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26 giugno 2023

Una lunga domenica di passioni (J.P. Jeunet, 2004)

Una lunga domenica di passioni (Un long dimanche de fiançailles)
di Jean-Pierre Jeunet – Francia 2004
con Audrey Tautou, Gaspard Ulliel
**

Visto in TV (Sky Cinema).

Nel 1920, tre anni dopo la presunta morte del fidanzato Manech (Gaspard Ulliel) in una trincea della Grande guerra, la giovane Mathilde (Audrey Tautou) inizia a sospettare che il ragazzo possa ancora essere vivo. E la speranza la porta a imbarcarsi con ostinazione in una lunga e difficile indagine per ricostruire le sorti di lui e di altri quattro altri soldati, condannati a morte tutti insieme nel 1917 da una corte marziale militare per tentata diserzione e abbandonati nella terra di nessuno, fra una trincea francese e una tedesca. Realizzato subito dopo il grande successo de "Il favoloso mondo di Amélie" (e con la stessa attrice protagonista), il film è l'adattamento di un romanzo di Sébastien Japrisot, una sorta di giallo che si dipana nella Francia del primo dopoguerra: ma Jeunet sceglie di non abbandonare del tutto lo stile della pellicola che gli aveva appena dato notorietà, appesantendo così l'insieme con una voce fuori campo che espone dettagli e particolari insignificanti a proposito dei protagonisti, pieni oltretutto di peculiarità e fissazioni (Mathilde, per esempio, si abbandona a tutta una serie di rituali e superstizioni personali), ma soprattutto carica la vicenda di un'infinità di nomi, personaggi e situazioni. Alcuni di questi conducono a brevi sottotrame a loro modo anche interessanti, ma nel complesso la narrazione è inutilmente complicata e noiosa, e il finale ampiamente prevedibile. Buona comunque l'ambientazione storica, che non sorvola sugli orrori e le atrocità della guerra, con scene a tratti anche cruente (ma a volte un po' fumettistiche) che quantomeno impediscono al film di apparire come una rappresentazione asettica e artificiale di un mondo ormai passato, il tutto mentre la fotografia (di Bruno Delbonnel, peraltro nominata all'Oscar) ricopre tutte le immagini con una patina color seppia. Il vasto cast comprende sia habitué di Jeunet che attori internazionali: Dominique Pinon e Chantal Neuwirth sono gli zii di Mathilde, Ticky Holgado il detective da lei assunto, Marion Cotillard la "corsa" Tina Lombardi (compagna di uno dei soldati condannati, che a sua volta indaga sulle loro sorti, vendicandosi nel frattempo degli ufficiali della catena di comando che aveva portato alla loro morte). E ancora, fra gli altri: Clovis Cornillac, Jean-Pierre Darroussin, André Dussollier, Bouli Lanners, Tchéky Karyo, Jean-Claude Dreyfus, e persino Jodie Foster.

2 marzo 2022

Bigbug (Jean-Pierre Jeunet, 2022)

Bigbug (id.)
di Jean-Pierre Jeunet – Francia 2022
con Elsa Zylberstein, Isabelle Nanty
**

Visto in TV (Netflix).

