Dreamaway (M. Omara, J. Domke, 2018)
Dreamaway
di Marouan Omara, Johanna Domke – Egitto/Germania 2018
con Horreya Hassan, Shaima Reda
*1/2
Visto all'Auditorium San Fedele, con Marisa, in originale con sottotitoli (FESCAAAL).
L'esistenza di un gruppo di lavoratori di un grande e lussuoso albergo di Sharm El Sheikh, durante la bassa stagione, quando di turisti non ce ne sono (forse anche per le conseguenze del terrorismo e della Primavera Araba) e i vari animatori, dj, massaggiatori, ecc. sono costretti a riflettere e a fare i conti con sé stessi. Film di impostazione anti-narrativa (è praticamente un documentario, che segue i sette personaggi nelle loro attività di tutti i giorni), venato da una profonda tristezza. Le immense strutture, pensate per divertire e intrattenere i villeggianti stranieri, sono vuote e desolate (o forse popolate da fantasmi), il che ne mette in luce tutta l'artificialità, e gli stessi operatori si rendono conto di come la frequentazione di questo mondo fasullo li stia cambiando poco a poco, facendo loro perdere la propria identità (vedi per esempio l'uomo che si dipinge di vernice dorata per fingere di essere una statua). Le varie sequenze che si succedono sono spesso ambientate all'alba, al tramonto o durante la notte, e il ritmo lento costruisce un'atmosfera ipnotica e quasi onirica. Ma francamente, forse anche per questo, durante la visione ho fatto fatica a tenere gli occhi aperti: e a vivacizzare una pellicola che forse avrebbe avuto bisogno di un tocco registico alla Jia Zhangke (o alla Robert Altman, vista la natura di film corale) non riesce nemmeno la trovata "surreale" di far intervistare i vari personaggi, lungo la strada, da un figurante vestito da scimmia gigante, o l'estemporanea scena in cui il massaggiatore si ritrova sotto le mani non una cliente, ma un manichino. Omara è un regista egiziano, Domke una videoartista tedesca: questo è il loro secondo lavoro insieme.
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