31 dicembre 2022

Frankenstein Junior (Mel Brooks, 1974)

Frankenstein Junior (Young Frankenstein)
di Mel Brooks – USA 1974
con Gene Wilder, Marty Feldman
****

Rivisto in DVD.

Il dottor Frederick von Frankenstein (Gene Wilder), nipote del celebre scienziato che anni prima creò il famigerato mostro, non sembra interessato a seguire le tracce del suo antenato, di cui quasi si vergogna (tanto da cambiare la pronuncia del suo stesso cognome). Almeno fino a quando non entra in possesso del suo diario, con le indicazioni dettagliate su come dare vita alla creatura. A quel punto, la tentazione di riprodurne gli esperimenti sarà troppo forte per resisterle... Pare che l'idea di realizzare una parodia del classico "Frankenstein" di James Whale (includendovi anche elementi dei successivi sequel, in particolare "La moglie di Frankenstein", da cui proviene la scena dell'eremita cieco, e "Il figlio di Frankenstein", da cui deriva il personaggio dell'ispettore Kemp) sia stata di Wilder, co-sceneggiatore del film insieme a Mel Brooks (al quarto lungometraggio: è senza dubbio il suo capolavoro). Grazie all'eccellente cast di interpreti, alla qualità delle battute, alla riproduzione delle atmosfere dell'originale (mediante la fotografia in bianco e nero, lo stile di inquadrature degli anni trenta, la colonna sonora e persino il riutilizzo di alcune scenografie dell'epoca, come le attrezzature del laboratorio realizzate da Kenneth Strickfaden), il risultato è al tempo stesso avvincente ed esilarante, da considerare una delle migliore parodie (nel senso che non stravolge o banalizza il materiale di cui si prende gioco, ma gli rende un fedele e affettuoso omaggio, con una stupefacente attenzione ai dettagli) e uno dei film più divertenti di tutti i tempi, tanto nella versione originale quanto in quella italiana, splendidamente adattata da Mario Maldesi, le cui battute (spesso "rimodellate") sono a tratti persino più memorabili di quelle originali (a partire dal leggendario "Lupo ululà... Castello ululì"). Grazie anche agli eccellenti doppiatori (come Oreste Lionello su Frankenstein, Gianni Bonagura su Igor, Livia Giampalmo su Inga), tantissime gag, semplici frasi o scambi di battute sono rimaste impresse nelle orecchie, nella memoria e nell'immaginario degli spettatori italiani, come ben pochi altri film possono vantare. Da "Si... può... fare!" a "Che lavoro schifoso!" - "Potrebbe essere peggio" - "E come?" - "Potrebbe piovere!"; da "Ma è un malocchio questo!" - "E questo no?" a "Il destino è quel che è, non c'è scampo più per me!"; da "Rimetta... a posto... la candela!" a "Presto! Dategli un... sedadavo!", e potrei continuare per ore, citando praticamente tutto il film (senza dubbio uno dei lungometraggi più "citabili" di sempre!). A proposito dell'adattamento italiano, consiglio la lettura del bell'articolo di Evit pubblicato sul suo blog "Doppiaggi italioti". Dicevamo del cast: al fianco dell'ottimo Wilder, estremamente espressivo nel ruolo dello scienziato pazzo, c'è uno straordinario Marty Feldman nei panni del servo Igor ("Gobba? Quale gobba?"), forse il personaggio più divertente del film (è il suo ruolo più noto). Il mostro è interpretato da Peter Boyle, che gli dona un vasto range di emozioni e stravolge in chiave comica i manierismi che furono di Boris Karloff. Non è da meno il comparto femminile, che comprende Teri Garr (l'assistente Inga: "Allora avrebbe un enorme Schwanzstück!"), la sempre meravigliosa Madeline Kahn (Elizabeth, la fidanzata del dottore, che nel finale sfoggia le celebri mèches de "La moglie di Frankenstein") e Cloris Leachman ("Frau Blucher!", il cui nome è sempre seguito dal nitrire dei cavalli). Infine, da citare Kenneth Mars (l'ispettore Kemp) e naturalmente Gene Hackman (quasi irriconoscibile sotto il trucco dell'eremita cieco). Da notare che si tratta di uno dei rarissimi film di Mel Brooks in cui il regista non recita. Oltre alle gag verbali, non da meno sono quelle visive, alcune delle quali (spesso con protagonista Igor) facevano scoppiare dal ridere gli stessi attori sul set, costringendoli a rigirare intere scene. Fra le molte sequenze delle pellicole originali virate in parodia, oltre alla suddetta dell'eremita, da ricordare quella della bambina presso il lago. Il risultato è così divertente e, soprattutto, memorabile, che ormai è quasi impossibile guardare di nuovo i classici film della Universal senza ridere involontariamente a ogni scena. Nomination agli Oscar per la sceneggiatura e il sonoro. Dal 2007 esiste anche un musical teatrale.

29 dicembre 2022

La moglie di Frankenstein (J. Whale, 1935)

La moglie di Frankenstein (Bride of Frankenstein)
di James Whale – USA 1935
con Boris Karloff, Elsa Lanchester
***

Rivisto in DVD.

Il mostro di Frankenstein (a proposito: è a partire da questo film che il nome Frankenstein, nel titolo ma anche nei dialoghi, comincia a essere usato in maniera incoerente: a volte indica lo scienziato, a volte la creatura) non è morto nell'incendio del mulino, come sembrava alla fine del precedente film del 1931, ma è sopravvissuto e ricomincia a seminare il terrore nelle campagne circostanti. A dire il vero, il mostro sta sviluppando una certa umanità: in una memorabile scena (ormai "rovinata" per sempre dalla parodia che Mel Brooks e Gene Hackman ne hanno fatto in "Frankenstein Junior"), un eremita cieco (O. P. Heggie) lo accoglie nella propria dimora e gli insegna i valori della vita – compresa l'amicizia – e persino a parlare (!). Nel frattempo, Henry Frankenstein (Colin Clive) è costretto dal malvagio dottor Pretorius (Ernest Thesiger), filosofo-scienziato ancor più ambizioso di lui, a collaborare alla creazione di una "compagna" (Elsa Lanchester) per il mostro: ma anche questa sarà terrorizzata e orripilata da lui. E allora la creatura preferirà perire, distruggendo il laboratorio di Pretorius e seppellendosi assieme allo scienziato e alla sua "moglie"... L'enorme successo commerciale della pellicola originale spinse la Universal a mettere in cantiere un sequel, affidato allo stesso regista (Whale) e in parte allo stesso cast del precedente (tornano Clive e naturalmente Karloff, mentre Valerie Hobson sostituisce invece Mae Clarke nel ruolo di Elizabeth, la fidanzata di Henry). La vicenda, che in un certo senso sovverte i significati del primo film (anziché focalizzarsi sullo scienziato, si concentra sul mostro e suscita l'empatia dello spettatore nei suoi confronti), è preceduta da un insolito prologo che vede protagonista Mary Shelley (sempre Lanchester), l'autrice del romanzo originale, in compagnia di Lord Byron e Percy Shelley, ai quali racconta come ha immaginato il seguito della sua storia. Le parti comiche sono riservate a Una O'Connor (la governante di casa Frankenstein).

A parte la scena dell'eremita, soltanto uno dei momenti che sottolineano l'evoluzione "psicologica" della creatura (in una sequenza, per esempio, soccorre una pastorella caduta nel fiume, rovesciando così il raccapricciante momento del primo film in cui annegava la bambina), a spiccare è soprattutto il finale, quello in cui appare la "moglie" del mostro, il cui aspetto – grazie soprattutto alla capigliatura con le mèches bianche e ondulate: il truccatore Jack Pierce si ispirò alla regina egiziana Nefertiti – è forse diventato altrettanto iconico di quello del suo compagno (l'acconciatura in questione sarà citata, fra gli altri, in "Rocky Horror Picture Show"). Nonostante la "moglie" compaia sullo schermo per meno di cinque minuti, risulta perciò indimenticabile. Parecchio bizzarra, invece, è l'introduzione di Pretorius, che mostra di essere in grado di creare "uomini artificiali" in miniatura, custoditi in bottiglia (il tutto ricorda certi film muti dei primordi, come quelli di Georges Méliès e Segundo de Chomón). Lui stesso sminuisce questi risultati, affermando che non sono nulla rispetto a quelli di Henry Frankenstein: come se creare la vita dal nulla, e per di più su scala ridotta, fosse più facile che rianimare cadaveri... Da sottolineare, infine, l'onnipresente iconografia cristiana (alcuni esempi: il crocifisso che incombe nel cimitero, la scena in cui il mostro stesso è flagellato come Cristo in croce, e quella in cui l'eremita prega insieme alla creatura). Nei credits iniziali Boris Karloff è accreditato con il solo cognome, mentre stavolta a essere sostituito da un punto di domanda è il nome della Lanchester... che però non riappare quando i credits sono ripetuti nei titoli di coda. Anche questo film ebbe un grande successo (per parecchi critici è addirittura superiore al precedente), e pertanto la serie proseguirà con altre pellicole, stavolta non dirette da Whale, a cominciare da "Il figlio di Frankenstein" nel 1939.

27 dicembre 2022

Frankenstein (James Whale, 1931)

Frankenstein (id.)
di James Whale – USA 1931
con Colin Clive, Boris Karloff
***1/2

Rivisto in DVD.

Il giovane e ambizioso scienziato Henry Frankenstein (Colin Clive) sogna nientemeno che di sfidare Dio e di creare la vita: a questo scopo "assembla" una creatura (con pezzi di cadaveri rubati nei cimiteri) e la "anima" grazie a una scarica elettrica. Ma il mostro (Boris Karloff), sfuggito al suo controllo, semina morte e terrore nel villaggio e nella campagna circostante. E lo stesso Henry, alla guida degli abitanti locali, sarà costretto a distruggerlo, facendolo perire nelle fiamme. Questo film seminale è il più celebre adattamento del romanzo di Mary Shelley ("Frankenstein o il moderno Prometeo", pubblicato nel 1818), anche se si rifà soprattutto alla versione teatrale di Peggy Webling (del 1927): straordinariamente influente nel plasmare tanto il genere horror (in particolare quello di mostri: assieme al coevo "Dracula" è il capostipite del filone della Universal) quanto la mitologia e l'estetica del mostro di Frankenstein stesso, ne è diventato il punto di riferimento essenziale e irrinunciabile. Di fatto le fattezze della creatura, nell'immaginario collettivo, sono ormai quelle di Karloff, con il make up (opera di Jack Pierce) che ne accentua la natura mostruosa (con la fronte, le mani e i piedi pronunciati, e i chiodi conficcati nel collo). Da allora, omaggi, riferimenti, parodie (al cinema ma anche nei fumetti e nei cartoni animati) non hanno potuto più prescindere da questo aspetto iconico, così diverso da tutto ciò che era venuto prima (per esempio nelle precedenti versioni cinematografiche dell'opera, come il film muto del 1910 di J. Searle Dawley). Il produttore Carl Laemmle Jr., che voleva replicare il successo di "Dracula", uscito pochi mesi prima, scelse il regista britannico James Whale dopo la rinuncia della prima scelta Robert Florey. Anche Karloff fu un ripiego, visto che inizialmente la star doveva essere la stessa di "Dracula", Bela Lugosi, che però rinunciò perché avrebbe preferito interpretare lo scienziato e non il mostro. Il resto del cast comprende Mae Clarke (Elizabeth, la fidanzata di Henry), Edward Van Sloan (il dottor Waldman, suo mentore), Frederick Kerr (il barone Frankenstein, suo padre) e Dwight Frye (Fritz, l'assistente gobbo, quello che nelle pellicole successive sarà rinominato Igor). L'ambientazione è immaginata nelle Alpi bavaresi, attorno al villaggio (fittizio) di Goldstadt, mentre il laboratorio di Frankenstein (con attrezzature ideate da Kenneth Strickfaden) è situato in un vecchio mulino abbandonato, lo stesso in cui, dato alle fiamme, perirà nel finale la creatura (distaccandosi in questo dal romanzo originale, dove il mostro, anziché nel fuoco, scompariva nelle acque ghiacciate dell'Artico).

