2022)

Le otto montagne
di Felix Van Groeningen, Charlotte Vandermeersch – Italia/Bel/Fra 2022
con Luca Marinelli, Alessandro Borghi
**1/2

Visto in TV (Sky Cinema), con Sabrina.

La storia dell'amicizia fra Pietro (Luca Marinelli) e Bruno (Alessandro Borghi), dal loro primo incontro da bambini – quando il primo, "cittadino" e introverso, si reca in vacanza con la famiglia da Torino sulle Alpi valdostane e conosce il secondo, bimbo "montanaro" e incolto – a quando, da adulti (e dopo la morte del padre di Pietro (Filippo Timi), l'uomo che aveva fatto innamorare il primo della montagna e aveva "adottato" il secondo come un figlio sostituto nel periodo in cui il vero figlio, per ribellione, non gli parlava più), restaureranno un vecchio rudere in alta quota per trascorrervi le estati; fino a quando le differenti personalità li spingeranno a prendere strade diverse. Pietro girerà il mondo alla ricerca di sé stesso, trovando un nuovo equilibrio scalando le vette tibetane; Bruno, invece, si inselvatichirà e si chiuderà sempre più in sé, incapace di lasciare la montagna dove è nato e cresciuto: due atteggiamenti di fronte alla vita che si rispecchiano nella metafora buddista delle "otto montagne" che circondano il mondo: è meglio fare il loro giro oppure rimanere al centro senza muoversi? Dal romanzo di Paolo Cognetti (vincitore del premio Strega), sceneggiato da una coppia di registi belgi (lei, in precedenza solo sceneggiatrice dei film di lui, firma qui la sua prima co-regia), una storia di amicizia ad ampio raggio (temporale e geografico), focalizzata su due personaggi agli opposti eppure in grande sintonia, accomunati soprattutto dall'amore per la montagna e dal rifiuto dei compromessi e dell'adattarsi alla vita "cittadina". Il soggetto è notevole, i temi profondi, i personaggi in grado di catturare lo spettatore, che potrebbe identificarsi nell'uno o nell'altro: peccato che l'esecuzione sia un po' zoppicante, soprattutto a livello di scrittura, con dialoghi e passaggi da fiction televisiva. Anche recitazione e regia non brillano più di tanto. Almeno ci sono bei paesaggi. Girato in 4:3. Premio della giuria a Cannes.

5 gennaio 2022

Il tempo si è fermato (Ermanno Olmi, 1959)

Il tempo si è fermato
di Ermanno Olmi – Italia 1959
con Natale Rossi, Roberto Seveso
***

Visto in TV (RaiPlay).

Il giovane studente Roberto (Seveso) trova lavoro durante il periodo invernale come guardiano presso la diga dell'Adamello, in alta montagna, in sostituzione di un collega, e raggiunge così l'anziano Natale (Rossi), che già si trova sul posto. All'inizio la convivenza fra i due è difficile, avendo poco in comune, a partire dall'età, dal carattere (esuberante l'uno, taciturno l'altro) e dall'esperienza: ma pian piano, da soli in una baracca sferzata dalla neve e immersa nel silenzio, diventeranno amici, complice anche una notte difficile per via di una tempesta. Il primo lungometraggio di Ermanno Olmi, girato con attori non professionisti, quasi non ha trama e punta sul realismo nel descrivere le condizioni di vita e i rapporti fra i due personaggi. Olmi aveva inizialmente concepito il progetto come documentario per conto della Edison-Volta, la compagnia energetica per la quale lavorava e per cui aveva già filmato numerosi cortometraggi aziendali. La semplicità dei personaggi, il realismo dell'ambientazione, le emozioni pure e distillate che vengono alla luce con facilità e senza la necessità di ricorrere a colpi di scena o a trovate drammaturgiche, favoriscono l'immersione dello spettatore in un quadro minimalista dove la natura stessa (la montagna, la neve, il silenzio) è protagonista al pari dei due uomini. Anche la regia si adegua, risultando rigorosa e rifuggendo la spettacolarità. Gran parte dei dialoghi, soprattutto quando parla Natale, sono in dialetto. Il titolo è identico a quello di un (bel) thriller americano del 1948.

8 dicembre 2021

La vetta degli dei (Patrick Imbert, 2021)

La vetta degli dei (Le sommet des dieux)
di Patrick Imbert – Francia 2021
animazione tradizionale
**

Visto in TV (Netflix).

Sulle tracce del leggendario scalatore Habu Joji, scomparso misteriosamente dalla scena anni prima in seguito a una tragedia personale (la morte di un suo giovane compagno di cordata), il fotoreporter Fukamachi crede di averlo rintracciato in Nepal, dove si sta apprestando a scalare in solitaria, e senza ossigeno, la pericolosa parete sud-ovest dell'Everest. Deciderà di seguirlo, non solo per documentare l'impresa ma anche per svelare un mistero legato alla macchina fotografica di George Mallory, che potrebbe far luce sul destino del primo alpinista ad aver tentato di scalare l'Everest nel 1922. Tratto da un manga di Jiro Taniguchi, a sua volta ispirato a un romanzo di Baku Yumemakura, un film d'animazione di produzione francese ma che, per molti aspetti, potrebbe sembrare giapponese. Lo stile di disegno è estremamente realistico, così come i fondali, al punto da chiedersi che motivo c'era di realizzare la pellicola in animazione anziché in live action. La storia, appassionante, è purtroppo poco originale: i "soliti" temi dello scalatore che si spinge oltre i limiti perché, interrogato su cosa lo spinga a scalare montagne, afferma: "Non posso vivere senza". Se Habu è una figura interessante e complessa (bravo ma arrogante, che vuole fare tutto da solo), il protagonista Fukamachi è praticamente privo di caratterizzazione. Ma l'ambiente delle montagne, della neve e dei pericoli dell'alpinismo, con il confronto fra uomo e natura, è ben rappresentato.

14 gennaio 2021

Lo straniero della valle oscura (A. Prochaska, 2014)

Lo straniero della valle oscura - The Dark Valley (Das finstere Tal)
di Andreas Prochaska – Austria/Germania 2014
con Sam Riley, Paula Beer
**

Visto in TV, con Sabrina.

