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5 ottobre 2020

Un lupo mannaro americano a Londra (J. Landis, 1981)

Un lupo mannaro americano a Londra
(An American Werewolf in London)
di John Landis – USA/GB 1981
con David Naughton, Jenny Agutter
***

Rivisto in TV.

Due giovani americani, in vacanza in Gran Bretagna, vengono aggrediti nella brughiera scozzese da una misteriosa creatura selvaggia: Jack (Griffin Dunne) ci rimette le penne, mentre David (David Naughton), ricoverato a Londra, viene informato dal fantasma dell'amico che al primo plenilunio si trasformerà in un lupo mannaro. Mettiamo subito le cose in chiaro: nonostante il nome del regista/sceneggiatore (e il titolo che richiama "Un americano alla corte di Re Artù" di Mark Twain, libro peraltro citato nei dialoghi), questo film non è una commedia, bensì un horror con tutte le carte in regola e con una notevole dose di gore, che gioca ad attualizzare un classico dei mostri Universal ("L'uomo lupo" del 1941 con Lon Chaney Jr., anch'esso citato dai personaggi), rivisitandolo in chiave moderna, realistica e quotidiana. Landis aveva già realizzato qualcosa del genere con il suo film d'esordio, "Slok", ma quello era a tutti gli effetti una parodia. Qui invece, coadiuvato dagli stupefacenti (per l'epoca) effetti speciali di Rick Baker (che mostrano "in diretta" la trasformazione di David in licantropo, oltre che Jack in vari stati di decomposizione, e che vinsero la prima edizione dell'Oscar per il miglior trucco), confeziona un film che fa davvero paura e che coinvolge anche con la trovata di rendere protagonista della vicenda (suo malgrado) proprio il "mostro", per lunghi tratti inconsapevole di essere tale e convinto che l'amico che gli appare anche dopo la morte sia soltanto uno dei tanti incubi notturni che lo perseguitano. Fra le dichiarate fonti di ispirazione, anche "Il mastino dei Baskerville" e naturalmente "Dracula" (per le scene nel pub). Landis ammise che la sequenza della trasformazione era forse troppo lunga, ma la qualità del lavoro di Rick Baker fu tale che non se la sentì di tagliare alcunché. Fra le scene più memorabili, quella in cui David cerca di farsi arrestare da un bobby insultando gli inglesi ("La regina Elisabetta è un uomo!... Shakespeare è francese!") e quella in cui incontra le proprie vittime in un cinema porno a Piccadilly Circus (il film che si vede sullo schermo, girato appositamente da Landis, è "See You Next Wednesday", pellicola-cameo che ricorre per scherzo in quasi tutti i lavori del regista). Jenny Agutter è l'infermiera Alex, che accudisce David e si innamora di lui. Nel cast anche John Woodvine (il dottor Hirsch), Brian Glover (uno degli avventori del pub "L'agnello maciullato") e Frank Oz (l'ambasciatore americano). La bella colonna sonora comprende molte canzoni e ballate dedicate alla luna, come "Blue Moon" (sui titoli di testa e di coda), "Moondance" e "Bad Moon Rising". Nel 1997 è uscito un sequel ("Un lupo mannaro americano a Parigi").

7 dicembre 2018

Ridere per ridere (John Landis, 1977)

Ridere per ridere (The Kentucky Fried Movie)
di John Landis – USA 1977
con Evan Kim, Bong Soo Han
**

Rivisto in divx.