Se il film, visto oggi, può sembrare datato per le tante ingenuità legate all'epoca e le concessioni al gusto hollywoodiano, a partire dalla trasformazione in positivo del dottor Frankenstein nella seconda parte (mentre la prima ce lo presentava come un vero e proprio "scienziato pazzo", determinato a travalicare i limiti della natura: anzi, proprio questa pellicola ha contribuito a codificarne la figura, con tanto di assistente deforme al seguito), che mette la testa a posto e, addirittura, anziché essere punito per la sua smisurata ambizione può godere di un lieto fine (con matrimonio, figlio in arrivo, e brindisi finale "alla salute dei Frankenstein", come se non fosse stato lui in fondo il responsabile di ogni tragedia), ciò nonostante non mancano le scene forti, orrorifiche o raccapriccianti: su tutte quella della morte della bambina, Maria, che viene (anche se non consapevolmente) annegata dal mostro. In effetti la censura ebbe da ridire (ed eravamo nel periodo precedente al codice Hays!), chiedendo che fosse tagliata, così come si oppose a una linea di dialogo considerata blasfema (quando Henry afferma "Ora so cosa si prova a essere Dio!"). Per mettere le mani avanti, Laemmle fece inserire un prologo in testa al film, in cui Van Sloan preannuncia agli spettatori che il film «vi emozionerà, forse vi colpirà, potrebbe anche inorridirvi! Se pensate che non sia il caso di sottoporre a una simile tensione i vostri nervi, allora sarà meglio che voi... be', vi abbiamo avvertito!». Da notare anche i titoli di testa, dove il nome dell'attore che interpreta il mostro è sostituito da un punto interrogativo. A film terminato, nei titoli di coda i credits ritornano ("Un buon cast merita di essere ripetuto"), stavolta con il nome di Karloff reinstallato. La fotografia, cupa ed espressionista, è di Arthur Edeson. L'enorme successo al botteghino portò alla realizzazione di una serie di sequel (solo il primo, "La moglie di Frankenstein" del 1935, diretto ancora da Whale), crossover (in cui la creatura incontra altri mostri della Universal, come Dracula o l'uomo invisibile), spin-off, remake (come quello di Kenneth Branagh del 1994), omaggi (come "Demoni e dei") e parodie, la più celebre delle quali (nonché la più fedele al materiale di partenza, arrivando persino a riutilizzare parte dei set originali) è senza dubbio il "Frankenstein Junior" di Mel Brooks (1974), così fedele che oggi è difficile guardare i film di Whale senza pensare, praticamente in ogni scena, alla loro versione comica. Ma è quello che capita un po' a tutte le opere iconiche: l'immaginario popolare se ne appropria e le svuota dell'impatto o dei significati originari.

26 dicembre 2022

Un amore tutto suo (Jon Turteltaub, 1995)

Un amore tutto suo (While you were sleeping)
di Jon Turteltaub – USA 1995
con Sandra Bullock, Bill Pullman
**1/2

Visto in TV (Disney+), con Sabrina, Eva e Alberto.

Dopo aver salvato la vita a Peter (Peter Gallagher), un uomo caduto sulle rotaie della metropolitana e finito in coma, per un equivoco la solitaria addetta alla biglietteria Lucy viene creduta la sua fidanzata, e come tale accolta con grande calore dalla famiglia di lui. Peccato che nel frattempo si innamori di Jack (Bill Pullman), il sospettoso fratello di Peter... Gradevole commedia romantica di ambientazione natalizia, che riesce a raccontare una storia dal finale scontato ma che, per arrivarci, deve percorrere un tragitto alquanto tortuoso. Bugie ed equivoci infatti si sprecano, tanto da parte di Lucy (che mantiene la finzione per non perdere l'affetto di una famiglia che non ha mai avuto) quanto da parte di Jack (che, pur innamoratosi a sua volta della ragazza, non intende tradire il fratello o mettere a repentaglio la sua felicità), e naturalmente le cose si complicano quando Peter, una volta uscito dal coma, si convince di essersi dimenticato di Lucy per via di un'amnesia e si dichiara deciso a sposarla comunque. Il mix di buoni sentimenti, patemi sentimentali e cliché festivi/natalizi è svolto con afflato e competenza, senza contare gli indovinati momenti umoristici. Il ruolo di protagonista era stato pensato inizialmente per Demi Moore o Julia Roberts. Nel cast anche Peter Boyle, Jack Warden, Glynis Johns e Michael Rispoli. La storia si svolge a Chicago.

25 dicembre 2022

Guardiani della galassia Holiday Special (J. Gunn, 2022)

Guardiani della galassia Holiday Special
(The Guardians of the Galaxy Holiday Special)
di James Gunn – USA 2022
con Pom Klementieff, Dave Bautista
*1/2

Visto in TV (Disney+).

In occasione delle festività natalizie, per fare un regalo al loro amico Peter Quill (Chris Pratt), gli alieni Mantis e Drax hanno la bella pensata di recarsi sulla Terra e rapire Kevin Bacon (sé stesso), convinti – dai racconti dello stesso Peter – che si tratti di un leggendario eroe terrestre. Quando scopriranno che si tratta solo di un attore, ne resteranno delusi: ma questo non riuscirà a rovinare lo spirito gioioso delle feste... Secondo "special" televisivo per il Marvel Cinematic Universe: dopo quello di Halloween ("Licantropus"), ecco quello natalizio. Ma se il primo era quantomeno decente (diciamolo: un vero film, nonostante la breve durata) e a suo modo anche divertente, questo è assolutamente insulso, pur essendo scritto e diretto dallo stesso autore dei lungometraggi canonici dei Guardiani della galassia. Senza particolari qualità produttive, e anzi quasi imbarazzante come livello di recitazione e di effetti visivi, alterna gag stupide e infantili a situazioni semplicistiche e retoriche (come ogni prodotto natalizio hollywoodiano, d'altronde). Le disavventure degli alieni alle prese con le strane usanze terrestri, o quelle dell'autoironico Bacon (la cosa migliore del film) proiettato in un mondo di strane creature fantascientifiche, non appaiono di certo né originali né trascendentali. Da segnalare due brevi inserti in animazione rotoscope. Gunn ha dichiarato di essere un fan del famigerato "Star Wars Holiday Special", il che spiega molte cose. Nella versione italiana, le canzoni (eseguite dagli Old 97 e da Bacon stesso) non sono tradotte né sottotitolate, scelta inspiegabile visto che, la prima in particolare, si interlacciano ai dialoghi dei personaggi.

23 dicembre 2022

Pinocchio (Guillermo del Toro, 2022)

Pinocchio di Guillermo del Toro (Guillermo del Toro's Pinocchio)
di Guillermo del Toro, Mark Gustafson – USA 2022
animazione a passo uno
**1/2

Visto in TV (Netflix).

Dopo aver perso il figlio Carlo in un bombardamento durante la prima guerra mondiale, il falegname Geppetto lo "ricrea" con le fattezze di un burattino di legno, Pinocchio, al quale una fata infonde magicamente la vita. Inizialmente capriccioso e indisciplinato, Pinocchio – grazie anche ai consigli di Sebastian, il grillo parlante – saprà dimostrare generosità, coraggio e altruismo. Appassionato da sempre alla fiaba di Carlo Collodi (con cui era entrato in contatto in giovane età, come molti, attraverso la celebre versione animata della Disney), Del Toro ha voluto realizzarne una rilettura personale che, pur mantenendo l'impianto narrativo di base, se ne discosta in parecchi aspetti. Innanzitutto l'ambientazione è spostata agli anni del fascismo, con tanto di breve apparizione (per quanto caricaturale) di Mussolini stesso. Anche Lucignolo diventa il figlio del podestà locale, e lui e Pinocchio sono costretti ad arruolarsi in un campo di addestramento per soldati bambini. Ne conseguono toni dark, adulti e quasi horror, che si alternano ai momenti comici (come quelli che vedono protagonista il grillo), a quelli avventurosi (la lotta contro il mostro marino) e ad altri addirittura metafisici (l'aldilà dove Pinocchio si ritrova dopo ogni sua "morte": la Morte stessa, impersonificata da una sorta di chimera, è la sorella della fata dei boschi), oltre naturalmente al complesso rapporto fra padre e figlio che lega Geppetto al burattino. L'altalena di registri può lasciare perplessi, a dire il vero, visto che la pellicola non è sempre coerente nei suoi toni (e nel pubblico di riferimento: adulto o infantile?), ma è quantomeno da apprezzare la scelta di non fare l'ennesimo remake identico di una storia di cui il cinema ha ormai abusato allo sfinimento (la bella versione di Matteo Garrone, per esempio, risale a solo tre anni fa). Se molti degli aspetti più "oscuri", a ben vedere, non tradiscono il materiale originale (la fiaba di Collodi sapeva essere parecchio cupa e angosciante già di suo), Del Toro sorprende – ma nemmeno troppo – nel rifuggire le letture più moraliste e pedagogiche della vicenda, come la tentazione di "imbrigliare" il protagonista nell'obbedienza, nel conformismo e nel rispetto delle regole, qui simboleggiate dal fascismo. Anche il finale, in cui si rinuncia alla canonica trasformazione in un bambino in carne e ossa, suggerisce come questa non sia necessaria per diventare "un bambino vero": bastano le azioni che si compiono. Fra i personaggi minori spiccano il Conte Volpe, imbonitore del circo che "recluta" Pinocchio come attrazione, e il suo assistente-schiavo, la scimmia Spazzatura. Molti, invece, gli episodi e i personaggi iconici assenti, come il Gatto e la Volpe (fusi con Mangiafuoco nella figura del suddetto imbonitore) e il paese dei balocchi. L'animazione in stop motion è di ottima fattura, arricchita comunque dagli effetti visivi della fotografia digitale. Del tutto dimenticabile invece la colonna sonora di Alexandre Desplat, (brutte) canzoni comprese.

21 dicembre 2022

Paura e delirio a Las Vegas (T. Gilliam, 1998)

Paura e delirio a Las Vegas (Fear and loathing in Las Vegas)
di Terry Gilliam – USA 1998
con Johnny Depp, Benicio del Toro
***

Rivisto in TV (Prime Video).

Con una valigetta piena di droghe ed alcolici, a bordo di una cabriolet rossa, il giornalista Raoul Duke (Johnny Depp) e il suo avvocato Dottor Gonzo (Benicio del Toro) attraversano il deserto per recarsi da Los Angeles a Las Vegas. Qui, continuamente sotto l'effetto degli stupefacenti (LSD, mescalina, etere), assisteranno a una corsa motociclistica, irromperanno in un convegno di procuratori distrettuali, devasteranno due stanze d'albergo e trascorreranno giornate e nottate all'insegna degli eccessi, di allucinazioni psichedeliche e di una follia anarchica e confusionaria. Film fluttuante e imprevedibile, tratto dal romanzo di Hunter S. Thompson, nel cui titolo si parla però di "disgusto", non di "delirio": la scelta dei distributori italiani di cambiarlo mostra tutta la loro incapacità di cogliere il vero significato della pellicola, che non è un semplice "delirio" ma una dichiarazione di rigetto verso un mondo ipocrita e perbenista, una fuga esistenziale, un modo per rendere esplicita la crisi del sogno americano. Il film si svolge infatti nel 1971, all'alba di un decennio che rappresenta la pietra tombale sugli ideali universali e i sogni di rivoluzione e cambiamento degli anni sessanta. La guerra del Vietnam, le apparizioni di Nixon in televisione, l'edonismo sfrenato di cui proprio Las Vegas (con i suoi casinò, i suoi circhi, i suoi eventi ricchi di celebrità) è il simbolo, costringono di fatto i due protagonisti a fuggire da sé stessi e dal mondo, rifugiandosi in una realtà alternativa e ribelle, popolata da rettili umanoidi e visioni alterate, ma capace di mettere in luce le contraddizioni e le ipocrisie della società che li circonda. La regia di Gilliam, che dà sfogo a tutto il suo talento visionario (con l'uso del grandangolo, le inquadrature sghembe e ondeggianti, i colori caldi e forti della fotografia di Nicola Pecorini), è al servizio di una trama episodica e quasi inesistente, mentre è notevole il tour de force dei due interpreti, dove spicca soprattutto uno straordinario Depp, con la pelata e perennemente fuori di testa. Piccole parti per Tobey Maguire (l'autostoppista), Christina Ricci (la pittrice Lucy), Cameron Diaz (la ragazza bionda nell'ascensore), Ellen Barkin (la cameriera del diner), Gary Busey (il poliziotto stradale).

