Ritual (Hideaki Anno, 2000)
Ritual (Shiki-jitsu)
di Hideaki Anno – Giappone 2000
con Shunji Iwai, Ayako Fujitani
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Visto in divx, in originale con sottotitoli inglesi.
Di ritorno nella sua città natale, un regista (Iwai) incontra una bizzarra ragazza (Fujitani) con il volto dipinto e un ombrello rosso, che si sdraia sui binari dismessi della stazione ferroviaria. Incuriosito dal suo strano comportamento, comincia a frequentarla, poi a filmarla nella sua routine e nelle sue idiosincrasie, per trasferirsi infine da lei, in un grande edificio disabitato, dove vive circondata da oggetti di colore rosso e trascorre giornate sempre uguali, come a seguire una sorta di "rituale", oltre a confondere la fantasia con la realtà. Alienata e sciroccata, con un passato probabilmente tragico (che fine hanno fatto il padre, la madre e la sorella, che cita in continuazione?), la ragazza è sola e prigioniera di un loop. Ogni giorno afferma "Domani è il mio compleanno", posticipando di fatto il domani e trasformando l'oggi in ieri per ritardare la sua inevitabile morte. In effetti il suo desiderio, almeno all'inizio, è quello di sparire completamente: ma proprio l'incontro con il regista le dona una compagnia di cui non riesce più a fare a meno. Ambientato a Ube (città mineraria e industriale nel sud del Giappone) nell'arco di un mese esatto (con cartelli che scandiscono i giorni trascorsi e contano quelli che mancano), e interpretato dal regista di quel piccolo capolavoro che è "All about Lily Chou-Chou" (ma il personaggio sembra una proiezione dello stesso Anno, visto che si tratta di un regista d'animazione che aspira a dirigere anche film dal vivo), il secondo lungometraggio in live action dell'autore di "Evangelion" è tratto da un romanzo della stessa Ayako Fujitani (figlia, incredibile a dirsi, di Steven Seagal!), che l'attrice e il regista hanno adattato insieme: un racconto che parla della paura dell'abbandono (o del cambiamento) e di due solitudini che si incontrano e si consolano a vicenda, con l'assurdo e il folle che fanno capolino nella disperazione e nella tristezza, colorandole di rosso (o esaltando quello – colore del sangue, dopotutto! – già presente). Purtroppo la profondità dei temi, le belle immagini (la fotografia è di Yuichi Nagata) e l'ottima prova di Fujitani non riescono a compensare i dialoghi pesanti e filosofici e una trama esile e ripetitiva. E la pellicola, ahimè, può risultare soporifera, senza la crudezza di un Sion Sono, la folle violenza di un Miike o (solo in parte) l'astratta poesia di un Kitano. Nel cast anche Jun Murakami e Shinobu Otake. Il film è stato il primo a essere prodotto dallo Studio Kajino, la succursale dello Studio Ghibli che si occupa di pellicole dal vivo.
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