22 maggio 2022

Mare dentro (Alejandro Amenábar, 2004)

Mare dentro (Mar adentro)
di Alejandro Amenábar – Spagna 2004
con Javier Bardem, Belén Rueda
***

Rivisto in divx.

Dopo venticinque anni trascorsi da tetraplegico, rimasto paralizzato in seguito a un tuffo in quel mare che ama tanto, l'ex pescatore galiziano Ramón Sampedro (uno straordinario Bardem) ha deciso di morire. E con l'aiuto di parenti, amici, e dell'avvocatessa Julia (Belén Rueda), che soffre a sua volta per una malattia degenerativa, porta avanti in tribunale una lunga battaglia legale per vedersi riconosciuto il diritto al suicidio assistito, mentre nel contempo dà alle stampe un suo libro di memorie. Tratto da una storia vera che era a forte rischio di retorica (ma la regia di Amenábar, anche sceneggiatore insieme a Mateo Gil, riesce a trascendere l'argomento), un film sincero e commovente su un tema – l'eutanasia – che ovviamente non può che dividere l'opinione pubblica, così come le stesse persone che circondano e amano Ramón: si va dall'attivista umanitaria Gené (Clara Segura), sempre al suo fianco, all'amica Rosa (Lola Dueñas), che pur cercando di dissuadere Ramon sarà colei che lo aiuterà alla fine a morire; dal fratello José (Celso Bugallo) e dal padre Joaquin (Joan Dalmau), che disapprovano la sua decisione, alla cognata Manuela (Mabel Rivera) e al nipote Javier (Tamar Novas), con cui stringe un particolare legame; e naturalmente ci sono le influenze esterne, da parte della società, del sistema legale e della religione, impersonate quest'ultime da padre Francisco (José María Pou), prete anch'esso tetraplegico, che discute inutilmente con Ramón di teologia. A parte alcuni flashback che lo mostrano da giovane, Bardem recita per l'intero film immobile (e "invecchiato") nel suo letto: fa eccezione la sequenza con cui "vola" letteralmente con l'immaginazione, fuori dalla finestra di casa, sorvolando il paesaggio fino a raggiungere il mare e incontrarsi con l'amata Julia, sulle note del "Nessun dorma" dalla Turandot di Puccini. Gran premio della giuria al festival di Venezia e Oscar per il miglior film straniero.

20 maggio 2022

Ghostbusters: Legacy (J. Reitman, 2021)

Ghostbusters: Legacy (Ghostbusters: Afterlife)
di Jason Reitman – USA 2021
con Mckenna Grace, Finn Wolfhard
**1/2

Visto in TV (Now Tv).

Trasferitisi con la madre Callie (Carrie Coon) nella fattoria in Oklahoma ereditata dal nonno materno, da poco defunto, i giovani Trevor (Finn Wolfhard) e Phoebe (Mckenna Grace) scoprono che questi non era altro che Egon Spengler, uno degli originali "Acchiappafantasmi" che nel 1984 salvarono New York dall'invasione di Gozer, divinità sumera che sta per tornare proprio nella tranquilla cittadina di Summerville... Sequel diretto (e in "tempo reale": sono passati quasi quarant'anni sia nella finzione che nella "realtà") del cult movie di Ivan Reitman, con la regia del figlio d'arte Jason, che fa giustamente finta che il brutto reboot del 2016 non sia mai esistito. Oltre a presentare una "nuova generazione" di Acchiappafantasmi (termine correttamente usato nel doppiaggio italiano, anche se non nel titolo), è anche un omaggio nostalgico e celebrativo alla pellicola originale, di cui riappaiono in brevi apparizioni i personaggi principali (e i loro attori: Dan Aykroyd, Bill Murray, Ernie Hudson, Annie Potts e, solo sui titoli di coda, Sigourney Weaver; Harold Ramis, nel frattempo defunto, è invece sostituito dallo stesso Ivan Reitman, in versione fantasma, in una serie di scene assai toccanti). Lungi dal deludere come ci si sarebbe potuti attendere, la pellicola è a tratti sorprendente: nella prima parte presenta toni piuttosto diversi da quelli comici del passato, calcando maggiormente sul versante misterioso e drammatico, quasi da horror familiare, e mantenendo però il misterioso connubio fra scienza e soprannaturale (nella fattoria del nonno, i ragazzi ritrovano tutte le vecchie apparecchiature dei Ghostbusters, comprese le trappole, gli zaini protonici e l'automobile Ecto-1, rimettendole in funzione con l'aiuto del fantasma di Egon). I nuovi personaggi sono divertenti ed eccentrici – compresi comprimari come il piccolo complottista Podcast (Logan Kim), che stringe amicizia con la nerd Phoebe; l'insegnante-sismologo Gary Grooberson (Paul Rudd), che proietta vecchi film horror per gli studenti in classe; e Lucky (Celeste O'Connor), la figlia dello sceriffo locale, che prende in simpatia Trevor – e con il loro umorismo (diverso, ma non troppo, da quello originale) traghettano la pellicola fino a una parte finale che, a dire il vero, ha il difetto di riproporre le stesse situazioni del primo film, nonché di riesumarne il villain (Gozer il gozeriano, appunto, con i suoi lacché Mastro di chiavi e Guardia di porta) e le dinamiche (l'unica differenza è l'ambientazione, praticamente all'opposto, con il deserto dell'Oklahoma al posto della caotica città newyorkese). Persino l'uomo dei marshmallow Stay Puft fa una ricomparsa, stavolta in versione minuscola (e multipla). Nel complesso, però, la pellicola lascia una buona impressione, anche se strada facendo si trasforma da un'avventura a sé stante in una nostalgica (e commovente, dato il nome del regista, anche sceneggiatore, e il coinvolgimento del cast originale) rivisitazione del passato, quasi alla "Stranger Things" (non un caso, vista anche la presenza di Wolfhard). Olivia Wilde è Gozer, J.K. Simmons il (redivivo) architetto folle Ivo Shandor, solamente citato nel primo film. La dedica finale, ovviamente, è "per Harold" (Ramis).