20 dicembre 2022

Tuo, Simon (Greg Berlanti, 2018)

Tuo, Simon (Love, Simon)
di Greg Berlanti – USA 2018
con Nick Robinson, Logan Miller
**1/2

Visto in TV (RaiPlay).

Il diciassettenne Simon (Nick Robinson), all'ultimo anno di liceo, è segretamente gay: ma non ha il coraggio di dichiararlo né alla famiglia né agli amici. Il suo segreto verrà alla luce quando le mail che si scambia anonimamente con un compagno di scuola, gay come lui ma di cui ignora l'identità, verranno rese pubbliche da una terza persona... Tratto da un romanzo (di Becky Albertalli) di coming-of-age, un teen movie sui tormenti interiori di un adolescente alle prese con un mondo "eteronormale", in cui deve bilanciarsi fra le amicizie (che iniziano a colorarsi di sentimenti più forti), gli affetti familiari, la scuola e le emozioni non espresse. Una regia di stampo televisivo e giovani attori dai medesimi trascorsi tengono un po' a freno il risultato, ed è un peccato, visto che la sceneggiatura (inevitabile lieto fine "hollywoodiano" a parte) riesce a caratterizzare bene i personaggi e a mantenere l'attenzione dello spettatore entro i livelli di guardia, evitando tra l'altro le trappole dell'eccesso di sensazionalismo e quelle dell'estetica pop o fumettistica (ma non quelle del messaggio educativo o idealistico). Josh Duhamel e Jennifer Garner sono i genitori di Simon; Katherine Langford, Alexandra Shipp e Jorge Lendeborg Jr i suoi amici; Logan Miller il "nerd"; Tony Hale il vicepreside impiccione. In seguito al buon successo di pubblico, è stato realizzato un sequel sotto forma di serie tv ("Love, Victor"). La traduzione del titolo non è coerente con il film, durante il quale il modo in cui Simon firma le sue mail è reso sempre come "Con amore, Simon".

18 dicembre 2022

Argentina, 1985 (Santiago Mitre, 2022)

Argentina, 1985 (id.)
di Santiago Mitre – Argentina 2022
con Ricardo Darín, Peter Lanzani
***

Visto in TV (Prime Video).

Dopo la caduta della dittatura militare in Argentina e il ritorno della democrazia, il procuratore federale Julio César Strassera (Ricardo Darín) viene incaricato di rappresentare la pubblica accusa nel processo civile a Jorge Videla e agli altri membri della giunta che ha governato il paese nei sette anni precedenti. Sottoposto a forti pressioni, a intimidazioni e a continue minacce, in pochi mesi e con l'aiuto dell'assistente Luis Moreno Ocampo (Peter Lanzani) e di un team di giovani collaboratori Strassera riuscirà a raccogliere un numero sterminato di prove e di testimonianze contro i crimini commessi dalla giunta, compresi centinaia di casi di rapimenti, sparizioni (i cosiddetti "desaparecidos"), torture, violenze e omicidi, dimostrando che non si trattava di casi isolati ma di un uso strategico e diffuso della sopraffazione e della violenza. E per la prima volta nella storia, un tribunale civile riuscirà a condannare per crimini contro l'umanità i membri di una giunta militare, aprendo una nuova stagione di speranza e di giustizia per il paese. Un film di denuncia sociale che ripercorre la storia del "processo più importante della storia argentina", narrata in modo appassionante e senza mai smarrire la presa sul lato umano della vicenda: che si tratti di Strassera e dei suoi giovanissimi collaboratori (il cui punto di vista è sempre centrale), spesso in preda ai dubbi e alla paura, o delle testimonianze toccanti e sconvolgenti dei sopravvissuti e delle vittime della dittatura, o ancora delle incertezze e dei sensi di colpa di chi pensa di non aver fatto abbastanza in precedenza, la sceneggiatura narra fedelmente i fatti fino al momento della requisitoria finale di Strassera (riportata integralmente, compresa la citazione dantesca sui tiranni condannati nel settimo cerchio dell'Inferno, nonché il celebre "Nunca mas!" finale) che condensa, in poche parole accuratamente cesellate, tutta l'indignazione e il bisogno di giustizia nei confronti di veri e propri "crimini di stato", commessi da chi si era arrogato il compito di "difendere la patria dalla guerriglia", facendo ricadere magari la responsabilità sui propri subordinati o la colpa sulle stesse vittime. Con un'impostazione classica, una regia solida, e buone prove attoriali, la pellicola riesce compiutamente nei suoi intenti, risultando al tempo stesso coinvolgente ed equilibrata.

16 dicembre 2022

Illusioni perdute (Xavier Giannoli, 2021)

Illusioni perdute (Illusions perdues)
di Xavier Giannoli – Francia 2021
con Benjamin Voisin, Vincent Lacoste
***

Visto in TV (Now Tv).

Nella Francia della Restaurazione, a inizio Ottocento, Lucien de Rubempré (Benjamin Voisin) è un giovane poeta di campagna, ingenuo e idealista, che – spinto anche dall'amore per la sua nobile mecenate, la baronessa de Bargeton (Cécile de France) – si trasferisce a Parigi in cerca di fortuna. Anziché trovare un editore per i suoi componimenti, che non interessano a nessuno, entrerà in contatto con un mondo ben diverso da quello che immaginava: il giornalismo satirico e di costume, di stampo liberale, di cui – tramite l'amicizia con lo spregiudicato redattore Étienne Lousteau (Vincent Lacoste) – diventa in breve tempo una delle firme più celebri, grazie ai suoi articoli arguti, feroci e taglienti. Quello della stampa è un universo corrotto, dove tutti sono in vendita, recensioni e stroncature di romanzi o rappresentazioni teatrali dipendono soltanto da quanto si è disposti a pagare, e le notizie false sono all'ordine del giorno. Dall'omonimo romanzo di Honoré de Balzac, una sorta di "Quarto potere" ottocentesco: nonostante lo stile classico e, almeno all'inizio, molto letterario e apparentemente ingessato, il film è vivace e incredibilmente attuale nel mettere in luce le storture, gli interessi, le menzogne, i favoritismi, il commercio che si annidano dietro la stampa e quelli che oggi chiameremmo i mass media. Nulla di diverso rispetto a oggi, dalle fake news alla pubblicità occulta, dai tentativi di indirizzare l'opinione pubblica (memorabili le "claque" di applauditori o di fischiatori che, a teatro, si vendono al miglior offerente, guidate dal subdolo Singali (Jean-François Stévenin) come se fosse un direttore d'orchestra) a quelli di affossare col gossip la reputazione di politici o personalità illustri. Che non si tratti di un'esagerazione o di una travisazione della realtà odierna nel passato lo dimostrano altri esempi simili nella letteratura e nell'arte ottocentesca (il primo che mi viene in mente: il personaggio di Macrobio nella "Pietra del paragone" di Gioacchino Rossini, simile per molti versi al Lousteau di Balzac). In mezzo a tutto questo, Lucien ci sguazza ma soffre anche, per l'anelito verso la purezza dell'arte e l'amore che, tutto sommato, continua a provare, frammisto al desiderio di elevarsi socialmente e di essere accettato nella classe aristocratica, cosa che lo trascina verso la distruzione. Ottima la ricostruzione d'epoca. Nel ricco cast, molti volti noti: Xavier Dolan è il romanziere Nathan, "rivale" di Lucien ma da lui sinceramente ammirato; Gérard Depardieu è il "buzzurro" editore Dauriat; Salomé Dewaels è la ballerina di varietà Coralie, di cui Lucien si invaghisce; Jeanne Balibar l'intrigante marchesa d'Espard. Numerosi premi César (compreso quello per il miglior film francese dell'anno).

14 dicembre 2022

L'ultimo valzer (Martin Scorsese, 1978)

L'ultimo valzer (The Last Waltz)
di Martin Scorsese – USA 1978
con The Band
***

Rivisto in DVD.

Probabilmente uno dei film-concerto per eccellenza, uno di quelli che ha definito il genere e ne è diventato un punto di riferimento: mostra l'esibizione finale (al Winterland di San Francisco, il 25 novembre 1976) di The Band, gruppo rock celebre negli anni sessanta e settanta, dapprima come band di supporto per Bob Dylan e poi per la loro commistione fra il rock'n'roll e altri generi musicali americani (blues, jazz, country, bluegrass). Dopo sedici anni insieme, i cinque membri del gruppo – Robbie Robertson, Rick Danko, Richard Manuel, Levon Helm, Garth Hudson, tutti polistrumentisti: l'unico statunitense era Helm, gli altri erano canadesi – decisero di sciogliersi, e per l'occasione organizzarono questo concerto, una vera e propria celebrazione "in famiglia", cui parteciparono fior di artisti ospiti: dallo stesso Bob Dylan a Ronnie Hawkins, da Neil Diamond a Joni Mitchell, e poi Eric Clapton, Muddy Waters, Neil Young, Paul Butterfield, Van Morrison, Lawrence Ferlinghetti, Dr. John, Ringo Starr e altri ancora. Scorsese riprende il concerto e monta il tutto come se fosse uno dei suoi documentari, alternando le canzoni (con inquadrature ravvicinate e camera mobile, come se si trovasse sul palco insieme ai musicisti) a brevi frammenti di interviste dietro le quinte ai membri del gruppo, che ricordano i loro trascorsi, le tournee, i tempi passati insieme, le persone che hanno conosciuto, le origini stesse del rock. Ne risulta la testimonianza di un momento di passaggio, o forse di declino, nel panorama musicale americano e del rock'n'roll in generale (anche se poi, ironicamente, The Band finirà per riformarsi e tornare in attività nei decenni successivi). La didascalia introduttiva recita "Questo film va visto a tutto volume!".

13 dicembre 2022

American boy (Martin Scorsese, 1978)

Ragazzo americano (American Boy: A Profile of Steven Prince)
di Martin Scorsese – USA 1978
con Steven Prince, Martin Scorsese
**1/2

Visto su YouTube, in originale.

Celebre per il piccolo (ma memorabile) ruolo del venditore di armi in una scena di "Taxi Driver", Steven Prince era un amico di Martin Scorsese: in questo documentario – girato nel salotto di casa sua, in compagnia di altri amici e conoscenti – racconta numerosi episodi della propria vita movimentata e sregolata, caratterizzata in particolare dal consumo di droghe e dalla frequentazione di personaggi discutibili o sopra le righe. Come in "Italoamericani", l'altro documentario di Scorsese girato quattro anni prima, si tratta essenzialmente di una lunga chiacchierata che si dipana in totale libertà (il film comprende anche momenti di svago prima, dopo e durante l'intervista, comprese parti in cui il regista dice "Questa poi la tagliamo"). Eccentrico e tossicodipendente, Prince racconta in maniera affabile tutta una serie di aneddoti divertenti, episodi bizzarri o situazioni pericolose in cui si è trovato. Uno degli episodi in questione (quello di una ragazza finita in overdose alla quale ha dovuto somministrare un'iniezione di adrenalina) potrebbe aver ispirato una sequenza del "Pulp Fiction" di Quentin Tarantino. In effetti tutte le esperienze raccontate potrebbero dare spunto a un film, e in generale lo spaccato di vita risulta interessante e al contempo naturale e realistico. Alle scene girate da Scorsese si alternano brevi filmini domestici che mostrano Prince da bambino e in famiglia, a mo' di capitoletti introduttivi. Curiosità: Prince (in versione rotoscope) apparirà anche in "Waking life" di Richard Linklater.

12 dicembre 2022

Italoamericani (Martin Scorsese, 1974)

Italoamericani (Italianamerican)
di Martin Scorsese – USA 1974
con Catherine Scorsese, Charles Scorsese
***

Visto in divx, in originale con sottotitoli.