Il secondo film di John Landis, scritto dal trio ZAZ (Zucker-Abrahams-Zucker, all'esordio cinematografico: fino ad allora avevano lavorato solo in teatro, firmandosi come The Kentucky Fried Theater, da cui il titolo originale della pellicola, che ovviamente fa il verso a una celebre catena di fast food) è una parodia della programmazione di un canale televisivo, con tanto di telegiornali, programmi di attualità, dibattiti, film e persino finte pubblicità. L'idea è forse ispirata a "The Groove Tube" di Ken Shapiro (1974, inedito in Italia): da notare che Landis, insieme ad altri registi, ripeterà l'esperimento nel 1987 con "Donne amazzoni sulla Luna". Trattandosi essenzialmente di un collage di sketch spesso scollegati fra loro, il risultato è diseguale: il film è composto per lo più da gag demenziali, volgari, nonsense o semplicemente stupide, giochi di parole puerili (molti dei quali andati persi nel doppiaggio italiano), nudità femminili gratuite e scenette di cattivo gusto. Ma ha anche dei difetti. No, parlando seriamente: oggi, in epoca di political correctness, sarebbe forse impossible realizzare un film come questo per il circuito mainstream (e senza il divieto ai minori!). E in mezzo all'anarchia e al trash si annidano perle di geniale umorismo, quasi da teatro dell'assurdo, che non sfigurerebbero in uno sketch dei Monty Python (la mia preferita è la scena dei prigionieri nelle gabbie all'interno del film "Per un pugno di yen": "Sono relitti che non sanno dove sono e non gliene importa..."). Fra le gag da ricordare: la rubrica dell'oroscopo, con il tormentone dei nati sotto il segno dei gemelli che devono "aspettarsi l'inaspettato" (e per tutto il film vengono colpiti da frecce vaganti); la proiezione del film "con gli effetti speciali" realizzati direttamente in sala dalle maschere del cinema; la pubblicità dell'Unione Amici della Morte, che suggerisce di reinserire i defunti nella società; il documentario sull'ossido di zinco; i finti trailer di pellicole in arrivo (tutte prodotte dal fittizio Samuel L. Bronkowitz, al cui nome si ispirerà il gruppo comico italiano Broncoviz), che appartengono ai generi di serie B più in voga negli anni '70: l'erotico soft-core ("Liceali cattoliche in calore"), il catastrofico ("Il giorno del giudizio"), la blaxploitation ("Cleopatra Schwartz"). E naturalmente la parte del leone (ovvero la "fetta" più consistente della pellicola, visto che dura oltre 30 minuti, ma anche il segmento più riuscito) è data dal suddetto "Per un pugno di yen", spoof de "I tre dell'operazione drago" e in generale di tutto il cinema di arti marziali, anche se il finale a sorpresa sconfina in un'altra celebre pellicola classica. Evan Kim è Loo, parodia di Bruce Lee, mentre il fantastico Bong Soo Han è il suo arcinemico Dottor Klahn (che, nella scena in cui parla in coreano, chiede scusa agli spettatori che conoscono questa lingua). per il resto, per tutto il film sono distribuiti camei e comparsate di attori noti come Donald Sutherland, George Lazenby, Bill Bixby e lo stesso John Landis. Nella scena al cinema si può notare il poster del suo primo film, "Slok".

30 gennaio 2015

The Blues Brothers (John Landis, 1980)

The Blues Brothers (id.)
di John Landis – USA 1980
con John Belushi, Dan Aykroyd
****

Rivisto in DVD, con Sabrina, Giovanni, Rachele ed Alessandro.

I fratelli Elwood e Jake "Joliet" Blues (quest'ultimo appena uscito di prigione dopo tre anni), interpretati rispettivamente da Dan Aykroyd e John Belushi, decidono di rimettere insieme il loro vecchio gruppo musicale ("La bbanda!") per raggranellare il denaro necessario a salvare l'orfanotrofio cattolico in cui sono cresciuti da un forte debito con il fisco ("Siamo in missione per conto di Dio", affermano, riferendosi al fatto che l'ispirazione a buttarsi nell'impresa gli è giunta durante una funzione religiosa, sia pur non del tutto ortodossa). I due dovranno rintracciare gli altri membri del gruppo e convincerli a rimettersi insieme (e non sarà facile, visto che ora "hanno tutti lavori rispettabili"), procurarsi gli strumenti, un contratto e un locale sufficientemente grande, attirare un pubblico cospicuo e infine, dopo il concerto, portare il denaro all'ufficio delle tasse della contea entro la scadenza fissata, evitando al contempo non solo tutta la polizia dell'Illinois che dà loro la caccia (per tutta una serie di infrazioni al codice stradale) ma anche altri ostacoli di varia natura. Uno dei capolavori del cinema comico-musicale di tutti i tempi, con una colonna sonora eccezionale (che può contare su una lista di guest star di prim'ordine) e una sequenza ininterrotta di scene esilaranti, da vedere e rivedere infinite volte con immutato godimento: degno testamento cinematografico di John Belushi, scomparso purtroppo due anni più tardi. E dire che alla sua prima uscita, soprattutto in patria, il film non fu accolto benissimo dalla critica, forse per via della comicità percepita come "bassa" e demenziale (figlia dello show televisivo "Saturday Night Fever", da cui provenivano i due protagonisti nonché diversi comprimari): soltanto con il passare del tempo la pellicola ha acquisito l'attuale status di cult movie, trasformando fra le altre cose i suoi protagonisti (vestiti interamente di nero, con tanto di occhiali scuri che indossano anche di notte e persino quando dormono!) in due delle icone più riconoscibili del cinema.