Il fotografo itinerante Greider (Sam Riley) giunge in una valle inospitale dove spadroneggia la famiglia Brenner, che gestisce la legge in maniera feudale, con tanto di ius primae noctis imposto agli abitanti. In effetti Greider è lì per vendicare la madre, che vent'anni prima fu vittima della famiglia. Ambientato fra le nevi delle Alpi, un cupissimo e insolito "western" europeo, dai toni gravi e opprimenti, anche nella fotografia gelida e nella colonna sonora ricca di bassi (se si eccettua una canzone pop che c'entra come i cavoli a merenda). Per quanto i temi siano inflazionati (lo straniero, la vendetta) e il contesto sia implausibile dal punto di vista storico, l'atmosfera (anche grazie alla regia e alla fotografia) è notevole: il terrore imposto dai Brenner al villaggio, la rabbia repressa della giovane Luzi, il ritmo lento ma elegante, le sparatorie nella neve... sono tutti elementi che affiorano concretamente dalle immagini sullo schermo. Meglio sorvolare invece sulla struttura narrativa (il poco mistero che c'è all'inizio sull'identità dello straniero e su quella di colui che uccide i fratelli Brenner, ovvero se coincidano o meno, viene subito svelato) e su alcune scelte inspiegabili dei personaggi (come quando Greider, pur avendo i suoi nemici a portata di fucile, li risparmia). E naturalmente, a parte gli scenari montuosi, non c'è nulla di europeo o tantomeno di alpino nei personaggi, negli abiti e nelle scenografie, tanto che – se non fosse per alcuni accenni nei dialoghi – sembrerebbe di trovarsi fra le montagne del Nord America. Tratto da un romanzo del tedesco Thomas Willmann, il film è stato girato in Alto Adige, per la precisione in Val Senales.

1 ottobre 2020

La ragazza nella nebbia (D. Carrisi, 2017)

La ragazza nella nebbia
di Donato Carrisi – Italia 2017
con Toni Servillo, Alessio Boni
**

Visto in TV, con Sabrina.

In una cittadina di montagna, isolata in una valle delle Alpi, una ragazza sparisce misteriosamente alla vigilia di Natale. A indagare sulla sua scomparsa, temendo sia rimasta vittima di un omicidio, giunge lo spregiudicato ispettore Vogel (Toni Servillo), i cui metodi consistono nel richiamare l'attenzione dei mass media e spettacolarizzare la vicenda, manipolando le informazioni e spingendo così il colpevole a commettere un passo falso. Colpevole che l'ispettore ritiene di aver individuato nel professor Martini (Alessio Boni), insegnante nel liceo locale: e pur avendo soltanto lievi indizi, non esita a manipolare le prove per poterlo arrestare... L'opera prima dello scrittore Donato Carrisi, tratta ovviamente da un suo romanzo, è un giallo-noir ricco di colpi di scena e dalla struttura non banale (la vicenda principale è in realtà raccontata in flashback dallo stesso ispettore Vogel al dottor Flores (Jean Reno), psichiatra che lo interroga perché a sua volta è accusato di un omicidio), con un soggetto interessante (anche se per molti versi implausibile) ma numerosi problemi a livello di sceneggiatura. E non mi riferisco solo ai dialoghi scolastici, di qualità amatoriale o da fiction televisiva, ma soprattutto alla caratterizzazione dei personaggi, Vogel in primis, per certi versi pretestuosa (e funzionale solo alle necessità dell'intreccio) e per altri oscillante e contraddittoria (è davvero poco credibile, per esempio, che un ispettore che ci è stato presentato come poco interessato alla verità, al punto da non esitare a mandare sotto processo un sospettato senza prove o addirittura falsificandole, nonché abituato a manipolare i media e l'opinione pubblica, si trasformi improvvisamente in un vendicatore in prima persona in nome di un senso di giustizia che mai aveva dimostrato di possedere). Anche l'ambientazione è troppo vaga: girato in Alto Adige (in Val d'Ega, a Nova Levante e Carezza), il film si svolge in una cittadina dal nome francese, dove si parla italiano ma i cognomi sono tedeschi: che volesse essere in Svizzera? Imperdonabile comunque la neve che va e viene, da scena a scena, in maniera casuale. Nel complesso, un film che avrebbe meritato una revisione della sceneggiatura e una regia più esperta, visto che l'idea di base e gli attori di talento non mancavano. Curiosità: dieci anni prima, Servillo aveva interpretato un film per certi versi simile a questo, "La ragazza del lago" di Andrea Molaioli.

3 settembre 2020

I segreti di Wind River (T. Sheridan, 2017)

I segreti di Wind River (Wind River)
di Taylor Sheridan – USA 2017
con Jeremy Renner, Elizabeth Olsen
**

Visto in TV, con Sabrina.

Nella riserva indiana di Wind River, fra le montagne del Wyoming, il cacciatore Cory (Renner) – che ha l'incarico di tenere sotto controllo la fauna selvatica – trova il cadavere di una ragazza fra la neve. Collaborerà con l'inesperta agente dell'FBI Jane (Elizabeth Olsen) nella ricerca del colpevole, anche perché ha un motivo personale: tre anni prima, la sua stessa figlia era morta in circostanze simili. Scritto e diretto da Taylor Sheridan (alla sua prima regia, dopo l'horror semi-amatoriale "Vile" e dopo aver firmato le sceneggiature di altri due thriller ambientati nei luoghi più remoti della frontiera americana, "Sicario" e "Hell or High Water"), un film che ha il suo punto di forza principale nell'ambientazione, monti e pianure innevate dove l'uomo è a contatto diretto con la natura e con i propri istinti primordiali, una vera e propria frontiera dove farsi giustizia da soli – sotto lo sguardo di lupi e puma selvatici – risulta, appunto, naturale. Poco interessante invece la trama gialla (di fatto c'è una sola traccia da seguire, che porta più o meno direttamente al colpevole), come la struttura narrativa (con molte lungaggini) e la caratterizzazione semplicistica dei personaggi (l'unico interessante è il protagonista, mentre comprimari e cattivi sono figurine stereotipate). Graham Greene interpreta lo sceriffo della riserva indiana. Qualche rimando, forse, a "Neve rossa" di Nicholas Ray. Come suggerisce la didascalia conclusiva, il regista voleva porre l'attenzione sul grande numero di donne native americane che vengono violentate e uccise, eppure nulla nel film lascia intendere che la vittima sia stata scelta a causa della sua etnia. Il titolo italiano (come già era capitato con "Brokeback Mountain") scimmiotta "I segreti di Twin Peaks".

22 aprile 2019

Forza maggiore (Ruben Östlund, 2014)

Forza maggiore (Turist, aka Force majeure)
di Ruben Östlund – Svezia/Francia/Norvegia 2014
con Johannes Bah Kuhnke, Lisa Loven Kongsli
***

Visto in TV.

