
Nymphomaniac (id.)
di Lars von Trier – Danimarca/UK/D/B 2013
con Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård
**1/2
Visto al cinema Uci Bicocca, con Sabrina.
Charlotte Gainsbourg, l'unica attrice "sopravvissuta" a più di un film con Lars von Trier (è infatti già alla sua terza collaborazione con il regista danese, mentre le varie Emily Watson, Björk, Nicole Kidman, Bryce Dallas Howard e Kirsten Dunst non hanno "retto" oltre la prima prova), interpreta la nifomane Joe, che dopo essere stata ritrovata pesta e sanguinante in un vicolo dal mite e colto Seligman (Stellan Skarsgård) gli racconta – come in un'unica e lunga seduta di psicanalisi, o come davanti a un prete nel confessionale – i retroscena della propria vita "peccaminosa": dalla scoperta della sessualità in età acerba, all'utilizzo di questa per "collezionare" più uomini possibili; dal rapporto con il padre (Christian Slater), che le ha insegnato l'amore per la natura, a quello con Jerome (Shia LeBeouf), l'unico uomo che abbia mai davvero amato; dai tentativi di trovare nuove strade per risvegliare il piacere sessuale, fino alla serie di eventi che l'hanno condotta fin lì. Distribuito nelle sale cinematografiche diviso in due parti (denominate "Vol. I" e "Vol. II", come in "Kill Bill", ma in questo caso più propriamente come due tomi di un romanzo, per la precisione un Bildungsroman), a loro volta divise in "capitoli" (otto in totale, cinque nel primo film e tre nel secondo: 5 e 3 sono numeri ricorrenti), il terzo film della cosiddetta "trilogia della depressione" di LVT (dopo "Antichrist" e "Melancholia") ha apparentemente un solo filo conduttore: la vita sessuale della protagonista. La sua ninfomania è un po' una scelta consapevole e un po' una dipendenza, come quelle dall'alcol o dal fumo, e a tratti sembra quasi un pretesto per imbastire una serie di variazioni sul tema che sfiorano tutti i tipi di perversione sessuale (dal sadomadochismo alla pedofilia, passando per il sesso interrazziale o il lesbismo). Ma Von Trier, lo sappiamo, è un furbone, abituato da sempre a giocare con lo spettatore, a stimolarne le attese e poi a spiazzarlo scompigliando le carte. E con "Nymphomaniac" sembra aver dato il meglio di sé, a partire dalla campagna di marketing e dalle locandine che presentavano il film come estremamente scandaloso, facendo credere di trovarsi di fronte a un "porno d'autore", salvo poi permettere che nelle sale giungesse una versione "censurata e ridotta" (ma cosa potranno aggiungere, a livello di significato, le eventuali scene di sesso che sarebbero state tagliate?).
In realtà, come già in "Dogville" e in generale in tutti i film del buon Lars, il vero senso del film sta nei suoi sottotesti, più o meno nascosti: quello religioso (il finale, come ha fatto notare marco c. in un commento sotto questo post, può legare il lungometraggio al precedente "Antichrist", con la donna che torna nel suo ruolo diabolico di corruttrice dell'innocente) o quello sociale (ancora una volta la donna è una vittima della società: Seligman commenta giustamente come il nostro giudizio sulle sue vicende sarebbe diverso se lei fosse stata un uomo e le sue conquiste fossero state femminili).

Nel primo volume la narrazione di Joe è accompagnata – più che da un progressivo approfondimento del personaggio – da metafore talmente esplicite (la pesca alla mosca, la polifonia di Bach) da essere persino illustrate sullo schermo a più riprese. Il risultato ricorda quasi un film di Peter Greenaway: le sovrimpressioni di numeri e di diagrammi, le ricorrenze (i suddetti 5 e 3), gli split screen, le divagazioni colte (Poe, Bach, i numeri di Fibonacci), l'elenco degli amanti (quasi tutti i personaggi – con la notevole eccezione di Jerome – sono indicati soltanto con la lettera iniziale del nome: B, G, H, ecc.) e in generale la "catalogazione" degli episodi della propria vita (episodi significativi ma non "formanti": spesso Joe sottolinea che i vari eventi non l'hanno cambiata e che la sua natura è sempre stata la stessa sin dall'inizio) sono però elementi che in Greenaway sovrastano la storia, spesso solo un pretesto, mentre in questo caso siamo di fronte all'esatto contrario. Nel secondo volume, poi, LVT abbandona gradualmente queste distrazioni (la stessa Joe, dopo l'ennesima divagazione di Seligman, afferma: "Questa è stata una delle sue disgressioni più deboli") e guida lo spettatore più a fondo nel personaggio, che si barcamena fra visioni mistiche, crisi personali e vani tentativi di autoanalisi. Probabilmente il modo migliore per gustarsi "Nymphomaniac" sarebbe quello di guardarlo tutto di fila, visto che più si accumulano i capitoli e gli episodi raccontati e più l'insieme acquista "spessore" e fisionomia: è come se il suo valore fosse "quantitativo", ovvero dato dalla somma delle parti (proprio come Joe sente di aver avuto in fondo un solo amante, la somma di tutti gli uomini che ha conosciuto). Al di là del marketing, la scelta di dividere la pellicola in due parti risulta dannosa (è come interrompere a meta un romanzo, appunto, o un amplesso).
La fotografia, in cui dominano il beige e i toni smorti (il quarto capitolo è addirittura tutto in bianco e nero), dona all'insieme un sapore vetusto e polveroso come i libri di Seligman (significativa è anche l'assenza di una precisa collocazione temporale delle vicende). Nella colonna sonora ricorrono il valzer di Shostakovich (già usato da Kubrick nel suo "Eyes Wide Shut") e l'hard rock dei Rammstein. Quanto al comparto attoriale, è da ammirare la prova di Stacy Martin (che interpreta Joe da giovane, e dunque vera protagonista del Vol. I), mentre la struttura episodica del racconto lascia spazio qua e là a numerosi comprimari: nel primo volume spiccano Uma Thurman, Sophie Kennedy Clark, Hugo Speer e vari attori danesi (fra i quali Jens Albinus e Jesper Christensen), nel secondo Jamie Bell, Jean-Marc Barr, Udo Kier, Mia Goth e Willem Dafoe. Le scene di sesso sono simulate, mediante l'utilizzo di controfigure (fra cui attori porno), di protesi e persino di effetti digitali. Fra i ringraziamenti finali, spicca quello a Tarkovskij, del quale non mancano alcune citazioni (l'icona di Rublëv, il titolo "Lo specchio").