18 luglio 2021

La guerra dei fiori rossi (Zhang Yuan, 2006)

La guerra dei fiori rossi (Kan shang qu hen mei)
di Zhang Yuan – Cina/Italia 2006
con Dong Bowen, Ning Yuanyuan
***

Visto in divx, alla Fogona.

In un asilo/convitto infantile a Pechino, negli anni quaranta, come metodo di valutazione le maestre assegnano (o tolgono) a ciascun bambino dei “fiorellini rossi” a seconda dei compiti portati a termine (come imparare a vestirsi da soli o fare i bisogni) o delle disubbidienze e le marachelle. Il piccolo Qiangqiang, nuovo arrivato di soli quattro anni, si rivela subito un alunno difficile: all'inizio sperso, spaventato e piagnucoloso, acquista man mano confidenza ma rimane sempre un ribelle, indisciplinato e anticonformista. Il film, dalla struttura episodica, lo segue nelle sue monellerie, nella relazione con i compagni di classe, nei giochi e nei dispetti, nei tentativi di fuga e di ribellione contro le maestre. A prima vista un semplice e delicato ritratto dell'età infantile, osservata “a misura di bambino” e senza mai preoccuparsi di dare giudizi morali (o paternalistici) o edulcorarne gli aspetti, attraverso storie minime e toni leggeri (indimenticabili le torme di infanti che scorrazzano nei corridoi seminudi e col sedere al vento), il film è anche una critica trasparente a una società e un sistema educativo che “inquadra” sin da piccoli attraverso regole, premi e punizioni (significativo il parallelo con i soldati dell'esercito, la cui marcia e il cui saluto militare viene scimmiottato dai bambini mentre passano loro accanto). Come in simili pellicole iraniane (si pensi a certi lavori di Kiarostami), il punto di vista non è mai quello degli adulti o delle maestre, il che rende la visione incredibilmente “pura” e astratta. Pur più piccolo di età, Qiangqiang è quasi un parente dell'Antoine Doinel dei “Quattrocento colpi” o dei protagonisti dello “Zero in condotta” di Jean Vigo: non certo più buono o più bravo degli altri bambini (anzi, proprio il contrario), ma dotato di una vitalità e di un'energia che è impossibile tenere a freno, in particolar modo perché collocato a forza in un ambiente e un contesto che gli vanno male a genio, lui “piccolo ribelle” così poco incline al conformismo e all'andare incontro ai desideri altrui. Ottima (e minimalista) la confezione. Tratto da un romanzo semi-autobiografico di Wang Shuo, il film è una coproduzione italo-cinese (italiani sono per esempio il montatore e l'autore della colonna sonora).

2 commenti:

Marisa ha detto...

Un film che dovrebbero vedere tutti gli "educatori"...
Simpaticissimo il piccolo che riesce, nonostante tutto, a non far uccidere il proprio istinto di autonomia.
Purtroppo, quando si cambia metodo, come sta avvenendo attualmente, si rischia di esagerare nell'altro senso e di lasciare i bambini completamente in balia dei propri impulsi, senza nessuna educazione al controllo e al rispetto degli altri...

Christian ha detto...

È quasi una versione più infantile (il bambino ha solo quattro anni!) di "Zero in condotta" di Vigo!