In vacanza per una settimana bianca in un comprensorio sciistico sulle Alpi, una famiglia svedese vede incrinarsi la fiducia e l'armonia al proprio interno quando il primo impulso del capofamiglia Tomas, di fronte a una valanga che sembra stare per abbattersi sulla terrazza del ristorante dove si trovano, è quello di fuggire precipitosamente, abbandonando la moglie e i figli. Una volta scampato il pericolo, l'uomo si ritroverà a dover fare i conti con sé stesso. Ambientato durante quella che avrebbe dovuta essere una settimana bianca idilliaca (il resort è modernissimo, le piste sono vuote e pulite, la famiglia appare all'inizio sin troppo perfetta), il film scava con ficcante lucidità e una punta di cinismo nella psicologia dei suoi personaggi: da Tomas, che inizialmente nega l'accaduto o cerca di rimuoverlo, perché incapace di accettare la parte di sé più debole o di cui si vergogna; a Ebba che non riesce a dimenticare quel che è successo e andare oltre (al punto da fare un "processo" al marito davanti agli amici). E si discute sul come reagire alla paura e alle situazioni di pericolo, sull'importanza degli affetti e dei legami familiari, sui dubbi e le paranoie. Östlund, che aveva iniziato la propria carriera dirigendo proprio alcuni filmati e documentari a tema sciistico, ha affermato di essersi ispirato al caso del capitano Schettino e ad alcuni video su YouTube (come questo per la scena finale). Notevole l'utilizzo della musica di Vivaldi (l'estate dalle "Quattro stagioni"), abbinata alle immagini notturne delle piste vuote, scosse dalle esplosioni o battute dai gatti delle nevi, in un'atmosfera quasi irreale. Il film è stato girato in Francia (a Montchavin-La Plagne) e Italia (al Passo dello Stelvio).

15 settembre 2018

Monte (Amir Naderi, 2016)

Monte
di Amir Naderi – Italia 2016
con Andrea Sartoretti, Claudia Potenza
*1/2

Visto in TV.

Nel medioevo, un contadino e la sua famiglia conducono una vita dura e povera fra le montagne: la loro casa si erge infatti all'ombra di una parete di roccia che nasconde la luce del sole e rende arida la terra. Funestato dagli stenti e dalle difficoltà, ma determinato a non arrendersi, l'uomo decide allora di demolire il monte a martellate. Il regista giramondo Amir Naderi (che dopo aver lavorato nel natìo Iran, negli Stati Uniti e in Giappone, arriva ora in Italia), autore anche della sceneggiatura, del montaggio e del fondamentale sound design, realizza un film cupo e opprimente. Le riprese sono state effettuate nelle Dolomiti (sul gruppo del Latemar e nei paesi di Erto e Casso, ormai spopolati dopo la tragedia del Vajont). Ma sullo schermo, anziché la bellezza delle montagne, a prevalere è la concretezza spoglia e tangibile di terra e rocce senza vita, elementi – come la nebbia e i lupi – del tutto ostili a un uomo impegnato in una personale e continua lotta con la natura. Interessante nelle sue premesse (la potenzialità visionaria del soggetto sarebbe potuta piacere a Werner Herzog), la pellicola si fa via via più astratta ed essenziale, ma anche pesante e dalla visione faticosa. Le lunghe scene del martellamento della parete di roccia sono francamente noiose, anche se in fondo siamo di fronte più a un'allegoria che non a una situazione realistica. E l'uso dei filtri digitali per rendere i colori smorti (al punto che a volte sembra di guardare un film in bianco e nero), sia pure in funzione drammatica, è davvero eccessivo.

11 settembre 2018

Neve rossa (Nicholas Ray, 1951)

Neve rossa (On dangerous ground)
di Nicholas Ray – USA 1951
con Robert Ryan, Ida Lupino
**

Visto in TV.

Trasferito temporaneamente fra le montagne per via dei suoi metodi troppo violenti, un detective di città (Robert Ryan), depresso e collerico, aiuta lo sceriffo locale a indagare sull'omicidio di una ragazza. Scoprirà che l'assassino è un giovane psicolabile che vive in una casa isolata con la sorella cieca (Ida Lupino) che si prende cura di lui. Non riuscirà a salvarlo dalla furia vendicativa del padre della vittima (Ward Bond), ma saprà fare chiarezza dentro di sé, accettando finalmente anche i lati oscuri del proprio lavoro. Da un romanzo di Gerald Butler, un insolito poliziesco che tenta di variare le consuete ambientazioni del genere, spostando il protagonista dalle strade urbane e notturne agli spazi vasti e innevati delle montagne. Non riesce a convincere pienamente a causa della mancanza di equilibrio: impiega troppo tempo ad entrare nel vivo (prima che il protagonista lasci la città passa mezz'ora) e non sfrutta poi abbastanza l'ambientazione montana (da segnalare giusto l'inseguimento fra la neve). Lo stesso Ray lo considerò "un'occasione mancata". Del cast, che appare a sua volta poco convinto della sceneggiatura (anche perché i temi della solitudine e della redenzione sono svolti con troppi cliché), il migliore è Bond nei panni del contadino che vuole farsi giustizia da solo. La musica di Bernard Herrmann fa ampio uso della viola d'amore nelle scene con la Lupino. Piattissimo il ridoppiaggio italiano per la televisione.

3 maggio 2018

La montagna sacra (A. Jodorowsky, 1973)

La montagna sacra (La montaña sagrada)
di Alejandro Jodorowsky – Messico/USA 1973
con Horacio Salinas, Alejandro Jodorowsky
**1/2

Rivisto in divx alla Fogona, con Marisa e Monica.

In un Messico surreale e apocalittico, un ladro che assomiglia a Gesù Cristo (e come tale viene persino usato come "calco" per fabbricare una quantità spropositata di statue di crocifissi) viene "purificato" e poi addestrato da un santone-alchimista (Jodorowsky stesso): insieme ad altre sette persone, si metteranno in cammino per raggiungere la sommità della "montagna sacra", dove si dice che dimorino nove saggi che governano le sorti del mondo... Vagamente ispirato a "Il monte analogo" di René Daumal, uno dei film più celebri, folli e personali di Alejandro Jodorowsky, che firma regia, sceneggiatura, montaggio, vi recita e collabora anche alle scenografie, ai costumi e alla colonna sonora. Ricca (anzi, grondante) di simboli esoterici o alchemici, di immagini forti (anche se il taglio grottesco e kitsch le rende assolutamente digeribili), di allegorie, di metafore socio-politiche, di scene con animali di ogni genere, la pellicola racconta in teoria un viaggio verso l'ignoto e alla scoperta di sé stessi, talmente densa di (possibili) significati che ogni riassunto o descrizione non le renderebbe giustizia: va vista e basta. La sezione iniziale, che introduce il protagonista, ricorda ancora il precedente lungometraggio dell'autore cileno, "El topo", fra figure grottesche o deformi (il nano), ricostruzioni storiche stranianti (la battaglia fra indios e conquistador riprodotta con rospi e camaleonti) e una generale descrizione di un mondo degradato e in preda al caos, in attesa di un salvatore che lo illumini. Nella parte centrale vengono introdotti i sette partecipanti alla scalata al fianco del ladro, del santone e della sua guardia del corpo: costoro rappresentano i "potenti" della terra (imprenditori, politici, militari, intellettuali, ecc.) che hanno però scelto la via ascetica, e ciascuno di loro è associato a un pianeta del sistema solare. Le loro presentazioni, ricche di un grottesco surrealismo, sono fra le sezioni forse più interessanti del film a livello contenutistico. Infine c'è la lunga scalata alla montagna, con una serie di prove da superare. Il film si conclude con lo svelamento del "trucco" cinematografico: Jodorowsky rivela agli spettatori che si tratta solo di un film, e che è necessario cercare la propria via nella realtà. Una trovata simile a quella che, per motivi ovviamente diversi, farà Abbas Kiarostami ne "Il sapore della ciliegia". Decisamente un film unico nel suo genere, da gustare (o forse da centellinare) in maniera appropriata, come pura esperienza estetica-visiva, senza farsi soverchiare dalla densità di stimoli e di contenuti o della ricerca a tutti i costi di un significato implicito.

