4 luglio 2021

Taipei story (Edward Yang, 1985)

Taipei story (Qing mei zhu ma)
di Edward Yang – Taiwan 1985
con Tsai Chin, Hou Hsiao-hsien
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Visto in TV (RaiPlay), in originale con sottotitoli.

In una Taipei in rapido cambiamento, dove tutto sta modificandosi e spersonalizzandosi, una donna e un uomo si barcamenano nell'incertezza del futuro. Chin (Tsai), impiegata presso una grande azienda, lascia il proprio lavoro, prendendosi un momento di pausa, quando questa viene rivoluzionata dal nuovo management. Il suo fidanzato Lung (Hou), commerciante di stoffe, è in trattative per trasferirsi negli Stati Uniti, e la donna progetta di muoversi con lui: ma la decisione ritarda, anche perché l'uomo è prigioniero del proprio passato (quello nostalgico e glorioso, anche se trasfigurato dai ricordi, in cui era un giovane giocatore di baseball) e dei rapporti tradizionali di lealtà che lo legano agli amici e alla famiglia (come il dovere morale di ripagare i debiti del padre di lei). Il secondo lungometraggio di Yang, co-sceneggiato insieme al collega Hou Hsiao-hsien (che qui, cosa rara, recita anche come protagonista), è uno dei primi film importanti del Nuovo Cinema Taiwanese, di cui rappresenta quasi un'epitome: la messa in scena del malessere esistenziale di personaggi spersi nella contemporaneità, fra problemi personali ed economici, in una Taipei dominata dal traffico caotico e dalla vita moderna, dove il vecchio si ritrova di colpo a coesistere al fianco del nuovo (si costruiscono nuovi grattacieli, si fanno affari con i paesi stranieri) senza però che gli esseri umani abbiano imparato a convivere fra loro secondo le nuove regole o a mettere pace ed equilibrio nelle proprie anime. E nonostante una possibile fuga in America sia suggerita di continuo, alla fine si rimane a vivere (o a morire) a Taipei. Assai lento e meditativo, il film guarda ai suoi personaggi al tempo stesso con un certo distacco e con sincera partecipazione, attraverso un gusto quasi da cinema europeo (la Nouvelle Vague francese, ma anche Antonioni) abbinato alla lentezza tipicamente orientale (per esempio giapponese): gli stessi elementi che, ancor più raffinati, troveremo nel cinema dello stesso HHH e soprattutto di Tsai Ming-liang ("Vive l'amour").

2 commenti:

Marisa ha detto...

l'ho visto per caso, curiosando su Raiplay e l'ho trovato molto interessante e quasi profetico, visto l'anno in cui è stato girato.
Molto vero ed amaro il finale in cui il protagonista si rende conto che andare in America non risolve niente perché il sogno di poter ricominciare a farsi una vita (il sogno americano...)è completamente fuori tempo, visto che ormai l'America con il suo modello di vita consumistico ed alienante è arrivata dovunque.

Christian ha detto...

Ci sono dei momenti in cui gli artisti, e il cinema, percepiscono in modo lucido più degli altri i cambiamenti in atto... Per questo è importante, ogni tanto, trattare della quotidianità e del proprio vissuto: si scoprirà poi che si è parlato non solo di noi stessi ma dello "spirito del tempo".