19 maggio 2022

Darò un milione (Mario Camerini, 1935)

Darò un milione
di Mario Camerini – Italia 1935
con Vittorio De Sica, Assia Noris
**1/2

Visto in TV (Prime Video).

Il giovane miliardario Gold (Vittorio De Sica), annoiato e stufo della sua vita troppo agiata e controllata, ma soprattutto dell'essere sempre attorniato da parenti e amici parassiti, si tuffa in mare dal suo yacht ancorato al largo della costa della Francia e, una volta a terra, si scambia d'abiti con un barbone, Blim (Luigi Almirante), al quale confida che regalerebbe volentieri un milione "a chiunque farà un gesto generoso e spontaneo verso di me". Quando Blim rivela il fatto ai giornali, la notizia che un riccone si aggira in città vestito da povero fa scalpore: e tutti si affrettano a mostrarsi premurosi verso i mendicanti, nella speranza che uno di essi sia il miliardario in incognito. Nel frattempo Gold incontra Anna (Assia Noris), una ragazza gentile che lavora in un circo e che, credendolo disoccupato, si premura di fargli ottenere un lavoro presso il proprio padrone... Co-sceneggiata da Cesare Zavattini, al suo primo lavoro cinematografico (e tratta da un racconto scritto da lui stesso, insieme a Giacinto Mondaini, il padre di Sandra), una fortunata commedia di costume, mordace e spigliata, che abbina gag comiche (e fumettistiche, a tratti quasi anticipatrici di Fellini, con personaggi macchiettistici e l'ambientazione circense a fare da sfondo: vedi anche la scena finale con i barboni sulle giostre) a un'analisi sociale che punta sul paradosso (l'inversione dei ruoli fra ricchi e poveri, mecenati e mendicanti) e sulla satira (la presa in giro dell'ipocrisia e della beneficienza "interessata" dell'alta società) per dire non poco sul mondo e la società italiana dell'epoca (anche se la vicenda è ambientata in Francia, forse per evitare prudentemente problemi di censura). Si tratta del secondo film interpretato da De Sica per Camerini, nonché del primo in cui recita insieme ad Assia Noris (seguiranno "Ma non è una cosa seria", "Il signor Max" e "I grandi magazzini"). Mario Gallina è il proprietario del circo, Vinicio Sofia il direttore del giornale.

17 maggio 2022

Fish tank (Andrea Arnold, 2009)

Fish tank (id.)
di Andrea Arnold – GB 2009
con Katie Jarvis, Michael Fassbender
***

Visto in divx.

La quindicenne Mia (Katie Jarvis) è una ragazza ribelle e problematica, solitaria e arrabbiata, che vive con la madre (Kierston Wareing) e la sorella minore Tyler (Rebecca Griffiths) alla periferia di Londra, in un ambiente alquanto degradato. A parte l'amore per gli animali, la sua unica passione è la danza, ma nessuno sembra prenderla sul serio. Riceverà però un inatteso incoraggiamento da Connor (Michael Fassbender), il nuovo ragazzo di sua madre, che la prende in simpatia... Uno spaccato di realtà difficile e alienazione adolescenziale, girato in maniera coinvolgente con camera a mano e piani sequenza, e con uno scenario familiare e sociale disagiato a fare da sfondo a una protagonista che parla poco ma riesce a esprimersi attraverso le azioni, gli sguardi e l'apparente rigetto di tutto ciò che la circonda. E non mancano colpi scena e momenti drammatici, vissuti però con la leggerezza e l'inconscienza tipica dell'adolescenza. Nella colonna sonora (tutta diegetica) spicca la cover di "California Dreamin'" cantata da Bobby Womack, la canzone preferita da Connor, sulle cui note Mia prepara la sua audizione come danzatrice in un locale. La cavalla che viene uccisa perché "malata" e vecchia, avendo sedici anni, è una metafora del cambiamento e dell'arrivo dell'età adulta: sedici anni è infatti la stessa età a cui Mia, ormai maturata, decide finalmente di andarsene di casa. Molto bello il rapporto di amore/odio con la madre e la sorella (con cui litiga in continuazione, ma che alla fine saluta con affetto: "Ti odio", "Ti odio anch'io"), esemplificato dalla scena in cui le tre ballano insieme. Ottime le interpretazioni (Jarvis non è un'attrice professionista) e la regia. Harry Treadaway è il "fidanzatino" Billy. Premio della giuria al festival di Cannes.