Nel 2045 la vita domestica è completamente automatizzata. Quando le macchine si ribellano, perché il sistema centrale è giunto alla conclusione che gli esseri umani sono ormai "superati", i membri di una famiglia si ritrovano imprigionati nella loro stessa casa. Per fortuna ad aiutarli ci saranno i loro androidi domestici che, essendo modelli "antiquati" (e con il desiderio di essere "umani" a loro volta), non sono ostili come quelli più avanzati. Distopia fantascientifica colorata e farsesca, con un approccio comico che stona un po' con il messaggio (qualunquista) di fondo. Siamo lontani dall'ironia malinconica con cui lo stesso argomento veniva affrontato da Jacques Tati in "Mio zio". Questo, invece, è quasi un cartone animato parodistico, con personaggi-macchietta, tentativi goffi di umorismo e riflessione su come gli elettrodomestici e gli apparecchi elettronici sempre più sofisticati stiano prendendo il controllo del nostro tempo e delle nostre vite (ed eliminando progressivamente la "vecchia cultura"). C'è un accenno (umoristico) anche al lockdown causato dalla pandemia di Covid. Ambientato completamente all'interno di una casa (una villetta di periferia dai colori pastello, come una casa di bambole), mette in scena una serie di personaggi imprigionati nei loro ruoli: la casalinga frustrata Alice (Elsa Zylberstein), il suo ex marito Victor (Youssef Hajdi) con la nuova fidanzata ochetta Jennifer (Claire Chust), la figlia ribelle Nina (Marysol Fertard), lo spasimante Max (Stéphane De Groodt) con il figlio adolescente Léo (Hélie Thonnat) e la vicina di casa Françoise (Isabelle Nanty). Fra i robot domestici (che sognano di avere un'anima), hanno un volto umano la cameriera Monique (Claude Perron) e il personal trainer Greg (Alban Lenoir), mentre le inquietanti fattezze dei robot cattivi (denominati Yonyx) sono tutte di François Levantal. All'esterno il mondo è dominato da invadenti pubblicità e da una burocrazia centralizzata, mentre in televisione impazza un "reality show" in cui i robot mettono in ridicolo gli esseri umani. Satira sociale, dunque, ma di basso livello e che diverte solo a intermittenza.

13 marzo 2021

Il favoloso mondo di Amélie (J.P. Jeunet, 2001)

Il favoloso mondo di Amélie (Le fabuleux destin d'Amélie Poulain)
di Jean-Pierre Jeunet – Francia 2001
con Audrey Tautou, Mathieu Kassovitz
***

Rivisto in TV (Prime Video), con Sabrina.

Sognatrice e introversa, Amélie (Audrey Tautou) lavora come cameriera in un bar di Montmartre (il Café des 2 moulins) e ama viaggiare con la fantasia. Un giorno, dopo aver rinvenuto per caso la "scatola dei ricordi" che un bambino aveva nascosto nel suo appartamento quarant'anni prima, decide di restituirla anonimamente all'uomo ormai cresciuto. E la sua stupefacente reazione la spinge a dedicarsi a migliorare la vita delle persone che la circondano (compresi i colleghi di lavoro e gli abitanti del quartiere), riempiendoli di meraviglie e bizzarrie come una sorta di angelo custode. Ma nel contempo trascura la propria sfera sentimentale, scoprendosi incapace per timidezza di farsi avanti con il ragazzo di cui è innamorata, Nino (Mathieu Kassovitz), sognatore ed eccentrico quasi quanto lei... Il quarto (e più famoso) film di Jeunet, sceneggiato insieme a Guillaume Laurant, è stato uno straordinario successo di pubblico e di critica (anche se inizialmente fu rifiutato dal festival di Cannes), tanto da diventare una pellicola citatissima e memorabile anche per chi non l'ha mai vista (non da ultimo perché ha fatto incredibilmente presa sui "creativi" della pubblicità, che ne hanno saccheggiato a più riprese, quasi fino alla nausea, le idee, i temi, le atmosfere, le immagini, e ovviamente la musica). Non posso non riconoscere che si tratta di un bel film, ricco e con parecchi punti di forza, nonostante di fondo sia parecchio melenso, privo di una vera tensione, dai toni fiabeschi e irrealistici, con personaggi macchiettistici e una filosofia banalotta e superficiale (il "gusto particolare per i piccoli piaceri"). Il vero fattore che però gli impedisce di conquistarmi fino in fondo (a differenza della maggior parte del pubblico, che l'ha amato incondizionatamente) è connaturato allo stile di Jeunet. Nel film c'è dentro tanto, troppo: io amo più il cinema di sottrazione, dove ogni elemento ha la sua specifica ragion d'essere, mentre qui siamo nel campo dell'abbondanza (di storie, di personaggi, di immagini), tanto che se si togliesse qualcosa o lo si sostituisse con qualcos'altro, in fondo non cambierebbe nulla.

