Visualizzazione post con etichetta Gong Li. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Gong Li. Mostra tutti i post

6 marzo 2022

Lanterne rosse (Zhang Yimou, 1991)

Lanterne rosse (Da hong deng long gao gao gua)
di Zhang Yimou – Cina/Hong Kong 1991
con Gong Li, He Saifei
***

Rivisto in divx.

Alla morte del padre, la diciannovenne Songlian (Gong Li) è costretta ad abbandonare gli studi universitari per sposare il ricchissimo aristocratico Chen Zuoqin (Ma Jingwu), di cui diventa la quarta moglie, praticamente una concubina. Si trasferisce così nel suo enorme palazzo, e si ritrova imprigionata in un mondo fuori dal tempo, dominato da antiche regole di famiglia, tradizioni e consuetudini: fra queste, quella che prevede che ogni giorno i servi del palazzo accendano delle enormi lanterne rosse davanti all'appartamento della moglie con la quale il padrone trascorrerà la notte. Naturalmente fra le quattro donne si innesca una ragnatela di gelosie e rivalità, intrighi e complotti, con le diverse "signore" pronte a tutto pur di guadagnarsi i favori dell'uomo. Da un romanzo ("Mogli e concubine") di Su Tong, ambientato negli anni Venti del ventesimo secolo (il periodo della storia cinese noto come "dei signori della guerra"), uno dei film più celebri della cinematografia cinese, che insieme ad altri lavori coevi ("Ju Dou", "La storia di Qiu Ju") ha lanciato la carriera del regista Zhang Yimou e della sua musa, la bellissima Gong Li. E la prospettiva tutta femminile di un mondo rigido e governato da regole arcaiche e patriarcali (il padrone si intravede solo di sfuggita, spesso da lontano o fuori inquadratura), che costringe le donne a tradirsi a vicenda anziché a sviluppare solidarietà (sia fra di loro, sia attraverso le diverse classi, per esempio nel rapporto fra Songlian e la serva Ya), può essere interpretata in maniera letterale o come una sorta di critica verso la Cina contemporanea, il che spiega perché la censura di stato, pur avendo approvato la sceneggiatura, abbia vietato la pellicola per un certo periodo. Jin Shuyuan è la "prima signora", ormai vecchia, stanca e trascurata. Cao Cuifen è la "seconda signora", all'apparenza amichevole verso la nuova arrivata ma in realtà infida e traditrice. He Saifei è la "terza signora", un'ex cantante lirica che in un primo momento sembra ostile a Songlian ma con cui poi la ragazza stringe un sodalizio. Kong Lin, infine, è la servetta Ya, cameriera personale di Songlian ma gelosa di lei. Suggestiva la location, un enorme complesso di palazzi, cortili e corridoi di pietra (il film è stato girato nel complesso residenziale della famiglia Qiao, nella prefettura di Jinzhong) che fanno da sfondo al mutare delle varie stagioni (estate, autunno, inverno...). Candidato all'Oscar come miglior film straniero (per Hong Kong, però, non per la Cina), venne battuto da "Mediterraneo".

31 ottobre 2021

Ju Dou (Zhang Yimou, 1990)

Ju Dou (id.)
di Zhang Yimou, Yang Fengliang – Cina/Giappone 1990
con Gong Li, Li Baotian
**1/2

Rivisto su YouTube, in originale con sottotitoli inglesi.