15 maggio 2022

Kramer contro Kramer (R. Benton, 1979)

Kramer contro Kramer (Kramer vs. Kramer)
di Robert Benton – USA 1979
con Dustin Hoffman, Meryl Streep
**1/2

Visto in TV (Netflix).

Lasciato all'improvviso dalla moglie Joanna (Meryl Streep), il pubblicitario newyorkese Ted Kramer (Dustin Hoffman) è costretto a barcamenarsi con fatica per accudire da solo il figlioletto di sette anni, sacrificando in parte proprio quel lavoro cui in precedenza dedicava tutto sé stesso, cosa che era stata all'origine della frattura con la moglie. E quando la donna, dopo più di un anno, si ripresenta per chiedere che le venga affidato il bambino, i due ex coniugi decidono di sfidarsi in tribunale. (Melo)dramma coniugale e giudiziario di grande successo (vinse cinque premi Oscar – assegnati al film, alla regia, alla sceneggiatura e ai due interpreti principali – su nove nomination), che fu apprezzato per aver messo in luce alcuni dei cambiamenti allora in atto nella società americana (i genitori single, i ruoli del padre e della madre, il tempo dedicato al lavoro e alla famiglia). A dispetto del titolo, il film non è "simmetrico": il punto di vista è sempre quello del marito, di cui seguiamo le vicissitudini dall'inizio alla fine (con un lento miglioramento man mano che si impegna a vivere insieme al figlio), mentre la moglie appare misteriosa ed emotiva, ritratta come imprevedibile e inaffidabile. Il tono è realista, benché a tratti un po' forzato e privo di sottigliezze. Non mancano comunque scene assai efficaci (quella in cui Ted si procura un nuovo impiego nell'arco di poche ore, e alcune delle sequenze del processo, peraltro rappresentato come assai sgradevole, dove gli avvocati non lesinano colpi bassi), soprattutto per merito degli eccellenti attori. Alcune scene sono state improvvisate. Nel cast anche Jane Alexander (Margaret, la vicina di casa) e Howard Duff (l'avvocato di Ted). Il bambino, Billy, è interpretato da Justin Henry. Nella colonna sonora ricorre il primo movimento del concerto in do maggiore per mandolino di Vivaldi.

13 maggio 2022

Quo vadis? (Enrico Guazzoni, 1913)

Quo vadis?
di Enrico Guazzoni – Italia 1913
con Amleto Novelli, Lea Giunchi
**

Visto su YouTube.

Nella Roma imperiale, il patrizio Vinicio (Amleto Novelli) si innamora della giovane cristiana Ligia (Lea Giunchi) e chiede all'amico Petronio (Gustavo Serena) di intercedere presso l'imperatore Nerone (Carlo Cattaneo) affinché gli consenta di sposarla. Ma Nerone, che in preda alla follia ha dato fuoco a Roma, su suggerimento del perfido Chilo (Augusto Mastripietri) accusa i cristiani del rogo e li spedisce nell'arena in pasto ai leoni. Ligia viene salvata da Ursus (Bruto Castellani), il suo fedele servitore, Vinicio si converte al cristianesimo (nel film compaiono anche San Pietro e San Paolo, nonché, nel finale, lo stesso Gesù, che pronuncia la frase del titolo), la popolazione di Roma si ribella e Nerone troverà la morte in esilio. Dall'omonimo romanzo di Henryk Sienkiewicz, un filmone di due ore che – dopo le prove generali degli anni precedenti ("La caduta di Troia", "L'inferno", "L'odissea") – rappresenta il primo, vero, grande kolossal del cinema italiano (in attesa del "Cabiria" dell'anno successivo) o forse del cinema in generale. Riscosse un enorme successo anche all'estero (associando per un lungo periodo, agli occhi del pubblico internazionale, il cinema italiano alle produzioni storico-epiche in costume) ed è tuttora affascinante nella sua arcaicità: nonostante i limiti del linguaggio (a tratti ancora più simile a quello del teatro che non del cinema: non c'è vero montaggio o movimento di camera, e ogni scena è introdotta da un cartello che spiega allo spettatore cosa sta per accadere), limiti che si ripercuotono inevitabilmente sul ritmo narrativo (gli eventi si succedono rapidamente e senza soluzione di continuità, spesso anche con un rapporto di causa ed effetto debole o confuso) e sulla caratterizzazione dei numerosissimi personaggi (molti dei quali introdotti all'improvviso, senza presentazione e con motivazioni poco chiare), l'ambizione produttiva è evidente: le scenografie sono ricche, realistiche e tridimensionali (non più fondali dipinti), il numero di comparse è elevato (si dice cinquemila!), i costumi e l'iconografia in generale è assai curata, e alcune scene sono decisamente spettacolari (in particolare quelle di Roma che brucia e quelle ambientate nell'arena, con la corsa delle bighe, gli scontri fra i gladiatori e le belve feroci). D'altronde il film richiese due mesi di riprese, ebbe un alto costo per l'epoca, e la sua lunga durata contribuì a codificare il formato del lungometraggio che nel corso degli anni seguenti diventerà lo standard nell'industria del cinema, soppiantando le pellicole in uno o due rulli. Ursus, per molti versi, è un antesignano di Maciste. Il romanzo di Sienkiewicz era già stato portato sullo schermo nel 1901 (da Lucien Nonguet e Ferdinand Zecca, in una versione di soli 3 minuti, forse andata perduta), e lo sarà di nuovo nel 1924 (da Gabriellino D'Annunzio – figlio di Gabriele – e Georg Jacoby, con Emil Jannings nel ruolo di Nerone e Castellani che riprende quello di Ursus), nel 1951 (da Mervyn LeRoy, con Peter Ustinov e Deborah Kerr, la versione hollywoodiana più famosa) e nel 2001 (da Jerzy Kawalerowicz, una produzione polacca più fedele al libro originale).