La band dei Blues Brothers era nata proprio in uno sketch realizzato da Aykroyd e Belushi per lo show televisivo, nel 1978, e da allora si era esibita realmente in diversi occasioni, incidendo anche un album (la vita della band proseguirà poi in seguito, anche senza i due leader, fra concerti, dischi ed esibizioni di vario genere). Alle voci di Belushi e Aykroyd (quest'ultimo anche all'armonica) si aggiungono i vari strumentisti: Matt "Guitar" Murphy, Steve "The Colonel" Cropper, Donald "Duck" Dunn, Murphy "Murph" Dunne, Willie "Too Big" Hall, Tom "Bones" Malone, Lou "Blue" Marini e Alan "Mr. Fabulous" Rubin. Memorabili le sequenze in cui tutti questi vengono "riarruolati" dai due fratelli: Murph e la sezione ritmica mentre si esibiscono in scialbe cover di canzoni italiane ("Quando quando quando"), Fabulous mentre è maître in un sofisticato ristorante francese (in una scena che ricorda quella analoga con Bud Spencer e Terence Hill in "Continuavano a chiamarlo Trinità"), e infine il chitarrista Matt Murphy e il sassofonista Lou Marini nella tavola calda gestita dalla moglie del primo dei due (Aretha Franklin), riluttante a lasciarli andare. A proposito della Franklin: il suo brano "Think!" è solo uno dei tanti momenti in cui grandi nomi della musica soul e rhythm and blues apportano il proprio contributo all'esaltante colonna sonora: ci sono anche Ray Charles (nei panni del venditore di strumenti musicali) con "Shake Your Tailfeather", James Brown (nel ruolo di un insolito reverendo) con "The Old Landmark", John Lee Hooker ("Boom Boom") e Cab Calloway ("Minnie the moocher"). Quanto ai Blues Brothers veri e propri, nel corso del film si esibiscono in classici come "Gimme Some Lovin'", "Everybody Needs Somebody to Love" (la loro canzone più famosa), "Sweet Home Chicago", "Jailhouse Rock" (nel finale, in prigione), nonché – nel locale country – il tema della serie tv "Rawhide" (quella che lanciò un giovane Clint Eastwood) e "Stand by Your Man". Extradiegeticamente parlando, la ricchissima e trascinante colonna sonora è infine completata da canzoni come "She Caught the Katy" (di fatto l'incipit del film) e da brani strumentali come il "Peter Gunn theme" di Henry Mancini o "Can't Turn You Loose".