L'anziano e avaro Yang (Li Wei), proprietario di una tintoria in un piccolo villaggio nella Cina degli anni Venti, sposa la giovane Ju Dou (Gong Li), nella speranza di avere finalmente quell'erede maschio che ha sempre sognato. Di fronte ai maltrattamenti che la donna deve subire, il nipote adottivo di Yang che lavora nella tintoria, Tianqing (Li Baotian), se ne innamora: e sarà proprio lui a mettere incinta Ju Dou, che darà finalmente alla luce un bambino. Ma l'amore fra i due sarà osteggiato dal destino avverso. Il secondo film a portare Zhang Yimou alla ribalta internazionale, dopo il debutto con "Sorgo rosso" (con cui condivide l'ambientazione rurale e la collocazione temporale) e prima di "Lanterne rosse", è stato anche uno dei primi film cinesi prodotto con capitali esteri (nella fattispecie, giapponesi): riscosse un grande successo critico, con tanto di nomination agli Oscar come miglior film straniero. Tratto da un romanzo popolare di Lui Heng (autore anche della sceneggiatura), ne restringe l'ambientazione sia temporalmente (la storia si svolge nell'arco di una decina d'anni) che spazialmente (tutta la vicenda è concentrata praticamente all'interno della tintoria, spazio scenico che con i suoi tessuti colorati appesi ad asciugare, le vasche della tintura, le corde, gli ingranaggi e le ruote dentate, caratterizza in maniera notevole l'intero dramma). Anche le relazioni fra i personaggi (solo quattro di fatto, contando anche il bambino) guidano la trama in maniera dinamica: si passa dai soprusi del vecchio Yang al capovolgimento dei rapporti di forza quando questi si ritrova paralizzato e alla mercé dei due amanti, per poi cambiare nuovamente con la morte del vecchio (che costringe Tianqing e Ju Dou a vivere separati, per evitare pettegolezzi) e la crescita del figlio, che inaspettatamente si era schierato dalla parte di Yang. Se l'incipit, scenario a parte, poteva ricordare un noir in stile "Il postino suona sempre due volte", gli sviluppi fanno pensare a un melodramma o, salendo di tono, a una tragedia greca. E il contorno, il villaggio ancora prigioniero di tradizioni arretrate (vedi il funerale) e di dettami morali che mettono i bastoni fra le ruote alla ricerca di felicità dei protagonisti, ha stimolato anche letture politiche ("una metafora del processo di restaurazione che pose fine agli entusiasmi e ai sogni che si erano accompagnati alla Rivoluzione Culturale"), il che spiega perché non fu bene accolto dalle autorità in patria. Ottima la regia, così come la fotografia di Gu Changwei, particolarmente attenta ai cromatismi (i colori gialli e rossi dei drappi appesi ad asciugare). Il secondo regista accreditato, Yang Fengliang, aveva collaborato con Zhang anche nel precedente "Operazione Cougar": di lui di sa poco o nulla, ma Zhang ha dichiarato che si trattava di un supervisore che gli era stato affiancato perché era ritenuto ancora troppo inesperto per girare un film da solo.

3 dicembre 2020

Operazione Cougar (Zhang Yimou, 1989)

Operazione Cougar (Daihao meizhoubao)
di Zhang Yimou, Yang Fengliang – Cina 1989
con Ge You, Gong Li
*

Visto in divx, in originale con sottotitoli inglesi.

Un aereo privato commerciale, in volo da Taipei a Seul, viene dirottato da un gruppo terroristico. Costretti a un atterraggio di emergenza in un campo nei pressi di Pechino, i criminali chiedono alle autorità di liberare il loro capo (imprigionato a Taiwan), minacciando di uccidere gli ostaggi. Per far fronte alla situazione, pur non avendo contatti diplomatici ufficiali da 40 anni, i governi di Pechino e Taipei decidono di collaborare inviando in segreto una task force formata da membri di entrambi i paesi. Forse la pellicola più atipica e meno significativa di tutta la filmografia di Zhang Yimou, un thriller noioso e abbastanza dozzinale, di scarso valore e nessun interesse se paragonato con le cose che in contemporanea venivano prodotte a Hong Kong (anche se il modello è semmai smaccatamente americano), e naturalmente distante anni luce dai lavori di ambientazione storica dello stesso Zhang. Che lo diresse per fare un favore a un amico che lo aveva finanziato: ma molti elementi dello script vennero eliminati dalla censura cinese, lasciando la pellicola monca e senza personaggi o aspetti di rilievo, se non l'eccessiva enfasi con cui si sottolinea ripetutamente (e con molta retorica) la collaborazione fra le nazioni rivali, un auspicio forse per una riconciliazione anche nella realtà. Lo stile cerca di rimediare alla povertà del budget con numerosissimi primi piani e pochi momenti concitati, mentre quelli più "operativi" sono resi attraverso una serie di fotogrammi fissi (a mo' di reportage fotografico) accompagnati da una voce fuori campo. Ridicolo il finale che ripropone scene già viste (anche tragiche) con una canzoncina allegra in sottofondo. Ge You è il capo dei dirottatori, Liu Xiaoning e Wang Xueqi rispettivamente i comandanti delle squadre di Pechino e Taipei, Gong Li l'infermiera che collabora controvoglia con i terroristi perché innamorata del loro capo (un personaggio fondamentalmente inutile, inquadrata spesso ma praticamente senza linee di dialogo). Il co-regista Yang Fengliang dirigerà insieme a Zhang anche il successivo "Ju Dou", dopodiché le carriere (e le fortune) dei due prenderanno strade differenti.