12 maggio 2022

Impiegati... male! (Mike Judge, 1999)

Impiegati... male! (Office space)
di Mike Judge – USA 1999
con Ron Livingston, Jennifer Aniston
**1/2

Visto in TV (Disney+).

Peter Gibbons (Ron Livingston) odia il suo lavoro. Programmatore per un'azienda che sviluppa software per le banche, trascorre le giornate in uno stretto cubicolo, in un ambiente frustrante e malsano, e in particolare è continuamente vessato dal suo capo Bill Lumbergh (Gary Cole), che inizia ogni discussione con la frase "Ci sono problemi?", gli chiede regolarmente di fare straordinari e si impunta sulle questioni più irrilevanti. Ipnotizzato accidentalmente da un terapeuta che lo "libera" da inibizioni e stress, sviluppa all'improvviso un atteggiamento più leggero e disincantato: e non solo non viene licenziato, ma addirittura promosso al ruolo di dirigente! Nel frattempo si dichiara alla ragazza che ha sempre amato da lontano (Jennifer Aniston, cameriera in un ristorante dove a sua volta ha i suoi problemi con un manager ipocrita e le sue assurde regole) e aiuta due colleghi (David Herman e Ajay Naidu), loro sì licenziati, a "vendicarsi" grazie a un virus che sottrae gli spiccioli degli arrotondamenti dai conti correnti delle banche ("Come in Superman 3"). Dal creatore di "Beavis and Butt-head", una satira del mondo del lavoro sulla falsariga di "Clerks" (qui a essere preso di mira è specificatamente l'ambiente dei colletti bianchi e delle società di software che impazzavano già negli anni Novanta: Peter, in particolare, è incaricato dell'aggiornamento dei sistemi in vista del Millenium Bug). Per certi versi, il tutto ricorda la strip a fumetti "Dilbert". Memorabili, fra le varie scene, il "pestaggio" ai danni della fotocopiatrice/fax che faceva impazzire gli impiegati, nonché i colloqui a cui i due "tagliatori di teste" Bob (John C. McGinley) e Bob (Paul Willson) sottopongono i dipendenti. Il film è ispirato a una serie di cortometraggi animati realizzati da Judge a inizio carriera, da cui proviene il personaggio di Milton (Stephen Root), l'impiegato licenziato che però continua a lavorare, sempre sull'orlo della follia. Cult movie in patria.

10 maggio 2022

Il caso Paradine (Alfred Hitchcock, 1947)

Il caso Paradine (The Paradine Case)
di Alfred Hitchcock – USA 1947
con Gregory Peck, Alida Valli
**1/2

Rivisto in DVD.