22 gennaio 2018

Il falò (Fredi M. Murer, 1985)

Il falò - Fuoco alpino (Höhenfeuer)
di Fredi M. Murer – Svizzera 1985
con Thomas Nock, Johanna Lier
**

Visto in divx.

La famiglia degli "Arrabbiati" vive da tempo immemorabile in una malga in alta montagna. Con l'anziano padre (Rolf Illig) e la madre (Dorothea Moritz) ci sono l'irrequieta figlia Belli (Johanna Lier) e il figlio minore Franzi (Thomas Nock), sordomuto e infantile, di cui tutti si prendono cura amorevolmente. Ma la lontananza dal resto del mondo e l'attrazione fra i due ragazzi scatenerà la tragedia. Ambientato in un universo isolato, dominato dai ritmi della natura, dai paesaggi e dai silenzi, il film ha di certo un suo fascino intrinseco, anche se bisogna attendere molto a lungo prima che cominci a succedere davvero qualcosa che scuota la vita dei protagonisti, ravvivando all'improvviso una pellicola fatta più di banalità del quotidiano che di significati e di simbologie (e ambientare una tragedia greca fra i paesaggi alpini e walser, con il senno di poi, non è la migliore delle idee). Originale e interessante, ma anche noioso (tranne gli ultimi venti minuti). Pardo d'oro al Festival di Locarno. Il titolo deriva dal fatto che l'amore incestuoso fra fratello e sorella si sviluppa quando si ritrovano da soli in alta montagna attorno a un falò. È il film più famoso del regista "di nicchia" Fredi Melchior Murer, attivo con alcuni documentari fin dagli anni sessanta.

16 gennaio 2017

La montagna (Edward Dmytryk, 1956)

La montagna (The mountain)
di Edward Dmytryk – USA 1956
con Spencer Tracy, Robert Wagner
**1/2

Visto in divx, con Sabrina.

Zaccaria Teller, veterana guida alpina, ha dato l'addio alle scalate dopo la morte di un suo compagno di cordata, dieci anni prima, di cui si sente responsabile. Da allora vive come pastore nella casa di famiglia, ai piedi delle montagne. Ma quando un aereo di linea, proveniente dall'India, precipita in una zona praticamente impossibile da raggiungere a piedi, l'uomo viene convinto dall'avido fratello minore Cristoforo a tentare una scalata per raggiungere e saccheggiare il relitto. Dopo un'arrampicata piena di rischi e di difficoltà, tuttavia, fra i rottami del velivolo i due fratelli rinvengono una sopravvissuta... Ispirata a un fatto reale (lo schianto di un aereo indiano di linea sul Monte Bianco nel 1950), un'ingenua ma avvincente pellicola ambientata fra le vette delle Alpi francesi che mette in scena le fatiche e le insidie dell'alpinismo, fra pareti di roccia senza appigli, ghiacciai e crepacci, in un'epoca dove il turismo di massa e le odierne attrezzature erano ancora da venire. Un Tracy canuto dà vita a un personaggio stanco e indurito dalle tante esperienze, disilluso ma in cerca di riscatto (la vita che avrà occasione di salvare, ai suoi occhi, compenserà quella di cui si sente responsabile), che ama, teme e rispetta la montagna, al quale si contrappone un fratello minore – ma praticamente un figlio, avendolo cresciuto lui dopo la morte della madre – ribelle ed arrogante, che farebbe qualsiasi cosa per fuggire dalla vita umile e misera alla quale il maggiore (per espiazione?) si è rassegnato. L'avidità di Cristoforo si oppone all'integrità morale di Zaccaria, mentre le riprese di Dmytryk, durante tutta la scalata, sono spettacolari e cariche di tensione nel mostrare la sfida dell'uomo alla natura. Claire Trevor è la contadina innamorata di Zaccaria, Anna Kashfi è la ragazza indiana.

22 settembre 2015

Everest (Baltasar Kormákur, 2015)

Everest (id.)
di Baltasar Kormákur – GB/USA/Islanda 2015
con Jason Clarke, Josh Brolin, Jake Gyllenhaal
*1/2

Visto al cinema Arcobaleno, in originale con sottotitoli
(rassegna di Venezia).

La storia della tragica spedizione sul Monte Everest del maggio 1996, durante la quale persero la vita ben otto scalatori. Era l'epoca in cui la salita sulla vetta più alta della Terra cominciava a essere "commercializzata", con compagnie turistiche che organizzavano ascensioni anche per alpinisti dilettanti: due di queste, l'Adventure Consultants guidata dal neozelandese Rob Hall (Jason Clarke) e la Mountain Madness, guidata dall'americano Scott Fischer (Jake Gyllenhaal), unirono le forze al Campo Base per tentare la scalata insieme. Ma un'improvvisa bufera di neve, oltre a problemi minori di vario genere, provocarono il disastro. Fra i sopravvissuti, il texano Beck Weathers (Josh Brolin), che fu dato a lungo per disperso prima di ritrovare miracolosamente la via per tornare al campo, e il giornalista Jon Krakauer (Michael Kelly), lo stesso di "Into the wild", che faceva parte della spedizione di Hall e raccontò in seguito gli eventi in un celebre libro, "Aria sottile". Se da un lato il film cerca di mantenersi fedele ai fatti, come narrati da Krakauer e dagli altri sopravvissuti, dall'altro cade in tutti i cliché e le convenzioni dei disaster movie, al punto da risultare fin troppo prevedibile in gran parte dei suoi sviluppi. Non mancano nemmeno le scene melodrammatiche con le mogli di alcuni alpinisti, rimaste a casa, che trepidano per le sorti dei propri mariti o compagni. Ma la potenza della natura e l'asperità dell'alta montagna emergono prepotentemente come le vere protagoniste della vicenda: come dice uno degli scalatori, prima di tentare l'impresa, "non si tratta di una competizione fra esseri umani, ma fra gli uomini e la montagna. Ed è la montagna ad avere sempre l'ultima parola". Nel cast hollywoodiano anche Sam Worthington, John Hawkes, Keira Knightley, Emily Watson e Robin Wright. Il regista, islandese (è quello di "The deep"), ha girato gran parte delle scene nelle Alpi Venoste, in Alto Adige (oltre che in Nepal e in Islanda).