27 settembre 2019

Saturday fiction (Lou Ye, 2019)

Saturday fiction (Lan xin da ju yuan), aka Teatro Lyceum
di Lou Ye – Cina 2019
con Gong Li, Mark Chao
*1/2

Visto al cinema CityLife Anteo, con Viviana, in originale con sottotitoli (rassegna di Venezia).

Nel dicembre del 1941, l'attrice Jean Yu (Gong Li) torna nella Shanghai occupata dai giapponesi (con l'eccezione delle poche zone sotto il controllo delle potenze europee), ufficialmente per prendere parte a una rappresentazione teatrale diretta da Tan Ma (Mark Chao), suo amante di un tempo, e ufficiosamente per perorare la causa dell'ex marito, dissidente prigioniero dei nipponici. In realtà la donna è una spia al servizio degli alleati, e il suo compito è quello di estorcere ad un alto ufficiale giapponese (Joe Odagiri) quale sarà il luogo dell'imminente attacco del paese del Sol Levante nel Pacifico. Un confuso film di spionaggio, incredibilmente noioso, con personaggi dalla caratterizzazione inesistente o ballerina, svolte poco chiare o implausibili, una regia mediocre che cerca di costruire l'atmosfera attraverso una fotografia in bianco e nero cupa e livida, e una fastidiosissima camera a mano sempre in movimento. Sprecata l'ottima Gong Li, costretta a un certo punto a trasformarsi in Rambo, prima di un finale prolungato che sembra non voler terminare più. Mai si percepisce l'afflato della storia, immersi come siamo in una ragnatela di intrighi spionistici di quart'ordine, in balia di personaggi con cui è difficile empatizzare (e di cui in fondo ci importa ben poco), anche per via di una forma stilistica pretenziosa (vedi la patina noir) e ammiccante alla Nouvelle Vague. Nel cast anche Huang Xiangli e Pascal Greggory.

7 luglio 2019

Sorgo rosso (Zhang Yimou, 1987)

Sorgo rosso (Hong gaoliang)
di Zhang Yimou – Cina 1987
con Gong Li, Jiang Wen
**1/2

Rivisto in divx, in originale con sottotitoli.