Il giovane e brillante avvocato Anthony Keane (Gregory Peck) viene incaricato di difendere la vedova Maddalena Paradine (Alida Valli) dall'accusa di aver ucciso il marito, un colonnello cieco, avvelenandolo con l'arsenico. Benché gli indizi contro la donna (di modesti natali e dal passato non proprio immacolato) non manchino, pur senza prove reali, Keane si convince sempre più della sua innocenza, e durante il dibattimento cerca di deviare i sospetti verso il cameriere personale – e in precedenza attendente – del colonnello, l'enigmatico André Latour (Louis Jourdan). Anche perché nel frattempo si è innamorato dell'affascinante signora, il che rischia di mettere a repentaglio il suo rapporto con la moglie Gay (Ann Todd). L'ultimo film girato da Hitchcock con il produttore David O. Selznick, colui che lo aveva portato a Hollywood con un contratto di sette anni e con cui aveva lavorato dai tempi di "Rebecca", è un thriller giudiziario ricco di sfumature, tratto da un romanzo di Robert Smythe Hichens, dove l'andamento del processo (e la rivelazione del colpevole) contano quasi meno dei rapporti fra i personaggi. L'attrazione che Keane prova verso la signora Paradine, anche se questa si mostra scostante nei suoi confronti, diventa una vera e propria ossessione che guida tutte le sue azioni, mentre dall'altro lato la moglie Gay, che si rende conto di tutto, non solo accetta che il marito continui a difendere la "rivale" ma spera che la faccia assolvere, "così la lotta sarà ad armi pari". Anche la relazione della donna con l'attendente Latour si ammanta di toni ambigui e ambivalenti (sono stati amanti? complici? nemici? si amano o si odiano?), mentre attorno a loro si muovono figure carismatiche come il laido giudice Horfield (Charles Laughton) e l'avvocato di famiglia sir Simon (Charles Coburn), a loro volta protagonisti di siparietti con la rispettiva moglie (Ethel Barrymore) e figlia (Joan Tetzel). Il rapporto di Hitchcock con l'invadente Selznick, spesso presente sul set con continue modifiche alla sceneggiatura, non fu facile, anche perché il produttore impose il cast al regista (che avrebbe voluto Laurence Olivier e Ingrid Bergman o Greta Garbo come protagonisti). Ma Selznick voleva lanciare Alida Valli (accreditata solo come "Valli" nei titoli di testa) in America: si tratta così di una delle pochissime "brune" in un film di sir Alfred, che notoriamente preferiva le bionde. Anche la scelta di Jourdan fu contestata da Hitchcock, che immaginava il personaggio come un rude stalliere, non come un raffinato domestico. Quello che avrebbe dovuto essere il racconto di una doppia "discesa nell'abisso" (di Keane in primis, sempre più catturato dal fascino proibito della signora Paradine, e della signora stessa, con il suo passato torbido) diventa così "soltanto" un melodramma giudiziario, anche se la fattura – a livello di regia, fotografia, scenografie (l'Inghilterra, e in particolare l'Old Bailey dove si svolge il processo che occupa tutta la seconda parte del film, è stata ricostruita in studio) – è come sempre impeccabile. E il senso di alienazione e di solitudine che affligge man mano i personaggi è degno dei migliori noir. Durante le sequenze del processo, Hitchcock usò quattro diverse macchine da presa in funzione simultaneamente, ciascuna puntata su un differente attore, una tecnica mai usata prima a questi livelli. Costato moltissimo, il film ebbe uno scarso riscontro di pubblico e di critica e fu considerato fra i "passi falsi" del regista: ma naturalmente, avercene di film così oggi!

9 maggio 2022

L'eroe dei due mondi (Lu Yang, 2021)

L'eroe dei due mondi (Ci sha xiao shuo jia, aka A writer's odissey)
di Lu Yang – Cina 2021
con Lei Jiayin, Dong Zijian
**

Visto in TV (Prime Video).

In cerca della figlioletta rapita sei anni prima, un uomo, John Guan (Lei Jiayin), viene contattato da Jay Moore (Yu Hewei), presidente di una mega-corporazione, che gli propone un patto: lo aiuterà a ritrovare sua figlia se lui, in cambio, ucciderà un giovane scrittore (Dong Zijian) il cui romanzo fantasy – in progress, e diffuso a puntate sui social media – sembra ripercuotersi sulla realtà. Ogni volta infatti che il "cattivo" della storia, la divinità guerrafondaia Lord Redmane, viene ferito o si ammala, anche la salute di Moore peggiora. Da un racconto di Shuang Xuetao, un film fantasy complesso e caleidoscopico, ma anche infantile nelle caratterizzazioni e assai confuso nella sceneggiatura e nella messa in scena. Notevole però lo sforzo produttivo, con un profluvio di effetti speciali digitali di buona fattura. L'alternanza fra le scene ambientate nel mondo reale (dove peraltro alcuni personaggi, Guan compreso, hanno strani poteri: il protagonista, per esempio, ha una mira infallibile quando lancia pietre o altri piccoli oggetti) e quelle del romanzo fantasy (dove l'eroe del racconto, il giovane Leon – alter ego dello scrittore stesso –, affronta numerose creature fantastiche grazie a un'armatura demoniaca senziente, vagamente alla Go Nagai) è il filo conduttore di tutta la vicenda, ma il meccanismo si trascina in modo non sempre accattivante. Il cattivo Jay Moore (Li Mu nella versione cinese) e la sua multinazionale Aladdin sono chiaramente ispirati a Jack Ma e al gruppo Alibaba (che peraltro ha finanziato la pellicola!). Nel cast anche Yang Mi (la dirigente di Aladdin che si allea con Guan) e Wang Shengdi (Tangerine, la bambina).