20 marzo 2015

Sogni (Akira Kurosawa, 1990)

Sogni (Yume, aka Dreams)
di Akira Kurosawa – Giappone 1990
con Akira Terao, Martin Scorsese
***

Rivisto in divx.

Dopo il successo ottenuto in patria e all'estero con i grandi kolossal storici "Kagemusha" e "Ran", nel 1990 l'ottantenne Kurosawa soprese tutti con un lavoro molto diverso dai precedenti, intimo, personale e onirico: come definire altrimenti una pellicola che mette in scena dei "sogni"? Il film presenta infatti otto episodi, ordinati cronologicamente secondo l'età del protagonista (bambino nei primi due, giovane e via via più adulto nei seguenti, interpretato quasi sempre dall'attore Akira Terao), che pescano dalle paure, dalle speranze, dalle angosce e dalle aspirazioni del regista; curiosamente nessuno di questi è legato direttamente al mondo del cinema, anche se il quinto episodio (quello di Van Gogh) mostra il suo amore per l'arte (come è noto, l'Imperatore inizialmente voleva diventare un pittore, e ripiegò sul cinema solo in un secondo momento). La variopinta e luminosa fotografia di Takao Saito (che trasferisce sullo schermo una serie di disegni e di bozzetti dello stesso Kurosawa), la regia classica e austera del nostro Akira (con la collaborazione di Ishiro "Godzilla" Honda), l'atmosfera da "realismo magico" che permea ogni segmento, gli effetti speciali dell'Industrial Light & Magic di George Lucas (che ha sostenuto la realizzazione della pellicola insieme a Francis Ford Coppola e Steven Spielberg, tutti grandi estimatori del regista nipponico) sono al servizio di otto episodi di diverso tono, significato e valore, ma che nel loro insieme concorrono a creare un mondo interiore complesso e suggestivo. Alla sua uscita, ovviamente, molti critici interpretarono il film come il testamento spirituale del grande regista, l'ultimo tassello di una carriera leggendaria e considerata ormai al termine: Kurosawa smentì tutti sfornando, nel giro di tre anni (cosa insolita per lui, che da un trentennio girava solo un film ogni cinque anni) altre due pellicole, differenti da questa ma altrettanto "intime" e personali: "Rapsodia in agosto" e "Madadayo".
Come già detto, non tutti gli episodi sono belli allo stesso modo, così come le atmosfere variano parecchio (e si fanno via via più cupe man mano che il personaggio invecchia, salvo risollevarsi nel segmento conclusivo). I miei preferiti sono i primi due ("Raggi di sole nella pioggia" e "Il pescheto"), ma per motivi diversi meritano una menzione particolare anche "Il tunnel", "Corvi" e "Il villaggio dei mulini".

"Raggi di sole nella pioggia" - Da bambino, il protagonista (ovvero Kurosawa stesso, anche se il suo nome non viene mai pronunciato in tutto il film) esce di casa nonostante il divieto della madre e si inoltra nella foresta durante un giorno in cui piove e contemporaneamente splende il sole. È in giornate come questa che le volpi (animali "magici" secondo le superstizioni giapponesi) celebrano i loro matrimoni. Avendo spiato una di queste cerimonie, il bambino scatena l'ira delle volpi: e dovrà raggiungere la loro dimora ai piedi dell'arcobaleno per chiedere perdono. Il film si apre con un episodio magico e fiabesco, dominato dalle paure dell'infanzia ma anche dalla curiosità e dalla scoperta.

"Il pescheto" - K. ha ora qualche anno di più. È il giorno della "festa delle bambole" (hina matsuri), che tradizionalmente cade il 3 marzo, quando gli alberi di pesco sono in fiore. Il bambino esce di casa seguendo una misteriosa ragazzina dai vestiti rosa, che lo conduce fino ai campi dove sorgeva il pescheto di famiglia. Qui incontra gli spiriti degli alberi, che lo rimproverano perché le piante sono state tagliate. Ma quando si accorgono che il bambino è sinceramente addolorato per l'accaduto, gli spiriti eseguono una danza e gli permettono di ammirare ancora una volta gli alberi in fiore. Personalmente il mio episodio preferito.

"La tormenta" - Durante il servizio militare, K. e altri scalatori rimangono intrappolati in alta quota, dove sono sorpresi da una tormenta di neve. A uno a uno, i suoi compagni si addormentano in preda alla fatica e al freddo: anche lui viene visitato da uno spirito della montagna sotto le sembianze di una fanciulla, ma riesce a resistere alla sua seduzione ("Soldato, la neve è tiepida") e al suo abbraccio gelido e mortale. Poco più tardi, il sole torna a splendere e le tende del campo base si rivelano essere a pochi passi di distanza. L'episodio forse si ispira alla leggenda giapponese della yuki-onna, la principessa delle nevi.

"Il tunnel" - Terminata la guerra, K. sta tornando a casa lungo una strada fangosa e deserta. Dopo aver attraversato un lungo tunnel, a cui faceva da guardia un cane infernale, K. è raggiunto dai fantasmi dei suoi compagni caduti in battaglia. Dovrà convincerli a tornare indietro, non prima di aver chiesto perdono per essere sopravvissuto mentre loro sono morti. Un segmento inquietante ma di grande suggestione (con il rimbombo dei passi dei soldati in marcia che risuona nel tunnel buio), che mette in scena non solo l'orrore e le conseguenze dell'esperienza bellica ("La guerra è follia!"), ma anche i sensi di colpa dei superstiti.

"Corvi" - Mentre ammira i quadri di Van Gogh esposti in una galleria, K. – che evidentemente è ora uno studente d'arte – "entra" magicamente nei dipinti e vaga alla ricerca del pittore olandese (interpretato da Martin Scorsese: uno dei rari casi in cui il regista italo-americano appare in un film non diretto da lui), di cui è un grande ammiratore. Questi gli spiega che non può fare a meno di dipingere, come in preda a una "febbre", e di essersi tagliato un orecchio perché non gli veniva bene in un autoritratto. Il viaggio di K. nei vibranti colori di Van Gogh termina in un campo di grano da cui improvvisamente si alzano i corvi in volo (metafora del suicidio dell'artista). Oltre che dalle pennellate dei quadri, l'episodio è graziato dal preludio n. 15 di Chopin nella colonna sonora.