Detto questo, veniamo ai (numerosi) pregi. Dal punto di vista formale, il film è sinceramente iconico: la fotografia ipersatura e coloratissima di Bruno Delbonnel, che trasfigura Montmartre e l'intera Parigi in un libro di fiabe illustrato (coadiuvata da occasionali effetti speciali che animano oggetti o aggiungono elementi fantastici, ad amplificare l'idea delle "bizzarrie del quotidiano" che ci circondano in continuazione, come in fondo faceva anche "Magnolia"); la recitazione della Tautou, che dà vita a un personaggio tenero e curioso, che sguazza nel suo mondo fantastico con simpatia e (sporadiche) rotture della quarta parete, mentre le sue avventure ci sono commentate da una voce narrante che ogni tanto si premura di citarci strani aneddoti e, soprattutto, di elencarci i piccoli piaceri e le idiosincrasie private di lei e degli altri personaggi (un parallelo con la canzone "My favorite things" del musical "Tutti insieme appassionatamente", altro cavallo di battaglia recente dei pubblicitari); e naturalmente la musica di Yann Tiersen, autore di una colonna sonora molto bella e anzi direi fondamentale per l'atmosfera generale della pellicola, con le sue sonorità a base di piano e fisarmonica (ma non solo). Fra le "imprese" di Amélie spiccano: il giro per il mondo del nano da giardino del padre (Rufus), con tanto di fotografie spedite da ogni angolo del pianeta, che stimoleranno l'anziano genitore a uscire dal proprio guscio e a viaggiare a sua volta; lo spingere due dei frequentatori del caffé (Dominique Pinon, habitué del regista, e Isabelle Nanty) l'uno nelle braccia dell'altra; il penetrare di nascosto nella casa di uno sgarbato fruttivendolo per modificarne impercettibilmente il contenuto (una vera e propria tecnica di gaslighting, simile a quanto faceva Faye Wong in "Hong Kong Express"); e l'aiutare Nino, che colleziona fototessera scartate, a svelare l'enigma del misterioso uomo che scatta e getta via le proprie presso ogni macchinetta della città. Nel cast anche Serge Merlin (il vecchio pittore che riproduce sempre lo stesso quadro), Jamel Debbouze (l'aiutante del fruttivendolo), Clotilde Mollet, Claire Maurier. Curiosità: la prima scelta per il ruolo della protagonista era Emily Watson.

12 aprile 2016

Alien: la clonazione (J.P. Jeunet, 1997)

Alien: la clonazione (Alien: Resurrection)
di Jean-Pierre Jeunet – USA 1997
con Sigourney Weaver, Winona Ryder
**1/2

Rivisto in DVD.

Sembrava che "Alien³" avesse messo la parola fine alla saga cominciata con il leggendario film di Ridley Scott, ma – miracoli della fantascienza – Ripley è tornata ed è pronta a combattere nuovamente gli xenomorfi. Duecento anni dopo la sua morte, viene infatti riportata in vita da un gruppo di scienziati al servizio dell'esercito, che l'hanno clonata per poter ricreare anche la regina aliena che ospitava dentro di sé. L'esperimento ha successo, ma Ripley stessa scopre di essere mutata in una sorta di ibrido fra uomo e alieno: oltre a forza e agilità incrementate, ha acquisito una sorta di legame empatico con gli extraterrestri. Tuttavia, quando i mostri sfuggono al controllo degli scienziati, la donna si allea con un gruppo di pirati e trafficanti spaziali per fermarli prima che la stazione spaziale, guidata dal pilota automatico, raggiunga la Terra. Del gruppo fa parte anche Call (Winona Ryder), androide di ultima generazione, dotata della capacità di agire in autonomia (un personaggio giovane che nelle intenzioni doveva "svecchiare" la franchise e che avrebbe potuto sostituire la Weaver, o affiancarsi ad essa, nelle successive pellicole). Scritto da un Joss Whedon alle prime armi (che si dichiarò insoddisfatto del risultato finale), il quarto film della saga è diretto dal francese Jean-Pierre Jeunet, reduce da un paio di pellicole interessanti soprattutto per il loro stile visivo ("Delicatessen" e "La città dei bambini perduti", girate insieme all'artista concettuale Marc Caro: ma il sodalizio fra i due si rompe con questo film). Scelto dopo che i produttori avevano inizialmente pensato a Danny Boyle, Peter Jackson e Bryan Singer, Jeunet – che per la prima volta non firma la sceneggiatura di un suo lavoro – porta a bordo molti dei suoi soliti collaboratori, sia tecnici (il responsabile degli effetti speciali Pitof, il direttore della fotografia Darius Khondji) che attori (Ron Perlman, Dominique Pinon). Nel cast ci sono anche Dan Hedaya (il generale) e Brad Dourif (uno degli scienziati).