In questo breve documentario (di 50 minuti scarsi), Martin Scorsese intervista i propri genitori, Charles e Catherine, che raccontano la propria esperienza di immigrati italo-americani a New York. Una semplice chiacchierata in famiglia, con i tre seduti sul divano o a tavola davanti a un piatto di pasta (all'inizio la madre prepara il sugo), mentre vengono rievocate le radici delle rispettive famiglie (di origini siciliane), l'arrivo in America dei nonni, le difficoltà dell'infanzia, la vita nella Manhattan di inizio secolo, le peculiarità del quartiere, la coabitazione con altri gruppi etnici o culturali (irlandesi, cinesi, ebrei), le usanze famigliari... Il tutto narrato senza toni nostalgici o particolari rimpianti, ma trasmettendo l'interesse e la curiosità che ogni testimonianza di questo tipo può suscitare riguardo a un periodo ormai passato ma che ha contribuito a forgiare il presente, un documento di un mondo che non c'è più. Che un regista come Scorsese (da sempre legato alle proprie radici) abbia voluto documentare queste testimonianze, fissandole su pellicola, è esemplare nel ricostruire esperienze e stili di vita di un periodo fondante del melting pot americano: il tutto è ripreso sullo schermo con grande naturalezza (la pellicola non si limita all'intervista, ma mostra anche i momenti di pausa, o i cordiali battibecchi fra i coniugi, da cui risaltano le personalità simpatiche e contrapposte dei due genitori: apparentemente calmo il padre, decisamente vulcanica e carismatica la madre). E alla fine si ha l'impressione di essere stati lì, a pranzo con la famiglia Scorsese, ad ascoltare questi racconti che spaziano al di là del semplice nucleo parentale e illustrano in maniera ampia le esperienze delle prime comunità di immigrati italiani in America. Sui titoli di coda, a mo' di bonus, c'è la ricetta del "sugo con le polpette" preparato da Catherine.

10 dicembre 2022

The Batman (Matt Reeves, 2022)

The Batman (id.)
di Matt Reeves – USA 2022
con Robert Pattinson, Zoë Kravitz
**

Visto in TV (Now Tv).

Un misterioso killer, l'Enigmista (Paul Dano), sta uccidendo i più importanti funzionari (giudici e poliziotti) di Gotham City, accusandoli di essere corrotti e lasciando sul posto criptici messaggi destinati a Batman (Robert Pattinson). Questi indaga, aiutato dal commissario Gordon (Jeffrey Wright), l'unico fra la polizia a tollerare la presenza del vigilante, e dall'acrobatica ladra Selina Kyle, alias Catwoman (Zoë Kravitz): ma scoprirà suo malgrado torbide ombre nel passato del suo stesso padre, Thomas Wayne, fino ad allora ritenuto integerrimo... L'ennesimo rilancio cinematografico di Batman (la pellicola non ha nessun legame, almeno esplicito, con le incarnazioni più recenti, quelle in cui a interpretare l'uomo pipistrello c'erano Christian Bale e Ben Affleck, né con altri film del DC Extended Universe) è un lungometraggio cupo, pesante, con toni da noir (c'è anche la voce narrante fuori campo, che ricorda quella del Rorschach di "Watchmen") e inutilmente lungo: quasi tre ore per raccontare una storia dall'intreccio farraginoso, con dialoghi artefatti ed espositivi, scene d'azione noiose e un finale anticlimatico. Sotto il cielo di una Gotham oscura e piovosa c'è poco di fresco o di originale: gli stilemi e i riferimenti sono quelli anni ottanta (i fumetti di Frank Miller) e novanta ("Seven" di David Fincher), a partire da un Batman grosso, corazzato, violento e tormentato, che solo nel finale abbandonerà le sue ossessioni ("Io sono vendetta" è il modo in cui si presenta all'inizio, salvo cambiare prospettiva quando si troverà di fronte alla follia dei suoi avversari) e da una Selina Kyle che sembra uscire direttamente dal "Batman: Year One" di Miller/Mazzucchelli (che apparentemente è l'unico riferimento fumettistico per il personaggio al cinema). Pattinson convince quando è in maschera, nei panni dell'uomo pipistrello, molto meno come Bruce Wayne, troppo cupo e tormentato: i due personaggi dovrebbero essere più antitetici (ma forse lo diventeranno). In un certo senso il film rappresenta un'origin story per Batman, anche se in maniera obliqua: secondo i piani, dovrebbe essere il primo di una nuova trilogia. Insolito il casting, che rende irriconoscibili Andy Serkis (il maggiordomo Alfred) e Colin Farrell (il Pinguino), mentre John Turturro è il boss mafioso Carmine Falcone, legato a doppio filo alle origini sia di Batman che di Catwoman. La colonna sonora di Michael Giacchino gira a più riprese attorno all'Ave Maria di Schubert. Nel finale, comparsata per il Joker ad Arkham. Mediocre l'adattamento italiano, in grande difficoltà nel rendere i giochi di parole contenuti negli indovinelli dell'Enigmista.

8 dicembre 2022

Sangue sulla luna (Robert Wise, 1948)

Sangue sulla luna (Blood on the Moon)
di Robert Wise – USA 1948
con Robert Mitchum, Barbara Bel Geddes
***

Rivisto in TV (RaiPlay).

Richiamato dall'amico Riling (Robert Preston), che ha bisogno del suo aiuto nella faida con l'allevatore Lufton (Tom Tully), il mandriano vagabondo Jim Garry (Robert Mitchum) scende dalle montagne per unirsi a lui, ma si rende presto conto che è l'amico a essere dalla parte del torto. Fingendo di battersi per i diritti dei contadini, infatti, Riling sta usando metodi criminali per costringere il rivale a cedergli il suo bestiame. In preda agli scrupoli di coscienza, e innamoratosi della figlia di Lufton, Emma (Barbara Bel Geddes), Jim cambia perciò campo... Tratto da un romanzo di Luke Short, un western archetipico e passato alla storia per le evidenti commistioni con il genere noir, da cui prende numerosi aspetti: sia visivi (la fotografia di Nicholas Musuraca, molto cupa e scura, spesso in controluce, che si esalta nelle numerose scene notturne) sia contenutistici (l'ambiguità dei personaggi, a partire da un protagonista anti-eroe e perdente, passando per comprimari come la femme fatale – la sorella di Emma, Carol (Phyllis Thaxter), segretamente alleata coi banditi – e il criminale carismatico, il tutto al servizio di dilemmi morali e riflessioni sull'amicizia e l'integrità personale). Ne risulta un mondo sporco, "fangoso", complicato e realistico (vedi anche la rissa nel locale fra Jim e Riling, che lascia anche il primo, pur vincitore, malconcio e sanguinante: richiese tre giorni di riprese). Il complesso intreccio è ricco di momenti e personaggi interessanti – come il vecchio agricoltore Kris (Walter Brennan), che perde il proprio figlio nella faida, o l'infido agente indiano Morgan (Frank Faylen), in combutta con Riling – ed è sostenuto dalla solida regia di Wise, al debutto nel western. L'espressione indiana "c'è sangue sulla luna" indica aria di tempesta. In Italia il film è noto anche con il titolo "Vento di terre selvagge".

6 dicembre 2022

Licorice pizza (Paul T. Anderson, 2021)

Licorice pizza (id.)
di Paul Thomas Anderson – USA 2021
con Alana Haim, Cooper Hoffman
**

Visto in TV (Prime Video).

L'intraprendente quindicenne Gary Valentine (Cooper Hoffman) e la giovane fotografa Alana Kane (Alana Haim) si conoscono a Encino, in California, all'inizio degli anni settanta. La loro relazione, un po' d'amicizia e un po' romantica, si sviluppa lentamente fra alti e bassi. Episodico, nostalgico, semi-biografico (le vicende narrate si ispirano ai ricordi e agli episodi vissuti da un amico di Anderson, Gary Goetzman, attore bambino e poi imprenditore e produttore cinematografico), il film si iscrive in quel filone del cinema americano che da "American graffiti", passando per le pellicole di Linklater fino a "C'era una volta a Hollywood" di Tarantino, rivolge lo sguardo all'indietro verso un "passato dorato" che ultimamente si identifica appunto negli anni settanta. Fra gli episodi narrati ci sono le esperienze di Gary come attore teenager in programmi televisivi (come quelli di Lucille Ball), come venditore di materassi ad acqua (fugace "moda" negli Stati Uniti di quegli anni) e come gestore di una sala giochi (cioè di flipper: i video arcade erano di là da venire), mentre la più adulta Alana prova invece a gettarsi nell'attivismo politico. Ma il risultato è pretenzioso (come tutto il cinema di PTA) e caotico (si salta di palo in frasca), poco accattivante e dai toni altalenanti (momenti grotteschi e personaggi caricaturali si alternano ad altri che vorrebbero essere più intensi e sinceri). Francamente, questo tipo di cinema comincia a stufare: da un lato si guarda continuamente all'indietro, dall'altro accatasta – all'insegna del post-moderno – situazioni ed episodi in maniera random, prolungandone alcuni senza motivo e lasciando l'impressione di un'improvvisazione narrativa. Buona comunque la ricostruzione d'epoca, che rende bene l'atmosfera di quegli anni (grazie anche alla fotografia calda, alla colonna sonora, ai costumi e alle scenografie: quanti maglioncini a righe e carte da parati!). Mediocre l'adattamento italiano, che in realtà adatta ben poco, lasciando termini in inglese e nomi e riferimenti culturali non spiegati. Cooper Hoffman è il figlio di Philip Seymour Hoffman, Alana Haim una giovane musicista: per entrambi è l'esordio come attori. Piccole parti (per lo più macchiette) per Sean Penn (il divo Jack Holden, ispirato a William Holden), Tom Waits (il suo amico Rex Blau), Bradley Cooper (il produttore Jon Peters) e Benny Safdie (il politico gay Joel Wachs). Lo strano titolo (due ingredienti apparentemente inconciliabili?) non viene citato né spiegato durante il film: era il nome di una catena di negozi di dischi presente all'epoca nella California del Sud, che secondo Anderson ricorderebbe all'istante (solo a chi era lì, però) l'atmosfera di quei giorni. Flop al botteghino, ma apprezzato dalla critica (con tre nomination agli Oscar, per il film, la regia e la sceneggiatura).

4 dicembre 2022

Monsieur Lazhar (Philippe Falardeau, 2011)

Monsieur Lazhar (id.)
di Philippe Falardeau – Canada 2011
con Fellag, Sophie Nélisse, Emilien Néron
**1/2

Visto in divx.

Bashir Lazhar (Fellag), esule algerino in Canada, è assunto come nuovo insegnante in una scuola elementare di Montreal, in sostituzione di una docente che si è misteriosamente impiccata in classe. I suoi metodi sono "tradizionali", in contrapposizione con le moderne correnti pedagogiche in auge nell'istituto, ma proprio per questo riesce a stringere un rapporto più sincero e diretto con i piccoli alunni, aiutandoli a superare lo shock della morte della precedente insegnante (il cui suicidio torna continuamente nei loro ricordi e discussioni) e a "crescere" affrontando questioni importanti (come l'ingiustizia) durante le lezioni. Tratto da un monologo teatrale di Évelyne de la Chenelière e "cucito" attorno al protagonista Mohamed Saïd Fellag (comico e scrittore algerino, la cui vita ha diversi punti in comune con quella di Bashir, essendosi trasferito in Francia per le turbolenze politiche in patria), un piccolo film sulla scuola e l'insegnamento che affronta temi maturi in modo delicato. Forse è un po' dispersivo, visto che si muove in tante direzioni e affronta numerosi argomenti (i rapporti di Bashir con i bambini, i genitori, la preside e gli altri insegnanti; lo status stesso di Bashir in quanto rifugiato politico, e il passato tragico da cui è in fuga; il tema del suicidio, della morte e del superamento appunto dei lutti e delle difficoltà; lo "scontro" di culture), sempre però con garbo e sensibilità, aiutato anche dai piccoli (e ottimi) interpreti, dove spiccano l'intelligente e matura Alice (Sophie Nélisse) e il traumatizzato e introverso Simon (Emilien Néron). Le strade e i cortili innevati di Montreal fanno da sfondo alle scene ambientate in classe. Premio del pubblico al festival di Locarno e nomination agli Oscar come miglior film straniero.

