29 ottobre 2020

24 city (Jia Zhangke, 2008)

24 city (Er shi si cheng ji)
di Jia Zhangke – Cina 2008
con Joan Chen, Lü Liping, Zhao Tao
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Visto in divx, in originale con sottotitoli inglesi.

Per oltre cinquant'anni la città di Chengdu ha ospitato la "fabbrica 420", un enorme stabilimento siderurgico di stato per la produzione di componenti per l'aeronautica. Ora la fabbrica è stata chiusa e sta per essere smantellata per erigere al suo posto un moderno complesso residenziale e commerciale (chiamato "24 city", appunto). In un incrocio fra documentario e finzione (ci sono infatti interviste reali e altre inscenate con attori), Jia Zhangke lascia la parola e diverse persone che hanno gravitato intorno allo stabilimento: anziani operai che vi hanno lavorato per molti anni, che ricordano il traumatico trasferimento da altre regioni della Cina (per ordine del governo), i rapporti con le famiglie e i colleghi di lavoro, nonché la vita in quello che era un vero e proprio microcosmo, separato dal resto della città (la fabbrica era talmente grande da avere al suo interno delle scuole per i figli di chi vi lavorava!); ma anche le nuove generazioni, che faticano a concepire le difficili condizioni in cui vivevano i loro genitori. Nel frattempo, infatti, il mondo è cambiato e la Cina si sta trasformando: l'ottima regia di Jia, attenta come sempre alle persone e al loro ambiente, ce ne dà una testimonianza preziosa e suggestiva, arricchendo l'esperienza dello spettatore con immagini e panoramiche della città e della fabbrica ormai dismessa, accompagnandole con musiche moderne o canzoni d'epoca (fra cui "The killer" di Sally Yeh, che il regista riutilizzerà ampiamente ne "I figli del fiume giallo", e "The Outside World" di Chyi Chin). La pellicola non dice apertamente che cosa sia vero e che cosa inscenato, a meno che non si riconoscano gli attori (fra questi Joan Chen, nel ruolo di un'operaia soprannominata "Little flower" per la sua somiglianza con il personaggio interpretato dalla stessa Chen, da giovane, in un film del 1979; e Zhao Tao, musa onnipresente nei lavori del regista cinese). La prima inquadratura del film, che mostra gli operai che entrano in bici nella fabbrica, è un evidente rimando – ma a ritroso – a quello che è considerato (per convenzione) il primo film della storia del cinema, "L'uscita dalle fabbriche Lumière".

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