20 luglio 2021

Carandiru (Héctor Babenco, 2003)

Carandiru (id.)
di Héctor Babenco – Brasile 2003
con Luiz Carlos Vasconcelos, Milton Gonçalves
***1/2

Visto in divx, alla Fogona, con Marisa.

Nel carcere di Carandiru (dal nome del quartiere di San Paolo in cui sorge), affollatissima prigione che ospita quasi ottomila criminali di vario genere (oltre il doppio rispetto alla capienza prevista), i detenuti hanno dato origine a un microcosmo che si gestisce quasi da solo, fissando regole (con un proprio codice d'onore) ed elargendo punizioni, con il benestare implicito del direttore, che tollera anche i vari commerci clandestini e illegali all'interno delle celle. Un giovane medico (Vasconcelos), giunto in servizio volontario nell'istituto per attuare un programma di prevenzione dell'AIDS, raccoglie storie e testimonianze della vita in carcere da parte dei vari prigionieri, appena prima che una rivolta nata quasi casualmente e in maniera estemporanea venga sedata con cruenza dalle forze speciali di polizia (con 111 detenuti uccisi, spesso a sangue freddo). Ispirato ad eventi reali raccontati nel libro autobiografico di Drauzio Varella (un medico che ha servito nel carcere dal 1989 al 2002, quando l'edificio è stato definitivamente chiuso e demolito), un film corale ad ampio respiro, ricco, energetico, colorato e intenso, con cui Babenco – come suo solito – stempera storie drammatiche e situazioni di disagio, emarginazione e discriminazione con una forte attenzione all'aspetto umano dei protagonisti, anche quando si tratta di delinquenti, ladri e assassini. Le numerose storie che racconta (anche attraverso flashback che ci mostrano i retroscena avvenuti prima dell'ingresso in prigione) sono accattivanti, simpatiche, memorabili, a volte allegre e a volte tristi (un mix tipicamente brasiliano): fra queste spiccano quella di "Negro" (Ivan de Almeida), rapinatore che diventa il leader riconosciuto dei detenuti all'interno della prigione, con un'autorità pari a quella delle guardie; di "Spada"/Peixeira (Milhem Cortaz), killer spietato colto da crisi mistica; dei due fratelli adottivi Deusdete (Caio Blat) e Zico (Wagner Moura), cresciuti insieme fin da piccoli ma con finale tragico; del simpatico Majestade, che si barcamena a fatica fra due mogli (Maria Luisa Mendonça e Aida Leiner); di "Che sfiga/Sem chance" (Gero Camilo), assistente del dottore che si innamora del transessuale Lady Di (Rodrigo Santoro); e altre ancora. Stupisce la cura e l'affetto con cui vengono ritratti i vari personaggi, di cui si mostra tutta l'umanità (che traspare dai loro rapporti, dalle amicizie, ma anche dai rancori e dalle vendette personali), per esempio durante la giornata dedicata alle visite dei famigliari, pur senza negare o edulcorare le loro colpe, facendoci affezionare a loro al punto da soffrire e indignarci quando nel finale assistiamo al massacro da parte delle forze speciali (i poliziotti non ci sembrano meno criminali delle loro vittime, anzi). Personaggi, temi e ambientazione, nella loro fusione di neorealismo, semi-documentarismo e denuncia sociale e politica (senza ipocrisia o retorica), ricordano ovviamente anche i film precedenti di Babenco, in particolare "Pixote" e "Il bacio della donna ragno".

2 commenti:

Ismaele ha detto...

gran film, Babenco è davvero bravo (non solo nei film in carcere, dove comunque è un maestro)

Carandiru vs_Santa Maria Capua Vetere?


https://markx7.blogspot.com/2020/07/carandiru-hector-babenco.html

Christian ha detto...

È vero, Babenco è un grandissimo regista (oggi ingiustamente un po' dimenticato!)

Al parallelo con Santa Maria Capua Vetere ci ho pensato anch'io, guardando il film. Per fortuna da noi non è stato un massacro di tale livello, però è comunque indicativo dell'atteggiamento che si ha verso le prigioni (fossero tutti come il direttore o il medico di questo film!)...