"Fuji in rosso" - Con questo e il successivo episodio, le paure e le angoscie dell'era atomica si materializzano sullo schermo attraverso due sogni che sono veri e propri incubi (da notare che Kurosawa negli anni cinquanta aveva dedicato un intero film all'argomento, "Testimonianza di un essere vivente"). Il vulcano Fujiyama sta eruttando, e la popolazione fugge in preda al panico, ma non c'è modo di scampare al disastro. Anche perché la centrale nucleare sul fianco della montagna è esplosa, e le sostanze radioattive si stanno spargendo ovunque (colorate per distinguerle meglio: "Abbiamo sviluppato una tecnologia per rendere visibile il rischio; e ora abbiamo il vantaggio di sapere che cosa ti ha ucciso", spiega all'interdetto K. uno degli uomini che hanno contribuito al disastro).

"Il demone che piange" - Quasi un seguito dell'episodio precedente, di cui riprende i toni catastrofici e pessimisti, immersi stavolta in un'atmosfera da bolgia infernale. La terra è stata devastata dalle radiazioni, e tutto quello che resta sono pendii brulli e anneriti, sui quali crescono giganteschi fiori (denti di leone alti tre metri) e piante mutanti. Il mondo è ora popolato da demoni cornuti e deformi, che un tempo erano esseri umani e che ora sopravvivono sbranandosi l'un l'altro. Uno di questi demoni conduce K. fino all'orlo di un cratere, da dove spiano i suoi compagni che piangono, si torcono e ululano al cielo per il dolore procuratogli dalle loro stesse corna. È un'immagine quasi da inferno dantesco.

"Il villaggio dei mulini" - Nel segmento finale si torna a uno scenario positivo, colmo di luce e di speranza. Il viandante K. giunge in un villaggio i cui abitanti vivono in completa armonia con la natura, fra ruscelli, fiori e mulini. Un vecchio contadino (Chishu Ryu, l'attore feticcio di Ozu) spiega al protagonista che in quel villaggio i funerali sono un'occasione per festeggiare e per "congratularsi" con il defunto per la vita che ha condotto. Tra una critica alla modernità e un elogio alle tradizioni, l'episodio conclude la pellicola su toni di ottimismo: "Si dice spesso che la vita è difficile, dura...", commenta il vecchio. "Questa è solamente una posa dell'essere umano. La verità è una sola: la vita è bella. Più che bella: entusiasmante".

14 febbraio 2015

Chalet girl (Phil Traill, 2011)

Chalet girl (id.)
di Phil Traill – GB/Austria 2011
con Felicity Jones, Ed Westwick
*1/2

Visto in divx, con Sabrina.

La diciannovenne Kim (Jones), un tempo campionessa inglese di skateboard, ha dovuto rinunciare ai propri sogni dopo la morte della madre, avvenuta due anni prima in un incidente stradale, e ora lavora come commessa in un fast food. Per cambiare, le viene proposto un impiego come "chalet girl" in un comprensorio sciistico austriaco (la pellicola è stata girata a Sankt Anton am Arlberg, in Tirolo). Il suo compito è quello di mantenere in ordine la casa e di servire i proprietari, una ricca famiglia londinese, nei weekend che questi decidono di trascorrere in montagna. Nel tempo libero Kim comincia a praticare lo snowboard: e dopo aver superato paure e incertezze, riuscirà a vincere un'importante gara di abilità, oltre naturalmente a conquistare l'amore di Johnny (Westwick), il ricco rampollo della famiglia per cui lavora. All'apparenza un chick flick romantico e per teenager come tanti, si solleva dalla media del genere per lo studio dei personaggi, per il sarcasmo e l'ironia tipicamente britannici, e soprattutto per l'ambientazione fra le Alpi innevate, che fanno da spettacolare sfondo a tutta la storia. Se aggiungiamo un cast non male (Tamsin Egerton nei panni dell'amica/collega della protagonista, Bill Bailey in quelli del padre, ma soprattutto Bill Nighy e Brooke Shields come i genitori di Johnny), e se per una volta si sceglie di non far caso alla scontata prevedibilità della vicenda, diciamo che ci si può anche accontentare.

7 settembre 2014

I proscritti (Victor Sjöström, 1918)

I proscritti (Berg-Ejvind och hans hustru)
di Victor Sjöström – Svezia 1918
con Victor Sjöström, Edith Erastoff
***

Visto su YouTube.

Il giovane Ejvind, costretto per disperazione a diventare un ladro per sfamare la propria famiglia, cerca di rifarsi una vita fuggendo al nord e trovando lavoro sotto falso nome nella fattoria della ricca vedova Harra. Scoperto, è costretto a darsi nuovamente alla fuga, ma questa volta non da solo: la donna, innamorata di lui, decide infatti di rinunciare a tutto per seguirlo sulle montagne, dove vivranno per anni in clandestinità, fra piccole gioie e grandi difficoltà, fino all'inesorabile morte durante una tormenta di neve. Tratto da un dramma teatrale di Jóhann Sigurjónsson di sette anni prima (ispirato, pare, a una storia vera) e ambientato suggestivamente in Islanda a metà del diciottesimo secolo, è uno dei capisaldi del cinema svedese muto: uscito nelle sale il 1° gennaio 1918, segna infatti l'inizio di un periodo caratterizzato da poche produzioni ad alto budget e di elevata qualità, un periodo dominato da nomi come lo stesso Sjöström, il regista Mauritz Stiller e l'attrice Greta Garbo. Come nel precedente "C'era un uomo", Sjöström gira quasi sempre in esterni e fonde meravigliosamente i personaggi con il paesaggio: le sequenze di vita fra le montagne, nella seconda parte, brillano per la concretezza e il realismo, mentre la natura spettacolare e selvaggia (fra picchi impervi, altopiani, ghiacciai, cascate e geyser) non si limita a fare da sfondo alle vicende umane ma assurge quasi al ruolo di protagonista: memorabili, in particolare, sequenze come il combattimento sul ciglio del burrone, il bagno nella cascata, la cavalcata sulla neve. Nonostante il soggetto sia di origine teatrale e l'impianto narrativo possa sembrare ottocentesco, siamo ormai lontani anni luce dal kammerspiel di matrice tedesca. E al di là dell'uso del paesaggio e della natura, non si può non notare una consapevolezza del linguaggio cinematografico che si fa sempre più matura e moderna (vedi il rapido montaggio, la luminosa fotografia di J. Julius, la recitazione misurata e funzionale alla melodrammaticità della vicenda, l'ottimo trucco che – come nel film precedente – invecchia il protagonista nel corso della storia). Ma anche sul fronte dei contenuti non sono pochi gli elementi che meritano una riflessione (la rigidità di leggi e società che spingono l'uomo a diventare fuorilegge e sono sordi ai suoi bisogni, tema fra l'altro ricorrente nel cinema del regista scandinavo sin dai tempi di "Ingeborg Holm"; il dilemma morale dell'amico ladro, che spinto dalla gelosia ha la tentazione di uccidere Ejvind ma poi ci ripensa; la terribile scena in cui Harra sacrifica la figlioletta pur di non farla cadere nelle mani dei nemici; ma soprattutto la sequenza finale, che mostra come l'amore possa essere messo a dura prova e finanche esaurirsi di fronte al freddo, alla povertà e alla vecchiaia). L'attrice che interpreta Harra, Edith Erastoff, era la vera moglie di Sjöström.

