2 luglio 2020

Il Cristo proibito (Curzio Malaparte, 1951)

Il Cristo proibito
di Curzio Malaparte – Italia 1951
con Raf Vallone, Alain Cuny
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Visto su YouTube.

Alla fine della seconda guerra mondiale, liberato da un campo di prigionia in Russia, Bruno (Raf Vallone, doppiato da Emilio Cigoli) fa ritorno nel suo paese di origine nella campagna toscana. Qui scopre che tutti, concluse le tragedie della guerra, vogliono solo dimenticare e andare avanti. Lui invece è rimasto con un conto in sospeso: intende vendicare il fratello Giulio, partigiano fucilato dai tedeschi, uccidendo l'abitante del villaggio (di cui ignora l'identità) che lo ha tradito e consegnato al nemico. L'unico film mai diretto dallo scrittore Curzio Malaparte è un oggetto strano, dallo stile post-neorealista e pre-pasoliniano. Più che la forma, però, furono i contenuti a fare scalpore: la guerra era ancora fresca nella memoria di tutti, e la tesi che bisognasse chiudere i conti con il passato non venne accolta nel migliore dei modi, specialmente quando alla domanda "Di chi è la colpa?" si risponde "È anche colpa nostra, è colpa di tutti". Nella sua ricerca ossessiva di giustizia, Bruno si scontra non soltanto con amici e parenti – la madre (Rina Morelli), la servetta Maria (Anna Maria Ferrero), l'amica d'infanzia Nella (Elena Varzi) – che rifiutano di rivelargli il nome del traditore, ma soprattutto con il carpentiere del villaggio, Mastro Antonio (Alain Cuny), figura ascetica che predica la necessità del sacrificio di un innocente per espiare le colpe collettive e uscire così dalla spirale infinita di odio e vendetta. È lui "il Cristo proibito" del titolo, un riferimento alle parole del sindacalista (Gino Cervi) che invece nega questa possibilità ("Oggi nessuno vuole più soffrire per gli altri, agli uomini è proibito ripetere il sacrificio del Cristo") e cerca di dimostrarlo durante la processione nel villaggio, quando invita gli abitanti a farsi mettere letteralmente in croce "per la salvezza del mondo", sbeffeggiando la loro ritrosia. Se gli argomenti sono dunque di attualità, come il tema della riappacificazione e della necessità di chiudere i conti con il passato (dopo un periodo in cui tutti hanno vissuto traumi di vario genere), il film presenta anche aspetti universali, archetipici (il capro espiatorio) o esistenziali ("Neppure la libertà è riuscita a fare di noi degli uomini liberi, e felici") ed è ambientato in un mondo al tempo stesso vecchio e moderno, dove convivono un'antica cultura contadina, le tradizioni famigliari, le cerimonie religiose, le feste rurali, le rivendicazioni dei lavoratori (si pensi al partecipante alla processione con il mascherone e la tuta della Pirelli) e le tante contraddizioni e i segreti nascosti dell'Italia post-bellica (il negoziante con il ritratto di Stalin in bella vista e quello di Mussolini nascosto dietro un'anta). Bellissimi paesaggi e scenari: la pellicola è stata girata in provincia di Siena, a Sarteano e (soprattutto) a Montepulciano. Oltre a soggetto, sceneggiatura e regia, Malaparte firma anche il commento musicale.

2 commenti:

Marisa ha detto...

Peccato che sia stato "rimosso", come del resto quasi tutta l'opera di Malaparte, personaggio in realtà molto interessante, anche se contraddittorio e qualche volta sopra le righe-
Questo film, come hai rilevato, è sicuramente degno di essere ripensato soprattutto per l'allargamento culturale e archetipico che propone.
Va infatti al di là del semplice neorealismo.

Christian ha detto...

È un film diverso da molti suoi contemporanei, bellissimo formalmente ma che dice cose scomode (come la necessità di chiudere i conti col passato e andare finalmente avanti, in un momento storico in cui dirlo poteva sembrare voler dimenticare o condonare le colpe del fascismo e della guerra).