Atto di forza (Paul Verhoeven, 1990)
Atto di forza (Total Recall)
di Paul Verhoeven – USA 1990
con Arnold Schwarzenegger, Rachel Ticotin
**1/2
Rivisto in TV.
Operaio in un’industria di costruzioni e sposato con un’avvenente bionda (Sharon Stone), Douglas Quaid (Schwarzy) ha ricorrenti incubi notturni in cui sogna di essere un agente segreto su Marte. Quando si rivolgerà alla Rekall, un’agenzia di viaggi virtuali specializzata in innesti di memorie fasulle, scoprirà che proprio quella era la sua vita reale, e che il ricordo dell’esistenza quotidiana sulla Terra (con tanto di finta moglie) gli è stato impiantato artificialmente per scopi misteriosi… Da un racconto di Philip K. Dick (“Ricordiamo per voi”), da cui prende però solo lo spunto e modifica gli sviluppi e il finale, un action movie fantascientifico che unisce ottime trovate (su tutte il tema dei ricordi virtuali, che lascia sospettare a più riprese che anche quello che vediamo sullo schermo sia solo frutto dell’immaginazione del protagonista: la pellicola si chiude addirittura con Douglas che si domanda: “E se fosse stato tutto un sogno?”) a scene d’azione non particolarmente innovative o memorabili, soprattutto quando la storia si trasferisce su Marte. Ed è un vero peccato che una Sharon Stone così cattiva, bellissima e supersexy, esca di scena dopo poco più di una ventina di minuti: farà ancora una comparsata più avanti, ma non c’è proprio confronto fra lei e la co-protagonista Rachel Ticotin. I cattivi sono Ronny Cox, Michael Ironside e Mel Johnson Jr. Niente di speciale le scenografie (gli ambienti su Marte, i costumi e i veicoli sembrano provenire da un film degli anni settanta), bene invece il trucco e gli effetti visivi (di Rob Bottin, premiato con l’Oscar): oltre ai vari “mutanti” e mostriciattoli vari (come Kuato, il capo della ribellione contro il governatore marziano), è rimasto iconico il travestimento da “signora grassa” di Schwarzy al suo sbarco sul pianeta rosso. Al netto della veste fantascientifica, il soggetto è praticamente hitchcockiano, con un “uomo qualunque” (perché è questo che Douglas è, senza le memorie del suo autentico alter ego Hauser) in fuga e invischiato in un intrigo internazionale (anzi, interplanetario!) di cui non conosce i dettagli. E se all’inizio alcune cose ci sembrano strane (perché i cattivi lo vogliono vivo?), tutto poi tornerà, grazie anche a qualche colpo di scena non proprio prevedibile. Nel complesso il mix fra futuro (con ologrammi e schermi giganti), trip mentali e filosofici (tipici di Dick) e l’estrema violenza del cinema di Verhoeven (in abbinamento con i muscoli di Schwarzy, vero e proprio “Maciste nello spazio”) funziona. I produttori giocarono con l’idea di farne un sequel (ispirandosi a un altro racconto di Dick, “Rapporto di minoranza”), prima di rinunciare e lasciare tale racconto a Spielberg (che nel 2002 vi trarrà “Minority report”). Un remake nel 2012.
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