Se dal lato musicale la pellicola è senza pari, da quello comico e cinematografico non è certo da meno. Landis (che a causa di difficoltà varie superò di parecchio il budget previsto) trasforma la scalcinata vicenda (basata su una sceneggiatura scritta da Aykroyd e rimaneggiata poi dallo stesso regista) in una vera epopea: innanzitutto frapponendo fra i suoi eroi e il loro obiettivo una serie davvero esagerata di ostacoli, in un crescendo irresistibile che nelle scene finali raggiunge vette di tale implausibilità (i due sono inseguiti letteralmente da un esercito di auto della polizia, militari, truppe speciali di ogni genere) da rendere assolutamente indispensabile la sospensione dell'incredulità. Non che nelle scene precedenti ci fosse il rischio di scambiare le loro vicissitudini per "realistiche": che si trattasse di saltare da un estremo all'altro di un ponte mobile mentre è aperto, di sfasciare un centro commerciale durante un inseguimento in macchina, o di sopravvivere ad attentati di varia natura (missili terra-aria che distruggono il loro albergo, lanciafiamme che fanno saltare in aria la cabina telefonica in cui si trovano, e così via). Le leggi della fisica non sembrano avere valore per i due fratelli o per la loro "bluesmobile" (una Dodge Monaco del 1974, truccatissima e usata in precedenza dalla polizia locale), così come per altri personaggi (la "Pinguina", ovvero la suora a capo dell'orfanotrofio, le cui porte si aprono e chiudono magicamente, senza bisogno di toccarle), come se ci trovassimo in un cartone animato (la scena in cui un auto precipita da un'altezza stratosferica, scavando un buco nell'asfalto, sembra provenire direttamente da un cartoon di Wile E. Coyote!). E naturalmente in tutto questo i due protagonisti si pongono poche domande e vanno dritti alla meta, quasi indifferenti a coloro che si frappongono sul loro cammino. Fra questi: i membri del partito nazista dell'Illinois, che vogliono vendicarsi di un'umiliazione ("Io li odio, i nazisti dell'Illinois", commenta Jake); il gruppo country "The Good Ole Boys", ai quali hanno soffiato un contratto; una misteriosa ragazza (interpretata da Carrie Fischer, la principessa Leila di "Guerre Stellari", all'epoca fidanzata con Dan Aykroyd) che organizza attentati su attentati contro di loro, e solo nel finale si scoprirà il perché. A lei è legata la scena forse più celebre e divertente del film (per quanto sia difficile individuarne una sola, in un lungometraggio così ricco di momenti esilaranti), quella in cui Jake si scusa così: "Ero rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight. C'era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C'è stato un terremoto! Una tremenda inondazione!! Le cavallette!! Non è stata colpa mia!!!".

L'inseguimento finale della polizia alla bluesmobile (nel corso del quale vengono distrutte un numero elevatissimo di vetture: all'epoca il film deteneva il record di "maggior numero di auto distrutte in una sola pellicola", prima di essere superato nel 1998 dal suo stesso sequel, "Blues Brothers 2000") è solo il vertice spettacolare di un lungometraggio di cui non si contano i momenti comici e le battute da citare ma pure le trovate registiche (a partire dall'inquadratura del sole che sorge attraverso il cancello della prigione, quando Jake esce). Dietro le risate, la musica e il divertimento, comunque, si toccano tanti temi sociali e impegnati: l'urbanizzazione con i relativi effetti della crisi economica (la prima inquadratura è quella della zona industriale di Chicago, fra fabbriche, ciminiere e zone disagiate), la religione, la società multirazziale (l'universo dei Blues Brothers – viste anche le loro radici musicali – è abitato in gran parte da neri; e non a caso fra i nemici ci sono nazisti e poliziotti), l'intolleranza (anche culturale: vedi i pregiudizi della comunità country contro il blues e il soul), la prepotenza della legge (che come sempre si scatena contro i più deboli). Nel cast anche John Candy (il paffuto comandante della polizia, da ricordare per battute come "Un'aranciata? Un'aranciata? Tre aranciate!" o "Siamo a cavallo!"), la modella Twiggy (la donna che Elwood corteggia alla pompa di benzina), Charles Napier (il leader dei Good Ole Boys) e Henry Gibson (il capo dei nazisti dell'Illinois). Fra i cameo sono da ricordare quelli dei registi Frank Oz (l'addetto del carcere che restituisce a Jake i suoi effetti personali: "Un profilattico non usato... Uno usato..."), Steven Spielberg (l'impiegato dell'ufficio delle imposte) e lo stesso Landis (il poliziotto che, alla testa dell'esercito, chiede informazioni alla guardia del grattacielo). L'enorme successo arriso alla pellicola nel corso degli anni successivi, anche in seguito alla morte di John Belushi (che durante le riprese, almeno così si dice, nascondeva dietro gli occhiali neri i segni del consumo di droga e di alcol), ha portato quasi vent'anni dopo – come già accennato – alla realizzazione di un sequel, sempre per opera di Landis e Aykroyd e con John Goodman al posto di Belushi: di buona qualità tecnica, certo, ma senza l'anima e lo spirito che fanno di questo film uno dei massimi capolavori del cinema comico americano.

