1 settembre 2010

Segni di vita (Werner Herzog, 1967)

Segni di vita (Lebenszeichen)
di Werner Herzog – Germania 1967
con Peter Broglé, Wolfgang Reichmann
***

Rivisto in DVD alla Fogona, con Marisa, in originale con sottotitoli.

Primo lungometraggio di Herzog, girato dopo tre cortometraggi e ispirato dai luoghi della Grecia dove suo nonno aveva lavorato come archeologo prima di morire pazzo. Il soggetto del film, in realtà, proviene da un racconto di Achim von Arnim: Stroszek, un soldato tedesco in convalescenza dopo essere stato ferito a Creta dai partigiani, viene trasferito sull'isola di Kos. Qui, in compagnia della moglie greca Nora e di due compagni, Becker e Mainhard, ha il compito di sorvegliare le munizioni custodite in un vecchio fortino presso il porto. Ma l'inattività, la solitudine e il senso di inutilità lo porteranno all'alienazione e alla follia. Il momento scatenante della sua pazzia coinciderà con la vista di innumerevoli mulini a vento nella pianura che circonda il paese: impossibile non pensare a Don Chisciotte. Stroszek (nome che ritornerà anche in seguito nella filmografia del regista bavarese) non è che il primo di una serie di eroi herzoghiani che combattono una battaglia disperata e impari contro sé stessi e la natura: novello semidio, il soldato cercherà addirittura di fare la guerra al Sole con una manciata di fuochi d'artificio. Girato in un rigoroso bianco e nero d'altri tempi, con lunghe sequenze in campo lungo dove i personaggi non sono che minuscole formichine che si aggirano in un paesaggio desertico e immutabile, la pellicola si colloca a metà strada fra il cinema realistico – è ambientato in un contesto ben definito (gli anni della Seconda Guerra Mondiale) e ha toni da documentario (con l'onnipresente voce del narratore) – e una dimensione sospesa, surreale e mitologica, favorita naturalmente dal setting ellenico (dove affiorano i resti archeologici delle civiltà passate, viste come lontane e imperscrutabili), con sequenze e situazioni così astratte e metafisiche da farci quasi dimenticare l'epoca in cui si svolgono, come episodi di una vicenda "naturale" e atemporale.

4 commenti:

Marisa ha detto...

In questo primo lungometraggio c'è già tutto Herzog, con l'attenzione documentaristica e l'aspetto visionario.
Colpisce il fatto che chi va vuori di testa sia Stroszek, l'unico rispetto ai suoi commilitoni che non è solo in quanto ha una bella e giovane moglie innamorata e che ha sposato da pochissimo. Eppur non basta...

Christian ha detto...

Infatti: tutti si aspetterebbero che a impazzire sia semmai Meinhard, quello che sin dall'inizio manifesta più degli altri insofferenza e irrequietezza. Eppure, forse proprio l'incapacità di sfogarsi contribuisce infine a far "saltare il tappo"...

Monsier Verdoux ha detto...

bentornato! Per un Herzoghiano come me è gravissimo non aver visto il primo lungometraggio del grande Werner, rimedierò al più presto.

Christian ha detto...

Non te ne pentirai! ^^