8 maggio 2022

Piccole donne (George Cukor, 1933)

Piccole donne (Little Women)
di George Cukor – USA 1933
con Katharine Hepburn, Joan Bennett
**

Visto in divx.

Mentre il padre è al fronte durante la Guerra di Secessione, le quattro sorelle March – la maggiore Meg (Frances Dee), la vivace Jo (Katharine Hepburn), la sensibile Beth (Jean Parker) e la vanitosa Amy (Joan Bennett) –, ragazze generose e ribelli, indomite e sognatrici, crescono con la madre in una piccola cittadina del Massachusetts. La loro vita trascorre fra desideri di emancipazione, bei momenti e piccole tragedie, che punteggiano le fasi della crescita, accompagnate dai valori e dagli insegnamenti delle persone loro attorno. È forse l'adattamento più celebre del romanzo (semi-autobiografico) di Louise May Alcott, che sarà portato poi sullo schermo molte altre volte (fra cui, nel 1994, da Gillian Armstrong, con Winona Ryder e Susan Sarandon, e nel 2019, da Greta Gerwig, con Saoirse Ronan ed Emma Watson). Celebre ma anche un po' stucchevole, nel suo mix di retorica familiare, romanticismo e buoni sentimenti, sostenuto però dall'agile regia di Cukor, che non appesantisce mai una narrazione episodica, quotidiana, minimalistica (almeno nella prima metà del film: la seconda si fa via via più verbosa e melodrammatica). A una prima parte caratterizzata infatti da leggerezza, convivialità e atmosfere familiari (da ricordare la recita teatrale organizzata in casa dal "maschiaccio" Jo, o le vicissitudini romantiche delle varie sorelle), fa seguito una seconda più drammatica, dove non mancano le tragedie (la tensione per il padre al fronte, o la malattia e poi la morte di Beth). Il successo (di critica e di pubblico) fu grande, anche per merito delle buone interpretazioni, benché le protagoniste appaiano troppo adulte per le parti: la Hepburn aveva 26 anni, mentre Jo ne dovrebbe avere all'inizio 15; e la Bennett ne aveva 23, quando Amy ne dovrebbe avere solo 12 (è la più piccola delle sorelle!). Cukor, ancora agli esordi, cominciò qui a farsi la fama di "regista delle donne", nonché di specialista in adattamenti letterari. Il cast comprende Douglass Montgomery (il giovane Laurie), Henry Stephenson (il signor Laurence), Spring Byington (la madre), Edna May Oliver (la zia), Paul Lukas (il professor Bhaer). La sceneggiatura di Victor Heerman e Sarah Y. Mason vinse l'Oscar (con nomination anche per il film e la regia).

6 maggio 2022

Teorema (Pier Paolo Pasolini, 1968)

Teorema
di Pier Paolo Pasolini – Italia 1968
con Terence Stamp, Silvana Mangano
***1/2

Rivisto in DVD.