2 dicembre 2022

Slumberland (Francis Lawrence, 2022)

Slumberland - Nel mondo dei sogni (Slumberland)
di Francis Lawrence – USA 2022
con Marlow Barkley, Jason Momoa
*1/2

Visto in TV (Netflix).

Alla ricerca di un modo per rincontrare il padre scomparso in mare, l'undicenne orfana Nemo (Marlow Barkley) viaggia nei propri sogni (e in quelli degli altri) in compagnia dell'eccentrico fuorilegge Flip (Jason Momoa), vivendo avventure surreali. Ispirato al classico fumetto "Little Nemo in Slumberland" di Winsor McCay (praticamente nemmeno menzionato nei credits), di cui banalizza temi e atmosfere, un film che, vista la materia trattata, potenzialmente ricca di spunti, risulta incredibilmente... noioso e meccanico. Le opportunità di un viaggio onirico sono sprecate in una serie di scenari (in computer grafica) decisamente semplici o da videogioco, le tematiche sono quelle legate ai valori familiari (vera ossessione del cinema americano: ma si parla anche di crescita e di capacità di... sognare), i personaggi sono pochi e, nel migliore dei casi, bidimensionali, la regia anonima. Da vedere e dimenticare. Nel cast, Kyle Chandler è il padre di Nemo (che prima di sparire faceva il guardiano di un faro), Chris O'Dowd lo zio "noioso" che si prende cura di lei, Weruche Opia l'agente dell'Ufficio per le attività del subconscio che dà la caccia a Flip. Poco o nessun rispetto per il lavoro originale di McCay, a partire dallo scarso utilizzo di una delle sue immagini più felici, quella del letto semovente, che appare solo in una breve scena, per non parlare dell'assenza di ambienti, dettagli o personaggi iconici. E no comment sul gender bending del protagonista Nemo.

30 novembre 2022

Nuvole in viaggio (Aki Kaurismäki, 1996)

Nuvole in viaggio (Kauas pilvet karkaavat)
di Aki Kaurismäki – Finlandia 1996
con Kati Outinen, Kari Väänänen
***1/2

Rivisto in divx.

Ilona (Outinen), capocameriera in un ristorante, e il marito Lauri (Väänänen), autista di tram, perdono il lavoro quasi contemporaneamente. E trovarne uno nuovo non è facile, in un mondo e una città che cambia rapidamente e che offre poche garanzie. Dopo aver esaurito ogni possibilità, riusciranno a risollevarsi aprendo un ristorante tutto loro. Dopo "Ombre nel paradiso" e "La fiammiferaia", Kaurismäki firma un altro affresco sui problemi socio-economici delle classi medie e povere, nonché uno dei suoi film migliori, con i suoi attori preferiti e il suo consueto stile asciutto, laconico e bordato di humour (humour finlandese, si badi bene, con personaggi apparentemente inespressivi e sempre silenziosi, in ogni circostanza). I toni malinconici (il rimpianto per il passato e per un mondo "con più stile"), la colonna sonora (dove abbondano canzoni nostalgiche ma anche brani della sesta sinfonia "Patetica" di Ciajkovskij), le scenografie colorate e la fotografia in chiaroscuro fanno da sfondo a una vicenda quotidiana di due personaggi pieni di dignità anche quando sono alle prese con problemi pressanti come quelli legati al lavoro e alla disoccupazione. Problemi dai quali, a volte, non basta la buona volontà per uscire, anche perché chi è onesto è comunque circondato da imbroglioni grandi e piccoli. Attorno ai due protagonisti ruota un bel cast di caratteristi (Elina Salo, Markku Peltola, Sakari Kuosmanen, Matti Onnismaa), mentre le "nuvole in viaggio" del titolo, quelle verso cui i due coniugi volgono lo sguardo nel finale, rappresentano i momenti buoni o brutti della vita, che vanno e vengono a loro piacimento o portati da un vento imprevedibile. Scene cult: l'uscita dal cinema ("Abbi pazienza, è tua sorella") e quella della riappacificazione fra i coniugi ("Tra noi è finita" - "Torniamo a casa" - "Va bene"). Da notare anche le due brevi sequenze mute che adombrano la tragica perdita di un figlioletto. Come in quasi ogni film del regista finlandese, i protagonisti hanno un cane. Premio speciale al festival di Cannes.

28 novembre 2022

You and me (Fritz Lang, 1938)

You and me
di Fritz Lang – USA 1938
con George Raft, Sylvia Sidney
**1/2

Visto su YouTube, in originale.

L'ex rapinatore Joe Dennis (George Raft) sta cercando di rifarsi una vita onesta, lavorando come commesso nei grandi magazzini di proprietà del signor Morris (Harry Carey), filantropo che ama dare una seconda possibilità agli ex galeotti. Qui si innamora della collega Helen (Sylvia Sidney) e finisce per sposarla, ignorando che anche la ragazza ha trascorsi criminali: quando lo scopre, per la delusione accetta la proposta dei suoi ex complici di rapinare proprio il negozio in cui lavora. Sarà Helen a insegnare a lui e agli altri ladri perché "il crimine non paga" (e non con un pistolotto morale, ma con un ragionato calcolo... economico!). Il terzo film americano di Fritz Lang è forse uno dei suoi lavori più incompresi e di minor successo (tanto da non essere mai stato importato nel nostro paese, e per questo motivo manca di un titolo italiano), dai toni insoliti che mescolano tanti generi e tipologie di pellicola: si va dalla commedia romantica a quella a sfondo sociale post-Depressione, dal dramma morale al noir gangsteristico, il tutto condito con un'insolita leggerezza (per alcuni critici si tratta dell'unica commedia mai diretta da Lang). Le sequenze notturne e alcune belle scene (quella in cui gli ex galeotti ricordano e rimpiangono i "bei tempi" in cui erano in cella, o quella della "lezione" che Helen elargisce ai rapinatori) e un buon cast di contorno (con tanti attori "secondari" ma brillanti, come Warren Hymer, Barton MacLane, Robert Cummings) forniscono un interessante substrato per un film che però appare decisamente legato al suo tempo e debitore al cosiddetto Lehrstűck, il "teatro didattico" alla Bertolt Brecht: non a caso le musiche sono accreditate a Kurt Weill, sodale di Brecht, che però abbandonò il progetto prima della conclusione, lasciando solo una canzone (quella introduttiva, che ironizza sul consumismo e recita "Non puoi avere niente per niente, devi pagare") e alcuni spezzoni di colonna sonora. Anche la lavorazione fu travagliata, per via di contrasti fra Lang e la sceneggiatrice Virginia Van Hupp (che lavorò su un soggetto di Norman Krasna), nonché fra i due attori protagonisti. Il risultato fu un sonoro flop di pubblico e di critica ("meritato", disse lo stesso Lang), rivalutato solo in tempi recenti.

26 novembre 2022

La figlia dell'inganno (Luis Buñuel, 1951)

La figlia dell'inganno (La hija del engaño)
di Luis Buñuel – Messico 1951
con Fernando Soler, Alicia Caro
**

Visto in divx, in originale con sottotitoli inglesi.

Tradito dalla moglie, e in dubbio sulla paternità della loro figlia, un uomo (Fernando Soler) ripudia la donna e affida la bambina a una coppia di contadini. Vent'anni dopo, diventato ricco (anche se misantropo) e proprietario di un locale notturno, decide di rintracciare la ragazza (Alicia Caro)... Altro film del periodo "alimentare" di Buñuel in Messico, tratto da una commedia teatrale spagnola ("Don Quintín, el amargao") di cui aveva già curato una precedente versione cinematografica, nel 1935, in Spagna (come sceneggiatore, ma non accreditato): di conseguenza, è l'unico soggetto di cui Don Luis ha lavorato a due versioni. Nonostante la trama chiaramente melodrammatica, i toni sono quelli della commedia, se non della farsa, soprattutto nella seconda parte, grazie ad alcuni personaggi secondari – come i due "sgherri" di Don Quintín (Fernando Soto e Nacho Contla), protagonisti di svariati siparietti – e alla parodia degli ambienti gangsteristici. Il finale, però, è decisamente affrettato, con l'improvvisa riconciliazione fra padre e figlia che sembra cadere un po' dal nulla. Niente dunque di memorabile o di "buñueliano", anche se il film si iscrive a buon diritto nel periodo d'oro del cinema messicano di quegli anni. Nel cast Rubén Rojo e Amparo Garrido.

24 novembre 2022

La casa sulla scogliera (Lewis Allen, 1944)

La casa sulla scogliera (The uninvited)
di Lewis Allen – USA 1944
con Ray Milland, Gail Russell
**1/2

Visto in divx.

Il musicista londinese Roderick Fitzgerald (Ray Milland) si trasferisce con la sorella Pamela (Ruth Hussey) in una villa appena acquistata, situata sulla scogliera in Cornovaglia. La casa, rimasta disabitata da vent'anni, ha la fama di essere stregata, dopo la morte della precedente proprietaria Mary Meredith, la cui giovane figlia Stella (Gail Russell), che vi aveva vissuto fino all'età di tre anni e che sembra incapace di staccarsi dai ricordi del passato, ne è attratta in maniera misteriosa e morbosa... In effetti, di notte nelle stanze soffiano strani spifferi, si ode un profumo di mimose e, a volte, persino il pianto di una donna. E quando una forza inspiegabile sembra trascinare Stella verso il baratro della scogliera, Roderick (che nel frattempo se ne è innamorato), decide di indagare, ricorrendo a una seduta spiritica... Da un romanzo dell'irlandese Dorothy Macardle, una ghost story delicata e sospesa, con un finale a sorpresa. Anche se il protagonista sembra Roderick, tutto ruota intorno a Stella, ai suoi traumi passati e alla necessità di superarli per entrare nell'età adulta. I ritmi compassati non sono certo quelli di un horror moderno, così come la tensione e la suspence, spesso sotto il livello di guardia: a renderlo un film interessante sono le atmosfere e l'intricato background della dimora, i cui precedenti abitanti (Mary, la madre di Stella, descritta da tutti come pura e virtuosa; suo marito, pittore fedifrago; e Carmela, la sua "rivale", una zingara spagnola infida e passionale), pur defunti, continuano ad "agire" all'interno del misterioso ambiente e a smuovere la psiche di Stella. Nel cast anche Donald Crisp (il nonno di Stella), Alan Napier (il medico) e Cornelia Otis Skinner (l'inquietante signorina Holloway, ex infermiera e amica di Mary). La canzone "Stella by Starlight", composta nel film da Roderick, diventerà un classico del repertorio jazzistico. Nomination agli Oscar per la fotografia di Charles Lang (che comprende anche un "effetto speciale" nell'apparizione del fantasma). Il regista Lewis Allen era all'esordio nel lungometraggio (aveva diretto soltanto un corto di propaganda in tempo di guerra).

22 novembre 2022

Comeuppance (Derek Chiu, 2000)

Comeuppance (Tin yau ngan)
di Derek Chiu – Hong Kong 2000
con Jordan Chan, Patrick Tam, Sunny Chan
**1/2

Rivisto in DVD, in originale con sottotitoli inglesi.

Il sottobosco criminale di Hong Kong è scosso da una serie di omicidi, non riconducibili a una resa di conti fra gang. Vari boss della triade, infatti, vengono misteriosamente avvelenati: chi al night club, chi al ristorante, chi nella sauna... A indagare è il poliziotto Michael (Sunny Chan), che sospetta del giornalista Hak (Jordan Chan), dato che questi scrive una rubrica gialla nella quale si raccontano delitti molto simili a quelli reali. Ma il vero colpevole è il giovane e insospettabile Sung (Patrick Tam), una "persona qualunque" che lavora in un laboratorio fotografico e uccide i criminali per semplice spirito di giustizia, traendo ispirazione talvolta proprio alla rubrica di Hak... Prodotto dalla Milkyway di Johnnie To, un thriller poliziesco dai toni leggeri e con tre protagonisti alla pari, ben diretto e recitato anche se forse si perde un po' nel finale. La sceneggiatura si concentra soprattutto sulla messinscena e sui modi bizzarri in cui il killer riesce ad avvelenare le sue vittime, diventando poi il protagonista di una sorta di feuilleton sui quotidiani (che tutti seguono con curiosità e attenzione), tanto da apparire in brevi sequenze, nell'immaginario popolare, al fianco di altri "anti-eroi" del cinema o della letteratura hongkonghese. Interessante anche il mutuo rapporto fra i fatti reali e quelli di finzione (Sung, con le sue azioni, ispira Hak, che con le sue idee ispira a sua volta Sung). Dei tre personaggi, il poliziotto resta il meno memorabile.

