26 ottobre 2020

La stanza delle meraviglie (T. Haynes, 2017)

La stanza delle meraviglie (Wonderstruck)
di Todd Haynes – USA 2017
con Oakes Fegley, Julianne Moore
*1/2

Visto in TV.

Nel 1977, il piccolo Ben (Oakes Fegley) fugge dall'ospedale del Minnesota dov'era ricoverato dopo essere stato colpito da un fulmine (che gli ha tolto l'udito) e si reca a New York alla ricerca del padre, di cui non sa nulla. Nel 1927, una bambina sorda, Rose (Millicent Simmonds), fugge a sua volta dalla sua casa nel New Jersey per raggiungere la madre (Julianne Moore), attrice teatrale e cinematografica. Le due vicende, con parecchi punti in comune, vengono narrate in parallelo: entrambi i bambini finiranno al museo di storia naturale della città, vivendo esperienze simili... Da un romanzo illustrato di Brian Selznick (lo stesso autore de "La straordinaria invenzione di Hugo Cabret"), un doppio racconto di crescita e di formazione che Haynes porta sullo schermo in maniera assolutamente piatta. La struttura rigida, i dialoghi poco naturali, la retorica e la trama generalmente poco interessante concorrono nel generare un risultato dimenticabile, un film che si prosegue a guardare più per sfinimento che per curiosità, in attesa di una risoluzione che si rivela peraltro tutt'altro che sconvolgente. Ciò che probabilmente risultava suggestivo sulle pagine disegnate perde quasi del tutto valore in una pellicola schematica che si limita a tracciare un parallelo fra i percorsi dei due bambini (che hanno in comune la sordità e la ricerca di un genitore, oltre all'esplorazione di una città – e di un museo – a loro estranea). L'unico spunto degno di nota è il rimando fra le vicende di Rose e il cinema muto (il suo segmento è girato in bianco e nero e, essendo raccontato dal punto di vista della bambina, senza dialoghi udibili). Sinceramente trovo Haynes uno dei registi più noiosi in assoluto, per lo stile, il modo di narrare e quello di costruire i personaggi. E se mi hanno annoiato i suoi lavori più apprezzati ed elogiati dalla critica (come "Carol" e "Io non sono qui"), figuriamoci questo, un mezzo flop passato abbastanza inosservato. Il titolo, del tutto pretestuoso, si riferisce alle cosiddette "Wunderkammer", collezioni private e antenate dei moderni musei. Come in "Hugo Cabret", c'è qualche esile collegamento con personaggi o eventi reali (per esempio, nel finale, con il celebre blackout di New York del 1977).

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