Alla fine degli anni venti, in una zona rurale della provincia di Shandong (nella regione nord-orientale della Cina), la giovane Jiu-Er (Gong Li), "Nove Fiori", viene destinata in matrimonio dalla famiglia a un uomo ricco, anziano e malato, proprietario di una distilleria di vino di sorgo nel bel mezzo del deserto. L'uomo, però, muore dopo una sola notte di nozze, e la ragazza diventa così l'unica proprietaria della fabbrica, che farà prosperare con l'aiuto dei lavoranti, uno dei quali (Jiang Wen) diverrà il padre di suo figlio. Nove anni più tardi, con l'arrivo dei giapponesi, Jiu-er e gli uomini della distilleria si sacrificheranno per combattere gli invasori. Uno dei primi film della cosiddetta "quinta generazione" cinese (ovvero di quei registi e autori cresciuti dopo la Rivoluzione Culturale), nonché il primo titolo della Repubblica Popolare della Cina a essere distribuito ufficialmente nel nostro paese, il lungometraggio – che vinse l'Orso d'Oro al festival di Berlino e fece conoscere internazionalmente il regista Zhang Yimou (qui all'esordio) e l'attrice Gong Li – adatta con grande intensità le prime due parti (di cinque) dell'omonimo romanzo epico-generazionale di Mo Yan. Siamo lontani dalle opere di propaganda che avevano caratterizzato il cinema cinese nei decenni precedenti (anche se ne permangono alcune tracce: si pensi al comportamento di Jiu-Er quando diventa padrona della distilleria, rifiutando di farsi chiamare capo e coinvolgendo tutti i lavoratori nella sua gestione collettiva; o in generale alla seconda parte, quando la vicenda cambia rapidamente di tono, e da fiaba quasi atemporale si fa più drammatica e legata agli eventi storici): i personaggi sono mossi da passioni e sentimenti individuali, come l'erotismo o il desiderio di vendetta. In effetti, nel finale Jiu-Er e i suoi uomini non si battono contro i giapponesi per difendere la patria, ma per vendicare uno dei loro compagni, il "fratello Liu" (Ting Rujun), ucciso dagli invasori. Nonostante fosse il suo primo lavoro da regista, il film mette già in mostra tutta la maestria e la vena autoriale di Zhang Yimou, che trasfigura i bei paesaggi desertici, le terre frequentate dai briganti e i vasti campi di canne di sorgo mossi dal vento con una fotografia (di Gu Changwei) filtrata con colori intensi, soprattutto rossicci. Da notare che lo stesso Zhang, prima di darsi alla regia, è stato direttore della fotografia. Il rosso, che richiama tanto il vino di sorgo quanto il sangue (ed è ovviamente anche il colore della Cina), e dunque tutte le passioni che muovono i personaggi, caratterizza cromaticamente ogni scena della pellicola (con l'eccezione di alcune vedute notturne, con la luna piena verde che si staglia nel cielo senza stelle), culminando con la rossa eclissi finale. L'attenzione ad ambienti e culture rurali e marginali della Cina rende "viva" la vicenda (si pensi alle tradizioni legate al matrimonio della ragazza, o al canto dei lavoranti per la distillazione del vino). L'intera storia è raccontata dalla voce di un narratore fuori campo, nipote dei due protagonisti (proprio come avverrà in un successivo film di Zhang, "Il viaggio verso casa").

15 giugno 2014

Lettere di uno sconosciuto (Zhang Yimou, 2014)

Lettere di uno sconosciuto (Guilai, aka Coming home)
di Zhang Yimou – Cina 2014
con Gong Li, Chen Daoming
***

Visto al cinema Apollo, in originale con sottotitoli
(rassegna di Cannes).

Incarcerato durante la Rivoluzione Culturale, l'intellettuale Lu Yanshi torna a casa dopo vent'anni di "riabilitazione" solo per scoprire che la moglie non lo riconosce più. La donna soffre infatti di un raro disturbo mentale, un'amnesia selettiva che le impedisce di ricordare il volto del marito. Con l'aiuto della figlia, e per starle sempre vicino, l'uomo si stabilisce in una casa a fianco di quella della moglie, tentando in tutti i modi di riattivarle la memoria: ma né le immagini (le fotografie di quando era giovane) né i suoni (la musica del pianoforte) riescono a fare il miracolo. Zhang Yimou torna al suo fortunato filone intimista con una pellicola ispirata a un romanzo di Yan Geling (la stessa autrice de "I fiori della guerra", da cui Zhang aveva tratto il suo film precedente). Se l'incipit poteva far pensare anche in questo caso a un dramma a sfondo politico-sociale (fra l'altro il regista aveva già parlato della Rivoluzione Culturale in "Vivere!"), progressivamente invece il film perde le connotazioni storiche e ideologiche per tramutarsi in un'accattivante versione cinese di "Amour" (con echi di "Memento": vedi i bigliettini sparsi per casa), con l'uomo che per anni rimane a vivere al fianco di una donna che non lo riconosce (e alla quale deve presentarsi nuovamente ogni giorno, sempre con una diversa identità) ma che tuttavia continua ad amarlo, al punto da recarsi ogni 5 del mese alla stazione nella speranza di vederlo tornare. E per comunicare in qualche modo con lei, le scriverà false lettere dalla "prigionia". Evidente, a livello di metafora, il tema della rimozione e dell'alterazione della memoria storica: quando il padre era imprigionato, la figlia – indottrinata dal partito – aveva tagliato via con la forbice il suo volto da tutte le fotografie presenti in casa; quando l'uomo ritorna, invece, a sparire in maniera analoga è il suo volto dalla memoria della moglie. Bello e toccante il finale, sotto la neve invernale. A otto anni da "La città proibita" e per solo la seconda volta in quasi vent'anni Zhang torna a collaborare con Gong Li, la sua musa di un tempo, qui autrice di una prova intensa e commovente. Bravi anche Chen Daoming e la giovane Zhang Huiwen nei panni della figlia Dandan, che si esibisce fra l'altro come danzatrice in una rappresentazione del classico balletto dell'era comunista "Il distaccamento femminile rosso".