20 novembre 2022

Mio cugino Vincenzo (Jonathan Lynn, 1992)

Mio cugino Vincenzo (My cousin Vinny)
di Jonathan Lynn – USA 1992
con Joe Pesci, Marisa Tomei
***

Rivisto in TV (Disney+).

Quando i giovani newyorkesi Billy (Ralph Macchio) e Stan (Mitchell Whitfield), di passaggio per l'Alabama, vengono arrestati dalla polizia locale con l'accusa di aver ucciso il commesso di una stazione di servizio (confessando fra l'altro il delitto, sia pure senza volerlo, visto che credevano di essere stati incriminati per non aver pagato una scatoletta di tonno), i due decidono di ricorrere all'aiuto legale del cugino di Billy, Vincenzo Gambini (Joe Pesci), avvocato appena iscritto all'albo e senza alcuna esperienza in aula. "Con dieci euro mio cugino lo faceva meglio": chi non ha mai pensato di risparmiare qualcosa rivolgendosi ad un aiuto in famiglia? Ma forse, se c'è di mezzo la propria vita (i due ragazzi rischiano la sedia elettrica), la questione è un pelo più delicata. Eppure, nonostante l'apparente inettitudine, e pur scontrandosi a più riprese con un giudice inflessibile e puntiglioso (Fred Gwynne) che non sopporta il suo andare sopra le righe (per non parlare dei suoi modi da italo-americano, decisamente fuori posto nel profondo Sud), il buon Vincenzo riuscirà a smontare le testimonianze e a fare chiarezza nella vicenda, anche con l'aiuto della vistosa ed eccentrica fidanzata Mona Lisa (Marisa Tomei) e delle sue conoscenze in campo automobilistico. Courtroom drama, anzi comedy, che gioca sugli equivoci (nella prima parte i fraintendimenti si sprecano) e sullo scontro fra personalità e ambienti opposti (Vincenzo e gli altri personaggi provenienti da Brooklyn si ritrovano immersi in uno stato, l'Alabama, che viaggia su... binari differenti), con buoni momenti comici e personaggi ben caratterizzati. L'inizio è un po' lento, ma poi la pellicola decolla e, come ogni film ambientato in tribunale che si rispetti, si fa via via più avvincente fino alla risoluzione finale. Divertenti, in particolare, i continui siparietti fra Vincenzo e il giudice. Molti i dialoghi e le scene (si pensi alla lite con il giocatore di biliardo, o allo scambio sul rubinetto rotto) che ironizzano sulla litigiosità e l'ossessione ai dettagli di un paese, gli Stati Uniti, dove pare che esista un avvocato ogni 300 abitanti. Premio Oscar (a sorpresa) per Marisa Tomei come attrice non protagonista: così a sorpresa che nacque presto una leggenda urbana, priva di fondamento, secondo la quale l'annunciatore aveva sbagliato a leggere il nome nella busta.

18 novembre 2022

Titane (Julia Ducournau, 2021)

Titane (id.)
di Julia Ducournau – Francia/Belgio 2021
con Agathe Rousselle, Vincent Lindon
***

Visto in TV (Now Tv).

Dopo aver fatto sesso con un'automobile (una Cadillac, per la precisione!), la taciturna e psicopatica ballerina Alexia (Agathe Rousselle) – che ha una placca di titanio nel cranio, in seguito a un'incidente in macchina quando era piccola – fugge di casa lasciandosi dietro una scia di sangue, e assume l'identità di Adrien, un ragazzo scomparso da dieci anni. Il padre di questi (Vincent Lindon), folle e carismatico comandante di una caserma di pompieri, la accoglie nella propria casa (e nella propria squadra), riconoscendola come suo figlio: o forse sa benissimo che non lo è, ma nel suo delirio la considera tale. Quello che Vincent ignora, però, è che Alexia è incinta di un ibrido uomo/macchina al titanio, appunto. Il secondo lungometraggio (dopo "Raw") di Julia Ducournau, vincitore a sorpresa al festival di Cannes (è la seconda Palma d'Oro assegnata a una regista donna, dopo quella a Jane Campion per "Lezioni di piano" che però aveva vinto ex aequo), è un film bizzarro, sorprendente, estremo, in certe cose disturbante, ma di sicuro originalissimo (anche se debitore, per certi versi, al cinema di David Cronenberg, Shinya Tsukamoto e Takashi Miike). La protagonista psicopatica e serial killer, l'assurdità della contaminazione uomo/macchina (con tanto di... perdite d'olio anziché di sangue o liquido amniotico), le atmosfere trasgressive, stranianti e surreali sono comunque al servizio della psicologia e dei sentimenti dei personaggi, evidenti in particolare nel rapporto "fra padre e figlio" che si instaura fra Vincent e Alexia/Adrien, ciascuno dei quali alla disperata ricerca di una "ricucitura" delle ferite di un passato tragico (solo accennato, ma non difficile da ricostruire). Affascinante e inquietante l'atmosfera, ottima la recitazione, ardita la regia (ben servita dalla colorata fotografia di Ruben Impens): è un film che difficilmente lascia indifferenti, nel bene e nel male, ma che merita di essere premiato per il tentativo di andare oltre i luoghi comuni del cinema preconfezionato. La bella colonna sonora di Jim Williams è condita da alcune canzoni fra cui anche una in italiano, "Nessuno mi può giudicare" di Caterina Caselli.

16 novembre 2022

Il tesoro (G. W. Pabst, 1923)

Il tesoro (Der Schatz)
di Georg Wilhelm Pabst – Germania 1923
con Hans Brausewetter, Lucie Mannheim
**

Visto su YouTube, con cartelli in inglese.

Svetelenz (Werner Krauss), lavorante al servizio di un fabbricante di campane (Albert Steinrück), si convince che nella casa del suo padrone è nascosto un tesoro, sepolto prima dell'occupazione dei turchi. A trovarlo sarà Arno (Hans Brausewetter), giovane orafo e scultore, ma Svetelenz se ne impossesserà con l'inganno, con l'intenzione di cederlo al padrone in cambio della mano di sua figlia Beate (Lucie Mannheim), che invece è innamorata proprio di Arno... Il primo film diretto dall'austriaco G. W. Pabst, uno dei più influenti registi di lingua tedesca durante la repubblica di Weimar, è una parabola sull'avidità umana, di ambientazione quasi medievale, che mette a confronto tre personaggi accecati dalla brama di oro – il mastro campanaro, sua moglie (Ilka Grüning) e Svetelenz – con due che invece scelgono l'amore e la povertà (Arno e Beate). La storia è semplice ma girata con mestiere. Oltre ai personaggi, ben caratterizzati, spiccano i set e le scenografie, in particolari gli interni della casa e della fonderia delle campane, costruiti da un team di architetti influenzati dalla corrente dell'espressionismo. Eppure, già in questo film d'esordio si nota la tendenza di Pabst ad allontanarsi dall'astrazione dei contemporanei tedeschi per muoversi in direzione di un maggiore naturalismo e di un certo realismo, come dimostreranno i suoi lavori successivi. Esiste una colonna sonora originale, appositamente composta da Max Deutsch.

15 novembre 2022

Swiss Army Man (Daniels, 2016)

Swiss Army Man - Un amico multiuso (Swiss Army Man)
di Daniel Kwan, Daniel Scheinert – USA 2016
con Paul Dano, Daniel Radcliffe
**

Visto su Rakuten Tv.

Naufragato su un'isola deserta, Hank (Paul Dano) viene salvato grazie al provvidenziale arrivo di Manny (Daniel Radcliffe), "cadavere vivente" le cui funzioni corporee, misteriosamente ancora attive, gli permettono di sopravvivere nella foresta e di tornare alla civiltà. Fra i due nasce anche una profonda amicizia: ma non tutto è come sembra... Bizzarrissima black comedy, opera prima del duo di registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert (noti collettivamente come i "Daniels" e in precedenza autori di video musicali), un film carico di una comicità assurda e demenziale che sconfina a tratti nell'esistenzialismo. Certo, le gag su scorregge ed erezioni sono alquanto infantili, e la pellicola rischia più volte, sin dall'inizio, di indisporre uno spettatore che potrebbe persino annoiarsi per le lunghe sequenze in cui sono in scena soltanto i due personaggi (uno dei quali, appunto, "cadaverico"), isolati in mezzo alla natura, con il primo che cerca di spiegare al secondo come funzionano le cose della vita (a cominciare dall'amore): ma nel finale la stupidità lascia spazio a una sorta di visione filosofica del mondo e dei rapporti sociali che eleva l'insieme oltre il semplice cartoon o una delle tante varianti di titoli come "Weekend con il morto". Bravo Dano, mentre Radcliffe recita sempre immobile e inespressivo (e la cosa non gli riesce difficile): eppure, al di là degli scherzi, questa è forse una delle sue migliori interpretazioni. Nel cast, nelle scene finali, anche Mary Elizabeth Winstead (Sarah, la ragazza "amata" da Hank). Il titolo originale si riferisce al coltellino svizzero (Swiss Army knife), giustamente tradotto con "multiuso" nel doppiaggio italiano.

13 novembre 2022

Il matrimonio dei benedetti (M. Makhmalbaf, 1989)

Il matrimonio dei benedetti (Arusi-ye khuban)
di Mohsen Makhmalbaf – Iran 1989
con Mahmud Bigham, Roya Nonahali
**1/2

Visto su YouTube, con sottotitoli inglesi.

Haji (Mahmud Bigham), fotografo di guerra, soffre di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) in seguito agli orrori e alle atrocità di cui è stato testimone (il conflitto fra Iran e Iraq, cui ha partecipato come soldato; la guerra civile in Libano; le carestie nei paesi africani). Tornato alla vita civile, fa fatica a riadattarsi ed è costantemente turbato da immagini, pensieri e visioni. La fidanzata Mehri (Roya Nonahali) vorrebbe sposarlo, nella speranza che il matrimonio lo aiuti a recuperare felicità e serenità, nonostante l'opposizione del padre. Ma proprio durante la cerimonia, Haji avrà una ricaduta... Uno dei film più "forti" ed espressionisti di Makhmalbaf, una discesa nella follia e nell'incubo di un uomo che ha vissuto l'orrore e non riesce più a dimenticarlo. Punteggiato da una serie di visioni e di flashback, che la regia moderna (con ardite soggettive), il montaggio, la fotografia, l'uso del sonoro e la musica sottolineano con veemenza, il percorso di Haji sembra una strada senza uscita che si ripiega su sé stessa, come testimonia il suo "reportage" notturno per la città, dopo aver ricominciato a lavorare al giornale, nel quale scatta istantanee clandestine ai disagiati, i disperati e i poveri che affollano le strade (all'interno di questa sequenza, il film "rompe" suo malgrado la quarta parete – cosa peraltro non certo insolita per il cinema iraniano – quando una pattuglia di poliziotti chiede a Makhmalbaf e alla sua troupe se hanno il permesso per girare). Nel frattempo Mehri, proveniente da una famiglia ricca e privilegiata (a sua volta è un'artista), cerca di risvegliare in lui i ricordi del loro passato felice (i due si conoscevano sin da piccoli) e di convincerlo a non sentirsi responsabile o farsi carico di tutti i problemi del mondo. Curiosità: il film era citato in "Close up" di Abbas Kiarostami, nel quale Makhmalbaf recitava nel ruolo di sé stesso.

12 novembre 2022

Dolce inganno (George Stevens, 1937)

Dolce inganno (Quality Street)
di George Stevens – USA 1937
con Katharine Hepburn, Franchot Tone
**1/2

Rivisto in DVD.

