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14 febbraio 2018

Gioco d'amore (Sam Raimi, 1999)

Gioco d'amore (For Love of the Game)
di Sam Raimi – USA 1999
con Kevin Costner, Kelly Preston
**

Rivisto in TV.

Billy Chapel (Costner), veterano giocatore di baseball dei Detroit Tigers, è ormai giunto quasi alla fine della sua carriera. Mentre sul campo si batte contro i rivali di sempre, i New York Yankees, ripensa agli alti e bassi del suo rapporto con Jane (Preston), giornalista newyorkese con cui "fila" da oltre cinque anni senza mai aver avuto il coraggio di instaurare una relazione seria. Inning dopo inning, battitore dopo battitore, durante quella che per uno stanco e dolorante Billy sta per diventare una "partita perfetta" (così si definisce un incontro in cui un lanciatore non concede nemmeno una base agli avversari), una serie di flashback ci racconta i momenti fondamentali della storia d'amore con Jane, dal primo incontro all'istante in cui la ragazza gli comunica di aver deciso di lasciarlo e di partire per Londra. E nel corso dei ricordi, che si sovrappongono agli eventi della partita, Billy capirà finalmente quanto la donna è importante per lui (e, contemporaneamente, che è ormai giunto il momento di appendere il guantone al chiodo). Un meccanismo a incastro moderatamente interessante (che ricorda quello che Danny Boyle userà in "The Millionaire") e tanta, tantissima retorica a sfondo sportivo (ma nonostante questo, la parte sul baseball è decisamente la migliore della pellicola: molto efficaci, per esempio, gli istanti in cui Billy "sgombra la mente" per isolarsi dall'ambiente dei tifosi ostili) fanno da contraltare a una trama romantica noiosa e piena di cliché (e sì, lo sport come metafora della vita è uno di questi). Puro veicolo per Costner, il film non presenta alcuna traccia dello stile dinamico di Raimi, che dirige in modo professionale ma del tutto anonimo. Nel cast anche John C. Reilly (l'amico ricevitore), J.K. Simmons (l'allenatore) e Jena Malone (la figlia teenager di Jane).

17 dicembre 2017

Senza via di scampo (R. Donaldson, 1987)

Senza via di scampo (No Way Out)
di Roger Donaldson – USA 1987
con Kevin Costner, Gene Hackman
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Visto in divx.

L'ufficiale di marina Tom Farrell (Costner), convocato a Washington nell'entourage del potente segretario alla difesa David Brice (Hackman), viene incaricato da questi di scoprire l'identità di una fantomatica spia russa che si nasconderebbe fra il personale del Pentagono, cui vorrebbe addossare la colpa dell'omicidio della sua amante Susan Atwell (Sean Young). A ucciderla è stato in realtà lo stesso Brice, in preda a uno scatto di gelosia dopo aver scoperto che la donna aveva trascorso il weekend con un altro uomo. Ignora però che quest'ultimo era proprio Tom: il quale, costretto a indagare su sé stesso, cercherà disperatamente una prova che possa scagionarlo prima che la sua identità venga rivelata. Dal romanzo "The big clock" di Kenneth Fearing, già portato mirabilmente sullo schermo da John Farrow nel 1948 ("Il tempo si è fermato"), un remake che ne sposta il setting dal mondo dell'editoria a quello politico-militare, mutandone le atmosfere noir in un thriller da guerra fredda. Ma il meccanismo narrativo funziona solo in parte: molte sono le svolte inverosimili o incoerenti, i personaggi mancano di credibilità e l'insieme è tenuto a galla soltanto dal buon ritmo (non aiuta il fatto che le ricerche avvengano per mezzo di computer e sistemi informatici che all'epoca potevano sembrare rivoluzionari ma oggi appaiono lenti e datati). Unica sorpresa – superflua e alquanto fine a sé stessa, però – il colpo di scena finale sulla vera identità di Tom. Will Patton è Scott Pritchard, il braccio destro tuttofare (e gay) di Brice. Nel cast anche George Dzundza, Howard Duff e la modella somala Iman.

