15 settembre 2009

The two horses of Genghis Khan (B. Davaa, 2009)

The two horses of Genghis Khan (Chin Gisiyn Hoyor Zagal)
di Byambasuren Davaa – Mongolia/Germania 2009
con Urna Chahar-Tugchi, Hicheengui Sambuu
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Visto al cinema Apollo, in originale con sottotitoli
(rassegna di Locarno)

Quasi un documentario che mostra la cantante tradizionale Urna nel suo viaggio dalla Mongolia Interna (la regione autonoma che fa parte della Cina) alla Mongolia Esterna (la nazione indipendente), alla ricerca dei frammenti di un'antica canzone popolare – quella che dà appunto il titolo al film – fino all'incontro con una vecchia pastora che ne ricorda parole e melodie. Parte del testo della canzone, che richiama la turbulenta storia della Mongolia e la sua doppia identità, è incisa sul manico di un antico violino "dalla testa di cavallo", tramandato a Urna da sua nonna e che la donna chiede a un esperto liutaio di restaurare. I paesaggi della steppa mongola, le campagne che vengono scavate in cerca dell'oro, costringendo pastori e contadini a riversarsi in città, antiche musiche e canzoni popolari, incontri con giovani e vecchi, il tentativo di salvare qualcosa della cultura e della tradizione prima che questa venga distrutta: è un film con un suo particolare fascino, praticamente senza alcuna tensione drammatica e di interesse puramente antropologico ed etnografico. Gli attori recitano tutti nei panni di sé stessi. E alla fine dei titoli di coda, una didascalia spiega che, terminate le riprese, tutti i costumi e gli strumenti sono andati distrutti nel corso di scontri di matrice politica. La regista è già nota da noi per "La storia del cammello che piange" e "Il cane giallo della Mongolia" (che non ho visto).

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