4 luglio 2020

The forest of love (Sion Sono, 2019)

The forest of love (Ai-naki mori de sakebe)
di Sion Sono – Giappone 2019
con Eri Kamataki, Kippei Shiina
**1/2

Visto in TV (Netflix), in originale con sottotitoli.

Joe Murata (Kippei Shiina) è un affascinante e spregiudicato truffatore, che millanta professioni diverse (da cantautore ad agente della CIA!) e ha la capacità di sedurre ogni donna e plagiare ogni uomo. A cadere fra le sue braccia ci sono Mitsuko (Eri Kamataki) e Taeko (Kyoko Hinami), ex compagne di classe del liceo, le cui vite hanno preso strade diverse dopo una tragedia che le segnò durante l'ultimo anno di scuola. La morte in un incidente di Eiko, che avrebbe dovuto interpretare Romeo in una recita scolastica (dove Mitsuko sarebbe stata Giulietta, e Taeko la regista), ha spinto la prima a chiudersi completamente in sé stessa, isolandosi nella propria stanza con l'unica compagnia del fantasma dell'amica defunta; e la seconda a darsi a una vita punk e sregolata. Il fascino di Murata conquista anche tre giovani cineamatori – Shin (Shinnosuke Mitsushima), Jay (Young Dais) e Fukami (Dai Hasegawa) – che decidono di girare un film ispirato proprio a lui, sospettato fra l'altro di essere quel serial killer che semina di vittime i boschi circostanti. Il nutrito roster di personaggi comprende anche la sorella minore di Mitsuko, Ami (Yuzuka Nakaya), e i suoi genitori (Denden e Sei Matobu). Lunga ed eccentrica black comedy dalla struttura episodica, bizzarra ed estrema come Sion Sono ci ha da tempo abituato, che conduce lo spettatore in un labirinto di false piste per poi sorprenderlo con svolte inaspettate. I temi cari al regista giapponese ci sono tutti: famiglie disfunzionali, personaggi stravaganti, dinamiche relazionali contorte e asimmetriche, sesso e perversioni, sadomasochismo, torture, suicidi, omicidi, sette e lavaggio del cervello, un atteggiamento disincantato verso la morte, la violenza, la "purezza" e la verginità, apparizioni soprannaturali, traumi del passato, riflessioni metacinematografiche, narrazione decostruita con numerosi flashback, la follia che prende il sopravvento man mano che si perde il contatto con la realtà. Durante la visione sembra spesso di smarrire il focus della storia (non è nemmeno chiaro chi debba esserne il protagonista: Mitsuko? Taeko? Shin? O addirittura Murata?), prima di un finale chiarificatore che pure ribalta completamente le carte in tavola e capovolge molte delle certezze acquisite. La sceneggiatura è ispirata a una serie di veri delitti (quelli di Futoshi Matsunaga) commessi in Giappone alla fine degli anni Novanta: ma per il regista si tratta solo di uno spunto da cui partire per la tangente, visto che le imprese del serial killer rimangono quasi sempre sullo sfondo. A suo modo una pellicola memorabile, che può certo sconcertare (e che rispetto ad altri lavori di Sono è forse meno compiuta e convincente), ma che non annoia mai e che colpisce anche per la ricchezza visiva, la bellezza della fotografia e la cura della regia. Da ricordare le modalità con cui le persone plagiate si sbarazzano dei cadaveri (facendoli a pezzi in maniera certosina): ma il personaggio stesso di Joe Murata, con la sua faccia tosta e l'incredibile fascino manipolatore, è forse l'elemento più riuscito di una storia che si dipana in un crescendo sempre più estremo, grottesco ed esagerato. Nella colonna sonora spiccano il Canone di Pachelbel (trasformato in canzone d'amore adolescenziale) e l'Adagietto dalla quinta sinfonia di Mahler, entrambi già usati dal regista in opere precedenti. Oltre al film, Sion Sono ha firmato anche una versione estesa (lunga quasi il doppio), "The forest of love - Deep cut", sotto forma di miniserie televisiva in sette episodi.

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