15 marzo 2021

C'era una volta un merlo canterino (O. Iosseliani, 1970)

C'era una volta un merlo canterino (Iko shashvi mgalobeli)
di Otar Iosseliani – URSS 1970
con Gela Kandelaki, Jansug Kakhidze
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Visto in divx.

Il musicista Gia (Gela Kandelaki), percussionista in un'orchestra sinfonica di Tbilisi, non riesce a combinare o a portare a termine mai niente, pur essendo impegnato in mille attività. Pieno di amici (e di amiche!) e di interessi, è uno spirito libero, curioso e irrequieto, che vive alla giornata e si distrae facilmente, che contempla la natura e osserva le professioni di coloro che gli stanno intorno, che giunge sempre in ritardo alle prove dell'orchestra (ma comunque al momento giusto per suonare la propria parte, facendo infuriare il direttore), che dà appuntamenti agli amici o alle ragazze per poi dimenticarsene, e che è letteralmente un ingranaggio fuori posto all'interno di un meccanismo ben oliato (qualche critico ci ha letto una velata critica al sistema sociale e produttivo dell'Unione Sovietica), del tutto inaffidabile e non allineato, anche se "non per dogmatismo o per volontà ma per carattere". Il secondo lungometraggio di Iosseliani è un film leggero e svagato come il suo protagonista, che la macchina da presa segue nei suoi spostamenti, nelle sue attività e nelle sue osservazioni, cogliendo l'attimo per mostrarci la vita quotidiana e lavorativa degli abitanti della città (fra gli amici e i conoscenti di Gia figurano musicisti, artigiani, medici, biologi...), quasi in una versione attualizzata (e non più spersonalizzata) de "L'uomo con la macchina da presa" di Vertov. La leggerezza di fondo fa pensare al cinema francese, ad alcune cose di Truffaut (anticipa per certi versi "L'uomo che amava le donne") o addirittura di Tati: ma il finale tragico è preannunciato a più riprese, con Gia che "sfiora" numerosi incidenti (il vaso di fiori che cade, la botola che si apre sul palcoscenico), prima di essere investito da un'automobile nel finale. Morto lui, l'ingranaggio (come suggerisce la scena finale dell'orologiaio) potrà essere rimesso in moto, e il tempo e le scadenze verranno finalmente rispettate. Potrebbe sembrare che la sua vita sia trascorsa senza lasciare traccia, ma non è così: di lui rimangono cose piccole ma importanti, come il chiodo piantato alla parete per permettere all'amico di appendere il cappello. La sceneggiatura potrebbe essere in parte autobiografica, visto che Iosseliani, prima di dedicarsi al cinema, ha studiato musica proprio al conservatorio di Tbilisi, diplomandosi in pianoforte, in composizione e in direzione d'orchestra.

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