24 giugno 2013

L'uomo d'acciaio (Zack Snyder, 2013)

L'uomo d'acciaio (Man of steel)
di Zack Snyder – USA 2013
con Henry Cavill, Amy Adams
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Visto al cinema Colosseo.

È il film con cui la DC Comics ha dato il via ufficiale al proprio "Extended Universe", nel tentativo di imitare la concorrente Marvel e di riscuotere un analogo successo con una serie di pellicole intrecciate fra di loro. E naturalmente non si poteva iniziare che con il supereroe DC per eccellenza, vale a dire Superman. Prodotto da Christopher Nolan, e dunque idealmente imparentato – sin dalla scelta di non mettere il nome dell'eroe nel titolo – con la trilogia de "Il cavaliere oscuro", questo reboot ci ricorda perché l'uomo d'acciaio sia – oltre che il primo e più famoso supereroe del comicdom americano – anche uno dei personaggi su cui è più difficile scrivere una buona storia. Il regista Zack Snyder e lo sceneggiatore David S. Goyer se la cavano limitando al minimo gli elementi iconici della saga (niente Lex Luthor, niente kryptonite, persino niente Clark Kent: solo nell'ultimissima scena – quasi un contentino – il nostro eroe inforca gli occhiali e si presenta al Daily Planet per farsi assumere come giornalista) e ponendo il personaggio di fronte ad avversari del tutto pari a lui per forza e poteri, ovvero ad altri kryptoniani (cosa che già accadeva, comunque, nel "Superman II" del 1980, di cui questo è quasi un remake). Il cattivo, il generale Zod (responsabile anche della morte del padre di Kal-El), è infatti scampato a sua volta, con un pugno di sottoposti, alla distruzione del suo pianeta d'origine: e vorrebbe "trasformare" la Terra in un nuovo Krypton, alterandone massa e atmosfera ed eliminandone tutti gli abitanti. Ma Superman, ormai terrestre d'adozione, saprà fermarlo. Se a livello di script si è lavorato per sottrazione, e tutto sommato direi che la scelta è stata giusta (ma non mancano i soliti e triti riferimenti cristologici, visto che il buon Kal-El, inviato dal padre a "salvare" il mondo, ha 33 anni), come spesso capita nei lavori di Snyder la cosa migliore di un film prevedibilmente fracassone è l'aspetto visivo: la regia irrequieta e la fotografia plumbea (di Amir Mokri) giocano a "simulare" il cinema d'autore o il documentario, attraverso immagini spesso sfocate o sovraesposte e inquadrature imperfette o traballanti, il tutto per dare maggior "realismo" alla pellicola: e devo ammettere che, dopo un primo impatto negativo, il risultato non è poi male e aiuta a rendere digeribili anche l'orgia di effetti visivi e le lunghe e noiose scene d'azione (che si riducono essenzialmente a prolungate scazzottate fra kryptoniani). Come nella trilogia nolaniana su Batman, il costume dell'eroe e in generale tutta l'estetica del film è più dark e meno fumettosa rispetto al passato. E sempre come nei film di Nolan, si fa ampio ricorso ad attori famosi nei ruoli dei comprimari: spiccano su tutti Russell Crowe e Kevin Costner nei panni dei due "padri" di Superman, rispettivamente Jor-El (in versione "ologramma" nelle scene successive alla distruzione di Krypton) e Pa' Kent (in numerosi flashback della vita di Clark da bambino e da ragazzo); Diane Lane è Ma' Kent; Laurence Fishburne è Perry, il direttore del Daily Planet. Se Amy Adams è una Lois Lane un po' sciacquetta, convincono Michael Shannon negli ingrati panni del cattivo Zod e anche il belloccio e muscoloso Henry Cavill in quelli di un Superman almeno un po' più espressivo dell'ultima volta (dimentichiamoci in fretta di Brandon Routh, per favore!).

27 dicembre 2011

Fandango (Kevin Reynolds, 1985)

Fandango (id.)
di Kevin Reynolds – USA 1985
con Kevin Costner, Judd Nelson
***

Rivisto in DVD, con Giovanni, Rachele, Ginevra e Costanza.