27 dicembre 2012

Una poltrona per due (John Landis, 1983)

Una poltrona per due (Trading places)
di John Landis – USA 1983
con Eddie Murphy, Dan Aykroyd
***1/2

Rivisto in TV, con Alberto ed Eva.

Per verificare se l'indole di una persona è determinata dalle sue qualità innate oppure se è l'ambiente in cui vive a formarne il carattere, i fratelli Randolph e Mortimer Duke – magnati della finanza e proprietari di un'azienda di consulenza e brokeraggio di Philadelphia – scommettono un dollaro sull'esito di un "esperimento scientifico": scambieranno di posto Louis Winthorpe III (Dan Aykroyd), il loro più valente impiegato (educato nelle migliori scuole, genio della finanza e fidanzato con la loro nipote Penelope), e Billy Ray Valentine (Eddie Murphy), uno straccione e ladruncolo che vive di truffe ed espedienti. L'esperimento riesce: Valentine si cala perfettamente nel ruolo dello yuppie e dimostra inaspettate doti finanziarie, mentre Winthorpe, accusato di furto e di spaccio di droga, si ritrova abbandonato da tutti e precipita all'ultimo gradino della scala sociale. Ma quando i due scopriranno di essere stati manipolati dai Duke, che per di più hanno l'intenzione di abbandonarli entrambi al proprio destino, uniranno le forze e sapranno vendicarsi. Forse ispirato al romanzo di Mark Twain "Il principe e il povero", il film di Landis è un moderno classico di Natale, riproposto immancabilmente dalla televisione italiana durante le feste, nonché uno dei più celebri film del regista, di Dan Aykroyd (entrambi reduci da "The Blues Brothers" e "vedovi" di John Belushi, che era morto l'anno prima) e soprattutto di Eddie Murphy (a inizio carriera e al suo secondo successo dopo "48 ore"). La caratterizzazione dei personaggi, i calcolati tempi comici (dettati soprattutto dalla contagiosa energia di Murphy), l'acuta analisi sociale, le reminescenze di Preston Sturges tengono a freno l'anarchia narrativa di Landis, che nell'occasione sforna una delle sue migliori regie. Memorabile la scena finale nella borsa valori, a colpi di contrattazioni sul prezzo del "succo d'arancia surgelato": insieme a "Wall Street" di Oliver Stone, la pellicola divenne uno dei simboli degli anni Ottanta reaganiani, un decennio particolarmente contrassegnato dal dilagare del yuppismo e delle speculazioni finanziarie. Geniale, a tal proposito, il doppio senso del titolo originale. Grande cast: oltre ai due protagonisti, brillano Jamie Lee Curtis nel ruolo di Ophelia, la prostituta che aiuta Winthorpe dopo che questi è caduto in disgrazia (un ruolo che per la prima volta la affrancava dal genere horror, di cui fino ad allora era stata assidua frequentatrice, e che ben prima di "Un pesce di nome Wanda" ne metteva in luce – oltre alle tette! – le qualità comiche), e il veterano inglese Denholm Elliot, il maggiordomo prima di Winthorpe e poi di Valentine. I fratelli Duke sono invece interpretati da due vecchie volpi della commedia americana, Don Ameche e Ralph Bellamy. Paul Gleason è infine Clarence Beeks, l'agente al servizio dei Duke per i lavori sporchi. C'è anche una comparsata, nel finale, per un giovane James Belushi nei panni dell'uomo con il costume da gorilla (a proposito: chissà come mai gli americani a Capodanno si travestono come se fosse Carnevale?). La colonna sonora di Elmer Bernstein saccheggia ampiamente l'ouverture da "Le nozze di Figaro" di Mozart: si veda in particolare l'incipit, dove la melodia mozartiana accompagna la Philadelphia che lavora e che si sveglia al mattino, fino a introdurci nella lussuosa villa di Winthorpe. Una curiosità: nel 2010, quasi trent'anni dopo l'uscita del film, una nuova regolamentazione dei mercati finanziari in America ha preso il nome di "Eddie Murphy rule", proprio perché mira a evitare l'insider trading attraverso l'utilizzo di informazioni governative riservate (come vorrebbero fare i fratelli Duke nel film).

30 settembre 2012

Animal House (John Landis, 1978)

Animal House (National Lampoon's Animal House)
di John Landis – USA 1978
con John Belushi, Tim Matheson
***1/2

Rivisto in DVD, con Giovanni, Rachele e Ilaria.

