21 ottobre 2020

Arirang (Kim Ki-duk, 2011)

Arirang (id.)
di Kim Ki-duk – Corea del Sud 2011
con Kim Ki-duk
***

Visto in DVD, in originale con sottotitoli.

In seguito a una profonda crisi artistica e personale, ma anche per lo shock dovuto a un incidente capitato sul set del suo precedente film, "Dream" (in cui l'attrice Lee Na-young aveva rischiato di morire impiccata), il regista Kim Ki-duk si è ritirato a vivere come un eremita in una tenda dentro una baracca in montagna, isolato da tutto e da tutti. Qui trascorre le giornate a spaccare legna, a sciogliere la neve, a mangiare frutta o cibo istantaneo, senza contatti con nessuno, e in compagnia soltanto di un gatto. Ma pian piano, con una videocamera, comincia a riprendere sé stesso, auto-intervistandosi in una sorta di confessione "come regista e come essere umano". A metà fra il documentario, il cinema-verità e la finzione metacinematografica (che in qualche modo ricorda "This is not a film" di Jafar Panahi, altro regista costretto all'isolamento ma per tutt'altri motivi), questo insolito film è un modo con cui Kim prova a spiegare al mondo (e a sé stesso) i motivi della sua assenza dalle scene per tre anni (dal 2008 al 2011), dopo che in precedenza aveva sfornato pellicole a getto continuo, non senza lasciare perplessi per la qualità dei suoi ultimi lavori, sempre più esili e tirati via. In effetti proprio Kim ammette che lavorava troppo e in fretta, che girare film era diventato per lui un meccanismo perverso di cui non poteva più fare a meno, e che l'incidente capitato sul set lo ha portato a ripensare tutta la sua esperienza. In una lunga seduta di auto-analisi in cui conversa con sé stesso (o con la propria ombra), il regista parla di cinema, dei propri film, della vita e della morte, lamenta l'abbandono (o il "tradimento") da parte dei suoi assistenti (finiti a lavorare per case di produzione commerciali), traccia un bilancio esistenziale e professionale, e lancia un grido di disagio (espresso attraverso la canzone tradizionale "Arirang"). Pur mostrando essenzialmente un solo personaggio che conversa con sé stesso, il film non è mai noioso e anzi è altamente interessante, una grande lezione di cinema che spiega meglio di mille documentari cosa è la settima arte e come si intreccia con il concetto di verità. Nell'esprimere la struggente necessità di girare un film "per dimostrare di essere ancora un regista", Kim varca costantemente il confine fra documentario e film drammatico (si pensi al finale "kitaniano", in cui il protagonista si fabbrica una pistola e scende in città per compiere la sua vendetta, calandosi nel ruolo fittizio del gangster). Pellicola importante, segna l'inizio di una nuova fase creativa per il regista coreano, che lo porterà al Leone d'Oro a Venezia nel 2012 con "Pietà", ma è anche un compendio di tutto il suo cinema e una riflessione sulla sua vita precedente: in una sequenza Kim si commuove guardando una sequenza di "Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera", in un'altra compaiono le locandine di tutti i suoi film passati, e nel finale vengono mostrati i quadri da lui dipinti in Francia e numerose foto sue e del set dei suoi lavori. Curiosità: la popolare canzone "Arirang" (risalente a oltre 600 anni fa!) aveva già ispirato e dato il titolo a un film muto del 1926, una delle prime influenti pellicole del cinema coreano (oggi purtroppo considerata perduta).

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