13 marzo 2021

Il favoloso mondo di Amélie (J.P. Jeunet, 2001)

Il favoloso mondo di Amélie (Le fabuleux destin d'Amélie Poulain)
di Jean-Pierre Jeunet – Francia 2001
con Audrey Tautou, Mathieu Kassovitz
***

Rivisto in TV (Prime Video), con Sabrina.

Sognatrice e introversa, Amélie (Audrey Tautou) lavora come cameriera in un bar di Montmartre (il Café des 2 moulins) e ama viaggiare con la fantasia. Un giorno, dopo aver rinvenuto per caso la "scatola dei ricordi" che un bambino aveva nascosto nel suo appartamento quarant'anni prima, decide di restituirla anonimamente all'uomo ormai cresciuto. E la sua stupefacente reazione la spinge a dedicarsi a migliorare la vita delle persone che la circondano (compresi i colleghi di lavoro e gli abitanti del quartiere), riempiendoli di meraviglie e bizzarrie come una sorta di angelo custode. Ma nel contempo trascura la propria sfera sentimentale, scoprendosi incapace per timidezza di farsi avanti con il ragazzo di cui è innamorata, Nino (Mathieu Kassovitz), sognatore ed eccentrico quasi quanto lei... Il quarto (e più famoso) film di Jeunet, sceneggiato insieme a Guillaume Laurant, è stato uno straordinario successo di pubblico e di critica (anche se inizialmente fu rifiutato dal festival di Cannes), tanto da diventare una pellicola citatissima e memorabile anche per chi non l'ha mai vista (non da ultimo perché ha fatto incredibilmente presa sui "creativi" della pubblicità, che ne hanno saccheggiato a più riprese, quasi fino alla nausea, le idee, i temi, le atmosfere, le immagini, e ovviamente la musica). Non posso non riconoscere che si tratta di un bel film, ricco e con parecchi punti di forza, nonostante di fondo sia parecchio melenso, privo di una vera tensione, dai toni fiabeschi e irrealistici, con personaggi macchiettistici e una filosofia banalotta e superficiale (il "gusto particolare per i piccoli piaceri"). Il vero fattore che però gli impedisce di conquistarmi fino in fondo (a differenza della maggior parte del pubblico, che l'ha amato incondizionatamente) è connaturato allo stile di Jeunet. Nel film c'è dentro tanto, troppo: io amo più il cinema di sottrazione, dove ogni elemento ha la sua specifica ragion d'essere, mentre qui siamo nel campo dell'abbondanza (di storie, di personaggi, di immagini), tanto che se si togliesse qualcosa o lo si sostituisse con qualcos'altro, in fondo non cambierebbe nulla.

Detto questo, veniamo ai (numerosi) pregi. Dal punto di vista formale, il film è sinceramente iconico: la fotografia ipersatura e coloratissima di Bruno Delbonnel, che trasfigura Montmartre e l'intera Parigi in un libro di fiabe illustrato (coadiuvata da occasionali effetti speciali che animano oggetti o aggiungono elementi fantastici, ad amplificare l'idea delle "bizzarrie del quotidiano" che ci circondano in continuazione, come in fondo faceva anche "Magnolia"); la recitazione della Tautou, che dà vita a un personaggio tenero e curioso, che sguazza nel suo mondo fantastico con simpatia e (sporadiche) rotture della quarta parete, mentre le sue avventure ci sono commentate da una voce narrante che ogni tanto si premura di citarci strani aneddoti e, soprattutto, di elencarci i piccoli piaceri e le idiosincrasie private di lei e degli altri personaggi (un parallelo con la canzone "My favorite things" del musical "Tutti insieme appassionatamente", altro cavallo di battaglia recente dei pubblicitari); e naturalmente la musica di Yann Tiersen, autore di una colonna sonora molto bella e anzi direi fondamentale per l'atmosfera generale della pellicola, con le sue sonorità a base di piano e fisarmonica (ma non solo). Fra le "imprese" di Amélie spiccano: il giro per il mondo del nano da giardino del padre (Rufus), con tanto di fotografie spedite da ogni angolo del pianeta, che stimoleranno l'anziano genitore a uscire dal proprio guscio e a viaggiare a sua volta; lo spingere due dei frequentatori del caffé (Dominique Pinon, habitué del regista, e Isabelle Nanty) l'uno nelle braccia dell'altra; il penetrare di nascosto nella casa di uno sgarbato fruttivendolo per modificarne impercettibilmente il contenuto (una vera e propria tecnica di gaslighting, simile a quanto faceva Faye Wong in "Hong Kong Express"); e l'aiutare Nino, che colleziona fototessera scartate, a svelare l'enigma del misterioso uomo che scatta e getta via le proprie presso ogni macchinetta della città. Nel cast anche Serge Merlin (il vecchio pittore che riproduce sempre lo stesso quadro), Jamel Debbouze (l'aiutante del fruttivendolo), Clotilde Mollet, Claire Maurier. Curiosità: la prima scelta per il ruolo della protagonista era Emily Watson.

2 commenti:

Jean Jacques ha detto...

Io invece ho una mia teoria...
Se ci fai caso, quando si avvicina alle cose più spiacevoli (il barbone nel treno, il funerale di una delle tizie che cerca, la telefonata al negozio porno) la telecamera diventa tutta traballante, così come è alla fine, quando va in bicicletta con Nino.
Forse il messaggio è anche quello di non vivere nelle fantasie, ma accettare la realtà che, anche nel brutto, sa riservare cose belle.

Christian ha detto...

Non l'avevo notato. Personalmente non è il mio genere di film, ricordo che già alla prima visione mi infastidì con il suo stile melenso e finto-retrò.
Sul tema del "piacere delle piccole cose" ho apprezzato molto di più, per esempio, "Paterson" di Jim Jarmusch, meno manierista e più intimo.