La famiglia di un ricco industriale milanese riceve, nella propria villa fuori città, la visita di un misterioso ospite (Terence Stamp), non meglio identificato. Che seduce tutti (intellettualmente, emotivamente o sessualmente) e ne "rivoluziona" la vita. E quando se ne andrà, altrettanto improvvisamente, ciascuno si renderà conto che la sua presenza ha distrutto l'intero mondo che c'era prima (un mondo vuoto, di falsi valori) e catalizzato la guarigione, la conoscenza e la scoperta di sé. Il capofamiglia (Massimo Girotti), gravemente malato, viene da lui accudito (un conforto che paragona a quello del servo Gerasim ne "La morte di Ivan Il'ič" di Tolstoj): guarito, l'uomo donerà la sua fabbrica agli operai (una scelta anticipata dall'incipit del film, dove un giornalista intervista i beneficiati), si spoglierà di tutti i vestiti e camminerà nudo nel deserto (come Gesù: i riferimenti ai Vangeli e alla Bibbia abbondano per l'intera pellicola). La moglie (Silvana Mangano), che in precedenza era apatica, senza interessi ed emozioni, scoprirà le gioie del sesso, e andrà in giro per le periferie e l'hinterland milanese a rimorchiare giovani amanti. Il figlio (Andrès José Cruz Soublette), con un complesso di inferiorità e inadeguatezza, si getterà nell'arte per esprimere sé stesso e le sue insicurezze, esplorando e sperimentando nuove tecniche, così da costruirsi un universo proprio e unico, senza confronti con nient'altro. La figlia (Anne Wiazemsky), vergine e inesperta, arriva a conoscere il mondo, la vita, gli uomini: una conoscenza che la sovrasta e la lascia vuota, tanto che dopo la partenza dell'ospite finisce in catalessi. E persino la serva di casa (Laura Betti), fortemente religiosa, ha un'esperienza mistica che la porta a diventare una sorta di santa, venerata dai contadini, che si nutre di ortiche e compie miracoli (levita, guarisce i bambini). Da un lavoro teatrale dello stesso Pasolini (che poi diverrà anche un romanzo), un film chiave e uno dei più importanti della sua filmografia, anche se può apparire un po' datato e difficile da apprezzare per uno spettatore odierno (per i suoi tempi lenti, i lunghi silenzi, i personaggi enigmatici, i temi complessi). Di fatto, però, ha lasciato una forte impronta nell'immaginario culturale e cinematografico (ispirerà, fra gli altri, il "Visitor Q" di Takashi Miike). La data di uscita non è casuale: il Sessantotto, che segna una rottura e un forte cambiamento nella società italiana, con la trasformazione delle classi che fino ad allora l'avevano contraddistinta (borghesia e proletariato, che si fondono o comunque si sfumano l'uno nell'altra). La regia è multiforme, sperimentale, misteriosa (le tonalità di seppia, le sequenze mute, l'uso della musica, le immagini ricorrenti come quelle del deserto, gli immancabili riferimenti religiosi). La colonna sonora (molto interessante, come suo solito) è di Ennio Morricone, ma ci sono anche molti brani del Requiem di Mozart (la morte è, ovviamente, simbolo di trasformazione). Piccole parti per Ninetto Davoli (il portalettere) e Susanna Pasolini, la madre di PPP (la vecchia contadina). Il titolo può essere spiegato dalla sequenza iniziale, nella quale il giornalista si domanda: "Un borghese, in qualsiasi modo agisce, sbaglia?". Come scrive Serafino Murri, "la risposta è nella dimostrazione, per absurdum, del teorema dell'irredimibilità della borghesia", una borghesia che si sta muovendo verso una presa di coscienza e un superamento delle sue (false) certezze. Alla sua uscita il film ha suscitato forti polemiche, per via delle scene di sesso e di nudo e del loro legame con il sacro, da parte di alcuni degli ambienti istituzionali e cattolici che hanno sempre contestato le opere di Pasolini, con richieste di censura (o addirittura di distruzione della pellicola). Ma ci furono contestazioni anche da sinistra, con accuse di "misticismo" e "reazionarietà": a dimostrazione di come il genio di PPP sia sempre stato difficile da inquadrare nello stantio e schematico dibattito culturale italiano.

4 maggio 2022

Luca (Enrico Casarosa, 2021)

Luca (id.)
di Enrico Casarosa – USA 2021
animazione digitale
**1/2

Visto in TV (Disney+), con Sabrina.

Il piccolo Luca è un mostro marino (!) che vive con i suoi simili sui fondali del Mar Ligure, e ha la capacità di assumere fattezze umane quando si trova all'asciutto. In compagnia dell'amico Alberto, esplora con curiosità il mondo degli esseri umani, stringendo amicizia con la coetanea Giulia: insieme, i tre parteciperanno a una gara (di "triathlon italiano": nuoto, bicicletta e mangiata di pasta!) nella cittadina di Portorosso. Primo lungometraggio del regista italiano Enrico Casarosa (che per la Pixar dieci anni prima aveva già realizzato il corto "La luna", sempre a tema marino), è una storia di coming-of-age sui temi dell'amicizia, venata di fantastico e con rimandi a classici disneyani come "La sirenetta" (di cui è una versione maschile e più infantile) e "Pinocchio" (di cui capovolge le dinamiche: Luca, qui, desidera andare a scuola). Un film nel complesso gradevole, anche per via dell'estetica miyazakiana, ma essenzialmente innocuo, fatto di buoni sentimenti e poca originalità. Portorosso, come gli scenari circostanti, è ispirata ai paesini delle Cinque Terre, quando erano ancora villaggi di pescatori e non località turistiche: il film si svolge infatti negli anni Cinquanta, come testimoniano anche le locandine di film d'epoca – "La strada", "Vacanze romane" – affisse sui muri (mentre in tv passa "I soliti ignoti" e su una bici campeggia una foto di Marcello Mastroianni). L'Italia che ne risulta è decisamente stereotipata, un paese fuori dal mondo e dal tempo, dove gli uomini (e i gatti!) hanno i baffi, tutti ascoltano o cantano l'opera lirica, fanno gesti con le mani, mangiano pasta (al pesto, visto che siamo in Liguria!) e vanno in Vespa (proprio una Vespa è l'oggetto del desiderio dei protagonisti, che partecipano alla gara nella speranza di potersene comprare una). Anche i temi dell'amicizia e della scoperta del mondo e di sé stessi (attraverso la trasformazione) sono abbastanza inflazionati, tanto che saranno riproposti pari pari nel successivo film Pixar, "Red". Alcuni critici hanno avanzato un (ardito) parallelo con "Chiamami col tuo nome" di Luca Guadagnino, per via dell'ambientazione estiva-vacanziera, nostalgica e italiana. Nella colonna sonora, canzoni di Mina, Gianni Morandi, Rita Pavone ed Edoardo Bennato.