Nell'Inghilterra di inizio Ottocento, la giovane Phoebe (Katharine Hepburn) soffre una delusione d'amore quando il dottor Brown (Franchot Tone), il gentiluomo di cui era invaghita e dal quale si aspettava una proposta di matrimonio, sceglie invece di abbandonarla per arruolarsi e partire per le guerre napoleoniche. Quando l'uomo tornerà, dieci anni dopo, Phoebe gli farà credere di essere la propria nipote Livy, più giovane e sbarazzina, e cercherà di sedurlo per vendicarsi di lui, non immaginando che invece Brown nel frattempo ha messo chiarezza nei propri sentimenti e ha deciso di sposare proprio la "vecchia" Phoebe... Da un'opera teatrale di J. M. Barrie (l'autore di "Peter Pan"), già portata al cinema in versione muta nel 1927, una commedia degli equivoci romantica e delicata, tutta ambientata in un quartiere, anzi in una strada (Quality Street, appunto), popolata da giovani e vecchie zitelle che sognano avventure sentimentali e spettegolano su ogni cosa. Attorno alla splendida Hepburn, che veicola tante emozioni allo stesso tempo, si aggirano infatti parenti e amiche impertinenti e curiose, mentre la trovata del travestimento, per quanto inverosimile (come può Phoebe sembrare una versione più giovane di sé stessa con tanta facilità? Risposta: è la magia del teatro!), fornisce il necessario spunto per movimentare la vicenda. Non manca poi una robusta dose di comicità, offerta soprattutto dai personaggi del sergente reclutatore (Eric Blore) e della cuoca di casa (Cora Witherspoon). Nel buon cast anche Fay Bainter (Susan, la sorella maggiore di Phoebe) ed Estelle Winwood (Mary, una delle vicine impiccione). Ottima la regia di Stevens.

10 novembre 2022

Triangle of sadness (Ruben Östlund, 2022)

Triangle of sadness (id.)
di Ruben Östlund – Svezia/Ger/Fra 2022
con Harris Dickinson, Charlbi Dean
***

Visto al cinema Colosseo, con Marisa.

Carl (Harris Dickinson) e Yaya (Charlbi Dean), giovani modelli e "influencer", partecipano a una crociera di lusso a bordo di uno yacht ricolmo di folli oligarchi russi, imprenditori superficiali e mercanti d'armi insensibili. Fra un episodio e l'altro, la crociera si rivela più movimentata del previsto. E dopo un naufragio, alcuni dei superstiti finiranno su un'isola deserta, dove i rapporti sociali si rovesceranno (l'addetta alle pulizie sulla nave, essendo l'unica in grado di procurare il cibo agli altri, diventa il capo della nuova comunità). Dopo aver vinto la Palma d'Oro a Cannes con un quadrato ("The square" nel 2017), Östlund la rivince con un triangolo (il "triangle of sadness", viene spiegato nella scena iniziale, è la zona delle rughe fra le sopracciglia). E ancora una volta prende di mira, attraverso il linguaggio della satira e del grottesco, i paradossi e le storture di una società dominata dalla vacuità, dalle apparenze e dal denaro, focalizzandosi in particolare sulla moda (dove la bellezza è una "valuta di scambio") e sul mondo dei super-ricchi. Come hanno fatto illustri precedenti prima di lui (vengono in mente il Buñuel de "Il fantasma della libertà" e il Ferreri de "La grande abbuffata", ma anche certe cose di Pasolini o, in tempi recenti, il Bong Joon-ho di "Parasite"), il regista svedese punta sul surreale contrasto fra gli opposti: dai ruoli di genere del maschio e della femmina a livello di regole sociali (vedi il litigio fra Carl e Yaya su chi debba pagare il conto al ristorante) o di rapporti di forza (il matriarcato instaurato sull'isola da Abigail (Dolly De Leon), con Carl nel ruolo del "concubino"); al dibattito "ideologico" fra l'americano comunista (il capitano della nave, interpretato dall'unica star della pellicola, Woody Harrelson) e il russo capitalista (Zlatko Burić); al contrasto fra la raffinatezza della ricchezza (i piatti di alta cucina alla cena sullo yacht) e l'oscenità e il lerciume corporale causato dal mal di mare (vomito e merda! A proposito, sul grande schermo non si vedeva una scena di vomito così dai tempi di "Stand by me", o forse da "Il senso della vita" dei Monty Python). Per non parlare del conflitto fra la civiltà e il "ritorno alle origini", basato sulla necessità di sopravvivere, dei naufraghi che, isolati dal mondo, ribaltano tutte le loro priorità e le regole cui obbedivano in precedenza. Il risultato è un film provocatorio, proprio come era "The square" (ricordiamo tutti la scena dello scimmione sui tavoli), capace di scuotere e far pensare lo spettatore come poche altre pellicole recenti. Fosse uscito negli anni sessanta o settanta, magari firmato da uno dei registi sopra citati, non ci sarebbe stato da stupirsi: ma oggi, in un'epoca di cinema sempre più commerciale, adolescenziale e preconfezionato, Östlund è certamente una mosca bianca. Se dunque il film – a tratti forzato, esagerato e ridondante (soprattutto nella seconda delle tre parti in cui è diviso, intitolate rispettivamente "Carl e Yaya", "Lo yacht" e "L'isola") – non è forse all'altezza dei lavori precedenti del regista (si pensi anche a "Forza maggiore"), riesce comunque a spiccare nel piattume generale che lo circonda. Nell'ottimo cast corale anche Vicki Berlin (Paula, l'addetta alla sicurezza sullo yacht), Iris Berben (la turista tedesca che si esprime con un'unica frase, "In den Wolken!"), Henrik Dorsin e Jean-Christophe Folly.

8 novembre 2022

Wendell & Wild (Henry Selick, 2022)

Wendell & Wild (id.)
di Henry Selick – USA 2022
animazione a passo uno
**

Visto in TV (Netflix).

Per riportare in vita i genitori defunti, l'orfana ribelle Kat Elliot stringe un patto con i suoi "demoni personali", Wendell e Wild, accettando di "evocarli" sulla Terra, dove i due demoni intendono costruire un parco dei divertimenti (!). Seguirà caos. A tredici anni di distanza da "Coraline", Henry Selick torna alla regia con un altro film animato in stop motion, sceneggiato insieme a Jordan Peele (che, in coppia col comico Keegan-Michael Key, suo sodale di vecchia data, fornisce le voci dei due demoni in questione), sempre all'insegna della commedia horror e macabra. I personaggi sono tantissimi: dalla protagonista punk e trasgressiva, all'amico Raul e le altre compagne della scuola cattolica in cui viene rinchiusa, dal diavolo "capo" Buffalo Belzer (Ving Rhames) alla suora esorcista Sorella Helley (Angela Basset), dal prete zombie Padre Best ai loschi imprenditori Lane e Irmgard Klaxon che intendono arricchirsi costruendo "prigioni private", più molti altri ancora: in effetti soggetto e sceneggiatura sono così densi di eventi e di personaggi da lasciare poco respiro all'insieme, dando luogo a una narrazione confusa, con tanti cambi di direzione e spunti accennati senza il necessario approfondimento. Fra momenti bizzarri e surreali, altri di pura black comedy in stile Grand Guignol, inconsueti messaggi sociali e politici e numerose sequenze slapstick, si rischia di perdere la trebisonda. Ma la pellicola si tiene a galla per il suo aspetto visivo, sempre interessante a livello grafico (ai pupazzi 3D si affiancano sezioni in cutout animation), e per quello che è forse l'unico filo conduttore della storia svolto con coerenza, ovvero le riflessioni sul rapporto fra genitori e figli (non solo Kat con i suoi, ma anche i due demoni con il padre satanico e la compagna di classe Siobhan con i due imprenditori). Visti i progressi della tecnica, l'animazione a passo uno è ormai quasi indistinguibile da quella al computer (e in un certo senso è un peccato).

6 novembre 2022

Cars 3 (Brian Fee, 2017)

Cars 3 (id.)
di Brian Fee – USA 2017
animazione digitale
**1/2

Visto in TV (Disney+).

Il campione delle corse automobilistiche Saetta McQueen deve vedersela con un nuovo rivale, il giovane Jackson Storm, e in generale con una nuova generazione di piloti che minacciano di spodestare le vecchie glorie come lui. Sull'orlo del pensionamento, è costretto dal suo nuovo sponsor Sterling ad affidarsi ai consigli della "coach motivazionale" Cruz Ramirez. Ma sarà invece McQueen a ispirare Cruz a diventare a sua volta una pilota e a scendere in pista per vincere la gara contro Storm. Il terzo capitolo di "Cars", il primo non diretto dal veterano e creativo John Lasseter ma dall'esordiente Brian Fee (in un insolito parallelo con la trama del film stesso!), è decisamente migliore del secondo (forse perché, come il primo, torna a essere un lungometraggio sportivo a tutti gli effetti e a concentrarsi quasi esclusivamente sul protagonista) e affronta un tema interessante e, a suo modo, pregnante: quando giunge il momento di "appendere le gomme al chiodo"? L'arrivo di nuovi e sempre più aggressivi rivali, che fanno ricorso a metodi di allenamento ultramoderni e contro i quali gli anziani campioni non possono più competere, rappresenta un momento di crisi che va affrontato nel migliore dei modi: c'è chi abbandona la lotta, chi non rinuncia a gareggiare e chi, più saggiamente, riesce a riciclarsi in una nuova forma, come quella del mentore nei confronti di una nuova generazione. Nonostante la semplicità estetica (i personaggi di "Cars", per evidenti ragioni di design, non sono certo i più ispirati a livello grafico fra tutte le franchise della Pixar) e una generale limitatezza di scenari per quello che sembrava in tutto un film minore, ancora una volta si resta colpiti di come la sceneggiatura sappia affrontare questioni mature senza banalizzarle, coinvolgendo al tempo stesso gli spettatori di ogni età in una vicenda sportiva intrigante, condita da personaggi simpatici e buone caratterizzazioni (comprese le new entry). Non so se ci saranno ulteriori episodi ma, se così non fosse, per Saetta questa è un'ottima uscita di scena.

5 novembre 2022

Making a splash (Peter Greenaway, 1984)

Making a splash
di Peter Greenaway – GB 1984
con attori non professionisti
***

Visto su YouTube.

Uno dei più affascinanti fra i lavori meno noti di Peter Greenaway, questo "piccolo" documentario senza parole (ad accompagnare le immagini c'è solo l'incessante e indispensabile musica di Michael Nyman), sul rapporto fra l'uomo e l'acqua, è il degno erede – vista l'ambientazione prevalente in piscina e il focus, nella seconda parte, sugli allenamenti di una squadra di nuoto sincronizzato – del "Taris" di Jean Vigo. Il rapido succedersi di immagini, movimenti, colori, luci, suoni e musica dà vita a un'armonia che cattura immediatamente lo spettatore, anche perché celebra qualcosa che è di natura ancestrale, un legame con le nostre origini, in tutti i sensi. Si comincia con piccole gocce che cadono dalle foglie, che formano poi rigagnoli, cascatelle e infine fiumi, popolati da pesci. Giungiamo infine alle piscine, dove i neonati muovono i primi passi, lasciando poi il posto a bambini e adolescenti che giocano o si lanciano in acqua dagli scivoli, ad adulti che si tuffano, a sportivi che nuotano o competono, fino a mostrare, nella lunga parte conclusive, le evoluzioni coreografate e caleidoscopiche delle danzatrici del nuoto sincronizzato, il tutto inframmentato occasionalmente da superfici marine o increspature sull'acqua (dai riflessi scintillanti o illuminate dal rosso del sole al tramonto o dal biancore della luna) e incorniciato da un montaggio rapido e ritmico, che va di pari passo con la colonna sonora di Nyman (il brano è "Water dances").

4 novembre 2022

Total Balalaika Show (Aki Kaurismäki, 1994)

Total Balalaika Show (id.)
di Aki Kaurismäki – Finlandia 1994
con i Leningrad Cowboys
**1/2

Rivisto su YouTube.

