25 luglio 2020

A river called Titas (Ritwik Ghatak, 1973)

A river called Titas (Titash ekti nadir naam)
di Ritwik Ghatak – Bangladesh/India 1973
con Rosy Samad, Kabori Sarwar
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Visto in TV (RaiPlay), in originale con sottotitoli.

È uno dei primi (e più importanti) film bangladesi ad aver raggiunto la notorietà internazionale, poco dopo l'indipendenza del paese nel 1971. Sulle sponde del fiume Titas si dipanano nel corso degli anni le storie di diversi personaggi, per lo più abitanti dei villaggi di pescatori che proprio al grande fiume devono la loro sopravvivenza, venerandolo e utilizzandolo anche per le loro cerimonie (dai matrimoni ai funerali: "senza acqua le nostre anime non possono salire in cielo"). Il giovane Kishore (Prabir Mitra) sposa una ragazza di un altro villaggio, Rajar Jhi (Kabori Sarwar), ma la sposa incinta viene rapita dai banditi che la sottraggono dalla barca dopo la prima notte di nozze. Per la perdita Kishore diventa pazzo, mentre Rajar Jhi, liberatasi e soccorsa da altri pescatori, non farà ritorno che dieci anni più tardi, ignorando il nome del suo sposo e conoscendo solo quello del suo villaggio. Insieme al figlioletto Ananta è accolta (contro il volere della sua famiglia) da Basanti, giovane e combattiva vedova che un tempo era innamorata proprio di Kishore e che desidera disperatamente diventare madre, al punto da adottare il ragazzino. Nella seconda parte del film la storia si sfilaccia, presenta nuovi personaggi e si fa ancora più complessa, introducendo il tema delle rivalità incrociate fra i pescatori, i contadini e i mercanti della zona, faide fra caste che porteranno al prosciugamento del fiume... Da un romanzo dello scrittore bengalese Adwaita Mallabarman, una pellicola fluviale ed epica, meditativa ed esistenzialista, un affresco corale che intreccia molte storie su un unico scenario. Al di là degli aspetti cinematografici (il ritmo lento, la fotografia in bianco e nero, l'approccio neorealista contaminato però da una qualità astratta e quasi surreale, la colonna sonora che fonde la musica tradizionale con i silenzi e i suoni della natura), suscitano interesse soprattutto quelli antropologici e i ricchi sottotesti culturali e spirituali: evidenti negli usi e i costumi degli abitanti dei villaggi, i riti, le feste e le tradizioni, i miti (Rajar Jhi è paragonata più volte a una dea e chiamata Bhagavati), le fiabe e le storie di fantasmi, ma soprattutto il ruolo delle donne, autentiche protagoniste della pellicola come della vita delle comunità (sono loro a gestire le case mentre i mariti e i padri vanno a pesca), pur se formalmente subordinate agli uomini (tanto da perdere il loro nome proprio ed essere identificate soltanto come "la moglie di...", "la madre di...", "la sorella di...", "la figlia di..."). Amicizia, accoglienza, rivalità, grettezza, e tutto il campionario di atteggiamenti, vizi e virtù degli esseri umani plasmano poi i rapporti fra i singoli personaggi, le famiglie, le caste e le comunità, in una spirale alternata di solidarietà e di ostilità, mentre il fiume fa da silenzioso e implacabile osservatore, solcato da innumerevoli barche e chiatte, a remi o a vela, fino a quando persino l'unità dei pescatori e la loro aderenza a stili di vita e tradizioni antiche devono cedere il passo alla cattiveria del mondo moderno che avanza e ai tempi che cambiano (nessun fiume è eterno!).

2 commenti:

Marisa ha detto...

Film affascinante e complesso, proprio come la vita, il cui simbolo più appropriato è sempre stato il fiume con il suo continuo fluire (non ci si può bagnare due volte allo stesso fiume...)le sue piene fecondanti e distruttrici,il suo inaridimento...
Molto suggestiva anche la musica.

Christian ha detto...

Sì, è un film ricco di spunti e di suggestioni!
Non l'ho scritto nella recensione, ma anche se lo stile e l'atmosfera sono completamente diverse (d'altronde siamo in tutt'altra parte del mondo!), per l'ambientazione fluviale mi è venuto in mente di paragonarlo a "Il mulino del Po".