13 giugno 2009

Ajami (S. Copti, Y. Shani, 2009)

Ajami
di Scandar Copti, Yaron Shani – Israele 2009
con Shahir Kabaha, Ibrahim Frege
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Visto allo spazio Oberdan, in originale con sottotitoli (rassegna di Cannes).

Storie di israeliani e di palestinesi, criminali o poliziotti, integrati o clandestini, che si intrecciano a Jaffa (Ajami è il nome di un quartiere della città, vero e proprio incrocio di culture, etnie e religioni) e che il regista mette in scena rompendo il corretto ordine cronologico, mostrando in anticipo il destino di alcuni personaggi e ribaltandolo poi completamente nel finale. Diviso in cinque capitoli (i primi quattro dedicati ad altrettanti personaggi, l'ultimo che tira le fila di tutta la narrazione), racconta le vicende di Omar, coinvolto in una faida familiare con una banda di taglieggiatori beduini e costretto a chiedere aiuto a un ricco cristiano, della cui figlia si innamora; di Malek, rifugiato palestinese che entra clandestinamente in città, alla disperata ricerca di denaro per far operare la propria madre malata; di Dando, un poliziotto israeliano in cerca del fratello scomparso, un soldato probabilmente ucciso dai palestinesi; di Binj, che sogna di sposarsi con la sua fidanzata e nel frattempo entra in possesso di un grande quantitativo di eroina... Grande importanza ha l'ambiente in cui si svolgono le loro storie, case, vicoli e strade dove la violenza e la criminalità arrivano a contaminare anche i più innocenti (come il fratellino di Omar, Nasri, adolescente sensibile che disegna fumetti e ha foschi presagi del futuro), dove si può essere uccisi o accoltellati per qualsiasi motivo, dove il nome di Dio (di qualunque religione si tratti) viene nominato centinaia di volte al giorno, dove famiglie e clan si riuniscono per trattare tregue, dove il denaro sembra in grado di comprare ogni cosa, dove si vive nella paura o nella speranza, dove le barriere etniche e sociali si rivelano ogni giorno più insormontabili. Il film ha l'indubbio merito di mostrare le tensioni del conflitto israeliano-palestinese spogliandolo di ogni aspetto politico (e, in un certo senso, anche religioso) e riducendolo al rapporto fra i singoli individui, ai loro desideri e alle loro esigenze. Gli manca però un collante emotivo: le svolte narrative si succedono stancamente e si perde presto la voglia di seguirle, anche se l'interesse viene ravvivato nel finale dai colpi di scena.

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