23 ottobre 2020

La passione di Giovanna d'Arco (C. T. Dreyer, 1928)

La passione di Giovanna d'Arco (La passion de Jeanne d'Arc)
di Carl Theodor Dreyer – Francia 1928
con Renée Falconetti, Antonin Artaud
****

Rivisto in DVD.

Il processo di Giovanna d'Arco a Rouen, da parte di una giuria ecclesiastica assoggettata agli invasori inglesi durante la guerra dei cent'anni, e la sua condanna al rogo come eretica, dopo che la fanciulla rifiutò più volte di ritrattare la propria asserzione di essere stata "eletta" dal Signore per liberare la Francia. Film muto fra i più importanti e influenti della storia del cinema (anche se girato proprio mentre stava per arrivare il sonoro), fu il primo lavoro di Dreyer in Francia dopo aver lasciato la sua natìa Danimarca: nelle intenzioni dei produttori, che vi investirono una grossa somma di denaro e che contavano sulla rinnovata popolarità della figura di Giovanna d'Arco (canonizzata come santa e patrona di Francia proprio in quegli anni, nel 1920), avrebbe dovuto essere un film storico dai toni epici e monumentali, tratto dal romanzo di Joseph Delteil del 1925 di cui avevano acquistato i diritti. Il regista, invece, preferì basarsi sulle trascrizioni autentiche del processo di Giovanna per dare vita a "un capolavoro di emozioni che fonde in maniera uguale realismo ed espressionismo", costruito su insistite inquadrature in primissimo piano della protagonista (ripresa quasi sempre soltanto dal collo in sù) e carrellate sui volti dei giudici e degli inquisitori (con la fotografia ad alto contrasto di Rudolph Maté che, insieme all'illuminazione drammatica e alle inquadrature dal basso, mette enfaticamente in risalto ogni ruga e imperfezione dei visi: agli attori fu imposto di non ricorrere al make-up). Gli eventi storici (o leggendari) diventano dunque la base per la rappresentazione delle passioni, delle paure e dei desideri umani, con il volto di Giovanna (interpretata da una straordinaria Renée Falconetti, attrice teatrale qui alla sua seconda e ultima esperienza cinematografica) al centro di primi o primissimi piani prolungati e intensissimi (e dire che agli albori del cinema sembrava irreale fare primi piani, o anche semplicemente piani medi, perchè sullo schermo le figure apparivano troppo grandi e mettevano a disagio un pubblico abituato al teatro). Il risultato è un cinema che parla di umanità senza filtri, mettendo a nudo l'anima del personaggio atraverso un processo di purificazione ed astrazione. La protagonista diventa un simbolo del sacrificio, della verità, del coraggio di fronte alla crudeltà e al pregiudizio dei suoi accusatori, uomini distanti dall'universo sia divino che intimo della ragazza. Il titolo del film (ma anche la corona di spine) suggerisce addirittura un parallelo fra lei e Gesù Cristo.

Con i capelli corti e poi rasati, spogliata di elmo e di corazza (e dunque privata sia della femminilità che delle caratteristiche maschili e guerresche), Giovanna ci appare fragilissima e sperduta, ma comunque sempre dignitosa e ferma nelle proprie convinzioni. A volte quasi in trance mistica, con gli occhi lucidi e lo sguardo perso nel vuoto (o nel trascendente), è a malapena in grado di comprendere le domande che le vengono poste o di rispondere agli inquisitori (che, dal canto loro, cercano di approfittarne con intricate questioni teologiche per strapparle dichiarazioni "eretiche" e poterla così condannare). L'iconografia, pur originalissima, è quella di una vera e propria santa e martire. Soltanto per un momento Giovanna cede alla tentazione di salvarsi la vita firmando un documento di abiura, per poi cambiare subito idea, preferendo la morte al tradimento. Gran parte del budget (sette milioni di franchi) fu speso per costruire un set di cemento che riproducesse il castello di Rouen e le sue prigioni, ispirandosi a varie strutture medievali. Gli edifici furono dipinti di rosa (!) in modo che apparissero grigi sullo schermo in contrasto con il cielo bianco sopra di loro. Dreyer, che girò l'intero film in rigoroso ordine cronologico, fece scavare delle buche sul pavimento per poter effettuare le riprese dal punto più basso possibile. Notevoli anche le inquadrature capovolte, nel finale, della folla che si ribella ai soldati inglesi dopo l'esecuzione di Giovanna. Nonostante tanta cura nei dettagli, le scenografie (di Hermann Warm e Jean Hugo) si intravedono a malapena nella pellicola finale, che pone invece maggior attenzione sulle figure umane, il che fece infuriare i produttori che ritennero di aver speso tanto denaro per niente. Dreyer ribatté che il realismo del set era necessario per ottenere interpretazioni realistiche e convincenti dagli interpreti. La voce che il regista abbia maltrattato tirannicamente la Falconetti per estorcerle una recitazione più sofferente ed intensa è soltanto una leggenda, come forse quella del suo suicidio, ma è vero che l'attrice soffrì di depressione e non tornò mai più al cinema, nonostante gli elogi della critica. Nel resto del cast spicca lo scrittore Antonin Artaud nel ruolo del chierico simpatetico Jean Massieu, mentre Eugène Silvain è il vescovo Pierre Cauchon, Maurice Schutz il giudice Nicolas Loyseleur, e André Berley il pubblico accusatore Jean d'Estivet. L'intero film è girato con un mascherino sui bordi.