18 ottobre 2010

2046 (Wong Kar-wai, 2004)

2046 (id.)
di Wong Kar-wai – Hong Kong/Cina 2004
con Tony Leung Chiu-wai, Zhang Ziyi
***

Rivisto in DVD.

Tornato a Hong Kong dopo un breve soggiorno a Singapore, sullo sfondo dei turbolenti disordini dei tardi anni sessanta, il giornalista Chow – un Tony Leung bravo come non mai, qui con baffetti alla Clark Gable – cerca di dimenticare la sua infelice storia d'amore con Su Li-Zhen, la signora Chan (narrata in "In the mood for love", di cui questo film è il sequel), trasformandosi in un cinico seduttore e vivendo numerose avventure sentimentali senza lieto fine. "Ho amato una sola donna nella mia vita, ma non ho mai saputo se anche lei mi amava", spiega. Insediatosi in una camera dell'Oriental Hotel, scrive un romanzo di fantascienza ambientato nel 2046 (ovvero il numero della stanza d'albergo in cui si incontrava di nascosto con la sua amata nel film precedente): più che un anno (che fra l'altro indica la data in cui terminerà l'amministrazione autonoma di Hong Kong rispetto al resto della Cina), un luogo mentale dove è possibile ritrovare i ricordi perduti, anche a costo di non tornare più indietro. E difatti il tema dei sentimenti si intreccia fortemente a quello della memoria, come dimostra la sottotrama di Lulu (personaggio che proviene da uno dei primi film di WKW, "Days of being wild"), che non ricorda di aver mai incontrato Chow.

Se negli inserti fantascientifici – che fondono atmosfere di "Alphaville", "Blade Runner" e "Galaxy Express 999" – un viaggiatore diretto verso il 2046 a bordo di un treno speciale si innamora di un'androide (Faye Wong) dotata di "emozioni differite", nella realtà Chow frequenta prima la giovane ed elegante escort di lusso Bai Ling (Zhang Ziyi), inizialmente altezzosa ma che finisce con il legarsi troppo a lui, tanto che a un certo punto è costretto a respingerla; poi Jing Wen (ancora Faye Wong), figlia maggiore del proprietario dell'albergo, fidanzata a distanza con un giapponese e aspirante scrittrice che diventa la sua assistente, ispirandogli fra l'altro gran parte del suo romanzo; e infine ricorda la sua relazione con la "vedova nera" Su (Gong Li), un'affascinante giocatrice d'azzardo dal passato misterioso che ha curiosamente lo stesso nome della sua amata perduta (Maggie Cheung, che compare solo per pochi istanti in un breve flashback). Con ciascuna di loro, così come con la ballerina Lulu (Carina Lau), trascorrerà una diversa vigilia di Natale: nel suo romanzo, le zone 24 e 25/12 dello spazio sono infatti quelle più fredde, dove c'è assolutamente bisogno di calore umano per sopravvivere. Rispetto a "In the mood for love" il film è più passionale ed erotico, più frammentato ma altrettanto struggente e visivamente stupendo. Splendido il cast, con una concentrazione di attrici da brivido. E meravigliose, come sempre, l'elegante e coloratissima fotografia di Christopher Doyle (coadiuvato da Kwan Pung-leung) e la suggestiva colonna sonora di Shigeru Umebayashi (integrata con brani come "Casta diva", associata a Faye Wong, e "Siboney", associata a Zhang Ziyi).