Texas, 1971. Cinque amici appena diplomati al college – due dei quali hanno da poco ricevuto la cartolina di leva e dovranno dunque partire per il Vietnam – intraprendono un ultimo e spensierato viaggio on the road verso il confine messicano, che comincia come un tuffo nei ricordi e nel disimpegno dei loro giorni di adolescenti, ma strada facendo si trasforma in una presa di coscienza delle responsabilità e dei doveri dell'età adulta. E così Kenneth (Sam Roberts) decide di sposare la sua ragazza Debbie prima di partire per la guerra, mentre Gardner (Kevin Costner) – dopo aver organizzato per l'amico una cerimonia improvvisata in un paese sul confine, nonostante proprio Debbie fosse stata la ragazza che aveva amato e che tuttora ritorna nei suoi sogni (e come dice lui stesso, "se tu pensi a una donna, allora la ami") – preferisce farsi da parte (il finale non rivela se diserterà, attraversando il confine con il Messico come aveva dichiarato di voler fare, oppure se andrà ad arruolarsi). Film d'esordio del giovane regista Kevin Reynolds, ispirato a un suo precedente lungometraggio e prodotto dalla Amblin Entertainment di Steven Spielberg (che però, insoddisfatto del risultato finale, volle togliere il proprio nome dalla pellicola), è un piccolo "cult" che – come molti road movie – si snoda attraverso una serie di sequenze slegate l'una dall'altra ma di grande impatto: la battaglia al cimitero con i fuochi artificiali (che nel giro di pochi istanti si trasforma da un gioco divertente a un inquietante presagio sugli orrori della guerra); il delirante salto dall'aereo di Phil (Judd Nelson), costretto dagli amici a prendere una lezione di paracadutismo dallo scalcinato istruttore hippie Truman (Marvin McIntyre), per dimostrare di avere quel coraggio che a parole pretendeva dagli altri; e infine il matrimonio, durante il quale Gardner ballerà con Debbie il fandango del titolo (un ballo spagnolo che, come dichiarano i titoli di testa, può essere usato come metafora per indicare "un gesto folle e bizzarro"). Il bizzarro roster di personaggi è completato dal massiccio e taciturno seminarista Dorman (Chuck Bush), che legge Hesse, Sartre, Gibram e... l'incredibile Hulk, e dal comatoso Lester (Brian Cesak), che dorme per quasi tutta la pellicola e si sveglierà solo nel finale, rivelando di lavorare alla Arthur Andersen di Dallas. Tema importante è quello dell'amicizia, che dietro le goliardate, le risate e il ricordo delle imprese passate è il collante che tiene insieme i personaggi negli anni della gioventù: nell'età adulta prenderanno strade diverse, e chissà se si rivedranno mai. Gli attori Sam Robards (figlio di Jason e di Lauren Bacall) e Suzy Amis si sposarono lo stesso anno anche nella vita reale. Costner, amico di lunga data di Reynolds, ai tempi era ancora sconosciuto (proprio nel 1985 aveva recitato nel film che lo ha portato per la prima volta alla ribalta, "Silverado"): il regista lo dirigerà altre due volte, in "Robin Hood: principe dei ladri" e "Waterworld".

9 novembre 2007

Tin cup (Ron Shelton, 1996)

Tin Cup (id.)
di Ron Shelton – USA 1996
con Kevin Costner, Rene Russo
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Rivisto in TV, con Hiromi.

