24 novembre 2020

L'isola di ferro (Mohammad Rasoulof, 2005)

L'isola di ferro (Jazireh ahani)
di Mohammad Rasoulof – Iran 2005
con Ali Nassirian, Hossein Farzi-Zadeh
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Visto in divx, in originale con sottotitoli.

Una gigantesca petroliera in disuso, arrugginita e ancorata al largo della costa meridionale dell'Iran, ospita una vasta comunità di profughi sunniti. È come una comune o un piccolo villaggio galleggiante, con tanto di scuola e fattorie, autosufficiente e completa di dinamiche sociali (matrimoni, nascite, morti). A gestire tutto è il capitano Nemat (Ali Nassirian), che distribuisce e organizza i lavori, mantiene l'ordine, riscuote gli "affitti", tiene i conti e coordina le diverse attività, come la periodica vendita clandestina delle parti d'acciaio della nave o dei barili di petrolio che ancora si riescono a pompare dalla stiva. Fra i problemi cui deve far fronte ci sono le vicissitudini di Ahmad (Hossein Farzi-Zadeh), il suo giovane aiutante e "addetto alle comunicazioni", innamorato di una ragazza (Neda Pakdaman) con cui si scambia messaggi contro il volere del padre di lei; le preoccupazioni del maestro della scuola, che avverte che lo scafo sta lentamente affondando, ogni giorno di più; e soprattutto l'invito ad evacuare la nave, destinata alla demolizione dalla compagnia proprietaria. Alla fine, come un novello Mosé, il capitano guiderà i passeggeri in un esodo sulla terraferma, verso la "terra promessa", in una regione arida e polverosa ("Qui costruiremo una città": ma l'ultima scena mostra un bambino che sente il richiamo del mare – e della libertà – e si tuffa). Il secondo lungometraggio di Rasoulof funziona a più livelli: come racconto corale (con numerosi e variopinti personaggi ben caratterizzati con pochi tratti: dal bambino che pesca i pesci nella stiva allagata, per poi rigettarli in mare, al vecchio che scruta costantemente il cielo in attesa di qualcosa di misterioso, dal giovane in sedia a rotelle che gestisce l'ascensore lungo lo scafo, al maestro che si fabbrica i gessetti per la lavagna con le cartucce di vecchie pallottole come stampi), come fotografia delle dinamiche sociali e culturali (la ragazza costretta a sottomettersi alla volontà del padre, e in generale il conflitto fra autocrazia e libertà evidente anche nel rapporto fra il capitano e il giovane Ahmad), come allegoria dell'isolamento delle comunità e delle minoranze (con la diffidenza per ciò che viene dall'esterno, comune in fondo all'intera nazione: significativa la scena in cui i ragazzi vengono puniti perché hanno cercato di guardare canali televisivi stranieri via satellite), come metafora del cambiamento che schiaccia le realtà più povere e rurali (la vendita della nave), come ritratto della capacità di arrangiarsi e reinventarsi sfruttando ogni risorsa a disposizione, come immagine del conflitto fra materialismo e umanesimo. Grazie anche a ottime interpretazioni e all'originale ambientazione, la solida regia alterna un pragmatico realismo a suggestioni simboliche e allegoriche. Tratto da una pièce teatrale scritta dieci anni prima dallo stesso regista, è stato girato presso il porto di Bandar Abbas, sulla costa iraniana del Golfo Persico.

2 commenti:

Ismaele ha detto...

ho visto 4 o 5 film di Mohammad Rasoulof

è un regista di serie A, sconosciuto da noi

https://markx7.blogspot.com/2013/05/lisola-di-ferro-jazireh-ahani-mohammad.html

Christian ha detto...

Io non ho visto ancora nient'altro di suo, ma lo farò sicuramente! Mi sembra un regista molto interessante, e poi il cinema iraniano (anche quello "clandestino", vedi Jafar Panahi) regala sempre delle gemme.