3 maggio 2022

Venom: La furia di Carnage (A. Serkis, 2021)

Venom: La furia di Carnage (Venom: Let there be Carnage)
di Andy Serkis – USA 2021
con Tom Hardy, Woody Harrelson
**

Visto in TV (Netflix).

La convivenza simbiotica fra il giornalista Eddie Brock (Tom Hardy) e l'alieno Venom prosegue fra alti e bassi: la loro è quasi la parodia di una storia d'amore (con tanto di dichiarazione nel finale), compresa di litigi, separazioni, scuse e riconciliazioni. In questo secondo lungometraggio dedicato al personaggio Marvel (nato nei fumetti come nemico dell'Uomo Ragno: e nella scena sui titoli di coda si rimanda proprio al finale di "Spider-Man: Far From Home", aprendo la via all'integrazione di Venom nel Marvel Cinematic Universe), la minaccia è costituita da Cletus Kasady (Woody Harrelson), folle serial killer condannato a morte. Ma prima che possa essere giustiziato, viene contaminato dal sangue di Venom, sviluppando a propria volta un simbionte alieno senziente, Carnage, assai simile ma ben più cattivo e letale del "genitore", nonché in cerca di vendetta insieme alla sua alleata Shriek (Naomie Harris). Come succedeva già nel primo film, si continua a offrire un intrattenimento disimpegnato che però risulta stranamente accattivante (dico stranamente perché i personaggi di Venom, e di Carnage soprattutto, nei comics erano monocordi e noiosi). Il meglio è dato dai battibecchi fra Brock e Venom, mentre le scene d'azione sono puro caos ed energia, senza troppa logica o sofisticazione. A parte gli effetti speciali, tutto il film sembra un po' al risparmio. Cast assai ridotto: oltre ai personaggi già citati, ci sono solo il poliziotto Patrick Mulligan (Stephen Graham), l'ex fiamma di Eddie Anne (Michelle Williams) e il suo nuovo fidanzato Dan (Reid Scott). Lo scontro finale nella chiesa (dove Carnage e Shriek si vogliono sposare al suono del "Lacrimosa" di Mozart), e in particolare la scena delle campane, citano la storia a fumetti in cui l'Uomo Ragno si separò definitivamente dal suo costume alieno (che poi diede vita proprio a Venom).

2 maggio 2022

Punto zero (Richard C. Sarafian, 1971)

Punto zero (Vanishing point)
di Richard C. Sarafian – USA 1971
con Barry Newman, Cleavon Little
**1/2

Visto in divx.

L'ex pilota di corse Kowalski (Barry Newman), che ora lavora per un'agenzia di trasporto auto, è incaricato di trasferire una macchina – una Dodge Challenger R/T bianca del 1970, con il motore truccato – da Denver, in Colorado, a San Francisco, in California. Scommette così con un amico che compirà l'intero percorso in soli due giorni (da venerdì a domenica), senza fermarsi nemmeno per dormire, dopo essersi imbottito di anfetamine. Durante il viaggio sarà preso di mira dalla polizia stradale, che gli darà la caccia lungo tutto il percorso, mentre le sue "imprese" sono celebrate via etere da Super Soul (Cleavon Little), DJ di una radio privata, che lo trasforma in una sorta di eroe solitario che lotta contro il sistema. Celebre pellicola di exploitation, sulle orme di "Easy Rider" e antesignana di "Convoy" nel celebrare il desiderio di fuga e di libertà individuale (erano gli anni post-Woodstock) contro un sistema percepito come oppressivo: nel corso degli anni, anche per merito del finale, è diventato un film di culto (è citato anche, fra gli altri, in "Grindhouse - A prova di morte" di Quentin Tarantino). Se la trama è esile, incentrata essenzialmente su corse e inseguimenti sulle strade polverose del sud-ovest americano, e i personaggi poco caratterizzati (ma in fondo c'è quel che basta), il film ha i suoi pregi nella compattezza interna e nella bellezza delle immagini, con un regista che dirige attori e auto in movimento come nelle coreografie di un balletto. Durante il suo viaggio, che assume caratteristiche quasi esistenziali, il protagonista (di cui non sapremo mai il nome di battesimo, solo il cognome) incrocia vari personaggi che lo aiutano (il vecchietto che cattura serpenti nel deserto; i due hippy in motocicletta) o lo ostacolano (i vari poliziotti; uno spericolato pilota che lo sfida in una gara di velocità; una coppia di gay rapinatori, nella scena più imbarazzante di tutte). A ravvivare l'insieme, piccoli tocchi di "colore" (il DJ è nero e cieco, e la sua stazione viene presa di mira da un gruppo di suprematisti bianchi; la giovane hippy inforca la sua moto tutta nuda), nonché alcuni brevi flashback che ricostruiscono in parte il passato di Kowalski: un passato ovviamente da "perdente". In una scena tagliata compariva una giovane Charlotte Rampling nel ruolo di un'autostoppista. Bella la colonna sonora, che comprende numerosi brani rock e pop. Un (brutto) remake nel 1997, "Vanishing Point", con Viggo Mortensen.