Roy McAvoy (Costner), detto “Tin cup”, è un ex giocatore di golf che ha buttato via la sua promettente carriera per aver sempre compiuto, con testardaggine e impulsività, le scelte sbagliate. Incapace di “giocare corto” e alla continua ricerca del colpo ad effetto, ha sempre ignorato i saggi consigli del suo caddie Romeo (Cheech Marin), osando troppo e più del necessario e mandando all'aria ogni occasione. Ora si guadagna da vivere gestendo uno squallido campetto di allenamento nel deserto del Texas. Innamoratosi della psicologa Molly Griswold (Russo), fidanzata del suo acerrimo rivale David Simms (Don Johnson), decide di iscriversi allo US Open per dimostrarle di essere ancora un campione. Lei stessa lo aiuterà a tenere a freno i propri eccessi e a recuperare quell'equilibrio mentale necessario per competere ad alti livelli. Ma alla fine il suo saper rimanere sé stesso lo aiuterà a conquistare, se non la vittoria nel torneo, almeno la stima del pubblico e l'amore della bella Molly, che capirà di preferirlo a un fidanzato ipocrita e noioso (a differenza di Roy, David non corre mai rischi e punta sempre al “par”). Vivace film di ambientazione sportiva, senza infamia e senza lode, che si lascia guardare grazie alla buona prova del protagonista (nel ruolo di un antieroe fallito e trasandato, spaccone e arrogante) e all'assenza, nel finale, della conclusione scontata che ci si aspetterebbe, con una sceneggiatura che non insegue a tutti i costi il mito del successo e della vittoria. La sceneggiatura rivista con ironia diversi luoghi comuni della mitologia del golf (per esempio lo “shank”, sorta di blocco mentale che impedisce di colpire bene la palla). Brevi cameo per molti celebri golfisti e commentatori sportivi che interpretano sé stessi.

13 novembre 2006

Balla coi lupi (K. Costner, 1990)

Balla coi lupi (Dances with Wolves)
di Kevin Costner – USA 1990
con Kevin Costner, Mary McDonnell
***

Visto in DVD, con Martin.

Pur avendo visto in vita mia migliaia di film di ogni genere e di ogni periodo, ho ancora delle lacune relative a titoli importanti. Ogni tanto, grazie anche a stimoli esterni (in questo caso Martin, che da molto tempo voleva convincermi a vederlo), riesco a colmarne qualcuna. Non avevo mai visto "Balla coi lupi" e tutto sommato ero anche un po' prevenuto al riguardo. Mi immaginavo una storia dal sapore new age, magari sdolcinata o compiaciuta. Invece si tratta di un grande film, epico e umano al tempo stesso, con un respiro intenso e un ritmo adeguato al racconto. Naturalmente ne abbiamo visto la versione lunga (tre ore e quaranta), che rispetto a quella originariamente uscita al cinema ha circa un'ora di scene in più: ma non c'è un solo minuto che sembri superfluo. Dopo l'iniziale diffidenza, anche la musica mi ha conquistato.
Trasferito per sua volontà nell'avamposto più remoto della frontiera americana ("voglio vedere la frontiera prima che sparisca per sempre"), il tenente John Dunbar si ritrova a vivere da solo in un territorio sterminato e battuto dal vento. Prima entra in contatto con la natura selvaggia (simbolicamente rappresentata dal lupo) e poi con gli indiani Sioux, con la cui cultura si trova in sintonia al punto da acquisirne lentamente usi e costumi. Un western dai paesaggi sconfinati, completamente e romanticamente dalla parte dei pellerossa, che ha valso al genere il secondo premio Oscar come miglior film della sua storia dopo "I pionieri del west" di Ruggles nel 1931, un riconoscimento negato in passato persino ai mostri sacri come Ford o Hawks: evidentemente, al tempo della sua epoca d'oro, il western era considerato soltanto un prodotto di puro intrattenimento.
Tornando a "Balla coi lupi", mi è sembrato evidente come la pellicola abbia offerto molti spunti a Gianfranco Manfredi per il personaggio di Magico Vento. Comunque, oltre alla bella storia e ai personaggi ben costruiti, il film è notevole anche dal punto di vista tecnico: Costner, alla sua prima regia, padroneggia perfettamente tanto la macchina da presa quanto l'equilibrio narrativo. Mi ha particolarmente colpito la scena della caccia ai bisonti: mi chiedo come sia stata girata! Ho letto sull'imdb che, per quella scena, Costner è stato aiutato dal suo amico Kevin Reynolds (il regista di "Fandango").