Se dal punto di vista dell'intrattenimento il film rappresenta un passo avanti rispetto all'infelice terzo capitolo, di sicuro "La clonazione" è però quello più derivativo e meno originale, oltre che il meno "necessario" della franchise, che avrebbe potuto benissimo ritenersi conclusa con il lungometraggio precedente. Il target è decisamente più basso: nonostante occasionali scene "forti" (come quella in cui Ripley incontra i cloni che l'hanno preceduta, tentativi andati male e risultati in creature deformi che mostrano anche fisicamente la loro natura ibrida), la pellicola è più leggera e divertente delle precedenti e si prende meno sul serio, come dimostrano gag, battutine ("Con chi devo scopare per volare via da questa navetta?") e personaggi da fumetto (i pirati, ma non solo). Riguardo alle scene d'azione, sono interessanti quelle che si svolgono nei compartimenti allagati della stazione: guardando gli alieni muoversi sott'acqua, eleganti, agili e veloci nel nuoto, viene da pensare che forse il loro habitat naturale è proprio quello acquatico. Naturalmente non mancano i soliti riferimenti alla maternità ("Sono la madre del mostro", dice Ripley), esplicitati qui da immagini di tessuto biologico, materia uterina (e la stessa acqua citata prima) e dal parto "in diretta" della regina aliena. Anche Ripley, infatti, ha donato a sua volta qualcosa al mostro: un sistema riproduttivo umano. Ne nasce una creatura completamente ibrida, che riconosce sua madre in Ripley (e non nella regina), e che nei bozzetti originari di Jeunet avrebbe dovuto esibire anche genitali umani (sia maschili che femminili: naturalmente la censura hollywoodiana si oppose). Nel finale, Ripley e i pochi sopravvissuti giungono finalmente sulla Terra (la donna commenta: "Anch'io sono una straniera qui"). Si pensava infatti a realizzare un quinto film, ambientato sul nostro pianeta, ma poi (nonostante un possibile coinvolgimento di James Cameron) non se ne fece nulla. In ogni caso, nel 2004 uscirà il crossover "Alien vs. Predator" (non un granché, ma sempre meglio del suo pessimo sequel), e infine Ridley Scott tornerà alle radici della saga con i prequel non richiesti "Prometheus" e "Alien: Covenant".

17 marzo 2016

La città dei bambini perduti (Jeunet, Caro, 1995)

La città perduta (La cité des enfants perdus)
di Jean-Pierre Jeunet, Marc Caro – Francia 1995
con Ron Perlman, Daniel Emilfork
**1/2

Rivisto in divx.