18 giugno 2014

Sils Maria (Olivier Assayas, 2014)

Sils Maria (Clouds of Sils Maria)
di Olivier Assayas – Svizzera/Francia/Germania 2014
con Juliette Binoche, Kristen Stewart
**1/2

Visto al cinema Orfeo, in originale con sottotitoli
(rassegna di Cannes).

Dopo l'improvvisa morte dello scrittore e regista che l'aveva lanciata quando aveva solo 18 anni, l'attrice francese Maria Enders (Juliette Binoche) accetta di recitare in una nuova edizione della piéce teatrale con cui aveva esordito al cinema, una scabrosa storia d'amore: soltanto che ora dovrà interpretare il personaggio più anziano, quello della donna matura che si lascia sedurre e abbandonare da una ragazzina giovane e manipolatrice, il cui ruolo viene invece affidato a una stellina hollywoodiana del momento. Per preparare al meglio la parte, l'attrice si trasferisce nella casa dello scrittore defunto, fra le montagne svizzere (per l'appunto a Sils Maria, nell'Engadina), in compagnia della sua assistente personale Val (Kristen Stewart). Ma fare i conti con sé stessa e con il proprio passato sarà difficile e doloroso. Profonda riflessione sul tempo che passa, sull'importanza di accettare i cambiamenti e su come rispecchiarsi (o meno) nel mondo che ci circonda. A fare da contraltare alla protagonista, più che l'attricetta trasgressiva e iper-paparazzata con cui dovrà lavorare (Jo-Ann, interpretata da Chloë Grace Moretz), c'è la sua giovane assistente: è dal continuo confronto con lei e con la sua visione della vita che Maria imparerà ad affrontare il presente, la propria fragilità e le proprie paure. Ambizioso, colmo di citazioni metacinematografiche e di riferimenti al mondo reale (il "curriculum" di Maria è quasi identico a quello della Binoche, per dirne una), il film affianca alla buona caratterizzazione psicologica dei personaggi alcune interessanti riflessioni sul rapporto fra l'arte e la vita (vedi le differenti interpretazioni a proposito della piéce teatrale, o i pareri sul cinema commerciale con la pellicola di fantascienza pop che Maria e Val vanno a vedere a Sankt Moritz). Peccato però per un certo eccesso di freddezza e precisione, che a tratti dona alla pellicola il tono di un distante gioco intellettuale e gli impedisce di decollare pienamente (anche se non mancano alcuni momenti lasciati all'immaginazione dello spettatore, vedi la misteriosa scomparsa di Val: che la sua presenza a Sils fosse solo frutto della fantasia di Maria, un modo per restare ancorata alla propria giovinezza?). A proposito, data per scontata la bravura della Binoche, sorprende invece la Stewart, autrice di una prova intensa e convincente. Affascinante l'ambientazione: il titolo della piéce che Marie deve recitare, "Il serpente del Maloja", si riferisce al fenomeno atmosferico delle nuvole che si formano lungo il passo del Maloja, la serpentina che dall'Italia conduce alla bellissima valle dell'Alta Engadina. La pellicola è stata girata in parte anche in Alto Adige (in Val Gardena).

20 gennaio 2014

Orizzonte perduto (Frank Capra, 1937)

Orizzonte perduto (Lost horizon)
di Frank Capra – USA 1937
con Ronald Colman, Jane Wyatt
**1/2

Rivisto in DVD.

Nel 1935, mentre il mondo comincia a essere sconvolto da venti di guerra, il diplomatico britannico Robert Conway (Ronald Colman) fugge dalla Cina in rivolta a bordo di un aereo. Il velivolo, su cui si trovano anche il fratello di Conway, George (John Howard), un paleontologo (Edward Everett Horton), un uomo d'affari ricercato per bancarotta fraudolenta (Thomas Mitchell) e una cinica americana, malata terminale (Isabel Jewell), si schianta però fra le montagne, in una regione inesplorata dell'Himalaya. I passeggeri, sopravvissuti all'impatto, scoprono che fra le vette innevate si nasconde una vallata calda e fertile, Shangri-La, i cui abitanti hanno dato vita a una vera e propria utopia: non esistono guerre o conflitti di nessun tipo, né tantomeno crimini, denaro o persino malattie (la durata della vita è prolungata, in una sorta di eterna giovinezza), e l'idilliaca esistenza si dipana all'insegna della moderazione, del baratto e della serenità. Il pacifista Conway si trova perfettamente a suo agio in un luogo del genere (e si innamora anche di una ragazza del posto), così come pian piano fanno i suoi compagni; tutti tranne George, più pragmatico e realista, che invece non vede l'ora di tornare in patria... Film epico ed epocale, tratto da un romanzo di James Hilton, è forse il più ambizioso (e costoso) lungometraggio della carriera di Frank Capra, una pellicola che dietro l'appartenenza al genere avventuroso non si sforza di nascondere i suoi intenti idealisti, con il risultato che il film si focalizza troppo sui temi e poco sulla storia o i personaggi (la cui caratterizzazione è fin troppo semplice e monodimensionale). Inoltre, proprio una delle cose più belle, i set così ricchi e sontuosi (i palazzi di Shangri-La, in stile art decò, sono moderni e opulenti, e valsero allo scenografo Stephen Gosson un meritato premio Oscar), stonano un po' con il messaggio che predica uno stile di vita "semplice e moderato". Commovente però il finale, con il faticoso ritorno di Conway al suo "paradiso perduto" e ritrovato.

