19 maggio 2021

Acqua, vento, sabbia (Amir Naderi, 1989)

Acqua, vento, sabbia (Aab, baad, khaak)
di Amir Naderi – Iran 1989
con Majid Nirumand
***

Rivisto su YouTube, in originale con sottotitoli inglesi.

Un ragazzino vaga nel deserto alla ricerca della propria famiglia, che ha abbandonato il villaggio natale dopo che il lago si è prosciugato. L'ultimo film girato da Amir Naderi in patria prima di abbandonare per sempre il paese e trasferirsi negli Stati Uniti, e forse il suo lavoro iraniano più celebre in occidente insieme al precedente "Il corridore" (con lo stesso attore, che lì era un bambino e qui è giusto un po' più cresciuto), è una pellicola quasi muta, antinarrativa e documentaristica. Il rumore incessante che vento che soffia (il sonoro, come capita spesso nel cinema iraniano, è un elemento fondamentale), la sabbia che permea l'aria, la terra spaccata e le dune del deserto mettono l'ambiente al centro della storia, rendendolo di fatto protagonista al pari del ragazzo, che si muove in uno scenario desolato, dove piccoli momenti di solidarietà si alternano ad altri in cui l'isolamento e l'istinto di sopravvivenza hanno la prevalenza su tutto. A differenza di gran parte delle persone che incontra, in più occasioni il ragazzo dimostra di avere un cuore: quando soccorre un bambino perso (o abbandonato?) nel deserto, facendo di tutto affinché sia accolto da una carovana di passaggio, o quando, nel finale, scava a mani nude un pozzo nella sabbia per trovare l'acqua necessaria a salvare una vita. E mentre il viaggio e la ricerca del protagonista assumono quasi toni archetipici, i luoghi inospitali, le carcasse di animali morti (attorno ai quali si aggirano cani randagi), i canti delle popolazioni nomadi concorrono a impreziosire un film lento e ostico ma anche immersivo, unico nel suo genere e capace di illustrare con forza il rapporto fra l'uomo e la natura. Nel finale, quando l'acqua sgorga copiosamente dal pozzo (è quasi un'inondazione, come se ci trovassimo in mezzo al mare), si odono le note della quinta sinfonia di Beethoven.

2 commenti:

Ismaele ha detto...


viva Amir Naderi (iraniano del mondo)

l'avevo visto nel 2010, grazie a Fuori Orario (me lo rivedrò)

Siamo sempre in zona capolavoro. Dopo il film non ho potuto non ripensare alla frase di Calvino “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” Ci ho pensato quando il ragazzo protagonista (lo stesso de “Il corridore”, con qualche anno in più) non abbandona il bambino, ma lo lascia solo se qualcuno lo cura, quando soffre per i pesci rossi e corre a buttarli in un pozzo, quando corre a cercare acqua per un vecchio disidratato, quando si incazza con quegli stronzi che usano l’acqua dei pozzi del deserto per lavarsi la macchina. Ha una faccia di ragazzo afgano, curdo, iracheno che sappiamo morto sotto un camion, o in una cella frigorifera, da posti così vengono, spesso. E’ un film doloroso, ma non si può non vedere.

Christian ha detto...

Grazie del commento! È un film davvero "prezioso", unico e particolare, anche se un po' ostico (ma forse anche per questo).