La vendetta dei 47 ronin (K. Mizoguchi, 1941)
La vendetta dei 47 ronin (Genroku Chushingura)
di Kenji Mizoguchi – Giappone 1941/42
con Chojuro Kawarazaki, Kanemon Nakamura
**1/2
Visto in divx alla Fogona, in originale con sottotitoli.
Per aver sguainato la spada all'interno del palazzo dello shogun e aver ferito l'infido cerimoniere Kira che lo aveva insultato, il nobile daimyo Asano è costretto a fare seppuku. Tutte le sue proprietà vengono confiscate e la sua famiglia è destituita; ma i suoi seguaci (ormai diventati ronin, ossia samurai senza padrone), guidati dal ciambellano Kuranosuke Oishi, giurano vendetta in ossequio al codice del bushido. Dopo oltre un anno di attesa, di preparativi e di temporeggiamenti, assaltano la fortezza di Kira e uccidono il nemico, portandone poi la testa sulla tomba del loro signore. Verranno condannati a morte dallo shogun, ma la loro lealtà e devozione li consegnerà alla leggenda. Ispirato a un episodio storico realmente accaduto nell'era Tokugawa e reso celebre da decine di rivisitazioni letterarie e teatrali (la più nota è un dramma che risale al 1748), il "Chushingura" è un racconto che esprime molti dei più classici valori culturali del Giappone (la fedeltà, la memoria, il sacrificio: in breve, "lo spirito del vero samurai"). Il film, realizzato con un grande sforzo produttivo, viene messo in cantiere dopo l'ingresso del paese nella Seconda Guerra Mondiale, quando il governo esige dal cinema produzioni epiche, popolari e legate alla tradizione nipponica, rendendo difficile a Mizoguchi proseguire con le sue pellicole intimiste, di ambientazione contemporanea e di critica sociale. Il regista è dunque praticamente "costretto" a dirigerlo (un rifiuto avrebbe significato partire per il fronte), ma ottiene che la sceneggiatura si basi su una versione del dramma più moderna e realista, scritta nel 1934 da Seika Mayama, e che gli attori siano gli stessi interpreti teatrali che l'avevano portata sul palcoscenico. Ne nasce così un film che rinuncia alla spettacolarità e alle scene d'azione (manca clamorosamente, per esempio, il momento clou dell'assalto alla dimora del nemico, che viene narrato allo spettatore soltanto attraverso una missiva letta ad alta voce da una dama di compagnia alla vedova di Asano) in favore di una messa in scena austera e solenne, con prolungati piani sequenza, movimenti di macchina lentissimi o assenti, lunghe inquadrature dall'alto (come nelle tipiche pitture su rotoli) per consentire allo spettatore di familiarizzare con i vari ambienti prima ancora che uno dei personaggi parli o si muova, affascinanti ellissi (anziché il seppuku di Asano, Mizoguchi mostra allo spettatore il rito del taglio dei capelli della sua sposa, che avviene in contemporanea), dialoghi che insistono sull'etica dei samurai (coraggio, onore e sacrificio, in opposizione a codardia, tradimento e interesse) e sulle motivazioni dei personaggi. Oishi, diviso fra il desiderio di vendicare subito il suo signore e l'opportunità di farlo in maniera onorevole, ovvero soltanto dopo aver provato a chiedere allo shogun di riabilitarne la famiglia, è il vero protagonista di una pellicola in cui il tema del dovere feudale (dei samurai nei confronti del daimyo, dei vassalli nei confronti dello shogun) sostituisce quello del dovere sociale (delle donne nei confronti dell'uomo, dei figli nei confronti dei genitori) che invece caratterizzava le precedenti opere di Mizoguchi. Non mancano comunque spunti cari al regista come il sacrificio femminile, evidente nel breve episodio della moglie di Oishi che lo lascia per liberarlo dai suoi obblighi sociali, e soprattutto in quello più elaborato, nel finale, della promessa sposa del giovane Isogai che si traveste da uomo per poterlo rivedere un'ultima volta. Le oltre tre ore e mezza di durata sono divise in due parti, uscite in sala rispettivamente nel dicembre 1941 (pochi giorni prima dell'attacco di Pearl Harbor) e nel febbraio 1942: nonostante l'imponenza della produzione (il costo complessivo, soprattutto a causa delle scenografie, superò di almeno dieci volte quello di un film medio), il film si rivelò un flop e venne pressoché ignorato da pubblico e critica. Resta però senza dubbio un grandioso e solenne affresco storico che può aiutare a comprendere, almeno in parte, lo spirito del Giappone feudale.