Al secondo film dopo "Delicatessen", la coppia Jeunet-Caro sforna un'insolita fiaba dai toni dark e surreali e dall'ambientazione steampunk, colma di spunti e di suggestioni, ma anche più attenta all'estetica e all'aspetto visivo che non all'equilibrio narrativo. L'incipit ci rivela che uno scienziato (Dominique Pinon), che vive su una piattaforma al largo della costa circondata da mine, ha creato – oltre a una moglie nana, a un esercito di cloni di sé stesso come figli, e a un cervello senziente che soffre di mal di testa – anche Krank (Emilfork), l'uomo più intelligente del mondo, che però invecchia prematuramente perché incapace di sognare. Per rimediare, Krank fa rapire (dalla banda dei "ciclopi") bambini piccoli dalla vicina città portuale, nella speranza di poter penetrare nei loro sogni con speciali macchinari, ma i suoi tentativi falliscono regolarmente perché i piccoli hanno troppa paura di lui per poter avere sogni tranquilli. Quando a essere rapito è il fratellino adottivo di One (Perlman), forzuto che si esibisce nella fiera della città, questi si getta alla sua ricerca con l'aiuto di Miette (Judith Vittet), giovane leader di una banda di ladruncoli. Fra situazioni avventurose e oniriche (come quando Miette deve entrare a sua volta nel sogno del bambino per salvarlo, in stile "Nightmare"), personaggi bizzarri e grotteschi (l'addestratore di pulci assassine, il palombaro smemorato, la "Piovra" – una coppia di gemelle siamesi – che sfrutta gli orfani costringendoli al furto come in "Oliver Twist"), ambientazioni fumettistiche o surreali (che a turno ricordano Terry Gilliam o anticipano Michel Gondry), pur nel suo sbilanciamento il film è suggestivo nei suoi aspetti più visionari e può vantare alcune sequenze memorabili (fra le più riuscite, il crescendo che parte da una lacrima di Miette in un momento di difficoltà e, attraverso una serie di assurde concatenazioni, porta alla salvezza dei nostri eroi). La scena in cui uno dei ciclopi collega il proprio visore a quello del compagno che sta strangolando ne ricorda una analoga di "Strange days", uscito lo stesso anno. Fondamentali i contributi dei costumi di Jean-Paul Gaultier, degli effetti speciali di Pitof, della fotografia di Darius Khondji e della musica di Angelo Badalamenti (la cui canzone nei titoli di coda, "Who will take my dreams away?", interpretata da Marianne Faithfull, sarà resa celebre quattro anni più tardi da "La ragazza sul ponte" di Patrice Leconte). Uscito in Italia come "La città perduta", nell'indifferenza di pubblico e critica, il film è stato poi rieditato in home video con un titolo più fedele all'originale.

9 febbraio 2016

Delicatessen (Jeunet, Caro, 1991)

Delicatessen (id.)
di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro – Francia 1991
con Dominique Pinon, Jean-Claude Dreyfus
**1/2

Rivisto in divx.

In un mondo post-apocalittico, dove la mancanza di risorse ha spinto l'umanità alla fame e il baratto ha sostituito l'uso del denaro, gli inquilini di un enorme caseggiato di periferia sopravvivono grazie al macellaio (Dreyfus) che ha il suo negozio nel palazzo e che uccide sconosciuti per farli a pezzi e vendere la loro carne. Louison (Pinon), ex clown che ha risposto ingenuamente a un annuncio sul giornale (una stanza in affitto in cambio di piccoli lavoretti da effettuare nel condominio), rischia di essere la sua prossima vittima: ma Julie (Marie-Laure Dougnac), la timida figlia del macellaio, se ne innamora, e per salvarlo chiederà aiuto ai "Trogloditi", una comunità clandestina di vegetariani che vive nei sotterranei della città. Comico, grottesco, surreale e parodistico (a partire dal titolo, che non è altro che il nome del negozio del macellaio), è il lungometraggio d'esordio della coppia Jeunet-Caro, in precedenza autori di tre cortometraggi (di cui due in animazione): nei titoli di testa, il primo figura come responsabile della "messa in scena" e il secondo della "direzione artistica". Le future carriere confermeranno che è Jeunet il vero regista. Più che sulla trama da cartoon, semplice e lineare, la pellicola punta le sue carte sulle dinamiche fra i personaggi (i vari inquilini del caseggiato, tratteggiati in modo caricaturale e grottesco: dal vecchio che vive da solo in soffitta e alleva lumache e rane per "non dipendere da nessuno", alla donna che "sente le voci" e tenta ripetutamente il suicidio, dalla coppia di bambini pestiferi che giocano scherzi a tutti, alla ragazza piacente (Karin Viard) che si concede periodicamente al macellaio in cambio di cibo) e sull'aspetto visivo, graziato dalla fotografia colorata di Darius Khondji e dalle scenografie retrò. Se il sodalizio con Marc Caro durerà ancora un solo film ("La città dei bambini perduti"), l'attore Pinon e il montatore Hervé Schneid rimarranno collaboratori costanti di Jeunet anche nei lavori successivi.