5 novembre 2020

Borat 2 (Jason Woliner, 2020)

Borat - Seguito di film cinema. Consegna di portentosa bustarella a regime americano per beneficio di fu gloriosa nazione di Kazakistan
(Borat Subsequent Moviefilm: Delivery of Prodigious Bribe to American Regime for Make Benefit Once Glorious Nation of Kazakhstan)
di Jason Woliner – USA 2020
con Sacha Baron Cohen, Marija Bakalova
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Visto in TV (Prime Video), con Sabrina.

Dopo quattordici anni (trascorsi ai lavori forzati per aver disonorato l'immagine del Kazakistan con il suo film precedente), Borat Sagdiyev viene nuovamente inviato negli Stati Uniti d'America: questa volta non per fare un reportage, ma per consegnare un "dono" agli uomini della cerchia ristretta del presidente Trump (dapprima il suo vice Michael Pence, e poi l'avvocato Rudy Giuliani) e far entrare così il presidente kazako nelle sue grazie. Tale dono avrebbe dovuto essere "Johnny la scimmia", ma Tutar (Bakalova), la figlia di Borat, si sostituisce all'animale: e sarà dunque la ragazza ad accompagnare il protagonista nel suo viaggio. Distribuito in streaming in tempo di pandemia, il canovaccio è lo stesso del film precedente: un collage di "candid camera" in cui il finto giornalista kazako stuzzica individui e gruppi di persone con il suo comportamento offensivo e politicamente scorretto (è oltraggioso, razzista, maschilista). Problema: il personaggio di Borat e le sue fattezze sono ormai ben noti al grande pubblico (come lo stesso film fa notare), e dunque Sacha Baron Cohen deve ricorrere a ulteriori travestimenti per non farsi riconoscere, mandando avanti in qualche occasione la "figlia" a seminare scompiglio fra la gente. Inoltre, nella pellicola originale la continua presenza delle telecamere era giustificata perché si diceva che si stava girando un documentario per la tv kazaka, mentre stavolta è difficile considerare plausibile la ripresa delle scene (anche da più angolature). In alcuni casi (vedi l'episodio con Giuliani nella camera d'albergo) erano presenti telecamere nascoste o addirittura telefonini, ma in altri? Più schierato politicamente del precedente, il film fa complessivamente meno ridere, forse perché la spalla è meno indovinata ma soprattutto perché le reazioni della gente paiono più anestetizzate (se le provocazioni sono fin troppo scoperte, le idee assurde di Borat cadono nel vuoto o vengono addirittura condivise da chi gli sta di fronte), con un finale che – a parte il twist sull'origine del coronavirus, degno de "I soliti sospetti" – è all'insegna della mutata sensibilità sociale nell'epoca del #MeToo. Memorabili comunque alcune sequenze (la visita nella clinica antiabortista, la "danza della fertilità" al ballo delle debuttanti, l'irruzione al comizio di Pence con Borat travestito da Trump) e la descrizione – praticamente documentaristica – di certi ambienti della profonda provincia americana (come la "fiera" dei negazionisti del Covid). Fra le curiosità: scopriamo che il secondo nome di Borat è Margaret. A differenza del primo film, stavolta il titolo italiano è sgrammaticato come l'originale.

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