8 gennaio 2008

La storia di Qiu Ju (Zhang Yimou, 1992)

La storia di Qiu Ju (Qiu Ju da guan si)
di Zhang Yimou – Cina 1992
con Gong Li, Liuchun Yang
***

Visto in DVD.

Qiu Ju, la testarda moglie di un contadino che vive fra le montagne, vorrebbe che il capo del villaggio si scusasse con lui per avergli dato un calcio "nelle parti basse" (una lite che non ci viene mostrata, perché avvenuta prima dell'inizio del film). La sua ostinazione si scontra con quella dell'uomo, che non intende mostrarsi debole e perdere la propria autorità, e che accetta di rifondere le spese mediche ma non di fare autocritica: la donna si rivolge dunque alle autorità giudiziarie, compiendo – anche incinta – una serie di lunghi e difficili viaggi prima in paese, poi al distretto di polizia e in seguito nella lontana e grande città. Ma alla fine, quando la giustizia verrà finalmente fatta, le lascerà l'amaro in bocca. Primo film di Zhang con un'ambientazione contemporanea e un tono neorealistico, vinse il Leone d'Oro al Festival di Venezia (e il trionfo fu completato con la Coppa Volpi per la miglior attrice a Gong Li, qui imbruttita e infagottata sotto stracci e cappotti). La pellicola ha poi ispirato altre successive opere del regista: l'ostinazione femminile e l'opposizione fra campagna e città si vedranno anche in "Non uno di meno", mentre il rapporto con la giustizia e il tema delle riconciliazioni delle liti verranno poi rivisitati in "Keep Cool". A margine dell'incontro fra Cina antica (vedi le celebrazioni per il capodanno, con le danze tradizionali) e moderna, spicca l'ambientazione rurale e il contrasto fra la gente semplice di campagna e il caos della città piena di insidie: il film venne comunque gradito anche dalle autorità cinesi, perché sottolineava la presa di coscienza sociale dei cittadini. E anche se la fiducia nelle istituzioni a volte traballa, i funzionari appaiono comunque solerti, giusti e coscienziosi. Interessante il tema, qua e là accennato, del controllo delle nascite. Qualcuno ha paragonato l'inquadratura finale del volto di Gong Li a quella di Jean-Pierre Léaud ne "I quattrocento colpi" di Truffaut.
Pessimo il DVD italiano della BIM: il formato dell'immagine è sbagliato (1:33 anziché 1:85), la durata è accorciata (97' anziché i 116' segnati sull'etichetta: ma l'IMDb indica una durata di 101') e soprattutto manca la lingua originale.

7 gennaio 2008

Vivere! (Zhang Yimou, 1994)

Vivere! (Huozhe, aka To live)
di Zhang Yimou – Cina/Hong Kong 1994
con Ge You, Gong Li
**1/2

Visto in VHS.