La lavorazione fu lunga e problematica: pare che Capra volesse girare a colori, ma fu costretto a scegliere il bianco e nero perché le immagini di repertorio dell'Himalaya a sua disposizione erano tutte in monocromia. Avendo sforato il già cospicuo budget previsto (per non parlare del tempo per le riprese), il film causò una mezza crisi finanziaria alla Columbia Pictures e incrinò i rapporti fra il regista e il produttore Harry Cohn, nonché quelli con lo sceneggiatore Robert Riskin (che aveva collaborato con Capra in gran parte dei suoi lungometraggi precedenti). La versione completa durava circa sei ore, e inizialmente si pensò di distribuirla al cinema divisa in due parti; in seguito, però, Capra la ridusse a tre ore e mezza, rigirando anche alcune scene, e in previsione dell'uscita Cohn la tagliò ulteriormente fino a due ore e dodici minuti. Lo scarso successo al box office spinse poi i produttori ad eliminare altri quattrodici minuti di girato: pesantemente rimaneggiato, il film è oggi disponibile in DVD in una versione restaurata dove però alcune parti (ormai perdute) sono presentate sotto forma di fotogrammi fissi, essendo stato recuperato solo l'audio. Colman, protagonista indiscusso, è attorniato da una serie di caratteristi (Horton, Mitchell...) che fanno del loro meglio per dare una qualche personalità a personaggi decisamente sacrificati e poco sviluppati. Nel resto del cast, anche Sam Jaffe (il "grande saggio", in originale "High Lama"), Jane Wyatt (la donna di cui Robert si innamora), Margo (la "russa" Maria) e H.B. Warner (il vecchio Chang). Da notare che al film (e al libro di Hilton) si sono ispirati diversi autori disneyani, in particolare Carl Barks (la memorabile "Zio Paperone e la dollarallergia"), Romano Scarpa ("Topolino nel favoloso regno di Shan-Grillà") e Rodolfo Cimino (specializzatosi proprio in storie sul tema della vallata sperduta dove una popolazione vive in armonia, lontana dalle guerre e dai conflitti del "mondo civile", peraltro ricorrente nella narrativa e nei fumetti d'avventura della prima metà del ventesimo secolo).

23 dicembre 2013

Frozen (C. Buck, J. Lee, 2013)

Frozen - Il regno di ghiaccio (Frozen)
di Chris Buck, Jennifer Lee – USA 2013
animazione digitale
**1/2

Visto al cinema Uci Bicocca, con Sabrina.

Elsa, principessa del regno di Arundell, ha il magico potere di generare e controllare ghiaccio e neve. Nel timore che possa fare involontariamente del male alla sorellina Anna o ad altre persone, i genitori le impongono di non uscire mai dalle sue stanze del castello. Quando è cresciuta, il giorno della sua incoronazione, perde però il controllo dei suoi poteri e ricopre l'intero reame di una coltre di neve, dando il via a un gelido e perenne inverno. Ritenuta una strega malvagia, fugge sulle montagne: spetterà alla sorella minore andarla a cercare e riportare tutto alla normalità. Ispirato alla fiaba "La regina delle nevi" di Andersen, un film che procede sulla strada segnata da "Rapunzel" ("Tangled" in originale: c'è continuità anche nei titoli, con l'uso di un participio passato): versioni moderne e "leggere" delle classiche favole, con protagoniste "super-simpatiche", numerose canzoni (non memorabili in verità, a parte "Let it go", in italiano "All'alba sorgerò"), spalle comiche come nel periodo d'oro dell'animazione disneyana, anche se con meno profondità (non siamo alla Pixar, nonostante John Lasseter figuri come produttore esecutivo) e un utilizzo spinto delle gag fisiche e visive (bisogna pur tenere il passo di DreamWorks, Fox e compagnia!). Non che manchino, dal punto di vista della sceneggiatura, alcune soluzioni di "rottura" rispetto al passato – su tutte, la "regina malvagia" che per una volta è in realtà buona, e la principessa che salva sé stessa (Anna, moribonda, può essere salvata solo da un "atto di puro amore": ma non si tratta del bacio del principe, come tutti credevano, bensì da un'azione che lei stessa deve compiere) – ma per il resto siamo nella routine e nel puro intrattenimento, con la consueta maestria tecnica per quanto riguarda l'animazione. Perfetto per i bambini (ma qualcuno si annoierà comunque), molto meno per gli adulti. Ciò nonostante, enorme il successo di pubblico, tanto che la pellicola ha fatto segnare il record di incassi per un film d'animazione. Non eccezionale il character design, che rende le due protagoniste delle bamboline. E a proposito delle spalle comiche, raramente se n'è vista una così inutile dal punto di vista narrativo come Olaf, il pupazzo di neve: molto meglio l'alce Sven, anche se non parla (o forse proprio per questo). Due premi Oscar (miglior film d'animazione, il primo per la Disney (!) da quando esiste la categoria, e miglior canzone). Un sequel nel 2019.

24 settembre 2013

La prima neve (Andrea Segre, 2013)

La prima neve
di Andrea Segre – Italia 2013
con Matteo Marchel, Jean-Christophe Folly
**

Visto al cinema Apollo (rassegna di Venezia).

Dani, immmigrato togolese, è giunto in Italia fuggendo dalla guerra civile in Libia: in attesa di ricevere il permesso di soggiorno, è ospitato in una casa d'accoglienza a Pergine, un piccolo paesino di montagna nella Val dei Mocheni, in Trentino. Qui dà una mano all'anziano falegname e apicoltore Pietro e ha modo di conoscere la sua famiglia, la nuora Elisa e il nipote Michele, rimanendo colpito in particolare da quest'ultimo, un irrequieto bambino di dieci anni. Sia Dani che Michele devono convivere con un grande vuoto, visto che sono stati colpiti di recente da un terribile lutto: per Dani, la morte della moglie Layla, che non appena giunti in Italia lo ha lasciato dando alla luce una neonata alla quale non si sente in grado di fare da genitore; per Michele, la scomparsa del padre, cui era legatissimo e che ancora sogna in continuazione. Un film lento (forse fin troppo, prima che si sciolga nel bel finale) e meditato, che scava con sensibilità nelle anime di personaggi molto diversi fra loro eppure legati dalla comune tristezza e dalla comune difficoltà di continuare a vivere. Dani progetta di abbandonare la figlia e di fuggire a Parigi, mentre Michele marina la scuola, si ribella alla madre e trascorre le giornate nei boschi con gli amici. Ma al termine dell'autunno, con l'arrivo della prima neve (che Dani peraltro non ha mai visto prima), che colora tutto di bianco e permette una nuova visione del mondo e di sé stessi, le tensioni si scioglieranno e tutti impareranno ad accettare la propria perdita e il proprio ruolo. Nel cast, anche la bravissima Anita Caprioli (la madre), Peter Mitterrutzner (il nonno) e Giuseppe Battiston (l'amico "orso"). L'ambientazione alpina è forse insolita per parlare di immigrazione e integrazione; ma c'è da dire che questo è solo uno dei temi, e per di più minore, nel contesto della pellicola, che è soprattutto un viaggio nell'anima, intimo e personale. La regia, sobria e mai forzata, è impreziosita dalla cura antropologica e documentaristica con cui Segre ritrae la valle e i suoi abitanti, i dialetti (trentino e tedesco, con sottotitoli) e i paesaggi.