Siamo nel 1962: gli studenti che si iscrivono al Faber College devono scegliere – com'è consuetudine nei campus degli Stati Uniti – una confraternita di cui far parte. Quelli che vengono scartati dalle più elitarie e prestigiose finiscono nella Delta Tau Chi, la più scalcinata e meno rispettabile dell'intero istituto, talmente famigerata che persino il rettore della scuola (John Vernon) complotta in ogni modo per poterla sciogliere e cacciarne i membri dal college. Più interessati a compiere scherzi e bravate e ad organizzare festini (come il mitico "toga party") che a studiare, i membri del Delta Tau Chi finiranno col combinarla talmente grossa (e col totalizzare punteggi talmente bassi negli esami) da farsi espellere. Sapranno però vendicarsi sabotando in maniera dirompente la parata di fine anno organizzata dal college nelle strade della città. Il tema degli "spostati" e dei disadattati che lottano contro un establishment troppo rigido con le armi dell'anarchia e della goliardia è di vecchia data (e nel cinema ha precedenti illustri: dai fratelli Marx a "Zero in condotta" di Jean Vigo), ma il film di Landis lo eleva alla massima potenza, donando alla pellicola una carica liberatoria senza pari, grazie a un gruppo di personaggi (e di attori) che si fanno beffe di ogni regola, mostrando così quanto sia ridicola quella caricatura dell'ordine costituito che regna in certe istituzioni (il confronto fra le cerimonie per essere accolti nelle varie confraternite è esemplare). La demenzialità non è dunque fine a sé stessa, come in molti dei successivi epigoni, ma all'interno di un contesto sociale e quindi con una valenza satirica ben precisa che riporta nel cinema americano quell'anarchia sovversiva e purificatrice che (con sporadiche eccezioni, tipo "MASH") mancava appunto dai tempi dei fratelli Marx. Nel cast, che comprende molti giovani attori alle prime armi ma destinati a fare fortuna (come Tom Hulce, Karen Allen e Kevin Bacon: ma nei progetti iniziali avrebbero dovuto esserci anche Chevy Chase, Bill Murray e Dan Aykroyd) nonché una guest star del calibro di Donald Sutherland (nel ruolo di un professore hippie), domina John Belushi, vero punto di forza della pellicola con la sua energia comica dirompente e sfacciata, incurante di tutto ciò che gli sta attorno (si pensi a quando si schiaccia le lattine sulla testa, a quando sfascia la chitarra di Stephen Bishop, a quando si infila le matite nel naso, a quando ammicca allo spettatore mentre sbircia dalla finestra le cheerleader che si spogliano). Belushi, fino ad allora star televisiva del "Saturday Night Live", era alla sua prima apparizione sul grande schermo. Molte le scene memorabili, dallo scherzo del cavallo allo scontro in mensa, dall'adescamento delle ragazze del college femminile al processo-farsa, fino naturalmente al momento più celebre di tutti, quello in cui Bluto (Belushi) recita il suo discorso d'incoraggiamento che termina con le immortali parole "...e quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare!". Ma indimenticabili restano anche le scritte sullo schermo nel finale che rivelano quale sarà il destino dei vari personaggi (il film è accreditato come uno dei primi ad aver utilizzato questo espediente), con l'esilarante "Senatore Blutarsky e signora" in sovrimpressione sulla fuga di Bluto e di una delle cheerleader, da lui rapita. Il titolo originale ("National Lampoon's Animal House") rivela che il lungometraggio è nato come spin-off della rivista satirica "National Lampoon": la sceneggiatura (di Douglas Kenney, Chris Miller e Harold Ramis) è infatti ispirata ad alcuni racconti pubblicati sulle sue pagine e alle reali esperienze universitarie di Miller, Ramis e del produttore Ivan Reitman. Insieme ad altri film usciti alla fine degli anni settanta (come "Ridere per ridere" dello stesso Landis) ha contribuito a definire la commedia demenziale americana negli anni a venire. Nonostante il tono del racconto, sempre sopra le righe, la regia di Landis è solida e controllata ma anche dinamica, e getta le basi per il successivo capolavoro “The Blues Brothers” del quale anticipa già alcune caratteristiche (non solo la presenza di Belushi e l’aria di scampagnata goliardica, ma anche sequenze musicali come le due in cui DeWayne Jessie si esibisce nei panni di Otis Day, con le canzoni "Shout" e "Shama Lama Ding Dong"). E a proposito di colonna sonora, oltre che dal title theme “Animal’s House”, questa è impreziosita da numerosi brani anni '50 e '60 come "Louie Louie" di Richard Berry e "Twistin' the Night Away" di Sam Cooke. La scelta del 1962 come anno in cui ambientare la pellicola non è dovuta soltanto alle esperienze autobiografiche dei suoi autori: per Miller e compagni il 1962 è stato "l'ultimo anno innocente degli Stati Uniti", e la parata che conclude il film si svolge il 21 novembre 1963, il giorno prima dell'assassinio del presidente Kennedy, di cui è una sorta di parodia (o di inquietante premonizione). Il film è stato girato nel campus dell'Università dell'Oregon di Eugene, il cui rettore diede l'assenso perché non voleva commettere lo stesso errore di quando aveva rifiutato il permesso alle riprese del film "Il laureato", ritenendolo di dubbio valore artistico.