Le vicissitudini di una coppia di coniugi, fra i drammi privati e i grandi eventi pubblici che hanno segnato le tappe della Cina moderna (dal "Grande balzo in avanti" alla Rivoluzione Culturale), raccontate attraverso quarant'anni di storia del paese e sullo sfondo della diffusione del comunismo: pur essendo il film più "patriottico" e inquadrato della carriera di Zhang Yimou, è però tutt'altro che un film di propaganda e presenta un personaggio, quello di Ge You, per il quale le ideologie contano poco, sicuramente meno dell'amore per la vita e per la sua famiglia, il che potrebbe spiegare come mai la pellicola (pur presentando un tono quasi agiografico nei confronti delle istituzioni) sia stata vietata in patria. Fra le righe, inoltre, non mancano accuse verso le epurazioni degli intellettuali, le condanne sommarie dei dissidenti, e il culto della personalità di Mao. La storia inizia negli anni '30, quando il ricco possidente Fugui dissipa il patrimonio di famiglia con il gioco d'azzardo. Rimasto povero e dovendo mantenere la figlioletta e la moglie incinta, si trasforma in artista di strada dedicandosi al tradizionale "teatro delle ombre cinesi". Lo scoppio della guerra civile lo costringe all'arruolamento forzato: prima nelle fila dell'esercito nazionalista, poi in quello popolare di Mao: grazie al suo nuovo stato di "povero", che lo protegge dalle condanne a morte che vengono comminate ai capitalisti, lui e la moglie si integrano facilmente nella nuova Cina comunista, e fra alti e bassi riescono a sopravvivere con una sempre immutata fiducia nel futuro, nonostante la tragica perdita di entrambi i figli. La pellicola si chiude con la certezza che "la vita diventerà ancora migliore". Curiosamente il titolo è lo stesso di un celebre film neorealista di Kurosawa (anche se in italiano c'è un punto esclamativo in più). La volontà di vivere e di sopravvivere a ogni costo è in effetti la molla che spinge il protagonista ad andare avanti e a superare le molte difficoltà, adattandosi alle circostanze dopo aver superato le debolezze del passato.

La triade di Shanghai (Zhang Yimou, 1995)

La triade di Shanghai (Yao a yao yao dao waipo qiao)
di Zhang Yimou – Cina/Francia 1995
con Gong Li, Wang Xiaoxiao
**

Visto in DVD.

Shanghai, anni trenta: Il piccolo Shuisheng viene condotto in città dallo zio affinché entri al servizio della signorina Bijou, la "regina di Shanghai", amante del boss di una delle maggiori organizzazioni criminali del paese. Ingenuo e innocente, il ragazzo entra così in contatto con un mondo di amore, morte, potere e tradimento, meccanismi che fatica a comprendere e che gli sono del tutto estranei. Quando, dopo essere scampato a un attacco a tradimento, il capo della banda si trasferirà con i suoi uomini più fidati e con la donna in un'isola semideserta ai margini della città, il protagonista si ritroverà unico testimone della sua crudele vendetta. Raffinato e curato nella ricostruzione d'epoca, il film affascina dal punto di vista visivo anche se narrativamente non è del tutto riuscito: diviso in due parti quasi separate, è descrittivo nella prima (quella ambientata in una città notturna che rimane sullo sfondo e di cui non si vede quasi nessuna strada: la maggior parte delle scene si svolgono nella casa di Gong Li o nel cabaret della Triade dove la donna si esibisce come cantante), mentre è più ricco di azione nella seconda, che mi è piaciuta di meno. I personaggi vengono esibiti esteriormente ma non caratterizzati a sufficienza interiormente: il ragazzo, per esempio, rimane un testimone muto e impassibile nel quale non è facile immedesimarsi. Resta comunque un film piacevole da vedere, con una buona dose di ambiguità. È stata la prima pellicola di Zhang Yimou coprodotta con l'occidente: durante la lavorazione, il regista si separò sentimentalmente da Gong Li, fino ad allora attrice in tutti i suoi film. Lei, comunque, è come sempre favolosa e di una bellezza splendente: canta anche in prima persona le varie canzoni d'epoca che si ascoltano nel locale (e che ricordano quelle che cantava Anita Mui in "Miracles" di Jackie Chan).

5 giugno 2007

La città proibita (Zhang Yimou, 2006)

La città proibita (Man cheng jin dai huang jin jia, aka Curse of the Golden Flower)
di Zhang Yimou – Cina/Hong Kong 2006
con Gong Li, Chow Yun-fat
***

Visto al cinema Eliseo, con Hiromi e Albertino.

