5 settembre 2010

L'invitto (Satyajit Ray, 1957)

L'invitto (Aparajito)
di Satyajit Ray – India 1957
con Smaran Ghosal, Karuna Banerjee
***

Visto in divx alla Fogona con Marisa, in originale con sottotitoli.

Nel secondo film della "Trilogia di Apu", vincitore del Leone d'Oro a Venezia nel 1957, Ray continua a raccontare la vita del suo personaggio con sguardo puro e quasi documentaristico, seguendolo dall'infanzia fino agli anni degli studi all'università. Il ragazzo si è trasferito con i genitori a Benares, dove il padre lavora vendendo erbe medicinali e officiando riti come sacerdote presso il fiume Gange. Ma quando l'uomo muore improvvisamente, Apu e la madre Sarbajaya accettano l'offerta di un parente e si stabiliscono nuovamente in un villaggio rurale, nell'attuale Bangladesh. Qui Apu comincia ad andare a scuola, rivelandosi estremamente portato per l'arte e soprattutto per le scienze. Cresciuto, verrà incoraggiato dagli insegnanti a trasferirsi a Calcutta per proseguire gli studi: Sarbajaya, tuttavia, è meno entusiasta ed esita a lasciarlo andare via. Proprio il rapporto fra Apu e la madre è il filo conduttore del film, costituito da una successione di piccoli episodi, che con il precedente "Pather Panchali" e il successivo "Il mondo di Apu" dà vita a un vero e proprio romanzo di formazione. Studiando di giorno all'università e lavorando di notte in una tipografia per pagarsi l'affitto della stanza, Apu ha infatti poco tempo per tornare in visita dalla madre in un villaggio dove, fra l'altro, si sente fuori posto. Alla morte di Sarbajaya sceglierà di rinunciare al proprio retaggio (il mestiere di sacerdote) e di trasferirsi definitivamente a Calcutta. Il film, che rimane impresso anche per la bellezza delle location (i ghat, ossia le scalinate che conducono sul Gange; i vicoli di Benares; i templi del Bengala abitati dalle scimmie; gli edifici di Calcutta), è noto per l'utilizzo di un'innovazione tecnica ideata dal direttore della fotografia, Subrata Mitra, che permette di simulare la luce del sole durante le riprese nei teatri di posa. L'attore che interpreta Apu da adolescente, Smaran Ghosal, aveva solo 14 anni e non proseguì la carriera cinematografica: recitò soltanto in un altro film, sempre di Ray, nel 1961.

2 commenti:

Marisa ha detto...

Sempre molto bello, ma meno originale del primo e più scontato.
La straordinaria realtà di Benares, la città santa per anantonomasia dell'India, per quanto suggestiva, è però in queso lungometraggio monca, perchè ti assicuro che il suo vero senso è nelle continue pire che ardono sulle rive, perchè il Gange, (anzi la Ganga pre gli indiani) è il fiume personificazione stesso di Shiva, il grande DIo che presiede la Trasformazione attraverso la distruzione e quindi la Morte. Perciò morire a Benares, purificandosi con la sua acqua è così importante.

Christian ha detto...

Anche a me il primo era piaciuto di più. Ma penso che questo vada valutato anche in quanto elemento centrale della trilogia, quello in cui il protagonista si affranca dalla famiglia, rinuncia agli antichi riti (ossia al mestiere di sacerdote che faceva il padre), si apre alla "modernità" e comincia a trovare il proprio posto nel mondo. Anche il modo in cui viene usata l'ambientazione è funzionale a questo scopo, e dunque è possibile che ne esca una visione parziale.