The ditch (Wang Bing, 2010)
The ditch (Jiabiangou)
di Wang Bing – Hong Kong 2010
con Lu Yo, Lian Renjun, Yang Haoyu
**1/2
Visto al cinema Arcobaleno, in originale con sottotitoli
(rassegna di Venezia)
Cinema radicale, rigoroso, monolitico e a tratti quasi insostenibile. Il primo lungometraggio di finzione del documentarista Wang Bing è ambientato in un "campo di rieducazione" maoista alla fine degli anni cinquanta, nel Deserto dei Gobi, dove venivano spediti i dissidenti politici, i reazionari ma anche tutti gli intellettuali che semplicemente esprimevano idee o pareri non allineati alle direttive del partito. Il compito dei prigionieri, condannati ai lavori forzati, sarebbe quello di scavare fossati e dissodare quattromila ettari di terreno desertico: ma il clima, il freddo, la fame e la carestia impediscono persino di svolgere questo lavoro, confinando gli uomini nei dormitori sotterranei dove muoiono come mosche. Pur di sopravvivere, ogni stratagemma è buono, come cibarsi di semi o di topi: molti si spingono fino a nutrirsi dei corpi dei compagni morti. Una donna giunta lì in visita (una delle poche rimaste fedeli, visto che la maggior parte dei prigionieri riceve, prima o poi, la comunicazione del divorzio) cerca disperatamente il cadavere del marito, sepolto fra la sabbia del deserto... La pellicola procede accumulando lunghi piani sequenza che mostrano le dure condizioni del campo, senza compromessi e senza concessioni di alcun tipo allo spettatore. E alla fine rimane una sola frase: "I vivi contano più dei morti". Il regista, che ha girato quasi clandestinamente e senza autorizzazione, ha impiegato sei anni a raccogliere testimonianze dai sopravvissuti dei campi. La pellicola pertanto non è targata Cina, ma è coprodotta da Hong Kong, Francia e Belgio.
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