Cina, inizio decimo secolo, tarda dinastia Tang, gruppo di famiglia in un interno: l'imperatore sta segretamente avvelenando l'imperatrice, e lei vuole vendicarsi organizzando un colpo di stato per mettere sul trono uno dei propri rampolli al posto del principe ereditario, figlio di un'altra donna. Dopo "Hero" e "La foresta dei pugnali volanti", che non mi erano piaciuti (soprattutto il secondo), il furbo Zhang Yimou realizza un terzo wuxiapian, anche se stavolta le scene d'azione sono limitate (tre in tutto, in crescendo di durata e di spettacolarità) e incastonate in una trama dai toni melodrammatici che si svolge tutta all'interno del microcosmo della famiglia imperiale, fra rituali e inchini, fedeltà e tradimenti. Lo stile barocco e le scenografie sontuose e colorate sono perciò finalmente funzionali a una vicenda e a dei personaggi, e non fini a sé stessi come nei due film precedenti. Lo sfarzo e la grandiosità della corte imperiale adempiono perfettamente al loro compito di sfondo teatrale della vicenda, mentre le passioni e le tensioni autodistruttive che corrono fra marito e moglie (soprattutto) e fra i loro figli (solo in parte) riescono a reggere il peso di una pellicola che non può che terminare su toni da tragedia shakespeariana. Ottimi gli interpreti.

Nota sul titolo italiano: come con "Le crociate" di Ridley Scott e innumerevoli altri esempi, i miopi distributori nostrani sembrano ormai allergici alla poetica bellezza dei titoli originali, preferendo secchi schematismi che non facciano volare, nemmeno per un istante, l'immaginazione degli spettatori.

16 ottobre 2006

Memorie di una geisha (Rob Marshall, 2005)

Memorie di una geisha (Memoirs of a Geisha)
di Rob Marshall – USA 2005
con Zhang Ziyi, Michelle Yeoh, Gong Li
**1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Ancora bambina, la giovane Chiyo (Zhang Ziyi) viene venduta dalla famiglia a una casa di geishe di Kyoto. Tormentata dalla veterana Hatsumomo (Gong Li), ma protetta dalla sua rivale Mameha (Michelle Yeoh), dopo anni di sofferenze e sacrifici diventerà una delle geishe più celebri del paese con il nome di Sayuri. Mi ero accinto a vedere questo film con molti pregiudizi, convinto che si trattasse di un polpettone barocco e pesante, dal gusto americano e lontano dalla sensibilità giapponese nonostante il tema fosse uno di quelli più legati alla cultura nipponica: la figura della geisha, intrattenitrice ed artista che in occidente viene spesso scambiata con una prostituta. Ma se in effetti la prima parte – quella con la protagonista ancora bambina – è un po' stucchevole, e il finale sembra quasi posticcio (mi chiedo se fosse uguale nel libro di Arthur Golden da cui il film è tratto), la parte centrale non mi è dispiaciuta. Grazie anche a tre protagoniste di ottima levatura (due delle quali, la superba Gong Li e l'elegante Michelle Yeoh, sono fra le mie attrici preferite), la "rivalità" fra le due geishe esperte che coinvolge la giovane maiko diventa il vero cuore del film, mentre la descrizione di un mondo e di riti e costumi che dopo la guerra iniziano a scomparire forse troppo in fretta è efficace solo a tratti e non aiuta a capire se ci si trova di fronte a un rimpianto genuino o meno. Colpa della sceneggiatura, che semplifica eccessivamente i sentimenti e le emozioni dei personaggi, e di una regia manieristica che punta troppo sulla fotografia. Per comprendere davvero il mondo delle geishe c'è sicuramente di meglio, per esempio uno dei tanti film di Mizoguchi sull'argomento. Una nota sulle attrici: quando il film è uscito c'è stata una certa polemica sul fatto che le tre protagoniste non fossero giapponesi ma cinesi. Spielberg e gli altri produttori hanno probabilmente preferito affidarsi a nomi già noti in occidente, anche perché raramente i nipponici hanno una buona padronanza dell'inglese. Nel cast, comunque, ci sono anche Ken Watanabe, Koji Yakusho e Kaori Momoi.