Registrazione del concerto tenuto a Helsinki nel 1993 dai Leningrad Cowboys (rock band di cui Kaurismäki aveva già diretto due film di finzione), accompagnati dall'orchestra e dal coro dell'armata russa Alexandrov: il programma è un mix fra classici del rock occidentale (da "Happy Together" a "Knockin' on Heaven's Door") e popolari brani della tradizione russa (da "Kalinka" a "Oci ciornie"), fino al gran finale con "Those Were the Days". I musicisti si esibiscono nella piazza del Senato della capitale finlandese, davanti a un'enorme folla. E la commistione colorata fra i bizzarri rocker finlandesi (con i loro ciuffi spropositati, gli occhiali scuri e le scarpe appuntite) e gli impettiti militari russi (in uniforme) è quantomeno straniante, ma le reciproche interazioni sono gioiose e contagiose: un vero inno all'universalità della musica, che unisce le culture e promuove le amicizie. La regia di Kaurismäki, pur non rinunciando a sottolineare alcuni aspetti autoironici, si mette modestamente al servizio del concerto e della musica, senza vezzi autoriali (giusto l'incipit, in cui si vedono i rispettivi gruppi firmare il contratto di collaborazione a Mosca, e i cartelli muti con i titoli delle varie canzoni, che richiamano i capitoletti dei due precedenti lungometraggi).

2 novembre 2022

Midsommar (Ari Aster, 2019)

Midsommar - Il villaggio dei dannati (Midsommar)
di Ari Aster – USA/Svezia 2019
con Florence Pugh, Jack Reynor
***

Visto in TV (Prime Video).

La studentessa americana Dani (Florence Pugh), insieme al fidanzato Christian (Jack Reynor) ed altri amici interessati ai riti e all'antropologia, si reca in un remoto villaggio nel nord della Svezia per assistere a un antico e misterioso festival pagano che celebra la "mezza estate". Ma ben presto i ragazzi – fra i quali già serpeggia una certa tensione, e che non esitano nel far uso di droghe – si accorgono che, dietro l'atmosfera quasi hippy e idilliaca e all'accoglienza apparentemente cordiale degli abitanti del villaggio, si nascondono usanze e cerimonie macabre e ancestrali, legate alla natura e al ciclo della vita e della morte. Il secondo film di Aster dopo "Hereditary" del 2018 è un horror decisamente particolare, dalle atmosfere sospese e inquietanti, che non punta su mostri o jump scare bensì su un senso crescente di straniamento, cui la protagonista, peraltro, non è affatto insensibile: proprio lei, fra tutti, si scoprirà sempre più assorbita dagli strani riti e dalle usanze del villaggio, al punto da entrare lentamente a far parte di quella che è un'unica grande "famiglia", comprendendo e accettando il significato delle cerimonie meglio degli altri, mentre gli amici, perché rifiutano o trasgrediscono le regole (come in una fiaba), faranno una brutta fine, in un crescendo terrificante. A livello di contenuti non mancano elementi disturbanti, come il suicidio, la disabilità, l'endogamia. A livello di stile, invece, la bella regia sa come creare una sensazione di sospensione angosciante senza dover ricorrere a particolari effetti speciali (solo scenografie e costumi, ma anch'essi molto semplici: quasi tutto il film è girato in esterni e in un grande campo verde, con una fotografia luminosa – d'altronde siamo sotto il sole di mezzanotte – mentre gran parte degli abiti degli abitanti del villaggio sono tuniche bianche). Anche in questo caso, brutto e del tutto inappropriato il sottotitolo italiano (che c'entrano i dannati?), che richiama il classico di Wolf Rilla del 1960 (o il suo remake di John Carpenter), con cui non ha invece nessun legame.

31 ottobre 2022

Hereditary (Ari Aster, 2018)

Hereditary - Le radici del male (Hereditary)
di Ari Aster – USA 2018
con Toni Collette, Alex Wolff
**1/2

Visto in TV (Now Tv).

Poco tempo dopo la morte della vecchia madre, Annie Graham (Toni Collette) perde anche la figlia Charlie (Milly Shapiro) in un bizzarro incidente provocato dal figlio Peter (Alex Wolff). Le difficoltà a elaborare il lutto, i rancori mai sopiti e i problemi personali (soffre di sonnambulismo, ha strane visioni) la mandano in crisi nei rapporti famigliari e nel lavoro. E nonostante lo scetticismo del marito Steve (Gabriel Byrne), che la crede pazza, si convince di essere vittima di una strana setta, di cui proprio sua madre era a capo, che intende evocare un demone... Il primo lungometraggio del regista e sceneggiatore Ari Aster, dopo diversi corti, è un horror psicologico su una famiglia disfunzionale, in preda a sensi di colpa, risentimenti e relazioni irrisolte, che si colora poi di soprannaturale (guardando in parte a "Rosemary's baby") e che brilla soprattutto per la confezione. L'ottima regia, molto attenta alle scenografie (d'altronde Annie si occupa di realizzare diorami e modellini in scala, e gran parte delle inquadrature degli ambienti fanno sembrare le stanze quasi finte), è a tratti kubrickiana, con un uso sapiente di movimenti lenti e geometrie interne. Convince meno la sceneggiatura: la sua complessità finisce per sembrare meccanica e un po' fine a sé stessa, con un accumulo di elementi nella prima parte in attesa del payoff nella seconda: insomma, vuole provarci un po' troppo. Discrete le prove degli attori, ottimo il riscontro della critica. Una nota sulla distribuzione: c'era proprio bisogno di un sottotitolo italiano ("Le radici del male")?

30 ottobre 2022

Splatters - Gli schizzacervelli (P. Jackson, 1992)

Splatters - Gli schizzacervelli (Braindead)
di Peter Jackson – Nuova Zelanda 1992
con Timothy Balme, Diana Peñalver
**1/2

Rivisto in DVD.

Il timido Lionel (Timothy Balme) vive con una madre severa e "castratrice" (Elizabeth Moody), che ostacola in ogni modo la sua relazione romantica con la commessa Paquita (Diana Peñalver). Quando la donna viene morsa da una scimmia-topo della Sumatra, si trasforma in uno zombie immortale che contagia col proprio morso conoscenti e parenti. E il povero Lionel avrà il suo da fare nel tenere a bada l'orda di zombie con robuste dosi di tranquillanti... Il terzo lungometraggio di Peter Jackson, dopo "Fuori di testa" e "Meet the Feebles", è una commedia horror caotica e anarchica, demenzialmente trash e sopra le righe, piena di momenti splatter e di un disgustoso body horror. Dall'incipit alla "Indiana Jones", con gli esploratori a Skull Island (una citazione da "King Kong") in cerca della scimmia-topo ("Singaia!"), al lungo e truculento finale, una vera orgia di sangue finto e frattaglie varie, la pellicola diverte all'insegna degli eccessi e di una regia inventiva che si appoggia sulle lezioni di Sam Raimi (l'uso del grandangolo, i primissimi piani, il montaggio serrato, le inquadrature sghembe, le soggettive e la fotografia colorata) e di Ray Harryhausen (le animazioni a passo uno, gli effetti speciali "artigianali"). Rispetto ai due film precedenti, la qualità dei suddetti effetti è decisamente migliore e il loro uso è più esteso. E se in certi punti la sceneggiatura (di Stephen Sinclair, Fran Walsh e lo stesso Jackson) dà la sensazione di procedere per accumulo di situazioni divertenti ma anche fini a sé stesse, incentrate su un umorismo slapstick/nero a tratti eccessivo (vedi, per esempio, la scena con il neonato zombie che Lionel porta al parco, peraltro aggiunta da Jackson a fine lavorazione perché dal budget erano avanzati dei soldi), bisogna però riconoscere che in una pellicola come questa non è certo la trama che conta. Memorabile il prete che combatte gli zombie a colpi di arti marziali ("Qui ci vuole il ninja di Dio!"). La vicenda è ambientata nella città natale di Jackson, Wellington, negli anni '50. L'adattamento e il doppiaggio italiano si prendono molte libertà, accentuando la scurrilità dei dialoghi.

28 ottobre 2022

Fuori di testa (Peter Jackson, 1987)

Fuori di testa (Bad taste)
di Peter Jackson – Nuova Zelanda 1987
con Peter Jackson, Craig Smith
***

Rivisto in divx.

Nella campagna neozelandese, un piccolo nucleo di agenti speciali inviati dal governo deve vedersela con un'invasione di alieni cannibali, scoprendo che gli extraterrestri lavorano per una compagnia di fast food intergalattica e intendono fare provviste di carne umana. Il primo film di Peter Jackson è un lavoro amatoriale (girato con pochi soldi e insieme a un gruppo di amici) che mette in mostra tutte le qualità cinematografiche e... artigianali del futuro regista de "Il Signore degli Anelli". Le scene splatter e "disgustose" abbondano (cervelli scoperchiati, tanto sangue e "frattaglie", bevute di vomito), così come costumi "fatti in casa" (gli alieni "patatosi", le cui maschere hanno le dimensioni del... forno nella cucina della madre di Jackson, dove sono state preparate) e practical effects (la casa vittoriana che decolla nel finale, ovvero un modellino spettacolarmente ben riuscito) debitori della lezione di Tom Savini: il tutto al servizio di una trama assurda e di momenti grotteschi a loro modo indimenticabili (la pecora che esplode!) e che naturalmente fanno parte del gioco. Il risultato è ridicolmente appassionante e divertente, grazie anche al dinamismo della regia, con camera mobile e a mano (nello stile del Sam Raimi de "La casa") e una musica che aggiunge dimensione alle scene d'azione. Quasi tutti recitano in più ruoli: Jackson stesso interpreta sia Derek, lo scienziato del gruppo (che perde pezzi di cervello e deve chiudersi il cranio con la cintura dei pantaloni), sia Robert, uno degli alieni. Inizialmente doveva trattarsi solo di un cortometraggio di 20 minuti, che poi è stato ampliato. La lavorazione si è protratta per quattro anni. Un bel documentario, "Good taste made bad taste", ne svela i retroscena e i metodi artigianali usati, grazie ai quali Jackson e i suoi collaboratori (qui c'è già il montatore Jamie Selkirk) si sono fatti le ossa per i film successivi (compresa la trilogia tolkieniana).

26 ottobre 2022

Licantropus (Michael Giacchino, 2022)

Licantropus (Werewolf by Night)
di Michael Giacchino – USA 2022
con Gael García Bernal, Laura Donnelly
**

Visto in TV (Disney+).

Alla morte di Ulysses Bloodstone, leader di una setta segreta che da secoli dà la caccia a mostri e varie creature soprannaturali, un gruppo di "cacciatori" si raduna per scegliere il suo successore, colui che deterrà il potere della Bloodstone, pietra magica in grado di influenzare la psiche dei suddetti mostri. Fra i candidati, che dovranno competere fra loro dando la caccia a una bestia catturata per l'occasione (il tutto ricorda il classico "La pericolosa partita" del 1932), ci sono anche Elsa (Laura Donnelly), figlia ripudiata di Ulysses, e Jack (Gael García Bernal), che in realtà è a sua volta un mostro, per la precisione un licantropo, un lupo mannaro che si trasforma nelle notti di luna piena, e che si è introdotto nella setta con l'unico scopo di liberare l'oggetto della caccia, il suo amico Ted (ovvero l'Uomo-Cosa!). Primo "special televisivo" per il Marvel Cinematic Universe, di un'ora scarsa di durata e pubblicato in streaming sulla piattaforma Disney+ sotto Halloween: lo stile e l'estetica sono quelli dei vecchi film di mostri della Universal, tanto da essere girato quasi tutto in bianco e nero (a parte i riflessi rossi emanati dalla Bloodstone, e il breve finale a colori che richiama "Il mago di Oz", con tanto di canzone "Somewhere over the rainbow" a sottolinearlo). Il titolo italiano, "Licantropus", è il nome con cui il personaggio dei fumetti era stato pubblicato nel nostro paese: faceva parte di un gruppo di character horror (come anche Dracula, la Mummia vivente e lo stesso Uomo-Cosa) con cui la Marvel aveva provato a differenziare la propria offerta negli anni settanta, uscendo dall'alveo dei "semplici" supereroi. Rispetto ai normali film del MCU, questo speciale è decisamente su piccola scala, alquanto esile e superficiale (le caratterizzazioni dei personaggi latitano: gli altri cacciatori di mostri, in particolare, sono macchiette senza profondità), ma quantomeno divertente da vedere per una serata fra amici. Harriet Sansom Harris è Verusa, vedova di Ulysses e matrigna di Elsa. Alla regia c'è il compositore (!) Michael Giacchino.