10 marzo 2011

Ladri di cadaveri (John Landis, 2010)

Ladri di cadaveri (Burke & Hare)
di John Landis – Gran Bretagna 2010
con Simon Pegg, Andy Serkis
***

Visto al cinema Centrale.

John Landis torna al cinema dopo dodici anni di assenza con una divertente e dissacrante black comedy che racconta la storia vera ("tranne le parti che non lo sono", come recita il cartello introduttivo) di Burke & Hare, famigerati "procacciatori" di cadaveri per le scuole di anatomia di Edimburgo agli inizi dell'ottocento, una vicenda già fonte di ispirazione per altre pellicole (come "La iena" di Robert Wise, con Boris Karloff e Bela Lugosi). A quei tempi la legge imponeva di usare a scopi scientifici soltanto i corpi dei condannati a morte, che però – in un periodo in cui lo studio della medicina era in forte sviluppo – erano in numero insufficiente a coprire la richiesta. Questo aveva fatto crescere a dismisura il valore dei cadaveri, e la milizia era costretta a pattugliare i cimiteri per impedire agli "scavafosse" più disperati di trafugare le salme appena sepolte. Burke e Hare, due immigrati irlandesi, ebbero l'idea di trasformarsi in serial killer per procurarsi la materia prima da offrire al compiacente dottor Knox. In seguito al clamore che fece il loro caso, venne persino cambiata la legge, introducendo la possibilità per i familiari dei defunti di donare il loro corpo alla scienza. Non sarà un ritorno ai tempi d'oro di "Blues Brothers" e "Una poltrona per due", ma dal lato del puro intrattenimento il film non delude le attese e presenta tutto quello che era lecito attendersi da Landis (e dal genere): humour nero, situazioni grottesche, gag visive e comicità caustica e irriverente (compresa la satira verso le istituzioni, da sempre presente nei lavori del regista, che a dire il vero stavolta ne ha per tutti); ma offre anche inaspettate e interessanti chiavi di lettura, come quella fornita dalla trovata di intrecciare la storia dei due criminali con una rappresentazione tutta al femminile del sanguinolento "Macbeth" di Shakespeare (Burke compie i delitti per finanziare lo spettacolo teatrale della donna di cui è innamorato: un'allusione di Landis alle proprie difficoltà nel trovare fondi per fare cinema?) o la sottotrama delle prove fotografiche (il dottor Knox fa immortalare con questa tecnologia innovativa i cadaveri che seziona, in modo da creare una rivoluzionaria "mappa del corpo umano"; ma proprio le foto dei corpi incastreranno Burke e Hare, convinti di essere al sicuro in assenza di testimoni e con i cadaveri ormai distrutti: C.S.I. ante litteram!). Fenomenale il cast, con molti caratteristi e volti noti: oltre ai due protagonisti (Andy "Gollum" Serkis e Simon "Shaun of the dead" Pegg), ci sono le autoironiche Isla Fisher e Jessica Hynes nei ruoli femminili (più la Jenny Agutter de "Un lupo mannaro americano a Londra" in una piccola parte), Tom Wilkinson e Tim Curry in quelli dei due medici rivali, e ancora diversi comici britannici come Ronnie Corbett (il capo della milizia) o Bill Bailey (il boia), per finire con i camei di Christopher Lee, Ray Harryhausen e persino Costa Gavras (con tutta la famiglia, in fotografia), senza contare l'apparizione a sorpresa, proprio alla fine, del "vero" William Burke!