La figura di Giovanna d'Arco era già stata portata sullo schermo diverse volte: fra gli altri, da Georges Méliès nel 1900, da Mario Caserini nel 1908, da Ubaldo Maria Del Colle nel 1913 e da Cecil B. DeMille nel 1917, ma nessuno si era limitato a rappresentarne soltanto la morte. La versione di Dreyer, proiettata nell'aprile del 1928 a Copenaghen e nell'ottobre dello stesso anno a Parigi, fu preceduta da veementi polemiche in Francia, fomentate da nazionalisti che non tolleravano che a dirigere la pellicola fosse un regista che non era "né francese né cattolico" (a peggiorare le cose ci fu la diceria infondata che il ruolo di protagonista era stato affidato all'attrice americana Lillian Gish). L'arcivescovo di Parigi e la censura governativa imposero inoltre numerosi tagli. E come se non bastasse, a dicembre un incendio distrusse il negativo originale del film. Dreyer rimontò una nuova versione della pellicola utilizzando materiali scartati, ma anche questa scomparve in un incendio nel 1929 (evidentemente ad avere problemi con il fuoco non è soltanto Giovanna, ma anche i film a lei dedicati!). Per anni l'unica edizione circolante fu quella realizzata dallo storico del cinema Joseph-Marie Lo Duca nel 1951, a partire da una copia della seconda versione di Dreyer, con l'aggiunta di una colonna sonora a base di musica barocca. Pur lontana dalle intenzioni originarie del regista, questa copia ha contribuito a mantenere elevata la fama del film nel corso dei decenni, rendendolo uno dei titoli più celebrati nella storia del cinema muto, fonte di ispirazione per numerosi cineasti (come gli autori della Nouvelle Vague: in una celebre sequenza di "Questa è la mia vita" di Godard, per esempio, i protagonisti assistono a una sua proiezione). Soltanto nel 1981 venne ritrovata in un ospedale psichiatrico in Norvegia (e poi restaurata) una copia del film originale, com'era prima delle censure. In ogni caso, alla sua uscita riscosse un grande successo critico ma fu un flop al botteghino, impedendo a Dreyer di realizzare altre pellicole fino al 1931. Oggi figura in pianta stabile nella lista dei migliori film di tutti i tempi, e può essere considerato come uno dei primi casi in cui il cinema ha dimostrato di essere un'arte in grado di produrre opere di livello paragonabile ai grandi capolavori della letteratura, della poesia o della pittura dei secoli precedenti, e non una semplice moda, attrazione tecnologica o forma di intrattenimento popolare. Forse solo Sjöström, Chaplin, Murnau ed Eisenstein, prima di Dreyer, erano stati capaci di tanto.

2 commenti:

Marisa ha detto...

E' sicuramente un film indimenticabile e pietra di paragone per tanti altri successivi...Una vera e propria passione quella della giovanissima "Pulzella", stritolata ad appena 19 anni dalla macchina infernale del potere politico-religioso che Dreyer ha avuto il coraggio e la genialità di portare sullo schermo sfidando le leggi già imperanti nella industria cinematografica nascente!
Mi commuove anche vedere l'intensità di Antonin Artaud, altra vittima di un sistema medico-psichiatrico a quei tempi ancora più sadico di adesso!!!

Christian ha detto...

Un film intenso e indimenticabile, un distillato di emozioni e significati, giustamente considerato una pietra miliare dell'arte cinematografica e "leggibile" in chiave universale da più punti di vista (politico, sociale, religioso, e così via).