14 ottobre 2009

Slok (John Landis, 1973)

Slok (Schlock)
di John Landis – USA 1973
con Saul Kahan, Eliza Roberts
*1/2

Visto in DVD.

Un misterioso assassino semina il panico in una cittadina della California. La polizia, guidata da un capitano inetto, si dimostra incapace di arrestare le azioni del "killer mangiabanane", come viene soprannominato dai media per la presenza di bucce di banana sui luoghi dei delitti. Si tratta in realtà di uno scimmione preistorico, risvegliatosi dall'ibernazione e poco a suo agio nel mondo moderno: si innamorerà di una ragazza appena guarita dalla cecità e farà la fine di King Kong (citato esplicitamente). Il primo film di Landis, girato in un paio di settimane quando il regista aveva appena 21 anni, è una sgangherata parodia dei b-movie horror realizzata con vena anarchica e demenziale. Ma l'umorismo funziona solo a tratti, e il low budget si vede tutto. La scena migliore è quella in cui lo scimmione si reca in un cinema dove proiettano "Blob": sullo schermo scorrono le immagini della sequenza ambientata a sua volta in una sala cinematografica, e così ci si trova di fronte a un film nel film nel film: meta-meta-cinema! Fra le citazioni, anche "2001: Odissea nello spazio" (con tanto di musica di Richard Strauss). Il mostro, che secondo il bizzarro scienziato Clara Sliwowitz è uno "Schlockthropus", è interpretato dallo stesso Landis in un costume ideato da Rick Baker.

1 giugno 2008

Donne amazzoni sulla Luna (aavv, 1987)

Donne amazzoni sulla Luna
(Amazon women on the Moon)
di Joe Dante, Carl Gottlieb, Peter Horton, John Landis, Robert K. Weiss – USA 1987
*1/2

Visto in divx.

Evidente clone di "Ridere per ridere" di John Landis: una raccolta di scenette comiche e parodistiche che si susseguono senza soluzione di continuità, inframmezzate talvolta da finte pubblicità come se si trattasse della programmazione di un oscuro canale televisivo, e che può ricordare per certi versi alcune cose dei Monty Python (anche se l'humour britannico è completamente assente, sostituito da un umorismo yankee più volgare e meno sottile). La parte del leone la fa il film di fantascienza che dà il titolo alla pellicola, un assurdo b-movie alla Flash Gordon continuamente interrotto da problemi tecnici, difetti di proiezione, censure televisive o annunci pubblicitari che rendono impossibile seguirne la trama. Molti segmenti, invece, vedono il coinvolgimento degli stessi telespettatori, vuoi perché risucchiati all'interno del palinsesto televisivo, vuoi perché interagiscono in qualche modo con i personaggi sullo schermo. Nulla per cui impazzire, però: le gag a volte sono quasi imbarazzanti per quanto poco fanno ridere, anche se i momenti divertenti comunque non mancano (su tutti, i segmenti diretti da Joe Dante con Henry Silva e le indagini della “Squadra cazzate”, che scopre per esempio che Jack lo Squartatore non era altri che il mostro di Loch Ness!). Molti gli sketch a sfondo sessuale (nell'ultimo episodio compare brevemente anche il regista Russ Meyer nei panni del commesso della videoteca che noleggia video personalizzati per i singoli clienti) o quelli surreali, che in particolare affrontano i temi delle telecomunicazioni, dell'invadenza dei media e del mercato deegli audiovisivi. Nel ricchissimo cast, fra gli altri, figurano Steve Forrest, Lou Jacobi, Arsenio Hall, Michelle Pfeiffer, Steve Guttenberg, Griffin Dunne, Forrest J. Ackerman (il presidente degli Stati Uniti che si collega con gli astronauti), B.B. King, Rosanna Arquette, Ralph Bellamy, Sybil Danning.